Visualizza versione completa : Dieci mosse per conquistare un cavaliere
Mordred Inlè
12-02-2010, 18.59.08
01. Tre semplici mosse
Mordred tornò nelle proprie stanze, infuriato. Si tolse l'armatura, slacciandosi violentemente l'elmo e lanciandolo contro il pavimento. Il metallo risuonò con energia, richiamando l'attenzione di un paggio.
"Va tutto bene! Vattene!" urlò Mordred appena lo vide ed il paggio fuggì con gioia dall'ira del principe. Perché tutti sapevano che lui era un principe, il figlio bastardo di Artù (anche se nessuno avrebbe mai osato dirlo a voce altra).
Lancillotto riusciva ogni volta a disarcionarlo, in ogni maledetto torneo di Camelot e di tutta la Britannia!
Mordred finì di svestirsi e si sedette stancamente sul letto.
La sua mente, sempre piena di gioia e fantasia, elaborava fervidamente dieci semplici modi per trucidare Lancillotto.
Di tutti i cavalieri di Camelot non vi era cavaliere più stupido di Lancillotto e, ovviamente, Artù aveva scelto proprio lui come più caro amico e braccio destro.
"Stupido... gallo!" esclamò dopo aver terminato gli insulti più feroci.
Una mano leggera bussò alla sua porta ed il cavaliere si alzò per scacciare malamente quel nuovo intruso.
"Ah, Agravaine."
"Salve Mordred, ho visto il tuo meraviglioso lancio del cavaliere. Incredibile l'abilità con cui ti sei fatto scivolare il cavallo da sotto."
"Bastardo."
"O dovrei dirlo io di te?" sorrise Agravaine, acidamente.
"E' stato tutto voluto."
"Certo, certo. Avresti dovuto vedere come applaudiva il re."
Mordred alzò velocemente lo sguardo sul fratellastro, arrossendo. Oh no, non anche questo. Il re, suo padre, che osservava le sue figuracce.
"Non temere, fratellino, Lancillotto la pagherà," sussurrò Agravaine il Bello. Tutto lo chiamavano così e per una buona ragione. Non vi era persona più bella e pericolosa di lui a Camelot.
"E come? Vive in una botte di ferro. Artù lo adora, la regina lo ama-"
"Appunto!" esclamò Agravaine, con entusiasmo ma senza alzare la voce. Non alzava mai la voce.
"Appunto la regina?"
"Esattamente. Temo che i doveri di Lancillotto vadano un po' oltre il suo ruolo di protettore della corona."
"E quindi?" domandò Mordred. Stava iniziando a stancarsi. Era stata una giornata dura ed era stanco degli intrighi, di re e regine, di madri terribili e di profezie.
"Quindi se lui si porta a letto la moglie di tuo padre tu..." replicò il fratellastro, con un sorriso suadente.
"Io mi porterò a letto suo figlio!"
"Cosa?!"
E Mordred aveva un maledetto elmo pieno di testardaggine.
Mordred si osservò allo specchio. L'oggetto era un regalo della zia Morgana fattogli anni prima, ancora quando parlava con la gente e non si era rinchiusa in quel bizzarro castello del Gorre.
Sapeva di non essere particolarmente bello, non come Galahad, ma aveva il fascino dell'esperienza. Essendo più grande di Galahad aveva combattuto in più battaglie e le donne con cui era stato sembravano adorare la piccola cicatrice sulla tempia sinistra e la sua bocca dalla linea severa.
"Forse per piacere ad un uomo dovrei essere più femmineo," meditò. Tutto ciò che aveva ereditato dalla madre erano gli occhi scurissimi ed il naso affilato.
Si guardò ancora per qualche secondo e pensò a Galahad con i suoi occhioni azzurri, i folti capelli biondi ed i tratti delicati.
"No, non sarà necessario essere femminili, Galahad è praticamente una donna!"
Annuendo tra sé e sé, Mordred indossò la propria veste più bella e si preparò al piano A della sua nuova missione: Conquistare Galahad, il puro figlioletto di Lancillotto.
Per prima cosa avrebbe usato il suo fascino di uomo vissuto. Funzionava praticamente sempre e, se necessario, avrebbe anche finto un po' di esperienza tra uomini.
Uscì dalle proprie stanze e si diresse al padiglione di Lancillotto. Quello di Galahad era proprio alla sinistra di esso.
Notò subito lo scudo appeso: bianco con una croce rossa.
"Sir Galahad," lo chiamò, entrando nella sua tenda.
I padiglioni erano ancora allestiti per la finale del torneo, il giorno successivo, e Galahad era rimasto ancora in gara. Ovviamente.
"Sir Mordred, in cosa posso esservi utile?" sorrise il figlio di Lancillotto (del nemico!) alzandosi in piedi ed appoggiando a terra la propria spada.
"Volevo solo darvi qualche consiglio per domani," sorrise Mordred, mettendo in risalto i propri affascinanti denti leggermente appuntiti.
Galahad imitò il suo sorriso. "Vi ringrazio, siete molto gentile."
"Vedo che state lucidando la vostra spada. Posso consigliarvi di controllare anche la vostra lancia?"
"Già fatto."
"Certo, se mi posso permettere, so che può sembrare una sciocchezza ma, anche se pare svantaggioso, vi consiglio di usare la vostra lancia con la sinistra. In questo modo-"
"Grazie, sir Mordred. Effettivamente io sono ambidestro ed uso quasi sempre la mia lancia con la sinistra."
"Ah."
Galahad sorrise con aria innocente e due fossette si formarono ai lati della sua bocca rosata.
"Ehm, a volte i cavalieri usano dei trucchi davvero sleali. Utilizzano cavalle in calore per far impazzire i cavalli usati da-"
"Ah sì, ho ben noto lo stratagemma. Infatti monterò su Joan, è una femmina e sarà immune a simili trucchetti."
"Bene, bene," concluse Mordred, irritato.
D'accordo, usare l'esperienza non stava funzionando a dovere. Avrebbe dovuto passare alla fase successiva: i complimenti!
"Vedo che siete pronto per questo torneo," aggiunse subito.
Galahad annuì e tornò a sedersi con grazia, riprendendo la spada per pulirla.
"E' una spada magnifica."
"Grazie, sir Mordred."
Sir Mordred strinse i pugni, sentendo i vecchi guanti di pelle scricchiolare.
"Tutto bene, sir?" chiese Galahad, alzando lo sguardo cristallino su di lui.
"Certo, sono solo preoccupato per voi. Avete un così bel viso che non vorrei certo che qualche screanzato al torneo ve lo rovinasse."
L'altro tossicchiò imbarazzato, alzò le sopracciglia e guardò Mordred incredulo.
"Che c'è?" sbottò Mordred, sentendosi a disagio.
"No, nulla... grazie, sir, siete gentile."
"Oh, ma dicevo la verita," sorrise il figlio del re, ripartendo da dove aveva lasciato, "e le vostre mani sono belle quanto quelle di una fanciulla. Anzi, mi ingannerei se non sapessi che sanno tenere una spada bene quanto sanno giostrare."
Galahad tossicchiò ancora e Mordred lo vide anche arrossire leggermente.
"Siete stranamente gentile oggi."
"Ehi!" esclamò Mordred, offeso, "io sono sempre gentile. Specialmente con voi."
Galahad ripensò qualche secondo all'estate precedente quando, appena arrivato diciottenne a Camelot, Mordred aveva tentato di chiuderlo in una segreta del castello e lasciarlo come cibo ai topi.
"Il vostro cortese volto ispira la mia gentilezza," continuò l'altro, che iniziava ad irritarsi. Fece un profondo respiro e continuò a sorridere, tentando di imitare l'affascinante e seducente sorriso che usava sempre suo padre.
L'altro cavaliere lo osservò dubbioso, imbarazzato e quasi compiaciuto.
"Non so che dire, Mordred," balbettò, finendo velocemente di maneggiare la spada e rimettendola nel fodero.
"Non dovete dire nulla anche se sembra che la vostra voce sia particolarmente piacevole alle fanciulle di Camelot- e non solo a loro."
Galahad aprì la bocca per rispondere qualcos'altro ma improvvisamente la tenda d'entrata del padiglione venne sollevata ed entrò Lancillotto.
Il cavaliere francese, il più amato del regno ed il più bello di Camelot, squadrò sospettosamente il principe del suo re. Gli occhi azzurri dell'uomo, trasmessi pari pari al figlio Galahad, lampeggiarono d'orgoglio.
"Sir Mordred," lo salutò con un breve inchino. Non che avesse bisogno di inchinarsi davanti a qualcuno. Lancillotto era il primo cavaliere del regno.
"Sir Lancillotto." Mordred sfoderò il suo miglior sorriso.
"Padre," replicò Galahad, alzandosi subito, e raggiungendolo. I due si abbracciarono.
"Sei pronto?" domandò Lancillotto e Galahad annuì.
Mordred portò gli occhi al cielo, sentendosi di troppo.
Il braccio destro di Artù lo occhieggiò. "Sir Mordred, credo che il siniscalco vi stesse cercando."
"Maledizione," ringhiò Mordred uscendo dal padiglione.
L'arrivo di Lancillotto aveva rovinato tutto proprio sul più bello.
La tecnica dei complimenti, unita alla sublime strategia della gentilezza, stava portando ad ottimi risultati e sarebbe sicuramente servita al suo scopo se l'intrusione non avesse spezzato l'atmosfera.
Stupido cavaliere di Artù.
Se ne tornò a grandi passi nelle proprie stanze, quasi certo che il siniscalco non lo stesse davvero cercando. E se anche fosse, un paggio sarebbe venuto a chiamarlo nelle sue stanze.
Una volta dentro si sorprese dal vedere Agravaine che si limava tranquillamente le unghie seduto su un baule in legno.
"Da quando puoi entrare così nelle mie stanze?"
"Da quando siamo stati partoriti dalla stessa donna," rispose l'altro, sbadigliando.
"Sei stanco, va a dormire."
"No, no, voglio sapere i risultati della tua conquista."
"Non è successo nulla," sbottò Mordred, quasi imbarazzato di star raccontando cose simili al fratello.
"Se avessi fatto come ti consigliavo io, ovvero cercare di svelare il tradimento della regina, non saresti in questa situazione."
"Mi sta simpatica la regina," brontolò Mordred.
"Ed anche Galahad, a quanto pare."
llamrei
13-02-2010, 15.58.35
Agravaine inizia a starmi simpatico:D
Mordred Inlè
13-02-2010, 17.46.32
<3 ne sono felice *_* dopo Mordred e Gawain, Agravaine è il fratellino che preferisco!
02. Tutto parte da un mazzo di fiori
Mordred si svegliò fresco e riposato e quasi si rallegrò nel sentire gli uccellini di inizio primavera che cantavano fuori dalla finestra.
Erano passati quattro giorni dal suo primo tentativo con Galahad. Quattro giorni dal momento in cui aveva deciso di sedurre e distruggere Galahad per vendicarsi di Lancillotto.
Mostrare la sua notevole esperienza in fatto di tornei non aveva giovato molto, poiché il bamboccio francese pareva abbastanza abile, ma sagaci complimenti ed un'esagerata gentilezza avevano fatto arrossire il biondo, colpendo sicuramente il suo cuore.
L'aveva incontrato un altro paio di volte nel palazzo e si era sempre comportato con disgustosa cortesia. Aveva persino fatto il tifo per lui al torneo.
Agravaine gli aveva consigliato di lasciar perdere o, almeno, di provare a distruggere Galahad in un modo più veloce e semplice (qualcosa che c'entrasse con dei serpenti) ma Mordred era sempre stato testardo. Un tratto caratteristico della famiglia Pendragon.
Il fratellastro era stato quindi costretto a chiedere consigli a Lynette, la moglie del loro altro fratello Gaheris. Lynette aveva assicurato che una cosa fondamentale del fare la corte erano i regali.
Tanti regali perché tutti amano un partner che sembri, o sia davvero, ricco.
E Mordred era ricco. Se c'era qualcosa che Artù e Morgause non gli avrebbero mai fatto mancare erano i fondi, anche se per due motivi diversi.
Morgause amava l'idea che la si pensasse una ricca gran dama e non poteva sopportare nemmeno il pensiero che uno dei suoi figli se ne andasse in giro come un pezzente.
Artù invece preferiva fargli avere soldi, cavalli ed armature piuttosto che vederselo attorno più del necessario.
Subito dopo la veloce colazione, Mordred passò da dama Lyonella, la sarta reale e le chiese di confezionare un mantello di seta azzurra. Certo, la seta non copre molto dal freddo ma ormai era primavera e la seta era bella, rara ed ispirava ricchezza come nessun'altra cosa.
Tornò poi nelle proprie stanze e frugò nell'armadio alla ricerca di qualche possibile regalo da consegnare in attesa del mantello.
Trovò una casacca infoltita di pelliccia di ermellino. Se la avvolse attorno al braccio e corse fuori dalla stanza.
"Ehi tu," esclamò chiamando uno dei paggi di Kay, "sai dove posso trovare sir Galahad?"
"Penso sia alle stalle con il suo cavallo, signore."
"Perfetto, grazie."
Come detto dal paggio, Galahad si trovava accanto alle stalle. Aveva Joan, il suo cavallo, legato ad una corda e lo stava facendo passeggiare in tondo all'interno del recinto delle esercitazioni.
"Sir Galahad, lasciate stare il vostro cavallo! Le fanciulle di Camelot iniziano a sentirsi trascurate."
Galahad si voltò ad osservare Mordred che scavalcò la recinzione e giunse davanti a Joan, accarezzandole in mezzo alle orecchie.
"Solo le dame?" sorrise il giovane, arrossendo.
Il principe di Camelot si voltò sorpreso.
"Vi ho portato un dono," esclamò poi, deciso a non farsi intimidire da nulla e sicuro nella propria strada.
"Un dono? Non posso darvi nulla in cambio."
"Non voglio nulla, ve lo assicuro. Ecco qui, per voi." Mordred porse a Galahad la casacca rossa e lasciò che l'altro la prendesse a l'ammirasse.
"E' superba. Non posso accettarlo, sir."
"Ma dovete. Insisto."
Galahad lasciò che il cavaliere lo aiutasse a togliersi la cotta di maglia ed indossare la casacca.
"Vi ringrazio, davvero," continuò il figlio di Lancillotto e dopo un breve inchino tornò a badare al suo cavallo.
Mordred lo guardò confuso. Tutto qui? Lynette aveva assicurato che ci sarebbero state scintille! In quel mentre giunse anche Percival, giovane figlio di Pellinore e, per questo, non di certo una persona che amava la famiglia di Mordred.
Molti anni prima, Pellinore aveva ucciso il marito di Morgause e Gawain, fratello maggiore di Mordred, aveva ucciso Pellinore per vendicare il padre. La faida però non si era fermata lì ed era continuata con piccole scaramucce e violente ferite.
"Galahad, vi cercavo," lo salutò Percival, con il fiatone per una recente corsa ed il volto arrossato. L'altro cavaliere lo invitò a continuare la frase e lo interrogò con gli occhi. Di risposta, Percival si limitò ad occhieggiare incerto Mordred che, sentendosi di nuovo di troppo, decise che era il momento di ritirarsi. Per ora.
I regali stavano funzionando. Galahad aveva mandato un biglietto scritto di suo pugno come ringraziamento per il mantello di seta e Mordred ne era entusiasta.
"Bene ma ancora non hai concluso nulla," lo rimproverava spesso Agravaine.
"Concluderò, concluderò," era la tipica risposta.
Ma, effettivamente, non stava accadendo nulla.
Galahad si comportava in modo cortese, come sempre, con lui come con tutti ed anche se a volte arrossiva non dava segni di possedere una mente abbastanza maliziosa per immaginare più di uno scambio di doni e cortesie.
Solo quattro giorni dopo l'incontro della stalla, Agravaine giunse nelle stanze di Mordred con una piccola scatoletta di legno.
"Ti ho portato la vittoria, caro fratello."
Mordred si limitò a fissarlo con aria impassibile. La maggior parte delle volte amava i suoi fratelli, persino l'ingenuo Gareth, ma spesso vederli gli ricordavano di sua madre. La bella Morgause che, anche se sorellastra di Artù, aveva sedotto il re per ottenere un veloce lasciapassare a corte, un qualcosa che potesse usare contro il fratellastro.
"Apri," insistette Agravaine, porgendogli la scatola di legno liscia e senza decorazioni.
A malincuore, l'altro eseguì. All'interno si trovava una piccola gemma rossa anche se, visto la preziosità, piccola era un termine relativo. Si trattava sicuramente di un rubino, intenso e meraviglioso quanto un boccale di vino e una goccia di sangue.
"Dove l'hai trovato?"
"Me l'ha dato Lynette."
"L'ha rubato a Gaheris, allora."
"Molto più probabile che Gaheris l'abbia rubato a nostra madre."
Mordred chiuse sonoramente la scatola, nascondendo il rubino dalla propria vista.
"Non voglio dargli qualcosa di nostra madre!"
Agravaine rise stupefatto all'aria scandalizzata del fratello minore. "E perché? Che cosa ti interessa?" Lo sfidò con gli occhi chiedendogli perché mai avrebbe dovuto anche pensare alla provenienza dei regali. L'importante era che le cose fossero fatte e basta.
Mordred lo occhieggiò nervoso, riaprì la scatola di legno ed annuì. "Hai ragione."
Il cofanetto ed il rubino vennero recapitati quasi subito da un paggio fidato che serviva la famiglia delle Orcadi. Il tutto sotto la supervisione di Agravaine che sembrava avere preso particolarmente a cuore le attività vendicative di Mordred.
Non passarono molti giorni che una giovane damigella giunse a bussare alla porta di Mordred.
La fanciulla, una delle dame che si vedevano spesso in compagnia di Lyonesse, la nobile moglie di Gareth, si inchinò brevemente guardando Mordred sottecchi, intimorita.
"Sì?"
"Nobile cavaliere, sono stata mandata da sir Galahad a porvi i suoi ringraziamenti più sentiti. Si scura per non essere venuto di persona ma il nobile Lancillotto ha richiesto la sua presenza."
Ma certo, pensò il figlio di Artù, il caro Lancillotto tentava di tenere il puro figlioletto il più occupato possibile e quindi lontano da lui. Bene, se Lancillotto temeva significava che c'erano ragioni per temere.
"Digli che non è necessario."
"Vi manda un dono e si scusa se non è ai livelli dei vostri." La ragazza si inchinò velocemente e porse al cavaliere una scatola avvolta in un telo. Con un ultimo saluto scappò via, lasciando l'uomo a scoprire che nel telo non vi era una scatola ma un libro.
Mordred aprì il volume, se lo rigirò fra le mani. Lo aprì, lo richiuse, lesse una pagina e si trascinò a sedersi alla sua scrivania. Fu lì che Agravaine lo trovò, inquieto e turbato.
"Che cosa leggi?"
"Questo!" esclamò Mordred, alzandosi con violenza, "è il regalo di Galahad! Per me," sibilò e lanciò il libro addosso al fratellastro. L'altro evitò con facilità il volume e lo raccolse poi da terra.
"Poesie di Teocrito," lesse sulla prima pagina. "Sono delle poesie, e allora?"
"E allora-" Mordred si bloccò, "come fa a saperlo?"
"Sapere cosa?" domandò Agravaine, sentendosi sempre più annoiato.
Per tutta risposta l'altro si chinò sulla scrivania e prese un piccolo foglietto scribacchiato, porgendolo ad Agravaine.
"A sir Mordred con tutta la mia gratitudine per la gentilezza dimostrata. So che conoscete ed apprezzate gli scritti dalla Grecia e che sapete leggere il greco. Spero che questo dono, benché meno regale del vostro, sia comunque apprezzato," lesse l'altro. "Cos'ha che non va?"
Mordred lo osservò come se fosse impazzito e non si rendesse conto di nulla. Come poteva Agravaine non capire la situazione?
Come faceva Galahad a sapere che lui conosceva il greco o che leggeva? Perché se ne era interessato?
"Mordred ne stai facendo un problema. Ti ricordi del tuo piano, sì? E se Galahad si è interessato ai tuoi gusti significa che sta funzionando."
"Sì sì, certo, è ovvio."
"Bene. Posso darlo a Laurel?" sorrise Agravaine, giocherellando con il libro di poesie. Lo lanciò brevemente in aria ma questo non tornò sulla sua mano perché il figlio del re si sporse in avanti per afferrarlo.
"No, questo lo tengo io," bofonchiò Mordred, cacciando il fratellastro dalle sue stanze.
Agravaine tornò verso le proprie stanze divertito e dubbioso.
Mordred era sempre stato un tipo strano ma chi l'avrebbe mai immaginato così strano?
Nel corridoio che portava all'esterno del maschio del castello, l'uomo incontrò dama Lynette. Lynette era una donna dalla lingua lunga, facile all'ira e molto intelligente. Agravaine aveva sempre pensato che, in qualche modo, somigliasse a loro madre ma senza i tratti più velenosi della personalità di Morgause. E, dentro di lui, credeva che questo fosse anche il motivo per cui Gaheris l'avesse sposata.
"Sir Agravaine, ottima giornata, vero?"
"Siete riuscita ad avvelenare un paggio? Oggi vi vedo particolarmente allegra," replicò amabilmente il bel Agravaine e Lynette rise di gioia.
"Mi credete una strega! Dovrei offendermi," esclamò la donna, aggiustandosi le lunghe trecce castane. "Come è andata con la dama di Mordred?"
"Oh, oh, bene come previsto."
"Sapete perché ve lo chiedo?" domandò Lynette, sorridendo angelicamente. Non aspettò la risposta dell'altro. "Perché oggi la regina mi ha raccontato entusiasticamente del meraviglioso rubino incastonato alla spilla di sir Galahad."
"Il mondo è pieno di rubini," replicò Agravaine, alzando le sopracciglia.
Il sorriso della donna si allargò ancora di più. "Non starete tentando di sedurre un cavaliere."
"No, non sono io, come vi ho detto. E' Mordred."
Il fratello non pensò nemmeno un attimo di dover mantenere il segreto di Mordred. Suo fratello doveva pensarci prima di confidarsi con lui.
"A proposito di Mordred," continuò l'uomo, senza mai smettere di sorridere, "cosa fare dopo il regalo?"
"Il regalo non ha funzionato?"
"Non come avrebbe dovuto."
"La prossima mossa," assicurò Lynette, "è la gelosia."
llamrei
14-02-2010, 12.15.23
la gelosia.....attenzione: potrebbe essere un'arma a doppio taglio, mio caro Mordred:D....attendiamo con ansia il proseguio;)
Mordred Inlè
14-02-2010, 14.19.03
E lo è : D
<3 grazie mille per aver letto.
Qui la storia inizia a sfuggirmi di mano X° e sembra cambiar trama... i personaggi non mi ascoltano e fanno ciò che vogliono.
03. Gelosie
"La prossima mossa," lo aveva assicurato Agravaine, "è la gelosia. Scegliti una fanciullina ma non combinarci nulla. Devi avere la difesa di un possibile fraintendimento."
Mordred aveva perfettamente capito cosa intendeva il fratello. Non doveva davvero tradire (tradire? da quando aveva iniziato ad usare simili termini da amanti?) Galahad ma solo farlo ingelosire con qualche mossa mirata.
Era a questo che Mordred pensava mentre, dall'alto di una delle finestre sulla corte interna, guardava Ginevra e le sue dame ricamare sotto il sole. Non aveva intenzione di scegliere una dama.
Simulare la corte ad una delle dame della regina era cosa rischiosa. No, avrebbe scelto una delle serve del castello.
Gwendolyn, una serva giunta da poco a Camelot, e sorella dello scudiero di Dinadan, si chinò a raccogliere un fazzoletto caduto a dama Laurel. Alzò poi lo sguardo ed incontrò quello di Mordred.
Il giovane cavaliere non ci pensò due volte, alzò la mano e la salutò con grazia, sfoggiando il proprio sorriso più scintillante.
Fu costretto a rimanere tutto il pomeriggio ad osservare la noiosa scena della corte, sicuro che la dama di Lyonesse, una certa Murrain, lo potesse vedere. Gareth, marito di Lyonesse, e Lancillotto erano in ottimi termini e sicuramente se Galahad avesse voluto informazioni su di lui le avrebbe chieste a Lyonesse.
La sera se ne tornò stanco nelle proprie stanze e mangiò là, leggendo poesie di Teocrito.
Flirtare era un lavoro duro.
"Sir Mordred," lo salutò Gwendolyn, inchinandosi profondamente.
Marianne, la capo cuoca, lo osservò sospettosamente. "Sir Mordred, è un piacere vedervi qui nelle cucine," sibilò, intendendo chiaramente il contrario.
"Certo, lo immagino," bofonchiò Mordred, "volevo solo chiedere a Gwendolyn se potesse fare una commissione per me. Gwendolyn," aggiunse, rivolgendosi alla fanciulla, "potreste portare questa frutta a dama Lyonesse? E' un dono per lei. Mentre questo è solo per voi," continuò prendendo una mela e regalandogliela.
"Vi ringrazio, sir Mordred! Farò volentieri questa commissione per voi," sorrise la ragazza, ridacchiando leggermente.
Mordred tentò di ricambiare il sorriso ma temette di essere riuscito solo a mostrare una smorfia malandata. Uscito dalle cucine, si diresse verso le stalle per prendere il proprio cavallo e raggiungere le miniere vicino a Camelot. Era lì che Artù lo mandava a supervisionare di recente e Mordred di questo ne era grato. Non era un luogo lontano ed era un lavoro che lo faceva sentire utile.
Fu nelle stalle che trovò Galahad e, per una volta, ne fu sorpreso. Dal momento in cui aveva deciso di sedurlo e distruggerlo, Mordred aveva sempre saputo quando e dove incontrare il giovane e, da ciò che gli aveva assicurato Agravaine, Galahad sarebbe dovuto essere fuori Camelot tutta la settimana.
"Cosa ci fate qui?" si lasciò sfuggire.
"Sono appena tornato," rispose Galahad, confuso e divertito.
"Per qualche cosa in particolare?"
"Mia madre lady Elaine pensava di venire a trovarmi."
"Oh bene, è sempre una buona cosa."
Galahad annuì, sorridendo. "Voi andata alla miniera?"
Mordred non avrebbe mai capito come facesse Galahad a sapere così tante cose di lui né il perché dovessero essere così interessanti.
"Sì, partirò fra una mezz'ora. Ma voi come-"
"Dama Lyonesse è una donna premurosa," rise Galahad, "mi tiene sempre informato su tutto ciò che accade a Camelot."
In quel mentre giunse la giovane Gwendolyn, come mandata dagli dei per aiutare il piano di Mordred. La fanciulla sembrava il ritratto della più semplice bellezza. Guance arrossate, lunghi capelli castani ed occhi sinceri e fiduciosi.
"Sir Mordred, dama Lyonesse vi ringrazia per la cortesia."
"Grazie a te, Gwendolyn."
"No, sir, grazie a voi. Agravaine mi ha recapitato l'abito da parte vostra."
Mordred quasi si soffocò deglutendo e con voce strozzata riuscì a balbettare un "Quale abito?!"
Evidentemente le sue mosse nei confronti di Gwendolyn erano state così palesi che Agravaine se ne era accorto. Maledetto. A volte odiava avere dei fratelli.
"Il vestito che mi avete donato," replicò la fanciulla, con aria desolata.
Mordred sapeva che il senso di una strategia basata sulla gelosia era far ingelosire l'altra persona per far saltare fuori una famigerata passione. Lo sapeva bene, ma sul momento non seppe far altro che negare le parole della ragazza.
Galahad lo stava guardando con curiosità ed una leggera freddezza e la cosa lo metteva a disagio.
"Non vi ho dato nessun vestito. Deve essere stato un malinteso."
"Ma voi- Agravaine mi ha detto che voi siete-"
"Agravaine è uno sciocco!"
"La mela e tutto e io-" Gwendolyn si lasciò sfuggire un singhiozzò, mormorò delle scuse e fuggì via.
Invano Mordred le chiese di aspettare.
Non aveva mai pensato di doverlo dire ma le cose gli stavano sfuggendo di mano, in tutti i sensi. Non c'era altra spiegazione a quel maledetto senso di colpa che stava sbocciando tra il suo intestino ed i reni.
Galahad scelse proprio quel momento per la sua lezione di morale. "Credevo che Lyonesse scherzasse. Avete spezzate il cuore di una fanciulla."
E Mordred non disse nulla. Assolutamente nulla.
"Sarà meglio che io vada," disse infine Galahad, rompendo il silenzio con una voce gelida e graffiante.
Senza aggiungere altro, e senza che Mordred potesse rispondere, lasciò la stalla, dando le cavezze del proprio cavallo ad un servitore appena giunto.
Artù lo mandò a chiamare tre giorni dopo e Mordred fu costretto ad abbandonare così la tattica della gelosia (non che stesse funzionando).
Mordred andò a cercarlo nelle sue stanze, dove di solito il re lo riceveva, ma un paggio lo informò che il sovrano si trovava nella stanza della tavola rotonda e fu lì che Mordred lo trovò.
Artù era un uomo formidabile. Aveva un'aria comune, un aspetto tranquillo dato da un volto regolare e un'aria elegante. Gli occhi castani, così come i capelli, e la bocca quasi anonima sembravano in netto contrasto con l'idea che lui fosse re. Non era nemmeno particolarmente alto o massiccio.
L'apparenza però veniva subito distrutta quando Artù ti parlava o ti guardava. Quando il re concentrava tutta la sua attenzione su di te era impossibile rimanerne impassibili. Il mondo sembrava riassumersi nelle sue parole, la voce sembrava avvolgere tutto ed il suo carisma, un dono prezioso che gli dei gli avevano abbondantemente concesso, era capace di piegare gli eserciti.
Artù stava chiacchierando con Lancillotto, Galahad, Kay e qualche altro cavaliere. Non erano seduti alla tavola ma vicini all'ampia vetrata dove vi era una modesta sedia spesso usata dalla regina Ginevra.
Appena vide entrare il figlio, il re lo raggiunse immediatamente lasciando gli altri alle precedenti conversazioni.
"Sir Mordred," lo salutò.
Padre, avrebbe voluto rispondere Mordred ma frenò la lingua. "Zio, cosa posso fare per voi?"
"Per me nulla, caro Mordred, ma molto per vostra madre."
Mordred alzò di scatto la testa e le sue mani, prima occupate a tirare un filo dalla propria veste, si immobilizzarono. "Mia madre."
"Sì, mi ha inviato una sentita lettera in cui chiedeva di voi e di come stavate. Dice che gli mancate molto."
"Se mi avesse davvero voluto vedere avrebbe potuto scrivere a me."
Artù sorrise, tentando di smorzare il tono acido del figlio. "Sapete com'è fatta."
"Sì. Ed anche voi," sibilò Mordred. Entrambi sapevano che Morgause non aveva alcuna nostalgia dei figli, e Mordred fra essi, o almeno non lasciava che la nostalgia si mettesse fra lei e la politica. Ciò che Morgause voleva era tornare a Camelot. Era sempre stata una donna molto bella, influente e, come il fratellastro, tremendamente carismatica. Artù la temeva ma le voleva abbastanza bene da non portarla alla rovina. Sentimento che non era ricambiato.
"Mia madre ha chiesto di venire qui a Camelot a trovarmi?" domandò Mordred, dopo un respiro profondo. Non voleva che gli altri sentissero e quindi abbassò la voce.
"Sì, caro nipote, ma come ben sapete sono molto occupato con i sassoni ed i pitti. E non vorrei che le accadesse qualcosa durante il viaggio, le strade sono pericolose."
"Quindi, sire, cosa volete?"
Artù aprì la bocca per rispondere qualcosa. La richiuse ed osservò il figlio. Per un attimo Mordred fu sicuro che sarebbe andato tutto bene. Per un attimo sembrò che Artù volesse mandare al diavolo tutto, cavalieri, politica e Morgause.
Ma l'attimo passò ed Artù rispose: "Non posso certo lasciare che soffra così. Vorrei che voi partiste per andarla a trovare."
Caro figliolo, poiché non posso fidarmi di avere quella vipera mangiauomini qui a corte, vorrei che tu andassi da lei, la calmassi e poi tornassi a dirmi che è andato tutto a meraviglia.
"Sire, potete mandare un messaggero."
"E lasciare che la mia stessa sorella mi accusi di essere un tiranno che le impedisce di vedere l'amato figlio?" rise il re.
Mordred dovette ammettere che Artù non aveva tutti i torti. Morgause provava già in tutti i modi a farsi compatire da re e nobili senza bisogno di aggiungere nuove motivazioni alla sua campagna denigratoria contro Artù.
"Io- preferirei non andare," ammise Mordred, non osando guardare il padre negli occhi.
Artù non gli chiedeva mai molto e Mordred non sopportava il pensiero di rifiutargli un favore.
Il brusio che vi era stato fino a quale momento era cessato. Lancillotto aveva smesso di ridere, Kay se ne stava tranquillamente appoggiato alla sedia vuota della regina, fingendo di guardare il cielo. Dinadan stava osservando Kay, chiaramente intendo ad ascoltare il dialogo fra il re ed il figlio. E così faceva Galahad.
Fantastico, pensò Mordred, così tutti mi sentiranno piagnucolare pietà al re come un bambino.
"Mordred-"
"D'accordo. Ditemi solo quando devo partire ed io sarò pronto."
"Il prima possibile, grazie Mordred," sorrise Artù e portò una mano sulla spalla del figlio, stringendola.
Il cavaliere arrossì per la vergogna. Perché si vergognava del modo in cui aveva così disperatamente bisogno di quella stretta sulla propria spalla.
"Sceglierò qualcuno che venga con te, le strade non sono sicure."
E' preoccupato per me, pensò il giovane, è preoccupato, dei del cielo, è preoccupato! E con rabbia scacciò la vocina che gli diceva, malignamente, che forse Artù voleva controllare che non si mettesse in combutta con Morgause.
"Sire," esclamò una voce estranea alla conversazione. Galahad si avvicinò al sovrano con un timido sorriso. "Mi dispiace, non ho potuto fare a meno di sentire."
Artù fece un gesto di perdono ed osservò divertito il figlio del proprio migliore amico. Quel ragazzo sembrava sorprenderlo ogni volta. Con un pungente senso di colpa pensò che avere un figlio onesto, sincero e trasparente come Galahad fosse il desiderio di ogni genitore.
"Ditemi, caro amico."
"Volevo chiedervi di poter accompagnare vostro nipote."
"Galahad! Sono sicuro che il re ha già scelto qualcuno di più esperto ed abile," si intromise Lancillotto.
"Più abile di me, padre? Non sono un falso modesto. So di essere uno dei cavalieri più abili del regno."
Artù interruppe la schermaglia fra padre e figlio, sporgendosi per abbracciare Galahad.
"Ne parleremo in privato, amici."
Certo, è il mio viaggio, è la mia vita, è mia madre, è mio padre e loro ne parleranno in privato.
"Zio, vorrei poter andare ora. Devo preparare delle cose per il viaggio," si scusò Mordred.
E quando il padre glielo ebbe concesso, lasciò la sala.
Liberato (metaforicamente parlando) dal figlio, Artù ordinò a Kay e Dinadan di uscire e rimase assieme all'amico Lancillotto ed al giovane Galahad.
"Artù, non potete. Non voglio che mio figlio parta con lui," esclamò Lancillotto appena i tre rimasero soli.
Artù si sedette sul proprio seggio facendo cenno agli altri di sedersi accanto a lui.
"Quindi è lui il problema? Non i possibili banditi sulle strade o le tribù dei pitti a nord?"
Lancillotto si morse il labbro. Bisognava essere sempre cauti quando si parlava di Mordred. Persino Artù sembrava non avere dei sentimenti definiti verso il figlio.
"Tutti i pericoli. Tutti," rispose il primo cavaliere del regno.
"Padre, sono perfettamente capace di difendermi da tutti i pericoli."
Lancillotto osservò lo sguardo determinato del figlio e ne sostenne la forza. Avevano già parlato di Mordred, in privato. Avevano già discusso e lui non aveva intenzione di litigare davanti al proprio re.
"Mi farebbe piacere se andasse Galahad," intervenne Artù. "E' un uomo d'onore, è una persona retta e pura. Qualsiasi altro sarebbe succube di Morgause, del suo fascino e voi lo sapete, Lancillotto."
"Sì, Artù, non ho dubbi su questo. Non è di Morgause che mi preoccupo."
"Dovreste."
llamrei
28-02-2010, 10.34.20
.....sono impaziente di leggere il seguito....;)
Mordred Inlè
28-02-2010, 11.50.48
<3 : D
04. Il viaggio
Mordred partì all'alba.
Artù lo aveva salutato la sera prima, consegnandogli una lettera per Morgause. Agravaine aveva riso e gli aveva augurato un acido 'buona fortuna', prendendosi l'incarico di informare poi gli altri loro fratelli.
Il re aveva pensato che sarebbe stato più sicuro viaggiare in pochi, per non attirare troppo l'attenzione. Meglio sembrare dei cavalieri solitari ed innocui che una delegazione da Camelot. Non era un periodo di gioia per il regno. Vi erano stati anni di pace dopo la sconfitta dei sassoni a Badon Hill ma ora i barbari avevano ricominciato ad affluire, spingendo le popolazioni della Britannia verso la disperazione.
Mordred preparò l'elmo appeso alla sella. Lo avrebbe indossato. Meglio viaggiare scomodi che viaggiare morti.
Lamorak e Galen, un cavaliere di Artù ed il proprio scudiero, erano già pronti e lo stavano aspettando sui loro cavalli, con altri due cavalli di scorta ricolmi di provviste.
"Sarà un viaggio veloce," li rassicurò Mordred, "non starete molto lontano da Camelot."
In quel mentre li raggiunse l'ultimo membro della spedizione: Galahad.
Anche lui, come Lamorak e Mordred, indossava la propria armatura optando per la sicurezza invece che per la comodità.
"Sir Galahad," sorrise Lamorak, lasciando che il proprio cavallo si avvicinasse gioiosamente a quello del nuovo arrivato.
Mordred si limitò a lanciargli un'occhiata gelida e saltò in groppa alla propria montatura.
Era decisamente poco felice della scelta di Artù di mandarlo dalla madre.
Non che odiasse la propria madre. La amava profondamente, c'era chi diceva un po' troppo, ma Morgause non aveva mai avuto il dono della sensibilità di una madre. Quando lui e i suoi fratelli erano piccoli si dimenticava spesso di loro. Persino ora lo faceva.
Se, un giorno, le veniva in mente uno dei figli era sicuramente per qualche altro fine.
In questo caso, Morgause aveva usato la nostalgia di Mordred come un pretesto non troppo velato per essere nuovamente accolta a Camelot. E Mordred odiava l'idea di raggiungerla e dimostrarle così il suo fallimento.
A Morgause non avrebbe fatto piacere.
In più, Artù gli aveva affidato il figlio di Pellinore, nonché amico di Lancillotto, ed il figlio di Lancillotto. Decisamente fantastico.
"Potrai usare il viaggio per sviluppare ulteriormente il tuo piano," aveva entusiasticamente suggerito Agravaine. "E' una fortuna che Galahad abbia deciso di venire con te. Lo sai che non c'è nulla che unisca come l'affrontare assieme le avversità."
Mordred lo aveva ignorato (e cacciato).
Dall'episodio con Gwendalyn Galahad si era dimostrato relativamente freddo. Non certo scortese ma sicuramente meno amichevole di prima e Mordred era stanco di provare e riprovare.
Forse avrebbe dovuto seguire il primo consiglio del fratellastro: sbarazzarsi di Galahad con del veleno. Morgause sarebbe stata fiera di lui.
"E' una vera fortuna che Morgause non si trovi alle Orcadi," commentò Lamorak una volta in viaggio con i compagni.
"Che voi ci crediate o no, mia madre non ama molto le proprie isole freddi e tristi. Preferisce il castello di Carleon."
"E' un bene, meno strada per noi."
Mordred occhieggiò sospettoso il proprio allegro compagno di viaggio. Non dubitava che lui avesse sentito parlare di Morgause e delle mille voci che giravano sulla donna e, come tutti gli uomini, era curioso di come questa favolosa dama fosse.
Il giovane sperò che Lamorak non fosse così arrogante da voler sfidare la sorte e tentare di ammaliare la donna.
"Passeremo per Avalon?" domandò poi l'uomo.
"Il quarto giorno."
"Mi piacerebbe incontrare Nimue."
"A voi piacerebbe incontrare qualsiasi donna, mi sembra."
"Perché a voi no? Ho sentito della vostra storia con la serva di Lyonesse. Potevate anche essere più discreto."
"Ma dopotutto è solo una serva, giusto?" commentò Galahad, per la prima volta.
Mordred si voltò a fissarlo, rallentando l'andatura del proprio cavallo.
"Non devo giustificarmi con nessuno. Con nessuno di voi."
Perché siete il principe? la domanda sembrò passare prepotentemente sul volto di Lamorak ma non la pronunciò a voce alta. Preferì tornare all'argomento originario, a disagio per lo strano silenzio.
"Si dice che Nimue abbia imprigionato Merlino in una grotta."
"Era ora che qualcuno si sbarazzasse di quel vecchio," bofonchiò Mordred.
"Come potete parlare così? Era un amico di Camelot. Ed un mio amico."
"Eppure spettegolate sulla sua dipartira."
"Stavo solo facendo congetture."
"Voi cavalieri di Pellinore sembra sappiate fare solo questo," ghignò Mordred.
"Bastardo-"
"Ora basta!" esclamò Galahad. "Cavalcheremo in silenzio."
E così fecero.
Il resto della giornata passò relativamente tranquillo. Poche parole e pochi sguardi. I cavalli procedettero ad un'andatura costante, senza intoppi.
La sera, stanchi ed affamati, Lamorak preparò di che sfamarsi e Galahad fece il primo turno di guardia per la notte.
Nonostante la freddezza ed i dissapori della giornata non era pentito di essersi unito al viaggio.
Aveva notato, nel mese passato, i cauti tentativi maliziosi di Mordred di sedurlo (o così sembrava). I doni, le gentilezze, le carinerie. Ne era rimasto colpito. Non gli era mai passata per la mente l'idea che un uomo, o una donna, potessero trovarlo attraente. Era creciuto in un convento, con donne più anziane e senza altri uomini.
Era diventato un uomo magro, dall'aria femminea ed era convinto che un simile aspetto lo rendesse lo zimbello degli altri cavalieri e delle dame. Nonostante tutto era riuscito a divenire uno dei cavalieri più abili del regno ma la gente sembrava dare credito a suo padre Lancillotto piuttosto che a lui.
Eppure Mordred era venuto da lui. Non da Lancillotto, ma da lui.
E poi Agravaine non faceva altro che tessere le lodi del fratello minore ogni volta che incrociava Galahad.
Era stato convinto, nella propria sicurezza di provare qualcosa di strano e nuovo, come l'ingenuità del primo amore innocente. Ma poi aveva visto Gwendolyn. La fanciulla, come Galahad, era sembrata innocentemente perduta e Mordred l'aveva scacciata come se non fosse nulla.
Lyonesse gli aveva raccontato delle piccole gentilezze tra i due e dei doni che Agravaine, a nome di Mordred, aveva consegnato. E Galahad in persona aveva visto il modo freddo in cui successivamente Mordred aveva ignorato la ragazza.
Eppure Galahad si era unito a quel viaggio.
Non per scoprire cosa Mordred avesse voluto da Gwendolyn e nemmeno per scoprire cosa Mordred avesse voluto da lui. Aveva deciso di partire perché Mordred gli era sembrato pieno di rabbia.
Forse non era una buona giustificazione ma Galahad ricordava perfettamente come si era sentito alla visita con Elaine e la cosa non quadrava se confrontava il comportamento di Mordred all'idea di vedere la madre. Aveva deciso di venire perché aveva bisogno di sapere.
Il fuoco scoppiettò pigramente davanti a lui, minacciando di spegnersi.
Lamorak si rigirò nel sonno mugugnando qualcosa di simile a 'cavallo di giada' o forse era 'salato e rugiada'.
Sarebbe stato un viaggio lungo e stancante.
Il giorno successivo percorsero più miglia del previsto. La notte sembrava aver restituito un po' di buon umore al lunatico Mordred ed il giovane partecipò volentieri ad una conversazione sulle erbe della Britannia.
"E vostra zia Morgana vi ha insegnato tutto questo?" domandò Galahad, incuriosito. Sembrava che la sua curiosità circa l'altro cavaliere non potesse mai avere fine.
"Mia zia Morgana mi adora," rise Mordred, come se una simile frase spiegasse tutto.
"Dicono che sia una strega." Lamorak non aveva particolari preferenze per Morgana la Fata.
"Lo è. Delle più potenti. Ha imparato la magia in un convento, quando era piccola."
"Non è sposata con Urien?"
"Sì, lo è. Ha provato anche ad ucciderlo una volta," rispose Mordred, con gioia.
"E voi, Galahad? Anche voi siete cresciuto in un convento, non avete imparato della magia?"
"Magia? Assolutamente no."
"Il dio cristiano approva la magia?" domandò Mordred, interessato.
"Voi non siete cristiano?" ribatté Galahad, inorridito.
"Sì, penso di sì. Ma nostra madre ha sempre avuto una strana concezione della religione quindi non so se sono davvero cristiano o no. Non me ne sono mai interessato particolarmente."
Lamorak rise di gusto. "L'unico dio che esiste è Mitra."
"Mitra?"
"Non conoscete il dio Mitra? Dei del cielo, vedo bene che siete stati cresciuti da delle donne, amici miei."
Galahad gli scoccò un'occhiata confusa e Mordred grugnì disinteressato.
Quella notte dormirono in un monastero sulla via e Galahad passò felicemente le prime ore della notte in preghiera. Dormendo all'aria aperta, dovendo rimanere sveglio per fare da sentinella, non aveva avuto molto tempo per pregare. Almeno non quanto avrebbe voluto.
Nella piccola e fredda cappella, pregò Dio di proteggerlo e di proteggere Camelot e sua madre Elaine. Lo pregò di perdonarlo per i sentimenti di ira che aveva provato per Mordred i giorni precedenti.
Lo pregò di aiutarli tutti a raggiungere sani e salvi Carleon.
Lo pregò di perdonarlo per l'innocenza con cui si era sentito attratto da Mordred. La cosa lo aveva confuso... non era sicuro di ciò che sentiva ed aveva sentito o se la cosa fosse o no peccato. Ogni volta che ne aveva parlato con un prete ne riceveva una risposta diversa.
"Perdonami per tutto e guidami verso la via più giusta. Dona a mio padre la forza di perdonarmi per essere partito senza la sua approvazione."
"Perdonami? E' questo che chiedete al vostro dio?" domandò Mordred, entrando nella cappella.
Galahad si irrigidì.
"Perdonatemi l'intrusione, sir Galahad," continuò il cavaliere, sinceramente.
"Siete perdonato."
"Perché il vostro Dio dovrebbe perdonarvi?"
"E' anche il vostro Dio. E ciò che c'è tra me e lui rimarrà tale."
Mordred annuì e si sedette accanto a Galahad.
"Ditemi una cosa, ve ne prego," esclamò Galahad dopo attimi di silenzio, "avete preso voi il vestito a quella fanciulla?"
"Gwendolyn. No, non sono stato io, è stata un'idea di Agravaine. Lui-" il figlio di Artù si interruppe. Non aveva alcuna intenzione di svelare i suoi piani di distruzione di Lancillotto. O almeno credeva. "-lui credeva che io dovessi avere un'amante."
"E' quello il motivo per cui non faceva altro che lodarvi davanti a me?"
"Andiamo a dormire, domani ci sveglieremo presto."
Galahad guardò l'altro cavaliere alzarsi e vide quasi un'offerta nei suoi occhi. Ma non la accettò perché non aveva nulla di gentile e sincero. Erano occhi che offrivano qualcosa di sanguinoso e rabbioso.
"Rimarrò qui un altro dopo."
"Come volete," ribatté Mordred, uscendo.
Il viaggio li portò anche a passare accanto al lago della dama Nimue. I tre erano incuriositi dal luogo e dalla dama che vi abitava.
Purtroppo l'unica cosa che videro fu un tranquillo lago deserto ma nessuna fanciulla né avventura. Semplicemente un lago.
Furono quindi costretti a passare oltre e dovettero difendersi da una piccola banda di fuorilegge poco prima di Carleon.
Galahad venne ferito ad una mano e furono costretti a fermarsi un giorno in più per poter medicare la ferita ed evitare qualsiasi infezione. Mordred partì per la campagna in solitaria alla ricerca di qualche erba che potesse attenuare il dolore e quando le trovò le offrì a Lamorak perché potesse curare il giovane Galahad.
Non l'avrebbe mai fatto di persona né l'avrebbe mai toccato. Dalla notte del monastero i due non si toccarono nemmeno una volta e si evitarono con un'attenzione maestrale.
Fu un sollievo arrivare infine a Carleon.
"Benvenuti a casa," sorrise Mordred, allargando le braccia e mostrando ai compagni di viaggio un piccolo castello circondato ad un delizioso bosco. Poco distante si sentiva il rumore del mare.
Il portone si aprì davanti a loro con un leggero tonfò. Il cortile centrale, largo e pulito, era praticamente deserto.
Un servo, che prendeva l'acqua da un pozzo, li osservò con sospetto.
Sulle scale che portavano all'interno dell'edificio principale vi era Morgause.
Bellissima, alta, delicata. Con un sorriso sottile ed affascinante scese tranquillamente i gradini, lasciando che la propria veste dorata scivolasse sul proprio corpo.
I capelli, rossi come il fuoco, erano sciolti sulle spalle come quelli di una fanciulla qualsiasi.
"Benvenuti a Carleon," esclamò con voce forte e chiara, appena li raggiunse.
Mordred Inlè
28-02-2010, 11.51.16
05. Affetto materno
Morgause corse verso i cavalieri appena giunti. Era una donna di mezza età ma le rughe quasi non si vedevano sul suo volto.
"Madre," sussurrò Mordred, sorridendo. Scese da cavallo con un balzo e lasciò che Morgause lo raggiungesse e gli aprisse l'elmo per poterlo osservare.
"Figlio mio, mi sei mancato così tanto. Sono felice che tuo zio ti abbia lasciato venire qui," esclamò, accarezzandogli le guance e baciandogli la fronte. "Ora presentami i tuoi amici."
"Madre, loro sono sir Lamorak figlio di Pellinore e sir Galahad figlio di sir Lancillotto."
I due cavalieri scesero da cavallo e Morgause li squadrò con attenzione.
"Abbiamo degli ospiti ben nobili, vedo. Mi chiedo come faccia Artù a prendersi sempre i cavalieri più affascinanti." Il suo sorriso era contagioso.
"Mia signora, se la gente sapesse della vostra bellezza temo che tutti i cavalieri si trasferirebbero qui," la lodò Lamorak, con sincerità.
"Mia signora, vi ringraziamo per l'ospitalità."
La donna li accolse in casa e prese appuntamento con loro per la cena, lasciando che prima si svestissero e si rinfrescassero.
Mentre Mordred, nelle proprie stanze, meditava sullo sguardo ammaliato di Lamorak, Morgause bussò alla sua porta.
"Figlio mio," lo salutò di nuovo, abbracciandolo ora che era senza armatura, ripulito e vestito in modo decoroso.
"Madre, sono felice di rivedervi." Mordred poteva sentire il profumo della donna, dolce, di miele.
"Caro, piccolo mio, anch'io sono felice di vederti," lo rassicurò Morgause prendendogli il volto fra le mani. "Diventi ogni giorno più bello," commentò, vedendolo arrossire.
"Anche voi."
"Oh, menti," rise lei, deliziata, "divento ogni giorno più vecchia e sola. Fa sempre più freddo anche qui a Carleon."
"Madre-"
Morgause gli strinse le mano e lo fece sedere su un divanetto, accanto a sé. "Sono così felice. Mi mancate tutti e a volte... dopo tutto ciò che è passato. Temo di aver sbagliato molte cose."
Mordred tenne lo sguardo fisso sulla propria mano libera. Pensa ad Artù, si disse, al perché ti ha mandato qui.
"Vorrei poter vivere di nuovo con voi tutti. Ma, non me lo dire, Artù mi odia, vero?"
"No, Artù non vi odia, ve lo assicuro. Vi vuole molto bene."
"Eppure mi lascia rinchiusa qui a patire. Lontana da tutti. Mordred, sono stanca. Molto stanca."
"Madre, mi dispiace, non posso fare nulla," sussurrò il figlio.
"Oh, non è colpa tua, caro," rispose Morgause, accarezzandogli una guancia e poi alzandosi subito. Si avvicinò velocemente alla porta ma il figlio la trattenne.
"Aspettate, dove andate?"
"A rinfrescarmi, caro," replicò la madre, con voce rotta.
"State piangendo. Madre, vi prego, non piangete," la supplicò Mordred, facendola voltare ed osservando gli occhi arrossati dal pianto e le labbra livide. La abbracciò teneramente e lei lo lasciò fare, singhiozzando leggermente.
"Mordred, fammi uscire da qui. Portami a vedere Camelot."
"Non posso, perdonatemi. Artù mi ha detto di-"
"Artù!" urlò Morgause, staccandosi violentemente dal figlio.
"Lui è il re ed io non posso- non voglio-"
"Non vuoi, non puoi. Sei diventato anche tu un fantoccio nelle sue mani?" replicò irata la madre, ogni traccia di pianto e dolore scomparsa dal suo volto. "Preferisci lui a me. Ingrato bastardo."
Mordred sussultò, il volto prima aperto all'affetto materno ora chiuso come una statua di marmo.
"E' forse lui che ti ha portato in grembo? Che ti ha allevato? Che ti ha curato quando stavi male?"
"No."
"No. Infatti! Io ti ho cresciuto, Mordred. Io."
"Sì, madre. Ma dovete ammettere che le vostre intenzioni di visitare Camelot non sono innocenti."
"Innocenti," rise Morgause, "cosa ne sai tu dell'innocenza? Come sta tuo padre? Dimmi, Mordred."
"Bene, madre."
"Bene, ne sono felice. Ti evita ancora come la peste, immagino. Piccolo mio, non riesce a vedere quanto tu sia speciale. Come puoi stare solo in un simile posto? Non vorresti avere accanto tua madre?"
Sì, avrebbe voluto rispondere Mordred, sì, ti prego.
"No."
"Parla in mio favore ad Artù. Digli che sono-"
"No, non farò nulla. Sono venuto perché volevate vedermi e tornerò a Camelot da solo."
Morgause gli prese nuovamente la mano e strinse. Strinse con forza ma nessuna espressione di dolore solcò il volto del figlio, non era più un debole bambino.
"D'accordo, caro, vedo che l'ingratitudine dei miei figli si diffonde come una malattia disgustosa."
"Vi vedrò questa sera a cena," replicò Mordred, osservandola lasciare la stanza con un vortice di gonne lussuose.
La cena fu frugale. Poche cose, porzioni misere e cibo povero.
Galahad mangiò senza lamentarsi, abituato alle mense dei monasteri, lanciando qualche occhiata preoccupata a Mordred che, davanti a lui, tentava di sorridere con delle smorfie orribili ogni volta che Lamorak apriva bocca.
"Mi devo scusare per la povertà di questo cibo," ripeté Morgause, sorridendo malinconicamente.
Era vestita con una veste verde cupo, semplice, senza gioielli.
"Purtroppo la vita qui a Carleon è così," continuò alzando le mani in un gesto infantile ed affascinante.
"Mia signora, sareste bella anche in un sacco di saio." E Lamorak sembrò totalmente sincero nella sua affermazione.
Morgause strinse leggermente la mano dell'uomo, per ringraziarlo, ed arrossì leggermente.
"Oh, caro, siete galante come tutti i cavalieri del mio amato fratello vedo."
"Sono sincero come tutti i cavalieri di vostro fratello, lady Morgause."
La risata cristallina di Morgause risuonò nella sala. "Ditemi come è andato il viaggio."
"E' andato tutto perfettamente."
"Mordred, caro, mangia qualcosa. So che a Camelot il vitto è notevolmente migliore, figlio mio, e mi dispiace offrirti una così magra ospitalità," sussurrò Morgause, sporgendosi alla destra verso il figlio. Il tono era abbastanza basso da farlo apparire come un commento confidenziale.
"Non mi sento molto bene, madre."
"Sarai stanco per il viaggio, tesoro."
Galahad venne sorpreso egli stesso da uno strano rossore colmo di gelosia che lo colpì in pieno. Una gelosia che, razionalmente, non aveva alcun senso.
"Forse," rispose Mordred.
"Sir Galahad, ho sentito grandi cose di vostro padre." L'attenzione di Morgause si concentrò completamente sul giovane biondo che la osservò imbarazzato. Lamorak lo fulminò con lo sguardo.
"Sì, mia signora, si narrano grandi cose su di lui."
"Ed anche su di voi, ve lo assicuro. Come non potrei tenermi informata sui cavalieri preferiti di Artù: Lamorak, Galahad e Lancillotto."
"Sir Mordred è molto amato dal nostro sovrano, mia signora," si sentì in dovere di aggiungere il giovane figlio di Lancillotto.
Mordred graffiò un coltello sul piatto, producendo un rumore orribile e Galahad temette di aver detto qualcosa di sbagliato.
"Dite davvero, mio giovane ospite? Lo vedo così dimagrito che ho quasi dimore che a Camelot non gli diano da mangiare. Sono felice di sentire che tuo zio ti tratta bene." Le ultime parole furono rivolte al figlio.
Nonostante l'atmosfera bizzarra, quasi magica, che aleggiava nella sala, la serata trascorse tranquilla e senza particolari scossoni. Morgause era l'esempio della padrona di casa perfetta: piacevole, divertente, sensuale.
Brindarono a Camelot ed al re. Brindarono alla famiglia ed infine ognuno ritornò nelle proprie stanze anche se la servitù, segretamente e sussurrando, raccontò di come Morgause fosse passata ad augurare la buona notte a Lamorak. Un augurio durato più di un'ora.
La mattina successiva li rivide ancora nella sala dove avevano pranzato. Più riposati, chi più e chi meno.
Fecero una frugale colazione e Morgause propose di andare a caccia.
"Non amo molto la caccia, mia signora, mi dispiace," si scusò Galahad. La caccia sembrava essere un'attività d'obbligo a corte ma lui era sempre riuscito ad evitarla. L'idea di uccidere creature innocenti non gli sorrideva.
"Oh, mi dispiace, caro amico, volete che scegliamo un'altra attività da fare assieme?"
"No, non vi preoccupate, ho ancora bisogno di tempo per riposare, voi andate pure."
Lamorak, Mordred e Morgause partirono quindi per cacciare e Galahad si aspettava di non vederli tornare per almeno altre sei ore. Si meravigliò molto quando, a mezzodì, una delle serve arrivò ad avvertirlo che Lamorak voleva vederlo.
"Galahad!" lo abbracciò l'uomo quando lo vide arrivare.
"Siete tornati così presto?"
"Sì, e Morgause è con Mordred, fatemi compagnia."
"Cosa è successo?"
"Mordred ha avuto un malore subito dopo la colazione. Sembra che abbia un po' di febbre. Non temete," aggiunse Lamorak, confuso, quando vide Galahad impallidire violentemente, "Morgause è esperta di erbe quanto la sorella. Lo curerà lei."
"Sì, avete ragione. Posso vederlo?"
"Ma siete appena arrivato qui con me! Vi devo assolutamente parlare di una cosa."
"Un'altra volta, sir Lamorak, vi prego," lo fermò Galahad, meravigliandosi lui stesso della propria scortesia.
Lamorak brontolò che se il ragazzo preferiva assistere un ammalato piuttosto che ascoltare le sue gesta amorose non aveva da che perderci. Lo accompagnò alla stanza di Mordred e lì lo lasciò.
Galahad bussò con energia e la voce di Morgause gli ordinò di entrare.
"Metti il panno qui," ordinò la donna, duramente, ma quando non ricevette risposta si voltò ad guardare il nuovo arrivato. "Oh, scusatemi sir, pensavo si trattasse di uno dei miei paggi."
"Non temete, mia signora."
"Galahad," mormorò Mordred. Il figlio di Artù era vestito con una tunica leggera, madida di sudore e steso sul letto. Il rumore del suo respiro affaticato sembrava possedere la stanza.
"Mordred, come state?" domandò Galahad, portandosi al suo fianco.
"E' solo un po' di febbre," lo rassicurò Morgause, alzando la testa del figlio e facendogli bere da un bicchiere.
"Artù," ripeté Mordred. Aveva gli occhi chiusi e Galahad non capì se fosse sveglio o immerso nel proprio male.
"Le febbri non compaiono così velocemente."
"Lo so, caro, sono stupita anch'io," sospirò la madre, "vado a riposarmi un attimo, potete rimanere voi?"
Galahad annuì e Morgause gli porse il bicchiere che teneva in mano. "Per abbassare la febbre," spiegò.
Il figlio di Lancillotto rimase e la madre di Mordred lasciò la stanza.
Ogni tanto il giovane malato sussurrava qualcosa e quando apriva gli occhi, Galaha gli faceva bere la medicina o dell'acqua e gli passava la fronte con un panno bagnato.
Arrivò sera e finalmente Mordred sembrò addormentarsi tranquillamente.
Il giorno successivo Morgause scusò l'assenza del figlio a colazione.
"Si sente ancora male, mi dispiace."
Lamorak le strinse la mano, compassionevole e ricevette in cambio un sorriso grato.
"Quando dovete partire?"
"Domani," la informò Lamorak, premuroso. "Ma possiamo aspettare Mordred, non temere, mia signora."
"Oh, non voglio che facciate arrabbiare Artù per causa nostra. Andate pure, Mordred vi raggiungere quando si sentirà meglio."
Galahad passò a trovare l'altro cavaliere anche quel giorno.
Una giovane serva delle cucina gli stava rimboccando le coperte.
"Mio signore," lo salutò quando il cavaliere entrò.
"Non è migliorato. Rimango io, vai pure."
"Sì, mio signore."
La ragazza si inchinò e scappò fuori. Galahad ebbe la netta impressione che dovesse andare a riferire a qualcuno o che fosse spaventata di lui.
"Artù, Artù."
"Non sono Artù, sono Galahad."
Mordred, pallido come le lenzuola, tentò di sollevare la testa per guardarlo e Galahad fu subito al suo fianco. Prese il bicchiere sul comodino e si premurò di far bere il giovane disidratato.
"Galahad."
"Sì, sono io. Bevete ancora."
"No, no."
"Va tutto bene."
"No, vi prego."
"D'accordo, niente," lo rassicurò Galahad, appoggiando il bicchiere. Trascinò vicino a sé la bacinella colma d'acqua e vi immerse un panno.
"Galahad," ripeté Mordred. Gli occhi scuri ora spalancati.
"Sono qui."
Galahad appoggiò il panno umido sulla fronte dell'altro e Mordred gli afferrò la mano, stringendola con forza. Si addormentò dopo qualche secondo.
Morgause giunse qualche minuto dopo, assicurandogli che poteva andare a riposare e che avrebbe badato lei al figlio.
Galahad uscì a malincuore dalla stanza, sentendosi il cuore di piombo.
Tutto era accaduto così in fretta.
Si chiese se quello non fosse un segno di Dio. Ma Dio voleva che l'uomo che aveva tentato di corromperlo soffrisse? No, Dio non agiva così. Dio perdonava, Dio aiutava e mostrava la giusta via. Il dio dei pagani faceva soffrire, vendicava e torturava ma non il suo.
E Mordred non aveva colpe. Che si fosse mostrato gentile o che avesse davvero voluto sedurlo, era lui, Galahad, che aveva ceduto, anche solo nel cuore, e quindi era lui ad essere colpevole.
Quella notte pregò.
Non pregò per il perdono delle proprie colpe, come aveva spesso fatto nei giorni scorsi, ma perché potesse di nuovo parlare a Mordred.
La mattina successiva Lamorak gli mandò a dire che sarebbero partiti per Camelot nel pomeriggio.
llamrei
28-02-2010, 17.19.44
Questo racconto mi entusiasma proprio: molto introspettivo:smile: mancano 5 mosse allo scopo ultimo:D
Mordred Inlè
28-02-2010, 20.27.13
Ahimè XD le mosse mi sono sfuggite un po' di mano ma sotto sotto ci sono tutte ed i capitoli sono effettivamente dieci : D
6. Dama Nimue
"Partiremo questa mattina, Galahad."
Morgause annuì prendendo amorevolmente la mano che Lamorak le tendeva, prima di lasciare i due cavalieri alla preparazione. L'uomo aveva ovviamente subito il fascino della donna, dall'aria così dura e nobile ma in realtà dolce e sensibile ai suoi occhi. Nonostante gli dispiacesse lasciare Mordred, Morgause aveva ragione: Artù si sarebbe preoccupato se non li avesse visti tornare nei tempi previsti.
Galahad gli aveva proposto di mandare una lettera ma Lamorak, segretamente, credeva che la donna avesse bisogno di stare assieme al proprio figlio di più. Morgause aveva pianto fra le sue braccia, la notte scorsa, raccontando storie emozionanti sulla piccola famiglia delle Orcadi. Il giovane Gawain che si arrampicava sugli alberi per raccogliere uova abbandonate, Gaheris che la seguiva ovunque come un'ombra, Agravaine che provava a costruirsi da solo una nave da battaglia e Gareth che passava il tempo nella cucina a tagliare frutta per i fratelli.
"E Mordred aveva questo cagnolino," raccontò Lamorak all'amico, "e lo vestiva come una fanciullina e lo chiamava Gwingwin." Il cavaliere rise fragorosamente e Galahad si lasciò sfuggire un sorriso.
Il cavaliere si dilungò poi in una lunga e colorata descrizione della beltà di Morgause e della sua sensibilità.
Galahad portò fuori il proprio cavallo, gli diede da mangiare e legò dietro la bella cavallina Joan con sopra i viveri necessari per il viaggio ed alcune vesti regalate dalla madre di Mordred.
Fecero colazione con la padrona di casa, intrattenendo una deliziosa conversazione sul tempo.
Il sole era particolarmente brillante quella mattina e la primavera stava lentamente passando verso l'estate.
"Un tempo perfetto per il viaggio," commentò Morgause, guardando con grazia fuori dalla finestra della sala da pranzo.
"Sì, avete ragione, mia signora, è una vera fortuna."
Parlare del tempo era delle cose che più irritavano il figlio di Lancillotto.
Cacciare, parlare del tempo- attività che non servivano ad altro che evitare argomenti più precisi ed interessanti. Squadrò severamente Morgause.
Ogni gesto della donna ed ogni suo movimento era un chiaro invito alla seduzione, persino l'inesperto Galahad riusciva a capirlo. Ed ogni sua parola sembrava portata a spingerli via, cacciarli da lì.
Ma negli occhi scuri come pozzi c'era qualcosa di terribile, velato dalla giocosità del suo atteggiamento, ma il giovane riuscì a scorgerlo e ne ebbe timore. L'attimo durò solo qualche secondo e l'abisso di rabbia negli occhi della donna scomparve.
"D'accordo," mormorò Galahad, "vado a salutare Mordred e partiremo."
Lamorak annuì, soddisfatto. Sapeva di dover partire ma prima sarebbe partito e prima sarebbe tornato da Morgause con il benvolere di Artù.
"È sempre il don che vien da mano amica."
Galahad entrò nella stanza di Mordred e si chinò sul malato.
"Ad un fuoco andò vicino."
"E le zanne si bruciò," continuò il figlio di Lancillotto, con un sorriso, riconoscendo le poesie di Teocrito.
Con tutto ciò che era accaduto con Gwendolyn, Galahad non credeva che l'altro avesse davvero apprezzato il suo regalo.
Le tende sulla finestra erano chiuse ed un raggio di luce da uno spiraglio dava un aspetto spettrale all'ambiente.
Il cavaliere le raggiunse e le aprì, lasciando entrare il sole del mattino. Raccolse una veste abbandonata per terra. Appoggiandola sulla scrivania vide un il fagotto con il quale Mordred era giunto. L'altro non l'aveva disfatto e così per la borsa di cuoio che conteneva la cotta di maglia. Era tutto intatto.
"Sir Mordred, stiamo per partire."
Non ricevette risposta e si sedette accanto a lui, sul letto.
"Voi potete partire quando starete meglio."
"Artù. Padre."
Galahad arrossì. Si sentiva di troppo ad ascoltarlo ed era sicuro che Mordred gli avrebbe tagliato le orecchie piuttosto che anche solo pensare di aver detto una simile cosa davanti a lui.
Mordred allungò una mano fuori dal letto, verso il comodino e Galahad, tentando di interpretare il gesto, prese il bicchiere che vi era appoggiato e glielo porse.
Il malato chiuse ermeticamente la bocca, girando il volto.
"Morgause. No," sussurrò il giovane quando Galahad provò nuovamente a fargli bere dal bicchiere.
Il biondo si irrigidì, con il bicchiere a mezz'aria.
"Mordred, guardatemi. Guardami, Mordred."
Mordred aprì gli occhi, come ordinato, ed osservò Galahad.
"Ti ha fatto qualcosa? Morgause, ti ha dato qualcosa?"
"Galahad," singhiozzò Mordred allungando una mano verso di lui. L'altro cavaliere lo aiutò a mettersi a sedere e lasciò che Mordred si appoggiasse alla sua spalla e gli cingesse il collo con un braccio.
La fronte del giovane, nell'incavo del suo collo, bruciava.
"Non posso bere, basta, Morgause" mormorò e continuò a mormorare il figlio di Artù.
"Ti ha dato qualcosa."
"Basta."
"Basta, Mordred, non ti preoccupare, non dovrai bere più nulla," lo rassicurò Galahad, stringendolo a sé. Impietrito portò il bicchiere accanto al proprio volto e lo annusò. Non sembrava sapere di nulla ma non si fidava, non si poteva fidare. Lo lanciò a terra e Mordred sussultò.
"Ti porto via da qui." Lo avvolse come poté nelle coperte, sentendo le proprie mani tremare, assalito dai dubbi. Stava facendo la cosa giusta? Forse Mordred delirava solamente, forse era un malinteso. Dopotutto non vi era senso in tutto ciò e Morgause, sua madre!, non aveva alcun motivo per avvelenare il figlio.
"Galahad." E l'altro prese la sua decisione. Lo sollevò tra le braccia e ringraziò suo padre e dio per avergli dato la forza che aveva.
Mordred rimase fermo, aggrappato al suo collo.
"Ce ne andiamo." Il figlio di Lancillotto raggiunse velocemente la porta. Procedette nei corridoi indisturbato, sentendo le braccia tremare per lo sforzo e la rabbia. Mordred aveva chiuso gli occhi ed ora la sua testa era appoggiata senza vita contro il proprio petto.
"Galahad! Che cosa state facendo!" urlò Morgause quando lo vide uscire nel cortile principale. "Dove state portando il mio bambino!"
Lamorak era assieme a lei e le stava mostrando le bardature dorate del proprio cavallo. L'uomo si bloccò a metà frase e guardò sorpreso il compagno di viaggio.
"Mordred viene via con noi," sbottò Galahad, senza alcuna gentilezza.
"Siete pazzo? Lui è malato!"
"E sapete anche perché, mia signora." La freddezza di Galahad sembrò impietrire Morgause.
"Che cosa intendete insinuare?"
"Galahad, vi prego, ragionare," provò ad intromettersi Lamorak ma venne fermato da un gesto imperioso della donna. Nel frattempo l'altro cavaliere aveva raggiunto il proprio cavallo.
"Lo sta avvelenando, sir Lamorak, so che non mi crederete mai ma è così."
"Come potete pensare una cosa così orribile," sussurrò la donna, quasi senza voce. "E' mio figlio," aggiunse supplicando e sembrò avere un mancamento che costrinse Lamorak a correre in suo aiuto.
L'uomo la sostenne nella sua delicatezza.
L'altro li ignorò ed ignorò anche il paggio che tentò di portare via il suo cavallo. Lucius, il cavallo con cui era giunto a Carleon, era una bestiola testarda e robusta. Si impuntò sulle zampe, impedendo al vecchio paggio affaticato di spostarlo dalla sua posizione. Nitrì irritato, scotendo la criniera castana.
Morgause urlò qualcosa al paggio che, sconfitto, alzò le braccia al cielo e chiese perdono alla propria signora.
Galahad sollevò Mordred in sella e si issò dietro di lui, lasciando che il cavaliere si appoggiasse senza sensi sul proprio petto. Pregò Dio di proteggerlo e di far tornare la ragione a Lamorak. Non avrebbe mai potuto combattere contro pitti e banditi da solo e con un ferito con sé.
"Sir Galahad, ora state esagerando. Siete un cavaliere di Artù e sapete cosa significa questo? Che volete rapire mio figlio per suo conto."
"Meglio lui di voi, mia signora, con tutto il rispetto."
"Come osate, piccolo maledetto cane, vostro padre non si sarebbe mai comportato in questo modo insensato!"
"Galahad, lady Morgause ha ragione. State facendo una pazzia, lo ucciderete."
Il biondo afferrò le redini e strinse le labbra in una linea severa. Sua madre Elaine diceva sempre che quella espressione corrucciata lo faceva sembrare suo padre.
"Lamorak," singhiozzò la donna, stringendo a sé il cavaliere, "non posso vedere una cosa simile. Rimanete con me."
Galahad scosse la testa, incredulo. Morgause non aveva alcuna intenzione di far andar via tutti e tre assieme. Voleva qualcuno che rimanesse a Carleon, una carta sicura perché Artù non la ignorasse e non si dimenticasse di lei.
"L'avete avvelenato per tenerlo qui. Io lo porto via."
La donna lo ignorò ma cominciò a piangere e Lamorak lo maledì in un impeto di amore e passione.
Senza voltarsi, il biondo cavaliere ordinò a Lucius di partire e Joan lo seguì docilmente. Due stallieri del castello, confusi e (a quanto pareva) leggermente divertiti, gli aprirono le porte e lo lasciarono andare.
Viaggiò tutto il giorno, aspettandosi da un momento all'altro di vedere alcuni cavalieri di Morgause (o lei stessa) raggiungerlo sulla strada. E temendo, ad ogni sussulto di Mordred, di sentirlo smettere di respirare.
Verso sera si fermò per far riposare il cavallo e, con fatica, portò Mordred a terra. Stese sull'erba fresca la coperta con cui era avvolto l'altro cavaliere e si maledisse per non aver fatto le cose con più calma.
Avrebbe dovuto prendere almeno altri vestiti per Mordred e un altro mantello.
"Orcadi."
"No, stiamo tornando a Camelot."
Sapeva bene che era inutile rispondere ai deliri dell'altro.
Si sdraiò accanto a lui e Mordred aprì gli occhi.
Il freddo della sera li colpì duramente e Galahad (ovviamente, c'era troppo freddo!) non poté fare a meno di stringersi contro l'altro.
Ho già passato qualsiasi limite di decenza in ogni caso, pensò con aria desolata.
"Sei sveglio?" chiese poi vedendo che Mordred continuava a fissarlo.
"Gawain è qui?"
"No, ci sono solo io."
Mordred sussultò. "Morgause."
"E' a Carleon."
Mordred alzò il volto verso il cielo, lasciandosi trascinare più vicino a Galahad, troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
"Starai meglio?" domandò il figlio di Lancillotto.
"Sì, penso di sì. Dov'è Gawain?"
"Non c'è Gawain. Mi dispiace."
"Non è colpa sua," mormorò Mordred, improvvisamente, chiudendo gli occhi.
"Di Gawain?"
Ma il figlio delle Orcadi si era già riaddormentato.
Il giorno successivo Galahad non riuscì a svegliarlo ma sentì, con gioia, che la febbre era calata di molto.
Ripartirono su Joan, lasciando che Lucius si riposasse e si fermarono con il buio, accanto al famoso lago della dama magica Nimue.
Ancora una volta, Galahad si sdraiò a terra, con Mordred, pregando Dio di non far avvicinare a loro alcun bandito o sassone o mal intenzionato. Perché non si sentiva in forze abbastanza da poter rimanere sveglio a fare la guardia tutta la notte.
Il giovane biondo rimase ad osservare la luce della sera sul lago, tenendo Mordred accanto a sé, ascoltandolo respirare ora tranquillamente. Aspettando il sonno.
Ed in quel momento capitò.
Un attimo prima la luna veniva riflessa sulle acque scure e limpide del lago. Il tempo di un battito di ciglia e la scena mutò radicalmente. Al posto del riflesso della luna vi era una fanciulla, sospesa sull'acqua come una del mondo magico.
Galahad sussultò, chiuse gli occhi e li riaprì. Questa volta la ragazza era seduta sulla riva del lago, a qualche metro da lui, immobile come una statua.
La sua pelle era scura, liscia, e le pupille nere così larghe da sembrar occupare tutto l'occhio. La testa, avvolta da veli bianchi ed argentati, non lasciava scorgere nemmeno una ciocca di capelli.
"Chi siete?"
"Mi chiamano Nimue, a volte."
Galahad singhiozzò, sorpreso, trattenendo il fiato. "Lady Nimue."
"Anche. Mi dispiace aver interrotto." Nimue si alzò per raggiungere il cavaliere e si inginocchiò davanti a lui. Non aveva alcun odore. Non sapeva di nulla. "Ma non ho potuto fare a meno di sentire."
"Noi- noi non stavamo parlando, mia signora."
La maga, o strega che fosse, lo osservò divertita e portò una mano fra i suoi capelli biondi. Galahad rabbrividì, sentendosi gelare.
"Stavate pensando con forza. Entrambi."
Nimue portò una mano a toccare la fronte di Mordred ma Galahad lo coprì con il proprio mantello per impedirglielo. "Cosa volete?"
"Non avete paura di me come gli altri." La frase venne detta senza malizia o crudeltà. "Siete strano. Avete un accento strano e dei capelli chiari, chiarissimi. Posso vederlo?" indicò il ragazzo steso a terra.
Titubante, il cavaliere scostò il manto.
"I suoi pensieri sono confusi."
"Sta male."
"Credete che Morgause lo abbia avvelenato."
"Ed è vero?" domandò Galahad, ansioso.
"Io non lo so. Io sento ciò che pensate voi, non lei. Ma anche Mordred lo crede. Lui pensa molte cose. Pensa a delle poesie."
Galahad annuì, rassicurato. Se Mordred credeva che la madre lo stesse avvelenando per trattenerlo a Carleon doveva essere vero.
"Pensa a voi. Pensa alla spiaggia delle Orcadi ed alle navi. Anch'io penso molte cose."
"Ne sono certo," sorrise debolmente il cavaliere.
"Penso di avere quello che vi serve."
Prima che l'uomo dei Camelot potesse chiederle cosa, Nimue si alzò in piedi e starnutì. Sembrò poi annusare l'aria e mormorò delle parole incomprensibili al giovane.
Scostò il velo dalla testa e lo lasciò cadere a terra, permettendo ai capelli scuri e corti di rimanere liberi in tutte le direzioni. Raggiunse il lago, senza alcuna fretta, vi immerse le mani e si pulì il volto.
Con un fluido movimento, veloce come un delfino, Nimue si tuffò nell'acqua.
Deirdre
02-03-2010, 10.29.24
scusate la mia intrusione..sir devo farvi i miei complimenti.. :) e volevo chiedervi se quanto avete scritto è opera vostra o tratta da qualche opera..in tal caso me la indichereste? mi ha affascinata!!!...(anche se mi sono fermata alle prime tre mosse,causa:tempo!:sad_cry_me:)
llamrei
02-03-2010, 10.35.00
Colgo l'occasione per salutarti Deirdre!!! Benritrovata a Camelot!
(mi intrometto in punta di piedi..poi sarà Mordred giustamente a rispondere alle tue domande: dico solo che Mordred Inlè è brava di suo nello scrivere racconti:smile: )
Deirdre
02-03-2010, 10.43.53
Salute a voi Lady llamrei! ..è passato molto tempo mia cara amica...però Camelot non si dimentica.. ..è una forza che ci attira a sè e non ci abbandona mai!!! sono molto lieta di avervi fatto ritorno!!!..:smile_lol:
(Come al solito ho fatto una figuraccia.. scusate lady Mordred Inlè:p se vi ho dato del sir )
Mordred Inlè
02-03-2010, 13.05.59
Non temete XD è un errore comune, dopotutto io mi sono scelta Mordred come nickname e quindi in molti mi scambiano per un uomo.
Le cose scritte nei miei post sono tutti di mio pugno. Tutta robaccia mia e della mia perfida fantasia XD
07. Il ritorno
Galahad temette di aver detto, o pensato, qualcosa che avesse potuto ferire la dama del lago perché passarono dieci abbondanti minuti senza nessun ritorno.
Dopo quasi mezz'ora, Nimue uscì dal lago come vi era entrata, scivolando veloce ed asciutta. Non vi era una sola goccia d'acqua sui suoi vestiti o sui suoi capelli. Con sé portava una borsa chiara e colma.
"Non avresti mai potuto dire qualcosa che avrebbe potuto offendermi," rispose la maga ai suoi pensieri.
Si chinò davanti al giovane e gli porse la borsa, lasciando che fosse l'altro ad aprirla. E mentre lui slacciò le corde ed osservò mantelli, vestiti ed una strana boccetta di liquido azzurro, Nimue osservò intensamente Mordred, toccandogli incuriosita i capelli e le palpebre chiuse.
"E' strano," ridacchiò Nimue, tastandogli il naso con un dito.
"E' bello," ribatté Galahad. E subito arrossì per ciò che aveva detto.
"Anche voi siete strano."
"A cosa serve questa?" domandò il cavaliere alzando la boccetta azzurra. Nimue gliela prese e la stappò, strappando il tappo con i denti.
Qualsiasi altra persona sarebbe sembrata rozza o maleducata ma Galahad si rese conto che era impossibile associare queste parole a quella meravigliosa dama.
"Lo farà stare meglio." E prima che Galahad potesse fermarla, Nimue sollevò la testa di Mordred e gli fece bere il liquido azzurro.
"Fidatevi, sir Galahad, non voglio il male di nessuno."
"Ma Merlino-"
"Merlino stava morendo. Lui chiese. Lui desiderò ciò che ha avuto."
Galahad decise di non ribattere ma di aspettare ciò che sarebbe successo. Rimasero in silenzio, seduti sull'erba, l'uno a pregare e l'altra a guardare il verde o il blu del cielo con estrema avidità.
Mordred non si svegliò se non dopo almeno un'ora. Aprì piano gli occhi, sussultò e tossì, sputando qualche goccia della strana acqua azzurra.
Nessuno disse nulla fino a che il suo respiro non si calmò e non poté guardarsi attorno, studiando il freddo della notte, l'erba bagnata, la donna e l'uomo.
"Galahad?"
"Sì, Mordred, vi sentite meglio?" domandò l'interpellato, tornando al rispettoso 'voi' ora che l'altro cavaliere sembrava cosciente.
"Nimue," aggiunse subito, vedendo che lo sguardo del guarito si soffermava sulla strana sconosciuta.
"La dama del lago!" esclamò Mordred, alzandosi a sedere, traballante per la debolezza rimastagli nelle membra.
"La dama, la signora del lago!" rise Nimue, "ed il puro figlio del Graal ed il figlio dell'incesto! Siamo tutti qui."
Galahad la osservò confusa e portò una mano dietro al collo di Mordred, automaticamente. L'altro non sembrò nemmeno accorgersene o, se lo fece, ignorò la cosa.
"Dovreste tornare a Camelot."
"Sapete il mio futuro!" esclamò Mordred, "sapete tutto? Ditemi cosa accadrà, ve ne prego."
"Merlino credeva di sapere tutto. Io so solo il passato."
Mordred fece una smorfia di delusione ed in quel momento si accorse di non indossare quasi nulla. Si voltò ad osservare Galahad, sconvolto.
"Voi- dove sono i miei vestiti?"
"Posso spiegarvi, siete stato male e vi ho portato via così come vi ho trovato."
L'altro cavaliere rimase qualche secondo in silenzio, tentando di ricordare e prese meccanicamente le vesti che Nimue gli passava. Indossò la camicia e la tunica.
"Sì, sono stato male."
"E' stata Morgause." Galahad sussurrò, temendo di offendere in qualche modo il figlio della donna.
"Sì, è stata lei. Ma non voleva fare male, voleva solo tenermi con lei ed avermi accanto."
"Voleva tenervi con lei e tornare a corte, è questo ciò che pensate," lo corresse Nimue, non sentendo affatto la vergogna per l'intrusione che i mortali normalmente sentivano quando interrompevano i pensieri altrui.
"Ed adesso pensate che io me ne debba andare!" sussultò con aria divertita la donna mentre Mordred la occhieggiava con sospetto.
"Mia signora, vi prego di perdonare la sua scortesia," intervenne Galahad ma la donna gli toccò i capelli biondi un'ultima volta, tastando il loro colore soffice. Dopodiché imitò un grazioso inchino e raggiunse velocemente il lago, lasciandosi scivolare con grazia nell'acqua.
Dopo le ultime parole del giovane cavaliere calò un pesante silenzio, interrotto soltanto dal rumore quieto dell'acqua del lago e dal verso di qualche gufo a caccia.
Mordred decise quindi di finire di vestirsi.
"Dov'è la mia spada? E la mia armatura?"
"Le ho lasciate a Carleon. Mi dispiace."
Il figlio di Artù tastò nella borsa lasciata da Nimue e cercò armi o altro ma, trovandola ora vuota, fu costretto a lasciarla stare ed a concentrarsi su Galahad.
"Dov'è Lamorak?"
Galahad aggrottò le sopracciglia, confuso per il modo scontroso in cui Mordred lo stava ora trattando. Persino nei giorni dopo il fatto della fanciulla Gwendolyn Mordred non si era comportato così bruscamente con lui.
"E' rimasto con Morgause."
"Ed allora mia madre è riuscita nel suo intento. Forse non sarà come aver avuto me ma Lamorak è un amico di Artù."
"Gli farà del male?"
"No, non sarebbe da lei. Lo coccolerà e lo addestrerà come un cane."
Mordred tentò di alzarsi ma sentendosi ancora le gambe tremare, barcollò un momento e poi ricadde seduto.
"Volete qualcosa da mangiare?"
"Vi ringrazio."
Galahad interpretò i ringraziamenti come un sì e si alzò per prendere le provviste legate su Lucius ma Mordred gli afferrò il polso e glielo impedì.
"Vi ringrazio, intendo. Per avermi portato via da Carleon."
Il biondo figlio di Lancillotto annuì, non sapendo cosa rispondere. Vi ho portato via perché vi siete aggrappato a me come se vi fidaste solo di me, avrebbe voluto dire, perché mi stavate supplicando e non potevo sopportare la vista di voi così debole.
"Perché lo avete fatto? Non di certo per una forma di lealtà verso il re. Artù mi ha mandato ben sapendo che avrebbe potuto perdermi.
"L'ho fatto perché era giusto. Perché avete apprezzato le poesie che vi ho mandato." La risposta forse poteva non aver senso agli occhi di chiunque ma Mordred capì cosa intendeva. In un modo o nell'altro, era riuscito a sedurre Galahad come lui ed Agravaine avevano progettato.
Arrabbiato per la riuscita del suo piano prese la borsa vuota e la lanciò addosso all'altro. "Dei del cielo Britannico, siete uno sciocco ingenuo. Mi avete portato via, tirandovi addosso l'odio di una delle dame più pericolose, per dei regali. Perché vi ho regalato qualcosa?"
Galahad rimase in silenzio, sentendo che Mordred non aveva ancora finito.
"Perché vi ho regalato un rubino! Volete sapere dove l'ho preso? Lynette l'ha rubata a mio fratello Gaheris e probabilmente lui l'ha preso da Morgause. Me l'ha portato Agravaine, sapete? Io non volevo farvi nessun regalo ma sembrava essere l'unico modo per sedurvi."
L'altro si morse il labbro ed aggrottò le sopracciglia.
"Tutti quei complimenti, che gli dei mi siano testimoni, li ho dovuti cavare a sangue dalla mia bocca. E Gwendolyn, quella povera stolta, serviva solo a farvi ingelosire e farvi cadere ai miei piedi. E voi vi siete lasciato raggirare come un allocco, veramente degno del figlio di Lancillotto di-"
Galahad alzò una mano, fortunatamente libera dal guanto di maglia, e lo schiaffeggiò duramente. Gli prese poi la mandibola e lo spinse a terra, bloccandolo.
Meditò ai complimenti, fasulli evidentemente, che aveva ricevuto. Alla gentilezza ora scoperta forzata. Alle volte in cui Agravaine, evidentemente a conoscenza delle intenzioni di Mordred, aveva tessuto le lodi del fratello tentando di infiammare la sua ammirazione. Il rubino, le vesti, tutto una menzogna.
Suo malgrado provò un'ondata di sollievo all'idea che la falsa storia con Gwendolyn avesse il solo scopo di ingelosirlo.
"Mi avete ingannato."
Mordred tentò di parlare ma la stretta di Galahad glielo impediva e quindi annuì, quasi impercettibilmente.
"Vi ho forse detto che l'ho fatto per i vostri regali?" domandò il biondo cavaliere, non sapendo nemmeno lui cosa stava dicendo. Il tradimento nel suo cuore si univa alla delusione, alla rabbia, alla speranza che risorgeva lentamente come una fiammella. Se Dio lo aveva condotto fino a lì, fino alla scoperta del tradimento, lasciandogli quella speranza significava che c'era ancora altro da compiere.
"No, vi ho detto che vi ho salvato perché avete apprezzato il mio regalo." Strinse ancora un poco la presa su Mordred, per influenzare le proprie parole, ed infine lo lasciò.
"Non mi uccidete?"
"Perché? Ne avete paura?"
"No," rispose Mordred, con orgoglioso disprezzo, "ma questa è solo un'altra prova della vostra stupidità."
"Certo, ma non siete felice? Ora potrete vendicarvi di Lancillotto o di me, annunciando a Camelot come lo stupido sir Galahad si è lasciato sedurre dal figlio del re."
Mordred sussultò alla menzione della sua parentela con il re ma non disse nulla al riguardo. "Sarebbe troppo facile. Non mi divertirei più."
"Certo."
Scattando a sedere, veloce quasi quanto Nimue lo era stata prima, Mordred prese il volto dell'altro fra le mani e lo baciò con forza. Galahad se ne staccò subito. "Cosa fate?"
"Ingenuo fino alla fine."
"No," arrossì il biondo, "so cosa state facendo ma perché?"
"Perché ne ho voglia, per nessun altro motivo," rispose Mordred, seriamente ed i suoi occhi scuri e pieni di rabbia e sincerità squadrarono il biondo con attenzione.
"Sempre meglio dell'altro motivo," replicò Galahad, amaramente, "ma non credo che sia una cosa da fare per-"
Mordred lo ignorò e riprese a baciarlo, mordendogli il labbro, accarezzandogli i capelli con le mani con più forza del necessario.
Galahad si tirò nuovamente indietro, ad osservarlo, senza dire nulla.
"State meditando cosa dirà il vostro Dio? O avete paura che vi costringa a peccare davanti a lui? Con le poche forze che mi sono rimaste dubito che io riesca a costringere qualcuno."
Ed aveva ragione, Galahad sentiva le mani tra i suoi capelli tremare assieme alle braccia per lo sforzo dell'essere così attive dopo i giorni di malattia.
"Potreste persino riuscire ad uccidermi con il pensiero, immagino," rise Mordred, tornando a baciargli la mandibola.
"Non dite queste cose. Non ditelo più," replicò Galahad, prendendo a sua volta il viso dell'altro fra le mani.
"Non ci posso credere," sorrise il figlio di Artù, "vi siete innamorato di me!"
Galahad aprì la bocca per negare, per difendersi da quella che sembrava un'accusa terribile uscita dalle labbra di Mordred ma la richiuse subito. Si accorse che forse ciò che aveva detto Mordred non era così falso né così terribile. Non poteva esserlo perché era un dono di Dio, perché sua madre gli aveva spesso descritto questi sentimenti quando viveva con lei. "E' un dono di Dio," aveva detto Elaine, "ciò che provo per Lancillotto. La gioia di vedere persino i suoi difetti, la rabbia delle sue assenze che svanisce in sua presenza."
Oh Dio, come è potuto accadere?
"Sì. Sono cose che solo Dio comanda," rispose infine, ripetendo parole della madre.
"Non sono cose che accadono!" urlò Mordred, "Sono cose che devono essere evitate- voi! Maledetto!"
Mordred tornò a baciarlo e Galahad seguì le direttive dei propri sensi e lo lasciò fare, tremando ogni volta che l'altro mordeva piano il bordo della sua mandibola. Infine tentò di trascinarlo giù con sé, tremando nello sforzo e sentendo le palpebre pesanti per il sonno.
"Basta, siete stanco," arrossì Galahad, grato di quella scusa per fermarsi lì.
Ed era vero. Senza più protestare, Mordred si lasciò cadere a terra con un tonfo sordo ma, irritato perché l'altro aveva avuto ragione, si aggrappò a Galahad e lo attirò accanto a sé.
"Siete arrabbiato ma mi abbracciate come un amante," commentò Galahad, confuso dal comportamento di Mordred che, contro tutte le aspettative, lo stava realmente abbracciando.
"State zitto, non voglio più sentire una parola uscire dalla vostra bocca di gallo."
"Sapete," replicò Galahad, ignorando l'ammonimento, "devo ammettere che quando eravate forzatamente gentile mi inquietavate un po'. Forse vi preferisco così."
E dopo di quello Mordred non rispose più nulla. Quella notte i due dormirono entrambi, troppo stanchi per preoccuparsi di pitti o banditi e sperando che Nimue, dal lago, li osservasse e li proteggesse.
Ci volle un altro giorno perché Mordred riuscisse a cavalcare da solo senza addormentarsi sulla sella ma infine, a soli due giorni da Camelot, salì su Lucius lasciando Joan a Galahad.
Cavalcarono in silenzio tutto il pomeriggio e la sera decisero di fermarsi nonostante fossero a poche ore dal castello di Artù. Nessuno dei due aveva voglia di tornare a Camelot.
"Artù non sarà felice," commentò Mordred, finito di mangiare.
"Abbiamo fatto tutto il possibile per trattenere Lamorak."
Mordred non rispose.
"Che cosa potrebbe adirarlo?" domandò Galahad.
"Si adirerà comunque. Morgause è mia madre e lui pensa che io abbia una qualche influenza su di lei."
"In questi giorni ho pensato molto."
"Su Morgause?"
Galahad rise, piano, timidamente. "No, su altro."
Impaziente, Mordred gli colpì la gamba con il proprio stivale e Galahad gli prese al volo il piede e lo usò per trascinare il figlio di Artù verso di sé.
"Non dovresti trattare così il principe di Camelot!"
"Ho pensato che- mia madre mi ha insegnato molte cose sul mondo e sulla fede ma non ha mai detto nulla circa due uomini assieme," esclamò Galahad, tornando serio e trascinandosi su Mordred.
"Se anche il tuo Dio non fosse d'accordo non me ne importerebbe nulla."
"Ma quindi tu sei d'accordo."
"D'accordo su cosa?"
Galahad, come dimostrazione, si chinò su di lui ed iniziò a baciarlo delicatamente, quasi timoroso che il volubile Mordred potesse improvvisamente decidere di calciarlo via e trapassargli la gola con una freccia.
"Non c'è nulla su cui essere d'accordo. Tu sei un idiota, uno stolto, ti stai lasciando sedurre da me ed io mi vendicherò su Lancillotto."
La strana minaccia non sembrò avere alcun effetto sul biondo che, finalmente, sorrise. "Certo, se ti piace pensarlo," risponde, adottando istintivamente il 'tu' che aveva usato anche l'altro cavaliere.
"Ti conviene spostarti."
"Sei abbastanza forte da sapermi scacciare," replicò Galahad, tornando a baciarlo.
"Aspetta!" esclamò Mordred, togliendoselo bruscamente di dosso. Si mise a sedere e si tolse i guanti ti pelle, lanciandoli per terra, si tolse la tunica, la malandata cotta di maglia e come ultima cosa si slacciò la cintura del pugnale che Galahad gli aveva dato.
Lo osservò qualche secondo, spostando lo sguardo dall'arma all'altro uomo ed infine lo buttò nell'erba.
Rimase in ginocchio ad ignorare il freddo della sera con un cipiglio ostinato.
Galahad si avvicinò piano a lui, si tolse i guanti, appoggiandoli a terra, insicuro su cosa fare e, soprattutto, su cosa volesse davvero Mordred. Voleva fare l'amore con lui (arrossì al pensiero, sentendosi imbarazzato all'idea di non aver mai fatto nulla né con donne né con uomini)? O forse voleva tutto il contrario?
Inginocchiandosi per arrivare all'altezza dell'altro, Galahad prese il volto di Mordred e lo baciò, sperando di ricevere in cambio una qualche direttiva. Ma non giunse nulla, solo lo sguardo penetrante di Mordred.
"Non so cosa fare, dimmi cosa devo fare," gli chiese il biondo figlio di Lancillotto.
"Il puro Galahad," replicò Mordred, con disprezzo, "prendimi. Puoi avere ciò che vuoi, no? Così quando arriveremo a Camelot ognuno se ne andrà per la propria strada e dimenticheremo tutto."
"Non ho intenzione di dire nulla al re del tuo piano per distruggere Lancillotto," disse Galahad, come risposta.
Mordred fece spallucce, iniziando ad avere davvero freddo.
Galahad portò gli occhi al cielo. Il figlio di Artù sapeva essere più ostinato del padre. Si chinò poi nell'erba per riprendere la tunica di Mordred e gliela infilò.
L'altro lo lasciò fare.
Una volta rivestito, Mordred venne trascinato a terra dal giovane Galahad che, pur inesperto, sembrava aver preso una decisione seria.
"Dormiamo e non fare il melodrammatico," gli ordinò, abbracciandolo.
Deirdre
02-03-2010, 15.46.45
complimenti!!!!!!!:smile_clap:... affascinata dalla vostra "perfida fantasia"!!.. avete un modo di raccontare che cattura chiunque vi ascolti... compresa me..che già mi disperavo perchè volevo saperne di più... quindi vi prego continuate a deliziarci con le vostre splendide storie...del resto lady llamrei me lo aveva detto..e non a torto! (avete una fan in più!!!:smile_lol::smile_clap:)
llamrei
04-03-2010, 12.21.09
. Tutta robaccia mia ù
se questa la considerate "robaccia" ......non riesco ad immaginare quelle che voi stessa considerate "vostre opere ben fatte":confused::confused:
Abbandonate la modestia per un attimo e raccogliete i complimenti che sono, credetemi, veritieri e meritati!:smile_clap:
Mordred Inlè
04-03-2010, 15.28.19
Grazie mille ad entrambe ;___;
08. Camelot
Mordred venne svegliato all'alba dalla pioggia e dal freddo. Si alzò a sedere di scatto, completamente fradicio, indossando velocemente un mantello e scrollando vigorosamente Galahad.
Il biondo figlio di Lancillotto si rigirò, incurante della pioggia, e provò ad aggrapparsi alla vita di Mordred.
"Svegliati e preparati, sta piovendo e fa freddo!"
Galahad si mise a sedere anch'egli e prese il mantello che Mordred gli offriva. Il figlio di Artù lo prese poi per l'avambraccio, tirandolo in piedi.
"Sali a cavallo, siamo praticamente a Camelot."
"Ieri non volevi nemmeno avvicinarti a Camelot," commentò Galahad, salendo su Joan con un agile balzo.
Mordred lo imitò e senza rispondere spinse Lucius al trotto, costringendo l'altro cavaliere a seguirlo.
Tenne il trotto del cavallo finché poté e si costrinse a rallentare solo quando sentì il cavallo stremato sotto di sé. In ogni caso non riuscì a perdere di vista Joan e Galahad.
Verso mezzogiorno poterono vedere le torri di Camelot all'orizzonte e la pioggia cessò.
"Se vuoi uccidermi il cavallo ti consiglio di dargli una morte meno dolorosa di questa," lo ammonì Galahad, prendendo le redini di Lucius e fermando Mordred prima che potesse nuovamente spingerlo al galoppo.
"Non voglio ucciderti il cavallo. Ed in ogni caso te lo ripagherei."
"Non è questo che intendevo."
Mordred fece spallucce e aspettò che Galahad lasciasse le redini prima di ripartire ad un passo più lento.
"E' bella Camelot da lontano."
"Bella?" sbottò Mordred, ridendo, "non molto diversa da un accampamento di straccioni. Avresti dovuto vedere il castello di mia madre alle Orcadi."
"Un giorno me lo mostrerai."
Mordred si voltò di scatto ad osservare il compagno di viaggio. Un giorno me lo mostrerai. Sembrava una promessa e sembrava richiedere in cambio un solenne giuramento. Nonostante il freddo lasciato dalla pioggia sentì qualcosa di caldo diffondersi nelle sue vene.
"Certo," sorrise, sentendo i bordi della bocca tremare. Sperò che Galahad non se ne accorgesse.
Non so cosa sto facendo, pensò. La pioggia, la notte, la leggera fame gli facevano sentire la testa leggera e stupidamente felice.
"Certo, fra qualche mese potremmo andare a nord, in Scozia, con Gawain. Lui partirà di sicuro. Non con il freddo però, sarebbe un suicidio," promise.
Molte volte aveva fatto questa proposta ad Agravaine ma lui odiava le Orcadi. E altrettante volte lo aveva chiesto ad Artù, suo padre, ma il re non poteva allontanarsi da Camelot.
Sapeva però che Galahad non gli avrebbe detto di no.
"E potremmo passare per il Corbenic, ti potrei mostrare il monastero di mia madre ed il castello di mio nonno."
"E potresti darmi in pasto ai figli di Pellinore!" rise Mordred, ricordandosi che il nonno materno di Galahad altro non era che il fratello di Pellinore.
"Sai che non lo farei."
Mordred inarcò un sopracciglio al tono serio del biondo e si limitò a scuotere la testa. "Non sai scherzare. Dei del cielo, in che cosa mi sono lasciato trascinare."
E questo purtroppo non lo sapeva nemmeno lui.
Non sapeva cosa gli stava accadendo né perché fosse così felice che un sempliciotto come Galahad lo amasse (perché così aveva detto, o no? Non avrebbe mai mentito, vero?) ma per ora andava bene così. Lo faceva sentire bene.
"Vedo che stai meglio."
"Siamo arrivati, sir Galahad, sarà meglio comportarsi con decoro, ora."
Ed infatti erano arrivati. In meno di un'ora portarono i cavalli agli stallieri del castello e dama Lyonesse, assieme al marito sir Gareth, venne ad accoglierli. Subito dietro di loro giunsero Percival e Lancillotto.
"Fratello mio," salutò Gareth, abbracciando Mordred.
Lancillotto sembrò sospirare di sorpresa vedendo Galahad tutto intatto ma Percival notò subito l'assenza di Lamorak.
"Dov'è mio fratello?"
"Sir Lamorak sta bene ma ho preferito prolungare la sua sosta da mia madre," rispose Mordred, avanzando oltre il gruppetto per raggiungere le stanze del re, che lo stava sicuramente aspettando.
"Cosa significa? E' rimasto con quella strega!" aggiunse Lancillotto, stupito, con ancora il figlio tra le braccia forti.
Gareth sussultò ed arrossì e Mordred lo ignorò.
"Era in sé e secondo la sua volontà," spiegò Galahad, seguendo Mordred dal re.
Con loro però camminarono anche Lancillotto, deciso a scoprire tutto ciò che poteva sul viaggio, e Percival, insistente nelle sue domande sulla scomparsa del fratello.
Trovarono Artù in compagnia di Kay. Stavano discutendo di qualcosa e prendendo delle note quando Mordred entrò nella stanza e si inchinò brevemente.
Lui stesso non si aspettò la gioia che provò improvvisamente nel vedere il padre e, soprattutto, nello scorgere il suo sorriso.
Forse Artù aveva davvero voluto che lui tornasse a Camelot sano e salvo.
Riuscì quasi a leggere le parole 'figlio' sul volto del padre prima che questi si alzasse e lo salutasse con un freddo "Sir Mordred."
Abbracciò Galahad ed anche lui chiese dove fosse Lamorak.
Percival rimase in un silenzio testardo, aspettando una risposta degna di re Artù e che potesse soddisfare i suoi dubbi e le sue curiosità.
"E' rimasto con Morgause," spiegò Galahad, sentendo che l'amico Perceval avrebbe creduto più facilmente a lui che al figlio di Artù, "sembra che sia nata una sorta di amicizia fra lady Morgause e sir Lamorak e lui ha preferito rimanere in sua compagnia."
Artù sembrò ricevere la notizia con un semplice deluso stringere di labbra.
"Capisco. Perceval, potete andare ora."
Perceval aprì la bocca per protestare ma un'occhiataccia del severo Kay gliela fece chiudere immediatamente e lo costrinse a sgattaiolare via.
"Sir Lancillotto, amico mio, vi rivedrò più tardi."
L'uomo strinse brevemente la spalla del figlio e salutò il re, prima di uscire. Sir Kay lo seguì silenziosamente.
"Ditemi cos'è successo?"
"Nulla," assicurò Galahad, "veramente ciò che ho detto."
"Morgause e Lamorak sono diventati amanti. Penso che Morgause volesse trattenerlo per avvicinarsi alla corte."
"Pensate che con Lamorak con lei io la riaccolga qui?" domandò il re.
"Sire, Morgause aveva provato a-" Mordred bloccò la frase di Galahad stringendogli la mano, facilmente nascosta dietro la schiena dei due poiché erano l'uno accanto all'altro spalla a spalla.
"Cosa?"
"Mia madre ha provato a convincermi a restare," rispose Mordred al suo posto, "ed io ho ovviamente rifiutato. Quindi temo che abbia preferito una preda più facile."
Gli occhi di Artù sembrarono parlare quasi a voce alta. Ho sempre pensato che foste voi la preda più facile, sussurrarono rivolti al figlio.
"Penserò a cosa fare con Lamorak," sospirò infine il re.
Mordred lasciò la stretta su Galahad e si inchinò, imitando l'altro.
"Andate pure."
"Padre-"
Gli occhi di Artù lampeggiarono e le sue guance si riempirono di vergogna e rossore. "No, Mordred. Andate," mormorò, voltando loro le spalle finché i due cavalieri non lasciarono la stanza.
Mordred si sentiva umiliato. Artù lo credeva tanto debole da rimanere intrappolato nelle grinfie di Morgause (ed effettivamente era quello che era accaduto, si era lasciato ingannare come un ingenuo).
E come se non bastasse, dopo il viaggio che aveva fatto per lui e la devozione che gli aveva mostrato, il re non solo si vergognava del figlio ma non accettava nemmeno alcun suggerimento, continuando a trattarlo come un bambino reale.
Galahad lo seguì fino alle sue stanze sebbene alcune acide battute di Mordred sulla sua famiglia da parte di madre e padre bastarono a fargli capire l'umore in cui il cavaliere si trovava.
Giunto alle proprie stanze, Mordred entrò e chiuse subito la porta dietro di sé.
L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di qualcuno che gli ricordasse la sua umiliazione e che gli facesse domande. Con un breve e pungente senso di colpa si ricordò della mattina passata con Galahad e della sera precedente.
"Mordred, aprimi. Ora."
"Oh, altrimenti? Andrai a piangere da Lancillotto?"
"Non essere sciocco, Mordred," lo chiamò Galahad, con voce calma, "ovvio che non andrò da Lancillotto perché mentre sono via tu potresti sgattaiolare fuori e scappare."
Mordred aprì la bocca, sconvolto. La richiuse. "Era una dannatissima battuta sulla codardia?!"
"Forse," giunse la risposta soffocata dal legno della porta.
Mordred attese qualche minuto. Sentì un rumore di passi.
Aspettò una mezz'ora e non sentì più nulla.
"Sei ancora lì?"
"Sì. Dovresti fare qualcosa per il tuo carattere."
"Tipo pregare? Come fai tu?"
Prima di ricevere una risposta, Mordred si alzò dal letto su cui si era buttato e andò ad aprire la porta. Fece entrare Galahad con un gesto imperioso.
"Perché non hai detto ad Artù di quello che ti ha fatto Morgause?" domandò subito il biondo cavaliere, "Temevi che non ti vendicasse? O che ti vendicasse? Che non gli importasse nulla?"
"Niente di tutto ciò. Non volevo apparire debole ai suoi occhi. Cosa che, evidentemente ho fatto comunque."
"Il fatto che lui non ti riconosca come figlio non significa che tu sia-"
Prima che Galahad potesse finire, Mordred gli prese violentemente il collo e lo sbatté contro il muro. Lo tenne ancorato al muro, aspettando che l'altro si difendesse ma non accadde nulla.
Quando lo vide faticare per recuperare il respiro, il figlio di Artù lo lasciò scivolare a terra e riprendere tutto l'ossigeno perduto.
"Non parlarne più."
"D'accordo. Ho capito."
"Vai pure."
Galahad inarcò confuso le sopracciglia e si rialzò. "Vai pure? No. Voglio stare qui."
"Va bene," concesse Mordred, sedendosi sul letto. Toccò il posto vuoto accanto a sé e lasciò che Galahad giungesse a sedersi con lui.
"E ora?" domandò il biondo.
"Ora puoi dirmi che mi ami e che mi giuri fedeltà eterna, anche sopra Lancillotto."
"Non tradirei mai mio padre."
"Lo so," ammise Mordred, con una smorfia di disappunto.
"Ma posso dirti che ti amo e farò tutto il possibile per non tradirti."
"Il puro Galahad," sospirò l'altro, "non ti ci vedo a girare il castello a sedurre giovani fanciulle."
"Non intendevo quel tipo di tradimento."
Calò il silenzio per qualche attimo e Mordred, volubile come solo sua madre sapeva essere, si voltò verso Galahad, prendendogli le spalle e sdraiandosi su di lui.
"E tu?" chiese Galahad, rimanendo immobile.
"Io apprezzo la tua dedizione."
"Vuol dire che mi ami," sorrise il biondo, con una nota di speranza.
"Vuol dire che apprezzo la tua dedizione," replicò freddamente l'altro cavaliere.
"Certo." Il sorriso di Galahad si storse leggermente, in un'aria delusa e Mordred arrossì per un'emozione che sembrava accompagnarlo spesso e ovunque: il senso di colpa.
Ma Galahad non era fuggito lasciandolo con il senso di colpa. Era ancora lì, con lui, e Mordred avrebbe fatto tutto ciò che poteva per far scomparire quell'orrenda sensazione.
"Vedrai che ti basterà," lo assicurò Mordred, aprendogli la tunica ed iniziando a tracciare di baci il suo petto.
Galahad lo lasciò fare, accarezzando il suo volto ed i suoi capelli, con un ritmo lento e rassicurante.
Mordred si fermò a mordicchiare il collo mentre slacciava il resto dei vestiti di Galahad e, quando l'altro gemette, sorrise soddisfatto.
"Sai cosa stai facendo?"
"Oh, Galahad, non sono stato tutti questi anni a pregare Dio come te."
"Immagino."
"Immagina pure," sorrise Mordred, sembrando recuperare il buon umore della mattinata.
Ma Galahad non ebbe più tempo per immaginare perché il figlio di Artù iniziò a fare cose innominabili, e tremendamente piacevoli, con la sua bocca. Cose che portarono Galahad ad avere uno strano attacco di risa, intermezzato da parole che sembravano Il principe di Camelot è tra le mie gambe! Santo Paradiso, il principe di Camelot è pazzo!.
Il principe di Camelot, ancora vestito di tutto punto, si premurò di far provare a Galahad (citando le sue stesse parole) ciò che rendeva un uomo veramente degno di essere chiamato uomo.
Il giovane figlio di Lancillotto si chiese, per qualche secondo, perché non l'avesse mai fatto prima. Dio non avrebbe mai reso così piacevole ed estatica una cosa condannabile con l'inferno.
Sorridendo come un vero e proprio novellino, il biondo trascinò quindi a sé il giovane Mordred ed iniziò a spogliarlo come prima l'altro aveva fatto con lui. Mordred però lo fermò.
"Basta così. Vuoi di più? Non ti è bastato?"
"Come sarebbe a dire- e tu?"
"Io cosa?"
"Io non ho fatto nulla- tu non-" Galahad arrossì, inciampando sulle proprie parole.
Mordred sorrise, passandosi un pollice sulle labbra. "Non devi fare nulla."
Come un fulmine a ciel sereno, un pensiero sbocciò in Galahad, un pensiero che lo lasciò amareggiato e deluso. "Era un modo per chiedermi scusa? Perché ti ho detto che ti amo e tu non hai risposto?"
"Certo che no," arrossì Mordred.
L'altro cavaliere gli prese i polsi e lo portò delicatamente sotto di sé, stendendosi su di lui per tenerlo fermo.
"Non farlo più. Un dono che non è dato spontaneamente non sarà mai accettato da Dio."
"Tu non sei Dio!" rise Mordred ma Galahad non perse il proprio tono serio.
"Ogni atto d'amore è donato a Dio," spiegò, con le parole della madre.
"Non volevo offendere il tuo Dio."
"Non devi fare nulla. Non devi darmi nulla, d'accordo? Posso amarti anche se non mi dai nulla, te lo assicuro. Te lo prometto."
Mordred rimase fermo a fissarlo, deglutendo. Distolse lo sguardo ed annuì.
"Bene," sorrise Galahad, lasciandolo e rivestendosi. Vedendo che Mordred si limitava a lanciargli occhiate incuriosite fermo dove lo aveva lasciato, Galahad lo raggiunse e si sdraiò nuovamente accanto a lui.
"Raccontami del cagnolino che hai vestito da donna e fatto ballare," gli chiese, ricordandosi di ciò che gli aveva detto Lamorak.
"Io non ho mai avuto un cagnolino," rispose Mordred, osservandolo come se fosse fuori di testa.
"Oh," annuì Galahad, capendo al volo, "allora dimmi delle Orcadi."
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La storia del cagnolino che viene vestito da donna viene raccontata da Maude, la madre di Ezra, nei Magnifici Sette. Ed anche lì la donna inventa la storia sul figlio trascurato, così da potersi mostrare agli altri come una madre amorevole.
Ezra è una figura così triste ;_; povero caro.