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Visualizza versione completa : Biografia del silenzio


Mordred Inlè
08-09-2010, 00.32.00
Yay! Spero di non bloccarmi con questa storia : D era da tanto che volevo scriverla e spero quindi di non deluderla e deludervi.
Questa è la seconda della serie Vite di Camelot, ma per leggere questa NON è necessario leggere Le luci della Villa, anche se mi fareste molto felice leggendola : D (anche quella è slash, Kai/Artù).
(PS: Questa storia, per alcuni personaggi, potrebbe avere un maledettissimo lieto fine).
Warnings del capitolo: preslash

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Prologo

Fu Morgause ad impedire a Mordred di smettere di parlare quando il mondo divenne silenzio.
Morgause era sempre stata una donna testarda, una donna che sapeva perfettamente ciò che voleva e che mutava il mondo a suo piacimento, plasmandolo come creta. Una donna che si era sempre creduta una sorta di giusta dea vendicativa.
Quindi fu per merito suo se Mordred divenne ciò che poi tutti conobbero, nel male o nel bene.
Ed anche se non fu lei ad accudire il figlio colto da quella terribile febbre, perché non sopportava di vedere i suoi figli stare male, fu però Morgause a rimanere accanto a Mordred quando questi si rintanò tra le coperte del piccolo letto, nascosto dal mondo privo delle urla dei gabbiani.
Era a lei che le preghiere di Mordred andavano. Ed anche le sue maledizioni.
"Ho fatto tutto questo per una ragione e non sarai tu a rovinare i miei progetti," gli aveva detto Morgause, dopo aver scoperto che la febbre aveva rubato al figlio la capacità di sentire.
Fortunatamente Mordred non aveva sentito, ma l'espressione della madre non lasciava spazio all'immaginazione.
Fin da quando era bambino, Morgause gli aveva parlato del crudele Artù, del falso Artù che aveva mandato nel suo palazzo un terribile uomo di nome Severinus per fare del male ai suoi figli. Del sanguinario Artù che mandava cavalieri su cavalieri in battaglie disperate contro i Sassoni, perché incapace di ammettere la propria incapacità.
La prima parola che Morgause gli aveva insegnato fu Giustizia ed anche se Gawain un giorno urlò che la giustizia delle Orcadi sapeva di vendetta, Mordred non poteva fare a meno di ritornare ai suoi giochi di fanciullo in cui la Giustizia calava dal cielo a salvare la madre dal freddo destino del nord e cacciare il falso re da Camelot.
La seconda parola che imparò fu Merlino, subito seguita da Rapimento. Tutti alle Orcadi conoscevano la storia di come re Artù avesse mandato il suo fidato Merlino a rapire Mordred per poterlo affogare.
I racconti di Morgause non risparmiavano sui particolari, descrivendo i dettagli del ritrovamento del bambino, irrigidito dal freddo e con i polmoni piedi d'acqua.
Fu uno dei motivi per cui Mordred non imparò mai a nuotare. Temeva che l'acqua capisse di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo vivo e lo volesse nuovamente portare via con sé.
Giustizia fu anche la prima parola che Mordred disse quando smise di sentire.
Fu difficile dirne altre perché non gli ci volle molto per uscire da quella terribile febbre che aveva rischiato di ucciderlo all'età di dieci anni e scoprire che sua madre gli stava parlando, ma lui non riusciva a sentirne la voce.
Parlare è difficile quando non si sente ciò che si dice. Come lo sto dicendo? Troppo alto? Troppo basso? Ma Morgause non si lasciò intimidire. Gli parlò tutti i giorni e l'unica opzione fu imparare a leggere le labbra veloci della madre o venire colpiti dalla sua mano. Imparò a risponderle a voce, sempre un po' troppo piano per paura di urlare, e scoprì che il trucco stava nel togliere dalle parole qualsiasi emozione. Le parole emozionate erano sempre stata difficili, con lettere troppo arrotolate o tremolanti.
Agravaine non perse mai tempo a fargli notare queste parole e fu sempre con un rabbioso rossore che Mordred imparò a correggersi.
Morgause non gli permise mai di smettere di parlare e di questo Mordred le fu grato.


01. Grida di gabbiani

Gawain era partito molti anni prima. Fuggito dalle Orcadi per la giustizia e dopo di lui anche Agravaine e Gaheris se ne erano andati, per la gloria e l'avidità, correndo nella calda Camelot dove Gawain promise loro dei posti sicuri.
Tutti sapevano della Tavola Rotonda, anche alle Orcadi. Il mito di una comunità di guerrieri amati ed adorati, venerati come dei, seguaci dei più leali e più forti. Il nobile Lancillotto. L'invincibile Gawain.
Il giusto Artù.
Voci, spezzoni, mozziconi della vita di Camelot giungevano alle Orcadi dove tutti procedevano al ritmo delle grida dei gabbiani.
Tutti tranne Mordred. Perché Mordred procedeva ad un ritmo tutto suo, una musica che si era costruito da solo con i colori del mondo e la ruvidezza della lingua del suo grosso cane da caccia.
Morgause l'aveva chiamato Ragnelle, come la moglie di Gawain, nonostante il cane fosse sempre orrendamente arruffato e maschio.
"E' selvaggio come quella donna," aveva commentato Morgause, parlando come sempre in modo chiaro e tranquillo per permettere a Mordred di leggerle le labbra.
Mordred non era propriamente d'accordo. Aveva conosciuto Ragnelle l'estate precedente e le era parsa gentile anche se bizzarra. Quando Ragnelle, assieme a Gawain, aveva lasciato le Orcadi aveva anche lasciato un vuoto dietro di sé.
Tutti se ne andavano dalle Orcadi. Uno dopo l'altro.
Molti avrebbero detto che era colpa di Morgause perché la donna terrorizzava i paesani e voci di stregoneria giravano per il regno, ma Mordred non ne era convinto.
Lui amava sua madre eppure voleva andarsene da quel freddo.
Morgause era l'unica cosa luminosa di quel luogo. Severa, terribile nei suoi modi, ma giusta e l'unica che davvero credesse in lui. E bruciante, come un sole.
"Madre, perché non volete che io vada a Camelot?" chiese una sera il ragazzo.
Il fuoco che bruciava non era mai abbastanza caldo e si muoveva silenziosamente ed ipnotico.
"Perché me lo chiedi ora?"
"Perché ho quindici anni ormai."
La maggior parte dei giovani nobili divenivano cavalieri molto giovani, o almeno scudieri. Anche Mordred aveva imparato a combattere e giostrare, a servire come scudiero ed alzare la spada come un cavaliere, ma a parte le battute di caccia non aveva mai usato veramente le proprie armi.
Quella sera Morgause non rispose nulla, ma il giorno successivo gli procurò un nuovo tutore, un anziano romano dal sud di Camelot, un uomo che gli narrò la storia del regno e tutto ciò che doveva sapere sui Sassoni ed i loro costumi.
Mordred sapeva di essere intelligente, ma doveva esserci qualcosa che non andava in lui perché pareva troppo stupido per capire le tattiche militari che usava il suo tutore. Erano complicate ed a volte parevano insensate. Preferiva il suo tutore precedente che lo lasciava dolorante dopo ore di allenamento e gli insegnava ad accudire i cavalli ed addestrare Ragnelle (che aveva iniziato a chiamare Ragno, per rispetto alla moglie del fratellastro).
Morgause osservava i suoi deboli progressi con la bocca contorta in una linea severa.
"Un giorno diverrai re dopo il traditore, devi essere pronto," gli ripeteva, molto spesso.
E Mordred capiva la politica, di quello ne era sicuro. Alleanze, sottigliezze ed inganni gli erano più semplici dello studio degli eserciti, del terreno e del tempo delle battaglie.
"Un giorno ci vendicheremo di ciò che ci ha fatto Merlino."
Morgause non parlava spesso di ciò che aveva fatto Merlino.
Il fedele mago di Artù, su ordine del re, aveva rapito Mordred ed aveva tentato di affogarlo.
Mordred non ricordava nulla di quelle ore, era troppo piccolo, ma nonostante tutto non poteva fare a meno di sognare la trappola dell'acqua sopra di lui e di soffocare, lottare senza speranza per poter respirare e non riuscirci. Molte notte si addormentava nel silenzio e poi lottava e smetteva di respirare, svegliandosi qualche secondo dopo con la testa leggera ed i polmoni che scoppiavano alla ricerca d'aria.


"Camelot ti aspetta," disse, inaspettatamente, Morgause, il giorno del suo diciassettesimo compleanno. "Sai cosa fare."
Mordred sapeva cosa fare. Doveva entrare nella Tavola Rotonda. Farsi riconoscere come fratello di Gawain e solo dopo come figlio di Artù. Gawain era molto amato e questo sarebbe bastato per proteggerlo da tutto ciò che il re avrebbe tentato di fargli.
"E devi essere sicuro che tutti sappiano che sei suo figlio. La vostra somiglianza basterà, credo. Devi essere forte, per noi, per i nostri sogni. E poi tutto andrà bene."
E poi tutto andrà bene.
Mordred aveva un disperato bisogno di quel poi. Si aggrappava a poi tutto andrà bene. In quel poi in cui poteva respirare senza i falsi ricordi di essere affogato, in quel poi in cui Morgause non avrebbe più detto nulla su Merlino o Artù, ma avrebbe parlato di gabbiani e di cani e insultato la moglie del proprio fratello perché era bruttina o sciatta e non perché era la regina del traditore.
Fatti riconoscere come suo figlio. Probabilmente non ti riconoscerà ufficialmente, non sapendo che io sono tua madre, non potrà permetterselo. Ma il sangue è forte. Ti raggiungerò quando sarà il momento.
Mordred non capiva che cosa intendesse per il momento, ma ne aveva un'idea. Morgause era una donna paziente, ma non era disposta ad aspettare più di ciò che era necessario.
E quindi, qualche settimana dopo il suo diciassettesimo compleanno, Mordred prese un cavallo, le proprie armi e Ragno. Baciò la madre, che lo strinse teneramente a sé, si congedò dal proprio tutore e partì assieme al vecchio scudiero che aveva seguito Lot durante le sue battaglie.
Stava finalmente andando a Camelot, dai suoi fratellastri e da suo padre, l'uomo che aveva tentato di ucciderlo ed al quale avrebbe ricambiato il favore.


Gwynnid non aveva mai amato Morgause. Quando il suo padrone Lot l'aveva sposata, su ordine di Uther che voleva semplicemente sbarazzarsi di lei e guadagnarci qualcosa nell'impresa, Gwynnid aveva protestato ad alta voce sulle orecchie sorde di Lot.
"Quella donna è una strega, non si fermerà davanti a nulla per vendicarsi di ciò che il Grande Re ha fatto a suo padre!"
Ma Lot era innamorato ed era convinto che Morgause lo amasse. Gwynnid aveva dovuto mordersi la lingua e guardare il suo nobile padrone prendere come moglie una donna che sicuramente lo avrebbe distrutto. Ed in parte fu proprio così.
Quando Lot decise di prendere per sé ed i propri figli il diritto del trono, dopo la morte di Uther, fu uno delle piccole serpi nate da Morgause a tradirlo ed aiutare la sua sconfitta. Non fu proprio Gawain ad ucciderlo, ma un tradimento è sempre un tradimento.
"E tu credi che io sia felice che Artù sia ora re?" aveva domandato Morgause, con occhi di fuoco, quando Gwynnid aveva borbottato a mezza voce che la prole di Igraine aveva rovinato il suo amato padron Lot.
Gwynnid dovette ammettere che Morgause non sembrava felice, ma nemmeno troppo disperata. Era come se Lot non fosse mai esistito in quel castello. Gwynnid dovette farsi in quattro per poter raccogliere tutte le cose del suo padrone, l'uomo per il quale era stato il fidato scudiero per più di vent'anni, e salvarle da un fuoco purificante che Morgause aveva voluto preparare.
"Non abbiamo bisogno di vecchi ricordi. Nascerà presto un figlio."
Quando Gwyddin le aveva chiesto, non senza un po' troppo ardire, se quello era l'ultima goccia del sangue e del seme di Lot, lei aveva sorriso e lo aveva ignorato.
Ed un giorno, pochi mesi dopo la nascita del bambino, Gwyddin incontrò Merlino.
Tutti conoscevano Merlino. Tutti coloro che avevano amato Uther avevano conosciuto Merlino che si diceva fosse il mago più potente di tutta la Britannia e di oltre il mare.
Fu una sorpresa trovarselo davanti, una notte di gennaio, in misere vesti di viandante e stivali sporchi di fango.
"Voi siete un brav'uomo. Siete lo scudiero di Lot, io vi conosco."
"Vi conobbi al banchetto del matrimonio di Uther," aveva annuito Gwyddin, torcendosi le mani. Non aveva paura dei maghi (e come poteva? viveva sotto il regime di una strega), ma non amava ricordare troppo i tempi di Uther. Portava fitte di nostalgia.
"Ho bisogno del tuo aiuto, Gwyddin."
L'uomo fu sorpreso dal fatto che il mago si ricordasse addirittura il suo nome e non poté evitare di esserne decisamente lusingato.
Ma quando Merlino gli chiese di portare fuori dal castello il piccolo Mordred, Gwyddin non poté accettare.
"Se pensi che sia il figlio di Lot ti sbagli, buon Gwyddin. Quel bambino è il demonico risultato di un inganno. Lady Morgause, ancora sposata con Lot, ha drogato un buon uomo di cui non farò il nome e concepito contro la sua volontà un figlio."
Gwyddin non aveva alcuna difficoltà a credere alla sua storia.
"E' una questione di vita o di morte, Gwyddin. Se quel bambino rimarrà con Morgause le conseguenze potrebbero essere terribili. Sarai ricompensato. Terre ti aspetteranno a sud di Camelot quando vorrai lasciare le Orcadi."
Avrebbe potuto chiedere a Merlino cosa volesse fare di Mordred, avrebbe potuto insistere sul sapere il padre del bambino, ma aveva deciso di non fare nulla di simile.
Quella notte aveva lasciato aperta la porta posteriore della stalla ed aveva dimenticato le chiavi delle stanze accanto ad una delle mangiatoia.
Morgause non l'aveva scoperto. Forse non era la strega che tutti credevano o forse, alla notizia del rapimento del figlio, era stata troppo sconvolta per badare ai particolari.
Ed il fatto che fosse stato proprio Gwyddin a riportarglielo aveva anche aiutato a cancellare i sospetti della donna.
Gwyddin non amava Morgause, ma non era un uccisore di bambini. Quella notte tutti i servi del castello erano stati mandati a cercare il rapitore e fu proprio Gwyddin a trovarne le tracce, forse perché sapeva dove cercarle.
Voleva semplicemente trovare Merlino ed essere sicuro che il mago mantenesse la sua parola, ma quando vide un soldato, senza alcun araldo, tenere un bambino immerso nella fredda acqua del fiume, Gwyddin non si fermò a pensare.
Si lanciò sul soldato che, sorpreso, fece cadere il piccolo Mordred nel fiume. Gwyddin dovette tuffarsi per recuperarlo e lo fece appena in tempo.
Non seppe mai se quel soldato lavorasse per Merlin, l'avesse tradito o altro, decise di non pensare più agli avvenimenti. Non avrebbe più chiesto le sue terre. Non avrebbe più pensato a cosa aveva fatto.
Tornò al castello di Morgause assieme ad un piccolo bambino mezzo affogato, chiedendosi perché Merlino aveva deciso un metodo così crudele per servire il suo signore.
Con il passare degli anni, Gwyddin si chiese se non avesse sbagliato.
Il bimbo crebbe in un ragazzino ed i servi iniziarono a sussurrare di Artù, del re, di Merlino.
Artù è il padre di Mordred.
Mordred è il principe.
Morgause vuole vendetta.
Forse salvando quel ragazzo aveva davvero messo in moto la vendetta di Morgause? Aveva aiutato la strega nel tentativo di uccidere Artù? Ma Artù dopotutto era la causa della morte di Lot. Non era giusto che morisse?
Gwyddin guardò il ragazzo seduto accanto al fuoco.
Mordred aveva diciassette anni e non era come Gwyddin avrebbe immaginato un principe.
Era stupido. E sordo. Non sempre capiva che cosa che cosa gli si stava dicendo. Era goffo, sapeva combattere, ma Gwyddin era sicuro che avrebbe avuto la peggio in un duello.
Aveva le spalle strette del nonno e le labbra sottili che parevano sempre piegate in uno spiacevole ghigno.
Ed era il figlio di sua madre. Lo sputo della strega.
"Dovremmo partire prima che inizi a piovere," esclamò Mordred, guardando il cielo e portando subito i suoi occhi su Gwyddin.
A Gwyddin non piacevano quegli occhi. Erano grigi ed immobili e bevevano le persone come se fossero alcool. Lo mettevano a disagio.
"Volete che selli i cavalli, padrone?"
"Sì." Una pausa ed ancora quegli occhi non si muovevano. "Adesso, se non ti dispiace," sibilò.
Sgarbato come Morgause.
"Certo," rispose a mezza voce, stringendo esageratamente le labbra per impedire all'altro di capire. "Come desiderate, piccolo serpente."
Le ciglia scure di Mordred si aggrottarono per la confusione. Fu quella l'ultima cosa che Gwyddin vide prima di sentire l'acuto dolore di un morso alla caviglia.
Un serpente, boccheggiò, guardando a terra.
L'ironia della vita continuava a sorprenderlo.


Mordred non aveva mai particolarmente amato lo scudiero di Lot.
Gwyddin era sgarbato, si lamentava spesso ed amava parlare bofonchiando in modo che Mordred non potesse leggere ciò che diceva. Ma allo stesso tempo conosceva la strada per Camelot, sapeva usare una spada ed era abbastanza vecchio da necessitare comunque l'aiuto di Mordred (e per questo, probabilmente, non l'avrebbe abbandonato in mezzo alla strada). Morgause adorava ed odiava l'uomo al tempo stesso, ma si fidava di lui.
"Ti ha salvato la vita," aveva spesso detto al figlio.
Mordred solitamente si limitava a scrollare le spalle. Non gli piaceva pensare alla notte in cui aveva rischiato di affogare.
No, Mordred non amava Gwyddin, ma non desiderava nemmeno vederlo morire sotto i suoi occhi.
"Tutta colpa di quella donna, vipera quanto... lei... vipera," esclamò Gwyddin, in un momento di lucidità.
Mordred l'aveva fatto salire sul vecchio cavallo grigio e mentre Ragno si aggirava attorno a loro uggiolando preoccupato, il principe di Camelot tentava di portare avanti la bestia ed impedire a Gwyddin di cadere a terra.
Non aveva la più pallida idea di che cosa fare in caso di morso di vipera.
Ricordava solo qualche vecchia storia del suo primo tutore che raccontava di come il figlio fosse morto per il veleno di una vipera. "Ci avevo messo dei fiori, ma non funzionò. Fiori freschi."
E così Mordred aveva fatto. Tenendo in una mano le briglie del cavallo, mentre il proprio animale seguiva obbedientemente, con l'altra premeva una manciata di fiori freschi contro la ferita.
Le labbra di Gwyddin erano diventate più difficili da leggere, come quelle di un ubriaco, ma tra un farfuglio e l'altro Mordred riuscì a captare qualche "Lot" e persino un "stupido serpente" quando era fortunato.
Improvvisamente, il giovane principe sentì che Ragno gli stava fermamente tirando i vestiti per attirare la sua attenzione e si guardò attorno. C'era un sentiero fangoso poco dietro ad un vecchio albero demolito da un fulmine.
Un vecchio monaco stava arrancando dalla loro parte, tenendosi ad un bastone, e stava probabilmente urlando qualcosa a Mordred.
"State bene?" riuscì a vedere il ragazzo, quando l'anziano uomo fu solo a pochi passi da loro.
Aveva i capelli completamente bianchi ed un'orrenda cicatrice sulla guancia sinistra.
"Il mio scudiero è stato morso da un serpente."
Il monaco annuì preoccupato. "Fareste meglio a portarlo al monastero, cavaliere," rispose, osservando gli abiti scuri di Mordred e la spada al suo fianco.
Non sono proprio un cavaliere, avrebbe voluto correggerlo l'altro, ma non aveva tempo né voglia di farlo. Inoltre farsi credere un vero e proprio cavaliere poteva avere i suoi vantaggi.
Il monaco aiutò Mordred con il povero Gwyddin.
Ormai lo scudiero si era fatto silenzioso e ciondolava rozzamente sul proprio cavallo, avanti ed indietro.
Il monastero era più vicino di ciò che sembrava, nel cielo limpido e stranamente secco.
Era un luogo particolarmente bello, quasi ostentatamente ricco.
"Abbiamo un nobile benefattore," si difese il prete.
Il nobile benefattore doveva essere particolarmente generoso perché poco dietro al monastero si stagliava un altrettanto maestoso convento.
Un servo stava trasportando alcuni cavalli che parevano più militari che da lavoro ed un altro monaco, più giovane, lo stava guidando.
Mordred non riuscì a vedere cosa il proprio monaco avesse detto all'altro, ma dovette essere stato una richiesta d'aiuto perché subito dopo entrambi gli uomini aiutarono Gwyddin a scendere dal cavallo.
"-tore. Non vi preoccupate, è in buone mani," disse il monaco più giovane, voltandosi verso Mordred.
Non fidarti dei preti, gli aveva ripetuto sua madre. Ma in questo caso non aveva scelta.
E probabilmente, avrebbe lasciato lì Gwyddin e se ne sarebbe andato subito a Camelot. Sarebbe stata comunque una scocciatura in meno.
"-ndo?"
La lingua di Ragno sulla sua mano gli bastò per avvertirlo che qualcuno gli stava parlando e Mordred si voltò nuovamente verso il vecchio monaco.
"Potete ripetere?"
"Dove stavate andando? Siete dei viandanti, vedo, ma non avete stemmi su di voi."
"Sto andando a Camelot." Da mio padre, avrebbe voluto aggiungere e fu con un moto di irritazione verso se stesso che si morse la lingua.
"Nobile luogo! Nobile luogo! I più grandi cavalieri si trovano a Camelot. Perdonatemi non mi sono presentato. Sono Murodd."
"Sono Mordred, figlio di Morgause," rispose l'altro.
Avrebbe dovuto fingere, ma non ne vedeva il motivo. Almeno non fino a quel punto.
Gli occhi di Murodd si allargarono sorpresi e l'uomo iniziò ad osservarlo con sospetto.
"Figlio di Morgause? Conosciamo la sorellastra del re."
"Sono felice che la conosciate," sorrise Mordred. Sapeva di non avere un sorriso particolarmente affascinante. Uno dei suoi canini era storto. Tutto merito della sua baldanza giovanile e del suo estremo passato desiderio di cogliere delle uova da un albero. "Sapete tutto di lei. E' una donna molto esigente e molto vendicativa."
"Non volevo- non- non intendevo intendere nulla. E' un grande regina," balbettò il monaco. "Noi conosciamo il nobile Gawain!" aggiunse.
"Certo. Ed ora conoscete anche il nobile Mordred."
Il monaco annuì e non sapendo cosa aggiungere fece strada verso l'interno del monastero. Probabilmente stava aggiungendo altre scuse o descrivendo l'edificio, ma Mordred non aveva alcuna intenzione di chiedergli di stare zitto o di parlargli direttamente. Se c'era una cosa che aveva imparato dal suo ultimo tutore (ed anche da Morgause, in realtà) era che mostrare volontariamente le proprie debolezze era una sciocchezza, un sintomo di demenza.
"-la nostra infermeria," finì il monaco, voltandosi verso di lui.
"Tremendamente interessante," rispose Mordred, freddamente.
L'uomo lo fece entrare e Mordred vide file di letti quasi tutti vuoti.
Un bambino se ne stava seduto assieme ad una donna dall'aspetto malandato sul letto accanto alla finestra, il monaco si fermò brevemente a parlare con loro.
Nel letto accanto alla porta vi era Gwyddin. L'uomo aveva gli occhi chiusi ed era tremendamente pallido.
Sopra di lui il monaco giovane gli stava parlando ed accanto a loro vi era un ragazzo che non indossava la tunica religiosa.
Vestiva come un nobile, ma senza la dorata esagerazione che Morgause tanto amava.
Aveva i capelli biondissimi e per un attimo Mordred lo credette una fanciulla. Ed effettivamente aveva il viso e le mani di una ragazza.
"-nostro guaritore."
"E' lui?" domandò Mordred, quando notò che il vecchio monaco era tornato al suo fianco.
L'uomo gli scoccò un'occhiata strana e Mordred capì che probabilmente gli aveva parlato fino ad ora del loro amatissimo guaritore.
"E' il figlio di lady Elaine, da poco la madre superiora del convento qui accanto. E' il nipote di Re Pellam."
Mordred aveva una vaga idea di chi fosse re Pellam. "Un vecchio fanatico che adora giocare con i veleni," gli aveva un giorno misteriosamente spiegato sua madre.
"Come avete detto che si chiama?"
"Galahad. Ha delle mani d'oro. Se non riuscirà lui a guarire il vostro amico non vi riuscirà nemmeno Dio."
Mordred non aveva grande fiducia in Dio e quindi non vedeva il senso dell'avere fiducia in questo Galahad, ma poiché Gwyddin non era proprio un 'amico', non se ne preoccupò più di tanto. Lui aveva fatto tutto il possibile.
"Dovrò ripartire molto presto," annunciò.
"Non rimanete nemmeno a vedere se il vostro servitore si riprende?"
Ragno gli morse leggermente la mano e Mordred alzò lo sguardo.
Il famigerato Galahad-guaritore-di-Dio si trovava davanti a lui. Con irritazione notò che da vicino perdeva un po' dell'aria da donna che aveva avuto. Era alto, anche se non quanto lui, ma le sue spalle erano più larghe.
"Il nobile Gwyddin si salverà," sorrise Galahad, con un sorriso perfetto in un volto perfetto.
"Non è il nobile Gwyddin, ma sono felice di non dover badare al suo funerale."
Il viso di Galahad si accigliò e gli occhi blu scuro di incupirono.
"Non dovreste parlare così di un uomo malato."
"Per quanto mi piacerebbe rimanere a chiacchierare con voi sulla salute dei vostri pazienti, temo che sia ora che io prenda il mio cavallo e torni in viaggio."
Il vecchio monaco gli passò oltre e quando il naso freddo di Ragno gli toccò la mano, Mordred si rese conto che l'alto gli aveva parlato o l'aveva saluto.
Stupido lento cane.
Ed ovviamente nell'attimo in cui Mordred distolse la sua attenzione per osservare il monaco, Galahad decise che era il momento più indicato per parlare. Con la coda dell'occhio vide la sua mascella muoversi, ma non riuscì a cogliere nulla.
Stupido Galahad.
"Cosa?"
"Ho chiesto dove vi state dirigendo," rispose Galahad con cautela, rallentando le parole (e di quello, suo malgrado, Mordred gli fu grato).
"Camelot. Non è forse dove tutti vanno? Anche voi dovreste andarci invece di rimanere rinchiuso in questo buco."
Questa volta Galahad rispose in fretta, arrotolando le parole fra di loro e Mordred non riuscì a capire assolutamente nulla.
Le sopracciglia di Galahad si alzarono ed il principe si accorse che quella dell'altro non era che una prova.
"Bastardo," sibilò Mordred e con suo grande piacere Galahad arrossì violentemente.
"Perdonatemi, volevo solo-"
"Certo," replicò Mordred, bruscamente, dando un colpetto alla testa di Ragno e voltandosi per andarsene.
La mano di Galahad sul suo polso non fu una sorpresa perché il cane gli colpì la gamba con il torso per avvertirlo, ma i calli sulla mano del guaritore lo furono. Sapeva che in realtà non avrebbe dovuto sorprendersi. Come nipote di un re probabilmente era stato addestrato per diventare un cavaliere.
"Non avevo mai visto nessuno come voi," disse Galahad, quando Mordred si fu nuovamente girato a guardarlo (perché nonostante tutto c'era qualcosa, qualcosa, e lui voleva davvero sapere cosa l'altro gli stesse dicendo).
"Come me."
"Così abile," si corresse il giovane, arrossendo nuovamente. La sua pelle era così pallida che non gli era difficile. "Leggete le mie labbra. Nessuno se ne è accorto."
"Sono felice che il mio fascino vi abbia colpito. Voi invece mi parete abbastanza comune quindi sono costretto a districarmi dalla vostra deliziosa presenza e riprendere il mio viaggio. Se non vi dispiace," continuò infine Mordred, alzando il proprio polso attorno al quale c'era ancora la mano di Galahad che bruscamente lo lasciò.
"Oh, scusate, sì," rispose l'altro senza dar segno di essersi offeso per le sue parole.
Probabilmente era un po' lento.
"Vi farò sapere a Camelot come guarisce il vostro amico, allora" si affrettò ad aggiungere, prima che Mordred si voltasse nuovamente ed uscisse dal monastero.

Mordred Inlè
24-09-2010, 18.34.52
02. Amore fraterno

Enid non avrebbe mai voluto aiutare lo straniero, ma Geraint era stato irremovibile e dopo tutte le difficoltà che avevano passato lei non se la sentiva di contraddirlo.
"Non mancherà molto, noi torniamo in Dumnonia, ma non vi dovrà essere difficile raggiungere Camelot, da qui," esclamò Geraint, dall'alto del suo cavallo scuro.
Lo straniero aveva detto di chiamarsi Gwyddin, ma Enid era abbastanza sicura che avesse mentito. Quando i due sposi gli avevano chiesto da dove venisse lui aveva semplicemente cambiato discorso ed iniziato a parlare di un monastero al quale si era fermato lungo la strada. E che voleva raggiungere Camelot.
Enid avrebbe davvero voluto non dover allungare il loro cammino e poter tornare subito in Dumnonia perché lo straniero la metteva seriamente a disagio.
Le ricordava qualcuno che aveva già visto, come una vecchia memoria, ma forse era solo una donna suggestionabile, come spesso le diceva Geraint.
Gwyddin aveva degli occhi immobili e grigi che più che guardare parevano bere il mondo attorno a lui e le persone con esso. Probabilmente doveva avere anche qualche cosa che non andava nella testa perché era sempre distratto e parlava trascinando in modo buffo alcune parole.
Per non parlare del fatto che aveva un cane orrendo, grosso come un lupo e con il pelo arruffato come quello di una pecora.
"Continuate da qui, non necessiterete che poche ore," ripeté Geraint e finalmente Gwyddin si voltò a guardarlo.
"E' laggiù?" domandò, indicando la strada che per ben due volte il marito di Enid gli aveva mostrato.
"Non ci avete detto cosa andate a fare," intervenne Enid mentre Geraint le riservava con un'occhiata di disapprovazione.
"Vado a raggiungere mio padre," sorrise Gwyddin.
Mentre i due sposi osservavano lo straniero avviarsi con il cane verso la splendente Camelot, Enid si chiese perché, improvvisamente, si sentiva come se avesse appena lasciato una volpe affamata in una corte di povere oche.

Camelot aveva un aspetto bizzarro.
Mancavano gli impagliati e fangosi edifici che avevano circondato il castello di Morgause.
Tutto sembrava più ordinato, regolare, e Mordred si chiese se tutto quello non fosse la mitica 'perfezione romana' di cui il suo ultimo tutore aveva tanto parlato.
Tutto era più pulito anche se le strade erano affollate più di come lo erano state nelle Orcadi. Gli animali ed i carri vagavano ed uscivano da ogni dove e la confusione dovette essere abbastanza irruente da innervosire il giovane cavallo di Mordred. perché questi continuava a muovere il collo a scatti e voltare le orecchie in ogni dove.
Anche Ragno aveva le orecchie diritte, la coda sollevata e si guardava attorno con apprensione, portando ogni tanto il muso a mordere lo stivale del suo padrone.
"Andiamo avanti," ordinò Mordred, facendo camminare il cavallo tra le casupole ed i volti dei contadini e delle massaie. Questi gli facevano spazio, occhieggiando i suoi abiti e la sua cavalcatura.
Una bambina dai lunghi capelli biondi ed una veste di stracci rossi corse da lui con in mano un mazzetto di fiori di lavanda e tentò di darli a Ragno.
"Non ama i fiori," la avvertì Mordred, incerto. Non aveva mai conosciuto molte bambine ed aveva la strana idea che fossero magiche creature estremamente delicate.
Era cresciuto con sua madre, sempre accanto a lei o ai fratellastri maggiori, e non aveva mai avuto l'occasione di giocare con i figli e le figlie dei servitori.
"Tutti amano i fiori!" protestò la bambina e corse via saltellando.
Avrebbe dovuto chiederle come entrare nel castello, ma ormai era troppo tardi.
Decise di seguire i carri. La maggior parte di questi si stava dirigendo davanti a lui, curvando dopo una fucina e probabilmente aggirandola per raggiungere l'entrata.
E così fu.
Il castello aveva un enorme portone aperto, ordinato e meccanicamente perfetto come tutto il resto.
Due guardie con una elaborata cotta di maglia stavano sedute accanto ad esso a mangiare ed una terza, che in più aveva una tunica rossa con un dragone dorato, osservava i carri che tentavano di entrare.
Mordred spronò il proprio cavallo e, sospirando, si preparò alla conversazione.
Sperò solo che la guardia non fosse ubriaca, non aveva alcuna voglia di fare ancora una volta la figura dello stupido.
Vedendolo avvicinarsi, il soldato distolse lo sguardo dal carro accanto a lui ed alzò una mano verso Mordred.
"Sono qui per vedere il re. Sono Mordred delle Orcadi, nipote del re e figlio di Morgause figlia di Igraine," annunciò. Per un fugace attimo si chiese come suonasse la propria voce. Abbastanza autoritaria? Sperò di sì.
"Siete il fratello di sir Gawain?" sorrise la guardia e spostò lo sguardo per fare un cenno ai due uomini che stavano mangiando.
"Aglovale, portate il nipote del re da sir Gawain, sarà felice di rivederlo," annuì la guardia e Mordred scese da cavallo.
L'uomo dal nome di Aglovale era più giovane degli altri. Aveva degli occhi chiari e sottili ed una folta chioma di capelli castani.
"Sir Mordred," lo salutò Aglovale, con un sorriso.
Mordred non si premurò di correggerlo e lasciando il cavallo all'altra guardia seguì Aglovale dentro il castello.
Le pietre del castello sembravano essere appena state poste l'una sull'altra. Probabilmente era un castello antico, ma pareva essere stato curato con un tale amore da risultare quasi nuovo, maestoso, tremendo.
Aglovale si fermò a parlare con un'altra guardia e salutò con un profondo inchino una giovane dama dai capelli rossi.
"-tro padre, nobile Rhelemon." Riuscì solo a capire e decise semplicemente di ignorare la conversazione.
Secondo l'etichetta avrebbe dovuto presentarsi, parlare con loro, ma si limitò ad un cenno del capo sapendo di risultare sgarbato ed altezzoso.
Rhelemon ricambiò il veloce saluto e Mordred notò che il suo viso era ridicolmente e completamente coperto da lentiggini.
"Sir Gawain si trova all'armeria e mio padre sta bene, vi ringrazio Aglovale."
"Questi è il fratello di sir Gawain. Giunto a-" Aglovale si voltò nuovamente verso la giovane fanciulla e Mordred perse il resto della frase.
"Assolutamente sì," rise Rhelemon, in risposta.
Il giovane Aglovale non aggiunse altro di comprensibile a Mordred e si limitò a procedere verso l'armeria, lasciando indietro Rhelemon che si affrettò in una porticina lì accanto.
Forse andava ad incontrare qualcuno? E di chi era figlia?
Scopri tutto ciò che puoi, ricordati che la sapienza può sempre essere usata a proprio vantaggio, risuonarono le parole di Morgause.
Ma il mondo era troppo affollato in quel momento per potersi distrarre. Qualche cane da caccia giunse a scodinzolare ed annusare Ragno mentre un vecchio allevatore si scusò con i due nobili per l'intrusione degli animali.
"Eccoci. L'armeria è sotto la guarnigione dove viveva vostro fratello. Fino al matrimonio, ovviamente. Conosco dama Ragnelle, è una vera signora. Ora che mi ricordo, avete anche altri due fratelli qui a Camelot, se non mi sbaglio. Sir Agravaine e sir Gaheris sono sicuramente nella guarnigione, potreste-"
Mordred alzò una mano per fermare quel fiume di parole.
"Vi ringrazio, da qui potrò trovare Gawain anche da solo," esclamò e prima che l'altro potesse aggiungere altro lo superò ed entrò nell'armeria.
Non era di molto dissimile da quella che avevano alle Orcadi anche se qui tutto era più grande.
Doveva essere l'ora sbagliata della giornata perché il luogo era quasi deserto.
Gawain, seduto su uno sgabello di legno, stava lucidando un elmo mentre un uomo dalla pelle scurissima e gli occhi di un falco lo stavano aiutando a slacciare la gorgiera.
Vedere Gawain non fu una sorpresa. Dopotutto era colui che stava cercando. Ma allo stesso tempo fu una novità.
Era più di un anno che non vedeva il proprio fratellastro ed in ogni caso non aveva mai avuto molte occasioni per stare con lui. Erano sempre parsi degli estranei, l'uno all'altro, con troppi anni di differenza e troppo poco tempo per parlarne. Inoltre Gawain era la raffigurazione stessa della forza, della giustizia e Mordred suo malgrado non poteva che esserne irrimediabilmente intimorito ed affascinato al tempo stesso. Se mai Mordred avesse potuto desiderare un figlio (o un padre, pensò amaramente) quello sarebbe stato Gawain.
"Un figlio che tradisce il proprio padre per la gloria," ritornò la voce di Morgause, ma Mordred non riuscì a ricordare se stesse parlando di lui o di Gawain.
"Mordred!" sorrise sir Gawain sollevando il volto, appena lo vide.
Forse proprio perché si vedevano così poco, Gawain era sempre felice di incontrarlo.
"Sir Gawain," annuì Mordred, improvvisamente imbarazzato.
"Sir Palamede, questo è il mio fratello più piccolo," lo presentò il cavaliere, premurandosi di parlare rivolto verso Mordred.
L'uomo dalla pelle scura, Palamede, sorrise sinceramente e pronunciò qualcosa di simile a "E' un piacere fare la vostra conoscenza."
Gawain, sempre sorridendo (perché non smetteva mai, nemmeno alle Orcadi) gli si avvicinò e gli prese il volto fra le mani, come era solito fare quando voleva dirgli qualcosa di davvero importante.
"Sono felice che siate finalmente arrivato anche voi a Camelot. Vedrete che qui è tutto diverso. Sarà tutto diverso."
Certo, ovviamente, avrebbe voluto rispondere Mordred, è una vera fortuna che Morgause non si fidi così facilmente di voi.
"Certo, sir Gawain."
"Agravaine e Gaheris saranno felici di vedervi, sono nella guarnigione credo, o sono usciti a caccia, non ne sono certo. Fratello, dovrò presentarvi al re. Sarà felice di avervi qui."
Mordred si irrigidì. Persino Palamede alzò il volto, sorpreso.
Mordred non sapeva esattamente cosa Camelot sapesse di lui, ma era sicuro che Morgause non aveva per nulla tentato di tener nascosta la vicenda del suo quasi annegamento. Sarebbe stato favorevole per la loro causa l'idea che il giusto e nobile re Artù avesse ordinato di far uccidere un innocente bambino.
"Il re sarà fuori dal castello fino a questa sera, venite, vi faccio trovare una sistemazione."
Fra tre mesi ci sarebbe stato un torneo.
Re Artù era sempre pronto ad unirsi agli allenamenti dei suoi soldati e dei suoi cavalieri.
La regina Ginevra era la dama più bella della corte.
E mille altre inutili informazioni raggiunsero gli occhi di Mordred, mentre Gawain gli mostrava i suoi alloggi.
"Ragno potrà rimanere con voi, credo." Gawain non aveva mai saputo del vero nome del cane.
Il cavaliere gli spiegò che avrebbe dovuto dormire con Agravaine e Gaheris e la cosa non disturbò Mordred più di tanto. Aveva sempre dormito nel grande letto assieme a loro quando erano piccoli ed in questo modo non avrebbe dovuto incontrare nessun giovane ed irruente cavaliere desideroso di diventare il suo amichevole compagno d'armi e alloggi.
"Non c'è molto spazio. Manca ancora molto, ma iniziano ad arrivare sempre più guerrieri per il torneo." E Gawain proseguì con una lunga lode del noto sir Lancillotto.
Lancillotto era bello. Alto. Affascinante. Desiderato da tutte e non c'era torneo che non vincesse.
Mordred, anche se non lo avrebbe ammesso mai, sarebbe volentieri rimasto ancora con Gawain. Il fratellastro parlava con chiarezza ed aspettava con pazienza le risposte, senza mai distogliere lo sguardo dal suo volto. Con lui non c'erano parole perse o segrete.
Gawain però non era un cavaliere chiunque. Mordred aveva sempre saputo che era particolarmente amato e rispettato, ma solo nei mesi successivi arrivò a comprendere l'adorazione che i più giovani e le dame avevano per lui.

"-dred."
Mordred si sarebbe aspettato chiunque. Non aveva davvero creduto alla leggerezza con cui Gawain aveva spiegato l'umiltà del re. Non credeva sul serio che re Artù, il Grande Re della Britannia, vagasse per il castello e per l'armeria come un semplice cavaliere.
Evidentemente si sbagliava.
Un attimo prima si trovava seduto sulla stessa sedia che aveva occupato Gawain quel pomeriggio ed un attimo dopo Ragno gli stava mordendo delicatamente una mano e Artù era davanti a lui.
Vestiva come un re ed era alto, più alto di chiunque altro avesse mai conosciuto, con una rasatura distratta più che una vera e propria barba.
Mordred non ebbe dubbi sulla sua identità perché Morgause l'aveva avvertito. Gli stessi capelli, le stesse mani spigolose, lo stesso naso, la stessa bocca.
"Sire," sussurrò il figlio di Morgause, inciampando sulla parola.
Non era pronto. Era un'imboscata? Per ucciderlo? Per umiliarlo? Per cacciarlo?
Si alzò in piedi perché non aveva alcuna intenzione di dare all'altro più vantaggio del dovuto, ma quando Artù si trovò di fronte a lui Mordred dovette comunque alzare la testa per guardarlo negli occhi.
Con una nota di panico si accorse di avere lasciato la propria spada a terra (ma cosa avrebbe potuto fare? Rovinare completamente il piano di Morgause? Uccidere il Grande Re?).
"Mordred," ripeté il re. Se solo avesse potuto sentire la sua voce- se solo avesse potuto- "Sir Gawain mi ha detto che eravate giunto."
Ragno annusò incuriosito le mani del re, girandogli attorno.
"Sire," ripeté l'altro, ancora, sentendosi uno sciocco.
Sono vostro figlio. Avete tentato di uccidermi. Avete fatto soffrire mia madre. Avete rubato i miei fratelli. Avete-
"So che forse vi chiederete perché sono qui a parlarvi. Di solito non do simili udienze ai miei cavalieri."
"No. Non me lo chiedo, sire."
Se Artù parve sorpreso non lo diede a vedere.
"Quindi sapete."
Non avrebbe dovuto rivelare così i suoi segreti. Avrebbe dovuto aspettare, conquistarsi la fiducia degli altri cavalieri.
"Sono vostro figlio." Sperò solo che non fosse uscita come una domanda ed arrossì ricordando di quelle volte in cui Agravaine si era preso gioco di lui per le parole che diventavano trascinate e forzate quando era nervoso.
"Sì, non posso negarlo. Siete il mio primogenito ed il mio unico figlio. Ma non ho perso le speranze che mia moglie possa darmi un erede un giorno. E voi- sapete della vostra nascita della-" (forse che il re era seriamente imbarazzato quanto lo sembrava?)
Non c'erano bisogno di particolari spiegazioni. Mordred non era nemmeno molto sicuro di come riuscisse a capire cosa il re (il padre) stesse dicendo. Era come essere immersi in una bolla di nebbia, senza l'esatta sensazione di cosa stesse accadendo accanto a lui.
Ma doveva fare attenzione. Sempre attenzione. Non poteva abbassare la guardia.
"Capisco, sire. Non sono venuto a chiedervi nulla se non ciò che vi hanno chiesto i miei fratellastro."
"Allora sarò io a chiedere a voi un piacere. Vi prego di- vi prego di mantenere il nostro segreto."
Il nostro segreto?
"Avete-" tentato di uccidermi, "-tutto il diritto di chiedermelo. Rispetterò il vostro desiderio."
Non gli avrebbe permesso di umiliarlo ulteriormente. Di negare o scusarsi.
Rigidamente, Mordred si inchinò a terra.
"Avrete ovviamente tutti gli onori che-" E poiché Artù sembrava quasi pentito, in colpa e così diverso dal re che si era immaginato, Mordred distolse lo sguardo ed ignorò il resto della frase.
"Vi chiedo il permesso di tornare nelle mie stanze. Il viaggio mi ha molto stancato, sire."
Artù aprì la bocca per aggiungere qualcosa e sembrò, per un veloce drammatico momento, disperato quanto il figlio.
Infine annuì e lasciò che Mordred, deluso e irritato, uscisse dall'armeria per tornare alla guarnigione.

Agravaine e Gaheris tornarono quella notte stessa.
I due uomini erano sempre stati stranamente in competizione fra di loro, forse per il disperato desiderio di farsi notare da loro madre sempre occupata con il piccolo Gareth o con il suo prezioso Mordred. Nonostante questo, nessuno dei due teneva particolare rancore verso i due fratelli minori.
Mordred stava dormendo quando i due entrarono ed ovviamente non si accorse di nulla. Ragno conosceva troppo bene i due fratelli per ricordarsi di svegliare il suo padrone e si buttò su di loro, scodinzolando e saltando emozionato.
A svegliare Mordred invece fu il peso di Agravaine che si era appena lanciato, senza alcuna grazia, su di lui, scompigliando coperte ed agitando il cane ancora di più.
"Agravaine!" urlò Mordred, con il cuore che batteva a mille per il terrore. Si osservò attorno con occhi spalancati e captò qualche parola da Gaheris.
"-avaine, sei un incosciente. L'hai ucciso."
"No, sto bene," rispose Mordred, senza fiato.
Agravaine stava ridendo, si capiva perfettamente dal modo in cui le sue spalle ondeggiavano. Nel continuo accesso di ilarità, il fratellastro si lanciò nuovamente su Mordred.
"Lasciami, che il Dio cristiano ti maledica, Agravaine."
Il fratellastro maggiore lo lasciò e sospirò voltandosi finalmente verso di lui.
"Gawain ci ha detto che eri giunto a Camelot."
Gaheris gli prese il volto tra le mani e lo voltò bruscamente verso di sé. "Abbiamo anche ricevuto una lettera da Morgause." Per qualche motivo, il giovane cavaliere aveva smesso da anni di chiamare loro madre con l'appellativo ricolmo d'affetto.
Mordred sussultò quando Agravaine si prese nuovamente la sua attenzione, appoggiandosi sul suo stomaco.
"E' giunto il momento per te di diventare un cavaliere, eh?"
"Così dicono."
"Hai sentito cosa-"
"-tera con ben poche spiegazioni."
"Vi prego!" urlò (o almeno credette di farlo), "uno alla volta."
A fatica, Mordred si mise a sedere, sentendo il proprio cuore tornare ad un velocità quasi normale. Scoccò uno sguardo irato a Ragno che, ignaro di tutto stava ancora scodinzolando. Il cane avrebbe dovuto svegliarlo appena qualcuno fosse entrato nella stanza. Per quanto trovasse piacevole la compagnia dei suoi fratellastri, avrebbe voluto avere il tempo di prepararsi.
"Gaheris," ordinò Mordred.
I capelli castani di Gaheris erano di molto cresciuti dalla sua ultima visita alle Orcadi ed i pochi minuti prima li avevano lasciati scompigliati ed arruffati, dandogli lo stesso aspetto che aveva avuto quando erano ancora piccoli e si arrampicavano sulla scogliera in gare di abilità.
"Hai sentito di Gareth? E' qui al castello."
"Nessuno mi ha parlato di lui. Madre ha detto che si trovava dai nostri cugini, al castello di Morgana."
"Ywain è giunto a Camelot qualche giorno fa portando con sé un ragazzino che subito ha chiesto di poter andare a lavorare nelle cucine," sorrise Gaheris, "appena ci ha visti ci ha subito supplicati di starcene zitti e buoni."
"Perché vuole lavorare nelle cucine?" domandò Mordred, sorpreso.
Gareth era sempre stato in grado di sorprenderlo. Silenzioso, l'ombra di Morgause. Non aveva mai amato giocare sulla scogliera e sbucciarsi le ginocchia ed aveva passato giorni e giorni ad allevare piccoli pulcini abbandonati e tentare di insegnar loro a volare.
Aveva sempre voluto diventare un cavaliere, in un modo che Mordred non riusciva a capire e non vi sarebbe mai riuscito.
"Perché vuole diventare un cavaliere per le sue doti e non perché è nipote del re."
Mordred inarcò le sopracciglia, confuso. "E come spera che lavorare nelle cucine lo aiuterà ad ottenere il titolo?"
"Spera che dalla zuppa di dama Fyllon un giorno esca un drago," spiegò Agravane, con semplicità, sbadigliando.
"Hai già incontrato il re, Mordred?" intervenne Gaheris, con un leggero colpetto sulla sua spalla per catturare la sua attenzione.
Morgause non aveva mai apertamente parlato della sua famosa notte con Artù e delle origini di Mordred anche se le voci erano impossibile da fermare. Chi aveva visto il re anche solo una volta e poi incontrato Mordred non poteva non avere dei dubbi, conoscendo il famoso incidente del suo rapimento ed il misterioso modo in cui Artù si era comportato la prima volta che scoprì di aver avuto un figlio da Morgause (una sera Mordred aveva origliato sua madre e Gawain che ne parlavano).
Morgause non aveva mai direttamente detto ad Agravaine e Gaheris del padre di Mordred ed i due non avevano mai chiesto perché non ne avevano bisogno.
"Sì. Un incontro deludente."
E l'aveva incontrato ancora, quella notte, nei suoi sogni. L'aveva sognato mentre chino su di lui tentava nuovamente di affogarlo.
Ma questa volta non c'era il vecchio Gwyddin a salvarlo quasi per sbaglio.

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Per il terzo capitolo ci vorrà un po' di tempo...
Purtroppo è tutta colpa mia. L'avevo già scritto, avevo già anche iniziato il quarto e fatto la scaletta fino al quinto, ma ho fatto un errore ed ho eliminato i files sul desktop.
Sono un pollo, non dovrei lasciare sul desktop i miei file così... bhè ho cancellato tutto ed al momento (me ne sono accorta ora) sono abbastanza già di morale...
Ho persino provato con Recueva a trovare i files perduti, ma nulla da fare.

Mordred Inlè
22-10-2010, 21.07.16
03. Figli di regine

C'era chi pensava a Camelot ed immaginava la cittadina della gioia, un luogo mitico, luminoso.
Anche Mordred l'aveva creduta così, nonostante tutto ciò che lo aspettava là, ma il ragazzo scoprì ben presto che il primo rito di passaggio per diventare cavaliere era la delusione.
Camelot non era luminosa. Pioveva a Camelot come in tutto il resto della Britannia.
Gli uomini di Camelot erano come quelli delle Orcadi. Bisbiglianti, diffidenti.
L'unica differenza era il gelo. Alle Orcadi ognuno se ne rimaneva chiuso nel proprio bozzolo glaciale ed osservava il resto del mondo con sospetto.
A Camelot invece le persone stavano assieme, come un vecchi branchi lupi. E questi gruppi si guardavano l'uno con l'altro con un'invidia ed un astio che Mordred aveva solo visto negli occhi della propria madre.
Al giovane principe non ci volle molto per capire come andavano le cose.
C'erano i cavalieri delle terre straniere, tra cui l'amico di Gawain, Palamede, che poiché non cristiani venivano spesso motteggiati dagli altri, ma sempre con una punta di dolcezza.
Vi era la fazione di Gawain, la fazione degli entusiasti, con i suoi fratelli e qualche altro cavaliere errante come l'enorme Mador ed il sempre ubriaco Sagramore.
E come a contrasto di questa, Bors aveva un proprio manipolo di cavalieri. I santi.
Più Agravaine e Gaheris bevevano e ridevano, più Bors e Aglovale si rifugiavano nella preghiera.
Ed infine vi era quello che Mordred aveva imparato a conoscere come i cavalieri di Artù. Bedivere, Kai, Griflet, Dinadan, e c'era chi diceva anche Lancillotto, erano quei pochi cavalieri che parevano avere la fiducia illimitata del loro sovrano.
Mordred li odiava e li invidiava con una passione ed una forza che non avrebbe mai pensato di poter avere, ma che accoglieva con gioia. Era uno dei pochi sentimenti che poteva esprimere.
La mostrava con orgoglio ogni volta che Bors passava davanti a lui, ogni volta che le bocche dei cavalieri si muovevano diffidenti alla vista dell'ultimo figlio di Morgause.
Le voci avevano già iniziato a girare.
"-glio di Artù? L'aspetto fisico potrebbe e-"
"E' stupido, vi dico. Non capisce quello che gli state di-"
Gawain, come un enorme falco, tentava di tenerlo occupato ed impedirgli di capitare sulla strada di Bors che era sempre pronto a farsi il segno della croce ogni volta che se lo trovava davanti.
"Ci stiamo preparando per il torneo," ripeté Gawain, forse per la centesima volta, "il re mi ha affidato il compito di controllare l'armeria."
"Ha dato a te il compito. Non capisco perché dobbiamo aiutarti," rispose Agravaine, incrociando le braccia sul petto. Gaheris aggiunse qualcosa che Mordred non riuscì a cogliere.
"Gareth?" replicò Gawain, dubbioso. "No, non so ancora quando tornerà."
Gareth, che si era nascosto nelle cucine facendosi chiamare Beaumanis, aveva finalmente trovato la propria avventura ad una sola settimana dall'arrivo di Mordred.
Una damigella era giunta a corte, con aria così fiera e terribile da aver spaventato i cavalieri più giovani. I più anziani, i nobili della tavola rotonda, invece si erano rifiutati di aiutarla.
Era stata una scelta razionale. Il torneo era vicino ed era un evento che avrebbe portato loro una gloria immensa. La dama invece rifiutava di dire il proprio nome e nessuno sapeva se fosse una nobile o solo un'educata paesana.
Beaumanis era stato l'unico a proporsi e la fanciulla, a malincuore, aveva accettato l'aiuto di un semplice garzone da cucina.
Agravaine si voltò verso Mordred e gli sorrise furbescamente. "E' un vero peccato che sia partito. Sono certo di aver visto dei fumi mostruosi ed una testaccia nera uscire dalla zuppa della cucina questa mattina. E lui non è qui a proteggerci!"
"Gareth si è comportato con onore," lo rimproverò Gawain, con cipiglio severo.
Ed era vero.
Anche il re aveva guardato Gareth con una malcelata ammirazione. Quando il fratellastro si era alzato per seguire la damigella, Mordred aveva quasi desiderato di poter essere al suo posto.
Alzarsi, aiutare una dama e ricevere l'ammirazione di Artù. Aveva passato notti ad immaginare come sarebbe stato.
Il re lo avrebbe accolto a braccia aperte, al suo ritorno, anche se ci sarebbe stato un po' di imbarazzo. All'inizio Mordred lo avrebbe ignorato, ma infine avrebbe accettato il suo affetto ed in cambio Artù gli avrebbe spiegato che il tentativo di affogarlo era stato un terribile incidente.
Ragno gli morse con forza la mano e Mordred sobbalzò.
"Hai sentito quello che ti ho detto?" gli stava chiedendo Gawain.
"Cosa?" (Vivi in un mondo difficile, non devi mai distrarti, tornarono le parole di Morgause, nella sua testa).
"Ti ho chiesto se potevi occuparti di aiutare Gaheris con il fabbro."
Il principe annuì.
Erano mansioni da scudiero, ma a Mordred non dispiaceva. Sapeva di essere in una sorta di nebbia confusa, né scudiero né cavaliere.
I suoi fratelli avevano già abbastanza scudieri e gli altri cavalieri sembravano troppo confusi per persino provare a parlare con lui, incerti su come comportarsi con un uomo che appariva come un stupido ed aveva l'aspetto di re Artù.
Gawain gli aveva assicurato che Artù aveva intenzione di farlo cavaliere dopo il torneo e che Mordred non doveva preoccuparsi di nulla.


Ogni cavaliere pensava al torneo, sognava il torneo. I più giovani vedevano in quella prova di forza la possibilità di farsi notare, di divenire il nuovo Gawain o il nuovo Lancillotto. I più anziani, anche se non lo avrebbero ammesso facilmente, avevano nostalgia del sentimenti di forza e fratellanza che la guerra aveva donato loro.
L'ansia della novità aveva colto persino le dame. Fanciulle, nobildonne e principesse vagavano per il castello con la stessa aria sognante e piena di aspettative. La maggior parte di loro tenevano nascosto tra le mani un nastro colorato da donare quasi segretamente al cavaliere che avrebbero sostenuto.
Fu così che Mordred incontrò la regina per la prima volta.
L'aveva già vista, ovviamente, da lontano e l'aveva trovata piccola e ben poco regale. Un nulla in confronto alla regina che avrebbe potuto essere Morgause.
"Non partecipo al torneo." Fu questa la prima cosa che disse Mordred, quasi senza pensarci, quando una donna si fermò davanti a lui.
"Lo so," sorrise la donna, incerta e, con orrore, Mordred notò che si trattava della regina.
Da vicino Ginevra appariva ancora più piccola e nervosa. Negli altri paesi le regine erano leoni o cerbiatte, a Camelot la moglie del re era un furetto.
"Mia regina, perdonatemi, non prestavo attenzione."
"Volevo solamente chiedervi come vi trovate a Camelot," continuò la regina, continuando a sorridere. C'erano delle richieste di scusa nei suoi occhi e il ragazzo seppe che non erano rivolte a lui, ma al mondo intero.
Conosceva quel genere di persone. Donne, o uomini, che vagavano per la terra come fantasmi delicati e per quanto amore potessero ricevere dagli altri si sarebbero sempre sentiti di troppo ed in dovere di scusarsi per quello.
"Mi trovo bene, grazie mia regina, sono tutti molto cortesi con me."
"Ne sono felice."
Mordred chinò il capo. Per quanto quella piccola donna potesse apparire innocua era pur sempre la regina, con alteri capelli raccolti ed il marchio dell'attenzione di Artù su ogni vestito e gioiello.
Mentre gli occhi del principe scrutavano il terreno e la coda di Ragno scodinzolava pigramente, le mani della regina si posero sulle sue tempie.
Aveva dita delicate, fredde, così leggere che non furono loro ad alzare il volto di Mordred, ma fu il principe a sollevarlo per la sorpresa.
"Volevo darvi il benvenuto a Camelot. Anche da parte del re. Può sembrare un uomo freddo, ma vuole bene a tutti i suoi sudditi."
Mordred cercò disperatamente negli occhi di Ginevra, ma se lei sapeva non mostrava nulla. La regina si limitò ad annuire tra sé e sé un paio di volte prima di sorridere timidamente e lasciarlo lì, immobile, con il cuore che batteva più forte del dovuto e l'ansia della paranoia che si affacciava nella sua mente.


Il ritorno di Lancillotto a corte non fu una sorpresa.
Tutti si aspettavano che il nobile protettore della regina tornasse dalle sue peregrine avventure per sbaragliare gli altri in quel torneo, esattamente come faceva ogni volta.
Fu per questo che, una mattina in cui l'aria si faceva particolarmente fredda, il nitrito di gioia del cavallo del messaggero venne accolto con un senso di attesa finalmente soddisfatta.
I popolani uscivano dalle proprie capanne e case per riversarsi sulla strada ed incontrare il cavaliere straniero che li aveva sempre così tanto affascinati. Le dame al castello preparavano petali di fiori da lanciare sui capelli francesi dell'uomo e persino i cavalieri lasciarono i loro compiti per riversarsi sulla corte che dava sul cancello ed attendere l'arrivo.
Bors, Lamorak e gli altri figli di Pellinore erano in prima fila, vestiti di tutto punto come se dovessero accogliere un re.
Anche Gawain scese nella corte ed uno strano sorriso speranzoso e finto indifferente era dipinto sul suo volto.
Per una volta Mordred fu felice di non sentire nulla delle chiacchiere e della confusione che si diramava attorno a lui. Sapeva cosa stava accadendo: gridolini eccitati, racconti di grandi gesta, sospiri.
Quando un cavaliere lanciò in aria il proprio guanto, Mordred capì che Lancillotto doveva essere vicino.
Rovistando con lo sguardo tra la folla scorse persino la regina ad attendere il cavaliere, affacciata dalla propria stanza del castello.
Ci vollero altri abbandonati minuti prima che Lancillotto arrivasse. Era accompagnato da un'altra persona, ma Mordred non aveva dubbi su chi di loro fosse Lancillotto.
Per prima cosa perché Lancillotto non poteva essere altri che l'uomo dalle spalle enormi e gli occhi così fermi e cortesi da incutere il più grande rispetto anche in un misero fuorilegge. E come seconda cosa, l'uomo che cavalcava a qualche passo da lui era senza alcun dubbio Galahad.
Vedendoli così vicini, con lo stesso portamento ed i sorrisi di poco dissimili, Mordred non ebbe dubbi su chi fosse il nobile padre che aveva sedotto la figlia di re Pellam.
La mano di Agravaine lo riscosse dai nuovi arrivati e quando Mordred si voltò a guardarlo il fratellastro sorrise divertito.
"Il nobile Lancillotto porta sempre dei nuovi cuccioli alla nostra umile corte."
"Quello è il nipote di re Pellam," rispose Mordred, sorpreso e compiaciuto di avere, per una volta, una notizia ignota all'altro. "E figlio di Lancillotto, se i miei occhi non mi ingannano."
"Il figlio di Lancillotto!" rise Agravaine, osservando Galahad con nuovo interesse.
I due viandanti erano finalmente smontati da cavallo e sir Bors li stava abbracciando entrambi, seguito da Lamorak e, con sorpresa di Mordred, anche da Gawain. Il suo fratellastro maggiore non sembrava conoscere Galahad, ma scambiò con Lancillotto qualche parola sinceramente cortese.
Fu in quel momento, sotto il braccio amichevole di Aglovale, che Galahad sollevò lo sguardo e notò Mordred.
Il principe si sentì quasi in colpa per averlo osservato con tale fissità, ma non fu disposto a retrocedere o prestare attenzione ai suoi due fratellastri per distoglierla dall figlio di Lancillotto.
Galahad però non parve confuso quanto lui e si voltò per dire qualcosa a Bors.
Fu una fortuna che quest'ultimo fosse rivolto proprio verso Mordred.
"-incontrato prima? Non dire sciocchezze. Vieni dentro a bere con noi. Non è compagnia con la quale tuo padre vorrebbe-" il resto si perse nella folla attorno agli arrivati.
Le parole però non bastarono a Galahad che sorridendo come se Bors non l'avesse appena rimproverato si districò dal suo abbraccio ed iniziò a farsi strada fra gli altri cavalieri.
Le mani di Agravaine afferrarono il mento di Mordred e lo voltarono bruscamente verso di sé.
"Come fai a conoscerlo? Sta venendo verso di noi."
Prima di poter rispondere, il figlio di Artù scorse una nube di capelli biondi a pochi passi da sé.
Quando Mordred spostò gli occhi su di lui, Galahad stava ancora sorridendo, incerto. Non parlava e pareva attendere di avere la sua completa attenzione prima di iniziare.
"Vi saluto, sir Mordred. Sono felice di vedere che siete giunto sano e salvo a Camelot."
"Fareste meglio ad ascoltare i vostri parenti, Galahad."
Fu la cosa sbagliata da dire perché gli occhi di Galahad si illuminarono subito. "Vi ricordate come mi chiamo."
Con la coda dell'occhio, Mordred scorse la bocca di Agravaine che si muoveva in fretta, ma era ormai troppo tardi per cogliere ciò che aveva detto.
Le sopracciglia bionde, quasi invisibili, di Galahad si alzarono e si aggrottarono. "Non capisco cosa intendete," rispose sinceramente.
"- qui a Camelot. O forse nessuno vi ha detto che vostro prozio uccise nostro padre?"
Galahad esitò. "Mi dissero fu una battaglia. E che vostro fratello Gawain uccise mio prozio Pellinore in torneo."
Mordred si voltò velocemente per poter guardare Agravaine, ma questi era immobile e, con un gesto falsamente umile, si stava scostando.
Lancillotto, accanto a lui, fece segno a Galahad di seguirlo.
"Spero di rivedervi ancora qui a corte, Mordred," sorrise Galahad, prima di obbedire al padre.

Hastatus77
25-10-2010, 14.32.55
Con tutti questi scrittori, inizio a fare un po' di confusione con le storie. :p

solomon kane
25-10-2010, 18.17.54
complimenti milady.sotira ricca di dettagli e personaggi con background elaborati proprio come piace a me.mi paicerebbe davvero tanto saper scrivere bene come voi.ancora ben fatto:smile_clap:

Sibilla
27-10-2010, 13.08.06
Complimenti milady.... avevo pensato di leggere un po' alla volta ma non ho resistito e l'ho fatto tutto d'un fiato... veramente ben fatto...:smile_clap: