Mordred Inlè
05-03-2010, 20.19.42
Grazie per aver letto le precedenti storie :* e spero davvero che questa non deluda.
Per leggerla è necessario prima leggere Still thy name is spoken e poi Missive da un cercatore del Graal (almeno l'ultima lettera, quella a Mordred), le trovate tutte in ordine nella serie Storia del Sangrail (http://www.efpfanfic.net/viewseries.php?ssid=271&i=1).
01. Newport
~~~~ Inghilterra ~~~~
Gale Harrison aveva solo dieci anni quando, alla recita scolastica, la maestra lo reclutò per fare la parte di re Artù.
Era stato divertente. Si era vestito da cavaliere di stracci, aveva indossato una corona di latta ed aveva zigzagato a destra e a sinistra con una spada di polistirolo. I suoi genitori erano stati così fieri di lui che per gli anni successivi la vhs con la recita era stata la cassetta più guardata di tutte.
Al suo quattordicesimo compleanno, la cugina Emma Summers, una fanciullina che Gale non poteva sopportare, gli regalò un libro intitolato 'Morte d'Arthur' e Gale lo divorò, metaforicamente parlando.
Rivedendo e vedendo ancora la vecchia vhs della recita su re Artù, Gale si accorse che qualcuno gli aveva dato il ruolo sbagliato. Non avrebbe mai dovuto essere re Artù.
Fu quello il periodo in cui i sogni cominciarono. Lo tenevano sveglio di notte con immagini di donne dissanguate, di cavalli imbazziti, angeli sorridenti.
Gale si svegliava di scatto, piangendo o urlando e sua madre correva da lui ad abbracciarlo, a rassicurarlo.
"va tutto bene, non temere, sono solo sogni, non ti possono fare del male."
"Lo hanno già fatto," sussurrava Gale, fra le lacrime.
Passarono i mesi ed i sogni iniziarono a divenire più vividi, più ordinati.
I castelli e le dame dai drappi colorati avevano la stessa consistenza del ruvido copridivano rosso del salotto. Il sapore del vecchio mare era simile a quello che poteva sentire quando andava a trovare i nonni a Porthsmouth ed i gabbiani gridavano allo stesso modo.
I cavalieri iniziarono a divenire familiari, conosceva i loro nomi quanto quelli dei suoi compagni di classe.
Artù, Lancillotto, Bors, Perceval, Mordred- tutti, piano piano, stavano tornando.
I suoi sogni si misero assieme, uno dopo l'altro, come un puzzle.
"Hai una fervida fantasia," aveva detto la sua insegnante dopo un esame di scrittura creativa.
"Non è fantasia, professoressa, Lancillotto è davvero mio padre."
La professoressa aveva riso, quel giorno, ma smise di ridere quando un amico di Gale venne a dirle che il compagno raccontava a tutti di essere sir Galahad.
Provò a parlare con Gale, provò a convincerlo che fantasticare non sempre era salutare e che lui era Gale Harrison, di Newbury.
Una parte di Gale la capiva perfettamente. Lui era Gale ma sapeva di essere anche Galahad e per questo ignorò la sciocca adulta che non lo capiva.
I signori Harrison però non ignorarono l'appello dell'insegnante.
"Gale, caro, penso che sia meglio parlare," disse con dolcezza la signora Harrison, una donna minuta dall'aria fragile. Accarezzò la guancia del figlio con le sue belle dita da pianista e poi gli fece spazio sul sofà, accanto a sé.
"Se è per la signora Norton, io non sapevo che il gatto sarebbe andato nel suo giardino."
"Non è per la signora Norton, Gale, né per il gatto," intervenne il padre, senza i fari bruschi che aveva di solito. Era un uomo paziente e buono ma poco incline alle sottigliezze. "E' per le cose che racconti a scuola."
"Che cosa racconto a scuola?"
"Quelle cose dell'essere sir Galahad, dell'essere stato un cavaliere," sussurrò la madre e poi sorrise, "Gale, so che la storia di re Artù è molto affascinante ma-"
Gale si alzò in piedi, di scatto. "Non sono un bugiardo! E' tutto vero!"
Dentro di sé sapeva che lo sguardo sconsolato della madre non avrebbe portato a niente di buono ma sapeva anche di non poter mentire. Non ne aveva bisogno, non lui.
Il giorno dopo la signora Harrion lo portò dallo psicologo della scuola.
Lo psicologo sembrava uscito da un vecchio fumetto della Marvel, con i lineamenti squadrati, grossi baffi neri e pochi capelli ai lati della testa. Si chiamava Sean e sorrideva spesso. Spiegò a Gale che alcuni sogni possono davvero essere vividi ma che rimanevano sogni.
Per anni Gale crebbe assieme allo psicologo, tentando di convincerlo, in tutta l'innocenza e la fiducia che aveva avuto anche quando mille anni prima era stato Galahad (e di questo era sicuro).
Per anni lo psicologo scosse la testa, sull'orlo della disperazione.
Ma più gli anni passavano, più le persone iniziavano a guardarlo con sospetto e pena più le memorie tornavano. Sensazioni di essere vissuto prima di tutti, di aver avuto un'altra vita, erano così forti che era difficile dimenticarle.
Dopo Sean lo psicologo arrivò Annie la psichiatra.
Annie non sorrideva mai e nel momento in cui Gale entrò nello studio capì che le cose sarebbero dovute cambiare.
Fu strana la sensazione.
Annie aveva quasi cinquanta anni, un'aria stanca ed i capelli grigi. Era nettamente sovrappeso e si muoveva nella sua sedia di pelle con ansia, facendola cigolare.
La donna aveva tra le mani una copia di 'Morte d'Arthur', libro che i signori Harrison avevano bollato coma la causa della pazzia (non che loro avessero davvero usato quella parola) del figlio.
"Benvenuto, Gale, siediti pure."
"Sì, signora Bavers."
Gale si accomodò nella sedia di pelle davanti alla scrivania ed osservò affascinato le dita grassocce di Annie che sfogliavano il libro.
"Hai compiuto diciassette anni, sì?" domandò la psichiatra, con aria dolciastra. Gale annuì. Aveva compiuto diciassette anni solo una settimana prima e nuove memorie si erano riaffacciate nei suoi sogni.
La donna dissanguata ora aveva un nome: Dindrane. Il Graal, l'angelo del Graal, era terribile e bussava alla porta dei suoi ricordi tutte le notti. Aveva sognato di Mordred, dei suoi baci, ed era arrossito, aveva avuto strane reazioni dal suo corpo, reazioni che aveva preferito non approfondire.
Sentiva che mancava poco per raggiungere la totalità della sua vita precedente, gli ultimi ricordi, sparsi qua e là, che gli avrebbero permesso di completare il quadro. Ma non poteva dire tutto questo ad Annie e quindi si limitò ad annuire.
"Ti piace questo libro?" domandò la donna.
"Sì, molto, signora Bavers."
"E' un ottimo romanzo," annuì Annie, "la fine è triste però."
"Sì, è triste."
"Il sovrano impugnò la lancia e si gettò in avanti gridando:
"Traditore, è giunto il giorno della tua morte!"
Ser Mordred si scagliò a sua volta contro di lui brandendo la spada, ma il re già gli affondava la lancia sotto lo scudo e gliela faceva fuoriuscire dal corpo per più di un braccio. E quando l'usurpatore comprese che non sarebbe potuto sfuggire alla morte, si slanciò con tutte le proprie forze in avanti trafiggendosi fino all'impugnatura dell'asta, poi calò la spada tenuta con entrambe le mani sul proprio padre e lo raggiunse a un lato della testa trapassandogli l'elmo e il cranio.
Subito dopo si accasciava a terra morto." lesse Annie.
Gale la ascoltò, impallidendo. Tremò sulla sedia.
Mordred non era stato suo amico ma ricordava di aver pensato molto a lui, prima della propria morte. Mordred era stato- strano. Non riusciva ancora a capirlo. Mordred era morto in un'altra vita e lui si trovava lì da solo.
In quel breve, sottile momento d'epifania, Gale capì che Mordred aveva sempre avuto ragione: era un idiota, un imbecille che si fidava troppo delle persone.
"Sì, molto triste," annuì la psichiatra, guardandolo intensamente. "Dimmi, Gale, perché vuoi rifugiarti in un simile mondo?"
Darei qualsiasi cosa per poterne uscire, pensò Gale ma non lo disse. Deglutì e per la prima volta, mentì.
"Volevo solo che i miei genitori smettessero di- di-" smettessero di cosa? ragionò con forza, con disperazione, "-di vantarsi di me con quella stupida cassetta sulla mia recita. Tutti mi dicevano che potevo fare l'attore ma io-" Gale deglutì ancora, sentendo che tutto diventava più liscio e fluente parola dopo parola, "-io voglio fare altro, non voglio fare l'attore."
La guarigione di Gale venne accolta in casa come un miracolo. I signori Harrison, che non erano molto credenti, accesero dei ceri dedicati alla psichiatra e le regalarono un cesto di frutta.
Gale fu costretto a visitare la signora Annie Bavers per tutto il resto dell'anno, fino al suo diciottesimo compleanno. Fu costretto a mentire, a scherzare davanti al sollievo nervoso dei suoi genitori.
Ma voleva loro bene e sapeva che loro lo amavano sinceramente.
Un tempo aveva avuto una madre, Elaine, che lo aveva tenuto legato a sé morbosamente, temendo che potesse fare la fine di tutti gli altri sciocchi cavalieri pagani. Ed aveva avuto un padre, Lancillotto, che lo aveva abbandonato per correre dietro le gonne di una regina.
Ora aveva una madre ed un padre che vivevano con lui, gli davano da mangiare, lo portavano al cinema, passeggiavano con lui qualche domenica e che non lo aveva abbandonato nemmeno quando lui aveva dichiarato di non essere Gale, loro figlio, ma un'altra persona.
Gale sapeva che loro non gli avrebbero mai creduto e così nessuno nel mondo e così decise di mettere tutto a tacere. Ignorò i ricordi, buttandosi a capofitto nello studio.
Andò al college e studiò letteratura. A diciannove anni si innamorò di Lucy Howlett, una sua compagna di corso.
Lucy aveva i capelli rossi, le mani che sapevano sempre di menta ed un dente storto ed era bellissima.
Fu con grande ironia che Gale, la mattina della prima notte insieme, si chiese perché un tempo, quando era stato Galahad, fosse sempre stato alla larga dalle donne. Doveva essere un pazzo e lui lo aveva fatto solo per il Graal, per quella terribile figura di angelo che lo aveva ucciso e che ancora gli dava i brividi.
La storia con Lucy durò solo un anno e dopo di lei vi fu Jean Grey anche se l'amore non arrivò mai tra lui e Jean.
Si laureò discretamente, non con il massimo dei voti ma nemmeno tanto in basso da deludere i propri genitori. Non ci mise molto a trovare un impiego e venne assunto dalla Pawlins, una casa editrice di Porthsmouth.
Gale Harrison diventò un semplice dipendente, così come tutti gli altri.
Era gentile, sorridente, sincero e disponibile. I suoi colleghi lo adoravano ma lo punzecchiavano spesso e le sue colleghe erano infatuate dai cuoi occhi azzurri ed i suoi capelli dorati ma nessuno sembrava riuscire a raggiungerlo.
La gente pareva capire che qualcosa in Gale era diverso, qualcosa era sbagliato.
Gale non si accorgeva di nulla perché lui era semplicemente quello che era ed era Gale, il ragazzo di Newport, e Galahad, il cavaliere di Camelot. Non vi era contraddizione in quello.
Molti anni prima, parlando con la psichiatra Annie Bavers, si era promesso di dimenticare Camelot, ma la nostalgia è sempre stato il più dolce dei sentimenti ed era difficile resistervi.
Così, quando a ventisei anni si accorse di guadagnare abbastanza per fare una vacanza, partì per Glastonbury. La bella Glastonbury, la città del Graal, il luogo in cui tutti credevano che Artù fosse sepolto e lui stesso fosse morto.
~~~~ Glastonbury, Inghilterra 1999 ~~~~
Le rovine dell'abbazia di Glastonbury mettevano soggezione. Erano imponenti e sembravano eterne, nonostante il loro stato dimostrasse chiaramente il contrario.
Antiche, enormi e familiari.
Il sole riusciva ad emanare una debole luce che dava al prato attorno all'abbazia un'atmosfera desolata e gelida.
Gale si fermò ad osservare un cartello per turisti con un'infinita spiegazione sul fondatore dell'abbazia.
Una donna straniera, forse francese, lo sorpassò lamentandosi rumorosamente di qualcosa, parlando al cellulare.
"Quel temps fait-il là-bas? Pleut-il ces jours-ci? Uh? Il fait très froid aujourd'hui."
La voce si perse nel gruppo. La cattedrale era abbastanza affollata quel giorno. Doveva essere per via delle vacanze natalizie.
Gale invece visitava Glastonbury tutti gli anni, nella stessa settimana.
Era stata dura per lui accettare di non essere un pazzo ma ciò che ricordava era così vivido che non poteva essere altrimenti.
Ricordava di essere morto, una volta quando si chiamava Galahad. Era stato malato ma aveva trovato ciò che aveva cercato per molto tempo, così si era abbandonato alla debolezza e si era lasciato morire.
"Si dice che questa fosse la famosa Avalon," esclamò una signora dall'accento irlandese.
Glastonbury era stata, effettivamente, chiamata Avallon, l'isola delle mele, ma questo era un segreto che Gale avrebbe dovuto mantenere. Era un uomo sincero quando si trattava di parlare dei suoi ricordi era meglio tacere. Lo aveva imparato a proprie spese.
Continuò a camminare, seguendo il sentiero e sentendosi in pace e nostalgico. Erano passati così tanti anni.
Ancora una volta si chiese se essere rinato fosse la sua ricompensa per aver trovato il Graal. Era morto cercandolo e la sacra coppa gli aveva donato un'altra vita.
Il vento gelido iniziò a colpirgli il volto senza pietà. Gale si avvolse in una sciarpa fino al naso e continuò il suo tragitto, incurante degli occhiali che si appannavano quando respirava.
Passò la mattinata all'abbazia, ammirandola senza fretta.
All'uscita passò dal piccolo negozio di souvenir. Non era un amante dei souvenir ma il suo capo gli aveva chiesto un libro o una maglietta per la figlia e Gale non voleva deluderlo.
Vagò nel negozietto che visitava per la prima volta. Vi erano un'infinità di deliziose sciocchezze, tra cui un assurdo tagliacarte con la forma di Excalibur.
Gale si ritrovò a sorridere e passò al reparto dei libri.
Un uomo stava sfogliando una copia di Le Morte d'Arthur. E poi l'uomo alzò lo sguardo su di lui e Gale si sentì mancare il respiro.
Lo sconosciuto dovette provare la stessa cosa perché mise velocemente giù il libro e si affretto all'uscita. Ma per uscire avrebbe dovuto passare accanto a Gale che gli si parò di fronte bloccandolo.
Trovandosi intrappolato, più letteralmente ma con una buona dose di trappola metaforica, lo sconosciuto sorrise amaramente. "Sembra che quei libri finiscano tutti allo stesso modo."
"Lascia stare i libri," mormorò Gale, deglutendo rumorosamente. Lo sconosciuto, che non era affatto uno sconosciuto, era diverso da come era stato quasi millecinquecento anni prima ma era ancora poco più basso di lui, aveva gli stessi capelli castani e sorrideva.
"Devo proprio andare."
"Aspetta-" lo bloccò Gale, fermandolo per un braccio, "-non ora, aspetta un po'."
"Non ci conosciamo nemmeno," sorrise l'antico Mordred.
"Ci conosciamo invece. Possiamo conoscerci."
"Hai la possibilità di non conoscermi, ti consiglio di prenderla al volo."
"No, dimmi di te. Dimmi tutto."
"Mi chiamo Moray, ora," rispose Moray, a disagio.
"Moray, è un piacere trovarti qui," sorrise Gale, sentendosi sull'orlo di una risata liberatoria, "Sono Gale."
"Menti sempre nello stesso modo sfacciato."
"Andiamo a mangiare qualcosa?"
Moray sorrise, liberandosi dalla presa dell'altro. "Ho già mangiato."
"Allora- un caffé," propose Gale, velocemente, seguendolo fuori dal negozio.
"Non bevo caffé," rispose Moray, accendendosi una sigaretta ed accelerando il passo.
"Sai cosa intendo."
"D'accordo, allora ci troviamo qui oggi alle tre."
Gale fu quasi pronto ad accettare ma ci ripensò. "No, non verresti. Ora."
Moray si fermò e si voltò finalmente verso di lui. "Non siamo soli. Non ci siamo solo noi due, non ci sono solo io. Se vuoi ti do l'indirizzo di qualcun altro, c'è Bors, c'è lui se vuoi."
"Non voglio andare a prendere un caffè con Bors ma con te."
"Perché io?"
"Perché ci sono delle cose che avrei dovuto dirti."
Moray buttò la sigaretta a terra e sorrise. "Allora dovevi pensarci prima."
"Solo un caffé. Ci sediamo in un posto, al caldo, e parliamo. Ti prego. Mi devo inginocchiare?"
Il sorriso dell'altro si trasformò in una smorfia irritata. "Non è necessario," rispose infine.
"Bene, perfetto," esclamò Gale, "offro io."
Per leggerla è necessario prima leggere Still thy name is spoken e poi Missive da un cercatore del Graal (almeno l'ultima lettera, quella a Mordred), le trovate tutte in ordine nella serie Storia del Sangrail (http://www.efpfanfic.net/viewseries.php?ssid=271&i=1).
01. Newport
~~~~ Inghilterra ~~~~
Gale Harrison aveva solo dieci anni quando, alla recita scolastica, la maestra lo reclutò per fare la parte di re Artù.
Era stato divertente. Si era vestito da cavaliere di stracci, aveva indossato una corona di latta ed aveva zigzagato a destra e a sinistra con una spada di polistirolo. I suoi genitori erano stati così fieri di lui che per gli anni successivi la vhs con la recita era stata la cassetta più guardata di tutte.
Al suo quattordicesimo compleanno, la cugina Emma Summers, una fanciullina che Gale non poteva sopportare, gli regalò un libro intitolato 'Morte d'Arthur' e Gale lo divorò, metaforicamente parlando.
Rivedendo e vedendo ancora la vecchia vhs della recita su re Artù, Gale si accorse che qualcuno gli aveva dato il ruolo sbagliato. Non avrebbe mai dovuto essere re Artù.
Fu quello il periodo in cui i sogni cominciarono. Lo tenevano sveglio di notte con immagini di donne dissanguate, di cavalli imbazziti, angeli sorridenti.
Gale si svegliava di scatto, piangendo o urlando e sua madre correva da lui ad abbracciarlo, a rassicurarlo.
"va tutto bene, non temere, sono solo sogni, non ti possono fare del male."
"Lo hanno già fatto," sussurrava Gale, fra le lacrime.
Passarono i mesi ed i sogni iniziarono a divenire più vividi, più ordinati.
I castelli e le dame dai drappi colorati avevano la stessa consistenza del ruvido copridivano rosso del salotto. Il sapore del vecchio mare era simile a quello che poteva sentire quando andava a trovare i nonni a Porthsmouth ed i gabbiani gridavano allo stesso modo.
I cavalieri iniziarono a divenire familiari, conosceva i loro nomi quanto quelli dei suoi compagni di classe.
Artù, Lancillotto, Bors, Perceval, Mordred- tutti, piano piano, stavano tornando.
I suoi sogni si misero assieme, uno dopo l'altro, come un puzzle.
"Hai una fervida fantasia," aveva detto la sua insegnante dopo un esame di scrittura creativa.
"Non è fantasia, professoressa, Lancillotto è davvero mio padre."
La professoressa aveva riso, quel giorno, ma smise di ridere quando un amico di Gale venne a dirle che il compagno raccontava a tutti di essere sir Galahad.
Provò a parlare con Gale, provò a convincerlo che fantasticare non sempre era salutare e che lui era Gale Harrison, di Newbury.
Una parte di Gale la capiva perfettamente. Lui era Gale ma sapeva di essere anche Galahad e per questo ignorò la sciocca adulta che non lo capiva.
I signori Harrison però non ignorarono l'appello dell'insegnante.
"Gale, caro, penso che sia meglio parlare," disse con dolcezza la signora Harrison, una donna minuta dall'aria fragile. Accarezzò la guancia del figlio con le sue belle dita da pianista e poi gli fece spazio sul sofà, accanto a sé.
"Se è per la signora Norton, io non sapevo che il gatto sarebbe andato nel suo giardino."
"Non è per la signora Norton, Gale, né per il gatto," intervenne il padre, senza i fari bruschi che aveva di solito. Era un uomo paziente e buono ma poco incline alle sottigliezze. "E' per le cose che racconti a scuola."
"Che cosa racconto a scuola?"
"Quelle cose dell'essere sir Galahad, dell'essere stato un cavaliere," sussurrò la madre e poi sorrise, "Gale, so che la storia di re Artù è molto affascinante ma-"
Gale si alzò in piedi, di scatto. "Non sono un bugiardo! E' tutto vero!"
Dentro di sé sapeva che lo sguardo sconsolato della madre non avrebbe portato a niente di buono ma sapeva anche di non poter mentire. Non ne aveva bisogno, non lui.
Il giorno dopo la signora Harrion lo portò dallo psicologo della scuola.
Lo psicologo sembrava uscito da un vecchio fumetto della Marvel, con i lineamenti squadrati, grossi baffi neri e pochi capelli ai lati della testa. Si chiamava Sean e sorrideva spesso. Spiegò a Gale che alcuni sogni possono davvero essere vividi ma che rimanevano sogni.
Per anni Gale crebbe assieme allo psicologo, tentando di convincerlo, in tutta l'innocenza e la fiducia che aveva avuto anche quando mille anni prima era stato Galahad (e di questo era sicuro).
Per anni lo psicologo scosse la testa, sull'orlo della disperazione.
Ma più gli anni passavano, più le persone iniziavano a guardarlo con sospetto e pena più le memorie tornavano. Sensazioni di essere vissuto prima di tutti, di aver avuto un'altra vita, erano così forti che era difficile dimenticarle.
Dopo Sean lo psicologo arrivò Annie la psichiatra.
Annie non sorrideva mai e nel momento in cui Gale entrò nello studio capì che le cose sarebbero dovute cambiare.
Fu strana la sensazione.
Annie aveva quasi cinquanta anni, un'aria stanca ed i capelli grigi. Era nettamente sovrappeso e si muoveva nella sua sedia di pelle con ansia, facendola cigolare.
La donna aveva tra le mani una copia di 'Morte d'Arthur', libro che i signori Harrison avevano bollato coma la causa della pazzia (non che loro avessero davvero usato quella parola) del figlio.
"Benvenuto, Gale, siediti pure."
"Sì, signora Bavers."
Gale si accomodò nella sedia di pelle davanti alla scrivania ed osservò affascinato le dita grassocce di Annie che sfogliavano il libro.
"Hai compiuto diciassette anni, sì?" domandò la psichiatra, con aria dolciastra. Gale annuì. Aveva compiuto diciassette anni solo una settimana prima e nuove memorie si erano riaffacciate nei suoi sogni.
La donna dissanguata ora aveva un nome: Dindrane. Il Graal, l'angelo del Graal, era terribile e bussava alla porta dei suoi ricordi tutte le notti. Aveva sognato di Mordred, dei suoi baci, ed era arrossito, aveva avuto strane reazioni dal suo corpo, reazioni che aveva preferito non approfondire.
Sentiva che mancava poco per raggiungere la totalità della sua vita precedente, gli ultimi ricordi, sparsi qua e là, che gli avrebbero permesso di completare il quadro. Ma non poteva dire tutto questo ad Annie e quindi si limitò ad annuire.
"Ti piace questo libro?" domandò la donna.
"Sì, molto, signora Bavers."
"E' un ottimo romanzo," annuì Annie, "la fine è triste però."
"Sì, è triste."
"Il sovrano impugnò la lancia e si gettò in avanti gridando:
"Traditore, è giunto il giorno della tua morte!"
Ser Mordred si scagliò a sua volta contro di lui brandendo la spada, ma il re già gli affondava la lancia sotto lo scudo e gliela faceva fuoriuscire dal corpo per più di un braccio. E quando l'usurpatore comprese che non sarebbe potuto sfuggire alla morte, si slanciò con tutte le proprie forze in avanti trafiggendosi fino all'impugnatura dell'asta, poi calò la spada tenuta con entrambe le mani sul proprio padre e lo raggiunse a un lato della testa trapassandogli l'elmo e il cranio.
Subito dopo si accasciava a terra morto." lesse Annie.
Gale la ascoltò, impallidendo. Tremò sulla sedia.
Mordred non era stato suo amico ma ricordava di aver pensato molto a lui, prima della propria morte. Mordred era stato- strano. Non riusciva ancora a capirlo. Mordred era morto in un'altra vita e lui si trovava lì da solo.
In quel breve, sottile momento d'epifania, Gale capì che Mordred aveva sempre avuto ragione: era un idiota, un imbecille che si fidava troppo delle persone.
"Sì, molto triste," annuì la psichiatra, guardandolo intensamente. "Dimmi, Gale, perché vuoi rifugiarti in un simile mondo?"
Darei qualsiasi cosa per poterne uscire, pensò Gale ma non lo disse. Deglutì e per la prima volta, mentì.
"Volevo solo che i miei genitori smettessero di- di-" smettessero di cosa? ragionò con forza, con disperazione, "-di vantarsi di me con quella stupida cassetta sulla mia recita. Tutti mi dicevano che potevo fare l'attore ma io-" Gale deglutì ancora, sentendo che tutto diventava più liscio e fluente parola dopo parola, "-io voglio fare altro, non voglio fare l'attore."
La guarigione di Gale venne accolta in casa come un miracolo. I signori Harrison, che non erano molto credenti, accesero dei ceri dedicati alla psichiatra e le regalarono un cesto di frutta.
Gale fu costretto a visitare la signora Annie Bavers per tutto il resto dell'anno, fino al suo diciottesimo compleanno. Fu costretto a mentire, a scherzare davanti al sollievo nervoso dei suoi genitori.
Ma voleva loro bene e sapeva che loro lo amavano sinceramente.
Un tempo aveva avuto una madre, Elaine, che lo aveva tenuto legato a sé morbosamente, temendo che potesse fare la fine di tutti gli altri sciocchi cavalieri pagani. Ed aveva avuto un padre, Lancillotto, che lo aveva abbandonato per correre dietro le gonne di una regina.
Ora aveva una madre ed un padre che vivevano con lui, gli davano da mangiare, lo portavano al cinema, passeggiavano con lui qualche domenica e che non lo aveva abbandonato nemmeno quando lui aveva dichiarato di non essere Gale, loro figlio, ma un'altra persona.
Gale sapeva che loro non gli avrebbero mai creduto e così nessuno nel mondo e così decise di mettere tutto a tacere. Ignorò i ricordi, buttandosi a capofitto nello studio.
Andò al college e studiò letteratura. A diciannove anni si innamorò di Lucy Howlett, una sua compagna di corso.
Lucy aveva i capelli rossi, le mani che sapevano sempre di menta ed un dente storto ed era bellissima.
Fu con grande ironia che Gale, la mattina della prima notte insieme, si chiese perché un tempo, quando era stato Galahad, fosse sempre stato alla larga dalle donne. Doveva essere un pazzo e lui lo aveva fatto solo per il Graal, per quella terribile figura di angelo che lo aveva ucciso e che ancora gli dava i brividi.
La storia con Lucy durò solo un anno e dopo di lei vi fu Jean Grey anche se l'amore non arrivò mai tra lui e Jean.
Si laureò discretamente, non con il massimo dei voti ma nemmeno tanto in basso da deludere i propri genitori. Non ci mise molto a trovare un impiego e venne assunto dalla Pawlins, una casa editrice di Porthsmouth.
Gale Harrison diventò un semplice dipendente, così come tutti gli altri.
Era gentile, sorridente, sincero e disponibile. I suoi colleghi lo adoravano ma lo punzecchiavano spesso e le sue colleghe erano infatuate dai cuoi occhi azzurri ed i suoi capelli dorati ma nessuno sembrava riuscire a raggiungerlo.
La gente pareva capire che qualcosa in Gale era diverso, qualcosa era sbagliato.
Gale non si accorgeva di nulla perché lui era semplicemente quello che era ed era Gale, il ragazzo di Newport, e Galahad, il cavaliere di Camelot. Non vi era contraddizione in quello.
Molti anni prima, parlando con la psichiatra Annie Bavers, si era promesso di dimenticare Camelot, ma la nostalgia è sempre stato il più dolce dei sentimenti ed era difficile resistervi.
Così, quando a ventisei anni si accorse di guadagnare abbastanza per fare una vacanza, partì per Glastonbury. La bella Glastonbury, la città del Graal, il luogo in cui tutti credevano che Artù fosse sepolto e lui stesso fosse morto.
~~~~ Glastonbury, Inghilterra 1999 ~~~~
Le rovine dell'abbazia di Glastonbury mettevano soggezione. Erano imponenti e sembravano eterne, nonostante il loro stato dimostrasse chiaramente il contrario.
Antiche, enormi e familiari.
Il sole riusciva ad emanare una debole luce che dava al prato attorno all'abbazia un'atmosfera desolata e gelida.
Gale si fermò ad osservare un cartello per turisti con un'infinita spiegazione sul fondatore dell'abbazia.
Una donna straniera, forse francese, lo sorpassò lamentandosi rumorosamente di qualcosa, parlando al cellulare.
"Quel temps fait-il là-bas? Pleut-il ces jours-ci? Uh? Il fait très froid aujourd'hui."
La voce si perse nel gruppo. La cattedrale era abbastanza affollata quel giorno. Doveva essere per via delle vacanze natalizie.
Gale invece visitava Glastonbury tutti gli anni, nella stessa settimana.
Era stata dura per lui accettare di non essere un pazzo ma ciò che ricordava era così vivido che non poteva essere altrimenti.
Ricordava di essere morto, una volta quando si chiamava Galahad. Era stato malato ma aveva trovato ciò che aveva cercato per molto tempo, così si era abbandonato alla debolezza e si era lasciato morire.
"Si dice che questa fosse la famosa Avalon," esclamò una signora dall'accento irlandese.
Glastonbury era stata, effettivamente, chiamata Avallon, l'isola delle mele, ma questo era un segreto che Gale avrebbe dovuto mantenere. Era un uomo sincero quando si trattava di parlare dei suoi ricordi era meglio tacere. Lo aveva imparato a proprie spese.
Continuò a camminare, seguendo il sentiero e sentendosi in pace e nostalgico. Erano passati così tanti anni.
Ancora una volta si chiese se essere rinato fosse la sua ricompensa per aver trovato il Graal. Era morto cercandolo e la sacra coppa gli aveva donato un'altra vita.
Il vento gelido iniziò a colpirgli il volto senza pietà. Gale si avvolse in una sciarpa fino al naso e continuò il suo tragitto, incurante degli occhiali che si appannavano quando respirava.
Passò la mattinata all'abbazia, ammirandola senza fretta.
All'uscita passò dal piccolo negozio di souvenir. Non era un amante dei souvenir ma il suo capo gli aveva chiesto un libro o una maglietta per la figlia e Gale non voleva deluderlo.
Vagò nel negozietto che visitava per la prima volta. Vi erano un'infinità di deliziose sciocchezze, tra cui un assurdo tagliacarte con la forma di Excalibur.
Gale si ritrovò a sorridere e passò al reparto dei libri.
Un uomo stava sfogliando una copia di Le Morte d'Arthur. E poi l'uomo alzò lo sguardo su di lui e Gale si sentì mancare il respiro.
Lo sconosciuto dovette provare la stessa cosa perché mise velocemente giù il libro e si affretto all'uscita. Ma per uscire avrebbe dovuto passare accanto a Gale che gli si parò di fronte bloccandolo.
Trovandosi intrappolato, più letteralmente ma con una buona dose di trappola metaforica, lo sconosciuto sorrise amaramente. "Sembra che quei libri finiscano tutti allo stesso modo."
"Lascia stare i libri," mormorò Gale, deglutendo rumorosamente. Lo sconosciuto, che non era affatto uno sconosciuto, era diverso da come era stato quasi millecinquecento anni prima ma era ancora poco più basso di lui, aveva gli stessi capelli castani e sorrideva.
"Devo proprio andare."
"Aspetta-" lo bloccò Gale, fermandolo per un braccio, "-non ora, aspetta un po'."
"Non ci conosciamo nemmeno," sorrise l'antico Mordred.
"Ci conosciamo invece. Possiamo conoscerci."
"Hai la possibilità di non conoscermi, ti consiglio di prenderla al volo."
"No, dimmi di te. Dimmi tutto."
"Mi chiamo Moray, ora," rispose Moray, a disagio.
"Moray, è un piacere trovarti qui," sorrise Gale, sentendosi sull'orlo di una risata liberatoria, "Sono Gale."
"Menti sempre nello stesso modo sfacciato."
"Andiamo a mangiare qualcosa?"
Moray sorrise, liberandosi dalla presa dell'altro. "Ho già mangiato."
"Allora- un caffé," propose Gale, velocemente, seguendolo fuori dal negozio.
"Non bevo caffé," rispose Moray, accendendosi una sigaretta ed accelerando il passo.
"Sai cosa intendo."
"D'accordo, allora ci troviamo qui oggi alle tre."
Gale fu quasi pronto ad accettare ma ci ripensò. "No, non verresti. Ora."
Moray si fermò e si voltò finalmente verso di lui. "Non siamo soli. Non ci siamo solo noi due, non ci sono solo io. Se vuoi ti do l'indirizzo di qualcun altro, c'è Bors, c'è lui se vuoi."
"Non voglio andare a prendere un caffè con Bors ma con te."
"Perché io?"
"Perché ci sono delle cose che avrei dovuto dirti."
Moray buttò la sigaretta a terra e sorrise. "Allora dovevi pensarci prima."
"Solo un caffé. Ci sediamo in un posto, al caldo, e parliamo. Ti prego. Mi devo inginocchiare?"
Il sorriso dell'altro si trasformò in una smorfia irritata. "Non è necessario," rispose infine.
"Bene, perfetto," esclamò Gale, "offro io."