Mordred Inlè
08-09-2010, 00.32.00
Yay! Spero di non bloccarmi con questa storia : D era da tanto che volevo scriverla e spero quindi di non deluderla e deludervi.
Questa è la seconda della serie Vite di Camelot, ma per leggere questa NON è necessario leggere Le luci della Villa, anche se mi fareste molto felice leggendola : D (anche quella è slash, Kai/Artù).
(PS: Questa storia, per alcuni personaggi, potrebbe avere un maledettissimo lieto fine).
Warnings del capitolo: preslash
http://www.mixtli.net/mordred/mordgal/icon17.png
Prologo
Fu Morgause ad impedire a Mordred di smettere di parlare quando il mondo divenne silenzio.
Morgause era sempre stata una donna testarda, una donna che sapeva perfettamente ciò che voleva e che mutava il mondo a suo piacimento, plasmandolo come creta. Una donna che si era sempre creduta una sorta di giusta dea vendicativa.
Quindi fu per merito suo se Mordred divenne ciò che poi tutti conobbero, nel male o nel bene.
Ed anche se non fu lei ad accudire il figlio colto da quella terribile febbre, perché non sopportava di vedere i suoi figli stare male, fu però Morgause a rimanere accanto a Mordred quando questi si rintanò tra le coperte del piccolo letto, nascosto dal mondo privo delle urla dei gabbiani.
Era a lei che le preghiere di Mordred andavano. Ed anche le sue maledizioni.
"Ho fatto tutto questo per una ragione e non sarai tu a rovinare i miei progetti," gli aveva detto Morgause, dopo aver scoperto che la febbre aveva rubato al figlio la capacità di sentire.
Fortunatamente Mordred non aveva sentito, ma l'espressione della madre non lasciava spazio all'immaginazione.
Fin da quando era bambino, Morgause gli aveva parlato del crudele Artù, del falso Artù che aveva mandato nel suo palazzo un terribile uomo di nome Severinus per fare del male ai suoi figli. Del sanguinario Artù che mandava cavalieri su cavalieri in battaglie disperate contro i Sassoni, perché incapace di ammettere la propria incapacità.
La prima parola che Morgause gli aveva insegnato fu Giustizia ed anche se Gawain un giorno urlò che la giustizia delle Orcadi sapeva di vendetta, Mordred non poteva fare a meno di ritornare ai suoi giochi di fanciullo in cui la Giustizia calava dal cielo a salvare la madre dal freddo destino del nord e cacciare il falso re da Camelot.
La seconda parola che imparò fu Merlino, subito seguita da Rapimento. Tutti alle Orcadi conoscevano la storia di come re Artù avesse mandato il suo fidato Merlino a rapire Mordred per poterlo affogare.
I racconti di Morgause non risparmiavano sui particolari, descrivendo i dettagli del ritrovamento del bambino, irrigidito dal freddo e con i polmoni piedi d'acqua.
Fu uno dei motivi per cui Mordred non imparò mai a nuotare. Temeva che l'acqua capisse di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo vivo e lo volesse nuovamente portare via con sé.
Giustizia fu anche la prima parola che Mordred disse quando smise di sentire.
Fu difficile dirne altre perché non gli ci volle molto per uscire da quella terribile febbre che aveva rischiato di ucciderlo all'età di dieci anni e scoprire che sua madre gli stava parlando, ma lui non riusciva a sentirne la voce.
Parlare è difficile quando non si sente ciò che si dice. Come lo sto dicendo? Troppo alto? Troppo basso? Ma Morgause non si lasciò intimidire. Gli parlò tutti i giorni e l'unica opzione fu imparare a leggere le labbra veloci della madre o venire colpiti dalla sua mano. Imparò a risponderle a voce, sempre un po' troppo piano per paura di urlare, e scoprì che il trucco stava nel togliere dalle parole qualsiasi emozione. Le parole emozionate erano sempre stata difficili, con lettere troppo arrotolate o tremolanti.
Agravaine non perse mai tempo a fargli notare queste parole e fu sempre con un rabbioso rossore che Mordred imparò a correggersi.
Morgause non gli permise mai di smettere di parlare e di questo Mordred le fu grato.
01. Grida di gabbiani
Gawain era partito molti anni prima. Fuggito dalle Orcadi per la giustizia e dopo di lui anche Agravaine e Gaheris se ne erano andati, per la gloria e l'avidità, correndo nella calda Camelot dove Gawain promise loro dei posti sicuri.
Tutti sapevano della Tavola Rotonda, anche alle Orcadi. Il mito di una comunità di guerrieri amati ed adorati, venerati come dei, seguaci dei più leali e più forti. Il nobile Lancillotto. L'invincibile Gawain.
Il giusto Artù.
Voci, spezzoni, mozziconi della vita di Camelot giungevano alle Orcadi dove tutti procedevano al ritmo delle grida dei gabbiani.
Tutti tranne Mordred. Perché Mordred procedeva ad un ritmo tutto suo, una musica che si era costruito da solo con i colori del mondo e la ruvidezza della lingua del suo grosso cane da caccia.
Morgause l'aveva chiamato Ragnelle, come la moglie di Gawain, nonostante il cane fosse sempre orrendamente arruffato e maschio.
"E' selvaggio come quella donna," aveva commentato Morgause, parlando come sempre in modo chiaro e tranquillo per permettere a Mordred di leggerle le labbra.
Mordred non era propriamente d'accordo. Aveva conosciuto Ragnelle l'estate precedente e le era parsa gentile anche se bizzarra. Quando Ragnelle, assieme a Gawain, aveva lasciato le Orcadi aveva anche lasciato un vuoto dietro di sé.
Tutti se ne andavano dalle Orcadi. Uno dopo l'altro.
Molti avrebbero detto che era colpa di Morgause perché la donna terrorizzava i paesani e voci di stregoneria giravano per il regno, ma Mordred non ne era convinto.
Lui amava sua madre eppure voleva andarsene da quel freddo.
Morgause era l'unica cosa luminosa di quel luogo. Severa, terribile nei suoi modi, ma giusta e l'unica che davvero credesse in lui. E bruciante, come un sole.
"Madre, perché non volete che io vada a Camelot?" chiese una sera il ragazzo.
Il fuoco che bruciava non era mai abbastanza caldo e si muoveva silenziosamente ed ipnotico.
"Perché me lo chiedi ora?"
"Perché ho quindici anni ormai."
La maggior parte dei giovani nobili divenivano cavalieri molto giovani, o almeno scudieri. Anche Mordred aveva imparato a combattere e giostrare, a servire come scudiero ed alzare la spada come un cavaliere, ma a parte le battute di caccia non aveva mai usato veramente le proprie armi.
Quella sera Morgause non rispose nulla, ma il giorno successivo gli procurò un nuovo tutore, un anziano romano dal sud di Camelot, un uomo che gli narrò la storia del regno e tutto ciò che doveva sapere sui Sassoni ed i loro costumi.
Mordred sapeva di essere intelligente, ma doveva esserci qualcosa che non andava in lui perché pareva troppo stupido per capire le tattiche militari che usava il suo tutore. Erano complicate ed a volte parevano insensate. Preferiva il suo tutore precedente che lo lasciava dolorante dopo ore di allenamento e gli insegnava ad accudire i cavalli ed addestrare Ragnelle (che aveva iniziato a chiamare Ragno, per rispetto alla moglie del fratellastro).
Morgause osservava i suoi deboli progressi con la bocca contorta in una linea severa.
"Un giorno diverrai re dopo il traditore, devi essere pronto," gli ripeteva, molto spesso.
E Mordred capiva la politica, di quello ne era sicuro. Alleanze, sottigliezze ed inganni gli erano più semplici dello studio degli eserciti, del terreno e del tempo delle battaglie.
"Un giorno ci vendicheremo di ciò che ci ha fatto Merlino."
Morgause non parlava spesso di ciò che aveva fatto Merlino.
Il fedele mago di Artù, su ordine del re, aveva rapito Mordred ed aveva tentato di affogarlo.
Mordred non ricordava nulla di quelle ore, era troppo piccolo, ma nonostante tutto non poteva fare a meno di sognare la trappola dell'acqua sopra di lui e di soffocare, lottare senza speranza per poter respirare e non riuscirci. Molte notte si addormentava nel silenzio e poi lottava e smetteva di respirare, svegliandosi qualche secondo dopo con la testa leggera ed i polmoni che scoppiavano alla ricerca d'aria.
"Camelot ti aspetta," disse, inaspettatamente, Morgause, il giorno del suo diciassettesimo compleanno. "Sai cosa fare."
Mordred sapeva cosa fare. Doveva entrare nella Tavola Rotonda. Farsi riconoscere come fratello di Gawain e solo dopo come figlio di Artù. Gawain era molto amato e questo sarebbe bastato per proteggerlo da tutto ciò che il re avrebbe tentato di fargli.
"E devi essere sicuro che tutti sappiano che sei suo figlio. La vostra somiglianza basterà, credo. Devi essere forte, per noi, per i nostri sogni. E poi tutto andrà bene."
E poi tutto andrà bene.
Mordred aveva un disperato bisogno di quel poi. Si aggrappava a poi tutto andrà bene. In quel poi in cui poteva respirare senza i falsi ricordi di essere affogato, in quel poi in cui Morgause non avrebbe più detto nulla su Merlino o Artù, ma avrebbe parlato di gabbiani e di cani e insultato la moglie del proprio fratello perché era bruttina o sciatta e non perché era la regina del traditore.
Fatti riconoscere come suo figlio. Probabilmente non ti riconoscerà ufficialmente, non sapendo che io sono tua madre, non potrà permetterselo. Ma il sangue è forte. Ti raggiungerò quando sarà il momento.
Mordred non capiva che cosa intendesse per il momento, ma ne aveva un'idea. Morgause era una donna paziente, ma non era disposta ad aspettare più di ciò che era necessario.
E quindi, qualche settimana dopo il suo diciassettesimo compleanno, Mordred prese un cavallo, le proprie armi e Ragno. Baciò la madre, che lo strinse teneramente a sé, si congedò dal proprio tutore e partì assieme al vecchio scudiero che aveva seguito Lot durante le sue battaglie.
Stava finalmente andando a Camelot, dai suoi fratellastri e da suo padre, l'uomo che aveva tentato di ucciderlo ed al quale avrebbe ricambiato il favore.
Gwynnid non aveva mai amato Morgause. Quando il suo padrone Lot l'aveva sposata, su ordine di Uther che voleva semplicemente sbarazzarsi di lei e guadagnarci qualcosa nell'impresa, Gwynnid aveva protestato ad alta voce sulle orecchie sorde di Lot.
"Quella donna è una strega, non si fermerà davanti a nulla per vendicarsi di ciò che il Grande Re ha fatto a suo padre!"
Ma Lot era innamorato ed era convinto che Morgause lo amasse. Gwynnid aveva dovuto mordersi la lingua e guardare il suo nobile padrone prendere come moglie una donna che sicuramente lo avrebbe distrutto. Ed in parte fu proprio così.
Quando Lot decise di prendere per sé ed i propri figli il diritto del trono, dopo la morte di Uther, fu uno delle piccole serpi nate da Morgause a tradirlo ed aiutare la sua sconfitta. Non fu proprio Gawain ad ucciderlo, ma un tradimento è sempre un tradimento.
"E tu credi che io sia felice che Artù sia ora re?" aveva domandato Morgause, con occhi di fuoco, quando Gwynnid aveva borbottato a mezza voce che la prole di Igraine aveva rovinato il suo amato padron Lot.
Gwynnid dovette ammettere che Morgause non sembrava felice, ma nemmeno troppo disperata. Era come se Lot non fosse mai esistito in quel castello. Gwynnid dovette farsi in quattro per poter raccogliere tutte le cose del suo padrone, l'uomo per il quale era stato il fidato scudiero per più di vent'anni, e salvarle da un fuoco purificante che Morgause aveva voluto preparare.
"Non abbiamo bisogno di vecchi ricordi. Nascerà presto un figlio."
Quando Gwyddin le aveva chiesto, non senza un po' troppo ardire, se quello era l'ultima goccia del sangue e del seme di Lot, lei aveva sorriso e lo aveva ignorato.
Ed un giorno, pochi mesi dopo la nascita del bambino, Gwyddin incontrò Merlino.
Tutti conoscevano Merlino. Tutti coloro che avevano amato Uther avevano conosciuto Merlino che si diceva fosse il mago più potente di tutta la Britannia e di oltre il mare.
Fu una sorpresa trovarselo davanti, una notte di gennaio, in misere vesti di viandante e stivali sporchi di fango.
"Voi siete un brav'uomo. Siete lo scudiero di Lot, io vi conosco."
"Vi conobbi al banchetto del matrimonio di Uther," aveva annuito Gwyddin, torcendosi le mani. Non aveva paura dei maghi (e come poteva? viveva sotto il regime di una strega), ma non amava ricordare troppo i tempi di Uther. Portava fitte di nostalgia.
"Ho bisogno del tuo aiuto, Gwyddin."
L'uomo fu sorpreso dal fatto che il mago si ricordasse addirittura il suo nome e non poté evitare di esserne decisamente lusingato.
Ma quando Merlino gli chiese di portare fuori dal castello il piccolo Mordred, Gwyddin non poté accettare.
"Se pensi che sia il figlio di Lot ti sbagli, buon Gwyddin. Quel bambino è il demonico risultato di un inganno. Lady Morgause, ancora sposata con Lot, ha drogato un buon uomo di cui non farò il nome e concepito contro la sua volontà un figlio."
Gwyddin non aveva alcuna difficoltà a credere alla sua storia.
"E' una questione di vita o di morte, Gwyddin. Se quel bambino rimarrà con Morgause le conseguenze potrebbero essere terribili. Sarai ricompensato. Terre ti aspetteranno a sud di Camelot quando vorrai lasciare le Orcadi."
Avrebbe potuto chiedere a Merlino cosa volesse fare di Mordred, avrebbe potuto insistere sul sapere il padre del bambino, ma aveva deciso di non fare nulla di simile.
Quella notte aveva lasciato aperta la porta posteriore della stalla ed aveva dimenticato le chiavi delle stanze accanto ad una delle mangiatoia.
Morgause non l'aveva scoperto. Forse non era la strega che tutti credevano o forse, alla notizia del rapimento del figlio, era stata troppo sconvolta per badare ai particolari.
Ed il fatto che fosse stato proprio Gwyddin a riportarglielo aveva anche aiutato a cancellare i sospetti della donna.
Gwyddin non amava Morgause, ma non era un uccisore di bambini. Quella notte tutti i servi del castello erano stati mandati a cercare il rapitore e fu proprio Gwyddin a trovarne le tracce, forse perché sapeva dove cercarle.
Voleva semplicemente trovare Merlino ed essere sicuro che il mago mantenesse la sua parola, ma quando vide un soldato, senza alcun araldo, tenere un bambino immerso nella fredda acqua del fiume, Gwyddin non si fermò a pensare.
Si lanciò sul soldato che, sorpreso, fece cadere il piccolo Mordred nel fiume. Gwyddin dovette tuffarsi per recuperarlo e lo fece appena in tempo.
Non seppe mai se quel soldato lavorasse per Merlin, l'avesse tradito o altro, decise di non pensare più agli avvenimenti. Non avrebbe più chiesto le sue terre. Non avrebbe più pensato a cosa aveva fatto.
Tornò al castello di Morgause assieme ad un piccolo bambino mezzo affogato, chiedendosi perché Merlino aveva deciso un metodo così crudele per servire il suo signore.
Con il passare degli anni, Gwyddin si chiese se non avesse sbagliato.
Il bimbo crebbe in un ragazzino ed i servi iniziarono a sussurrare di Artù, del re, di Merlino.
Artù è il padre di Mordred.
Mordred è il principe.
Morgause vuole vendetta.
Forse salvando quel ragazzo aveva davvero messo in moto la vendetta di Morgause? Aveva aiutato la strega nel tentativo di uccidere Artù? Ma Artù dopotutto era la causa della morte di Lot. Non era giusto che morisse?
Gwyddin guardò il ragazzo seduto accanto al fuoco.
Mordred aveva diciassette anni e non era come Gwyddin avrebbe immaginato un principe.
Era stupido. E sordo. Non sempre capiva che cosa che cosa gli si stava dicendo. Era goffo, sapeva combattere, ma Gwyddin era sicuro che avrebbe avuto la peggio in un duello.
Aveva le spalle strette del nonno e le labbra sottili che parevano sempre piegate in uno spiacevole ghigno.
Ed era il figlio di sua madre. Lo sputo della strega.
"Dovremmo partire prima che inizi a piovere," esclamò Mordred, guardando il cielo e portando subito i suoi occhi su Gwyddin.
A Gwyddin non piacevano quegli occhi. Erano grigi ed immobili e bevevano le persone come se fossero alcool. Lo mettevano a disagio.
"Volete che selli i cavalli, padrone?"
"Sì." Una pausa ed ancora quegli occhi non si muovevano. "Adesso, se non ti dispiace," sibilò.
Sgarbato come Morgause.
"Certo," rispose a mezza voce, stringendo esageratamente le labbra per impedire all'altro di capire. "Come desiderate, piccolo serpente."
Le ciglia scure di Mordred si aggrottarono per la confusione. Fu quella l'ultima cosa che Gwyddin vide prima di sentire l'acuto dolore di un morso alla caviglia.
Un serpente, boccheggiò, guardando a terra.
L'ironia della vita continuava a sorprenderlo.
Mordred non aveva mai particolarmente amato lo scudiero di Lot.
Gwyddin era sgarbato, si lamentava spesso ed amava parlare bofonchiando in modo che Mordred non potesse leggere ciò che diceva. Ma allo stesso tempo conosceva la strada per Camelot, sapeva usare una spada ed era abbastanza vecchio da necessitare comunque l'aiuto di Mordred (e per questo, probabilmente, non l'avrebbe abbandonato in mezzo alla strada). Morgause adorava ed odiava l'uomo al tempo stesso, ma si fidava di lui.
"Ti ha salvato la vita," aveva spesso detto al figlio.
Mordred solitamente si limitava a scrollare le spalle. Non gli piaceva pensare alla notte in cui aveva rischiato di affogare.
No, Mordred non amava Gwyddin, ma non desiderava nemmeno vederlo morire sotto i suoi occhi.
"Tutta colpa di quella donna, vipera quanto... lei... vipera," esclamò Gwyddin, in un momento di lucidità.
Mordred l'aveva fatto salire sul vecchio cavallo grigio e mentre Ragno si aggirava attorno a loro uggiolando preoccupato, il principe di Camelot tentava di portare avanti la bestia ed impedire a Gwyddin di cadere a terra.
Non aveva la più pallida idea di che cosa fare in caso di morso di vipera.
Ricordava solo qualche vecchia storia del suo primo tutore che raccontava di come il figlio fosse morto per il veleno di una vipera. "Ci avevo messo dei fiori, ma non funzionò. Fiori freschi."
E così Mordred aveva fatto. Tenendo in una mano le briglie del cavallo, mentre il proprio animale seguiva obbedientemente, con l'altra premeva una manciata di fiori freschi contro la ferita.
Le labbra di Gwyddin erano diventate più difficili da leggere, come quelle di un ubriaco, ma tra un farfuglio e l'altro Mordred riuscì a captare qualche "Lot" e persino un "stupido serpente" quando era fortunato.
Improvvisamente, il giovane principe sentì che Ragno gli stava fermamente tirando i vestiti per attirare la sua attenzione e si guardò attorno. C'era un sentiero fangoso poco dietro ad un vecchio albero demolito da un fulmine.
Un vecchio monaco stava arrancando dalla loro parte, tenendosi ad un bastone, e stava probabilmente urlando qualcosa a Mordred.
"State bene?" riuscì a vedere il ragazzo, quando l'anziano uomo fu solo a pochi passi da loro.
Aveva i capelli completamente bianchi ed un'orrenda cicatrice sulla guancia sinistra.
"Il mio scudiero è stato morso da un serpente."
Il monaco annuì preoccupato. "Fareste meglio a portarlo al monastero, cavaliere," rispose, osservando gli abiti scuri di Mordred e la spada al suo fianco.
Non sono proprio un cavaliere, avrebbe voluto correggerlo l'altro, ma non aveva tempo né voglia di farlo. Inoltre farsi credere un vero e proprio cavaliere poteva avere i suoi vantaggi.
Il monaco aiutò Mordred con il povero Gwyddin.
Ormai lo scudiero si era fatto silenzioso e ciondolava rozzamente sul proprio cavallo, avanti ed indietro.
Il monastero era più vicino di ciò che sembrava, nel cielo limpido e stranamente secco.
Era un luogo particolarmente bello, quasi ostentatamente ricco.
"Abbiamo un nobile benefattore," si difese il prete.
Il nobile benefattore doveva essere particolarmente generoso perché poco dietro al monastero si stagliava un altrettanto maestoso convento.
Un servo stava trasportando alcuni cavalli che parevano più militari che da lavoro ed un altro monaco, più giovane, lo stava guidando.
Mordred non riuscì a vedere cosa il proprio monaco avesse detto all'altro, ma dovette essere stato una richiesta d'aiuto perché subito dopo entrambi gli uomini aiutarono Gwyddin a scendere dal cavallo.
"-tore. Non vi preoccupate, è in buone mani," disse il monaco più giovane, voltandosi verso Mordred.
Non fidarti dei preti, gli aveva ripetuto sua madre. Ma in questo caso non aveva scelta.
E probabilmente, avrebbe lasciato lì Gwyddin e se ne sarebbe andato subito a Camelot. Sarebbe stata comunque una scocciatura in meno.
"-ndo?"
La lingua di Ragno sulla sua mano gli bastò per avvertirlo che qualcuno gli stava parlando e Mordred si voltò nuovamente verso il vecchio monaco.
"Potete ripetere?"
"Dove stavate andando? Siete dei viandanti, vedo, ma non avete stemmi su di voi."
"Sto andando a Camelot." Da mio padre, avrebbe voluto aggiungere e fu con un moto di irritazione verso se stesso che si morse la lingua.
"Nobile luogo! Nobile luogo! I più grandi cavalieri si trovano a Camelot. Perdonatemi non mi sono presentato. Sono Murodd."
"Sono Mordred, figlio di Morgause," rispose l'altro.
Avrebbe dovuto fingere, ma non ne vedeva il motivo. Almeno non fino a quel punto.
Gli occhi di Murodd si allargarono sorpresi e l'uomo iniziò ad osservarlo con sospetto.
"Figlio di Morgause? Conosciamo la sorellastra del re."
"Sono felice che la conosciate," sorrise Mordred. Sapeva di non avere un sorriso particolarmente affascinante. Uno dei suoi canini era storto. Tutto merito della sua baldanza giovanile e del suo estremo passato desiderio di cogliere delle uova da un albero. "Sapete tutto di lei. E' una donna molto esigente e molto vendicativa."
"Non volevo- non- non intendevo intendere nulla. E' un grande regina," balbettò il monaco. "Noi conosciamo il nobile Gawain!" aggiunse.
"Certo. Ed ora conoscete anche il nobile Mordred."
Il monaco annuì e non sapendo cosa aggiungere fece strada verso l'interno del monastero. Probabilmente stava aggiungendo altre scuse o descrivendo l'edificio, ma Mordred non aveva alcuna intenzione di chiedergli di stare zitto o di parlargli direttamente. Se c'era una cosa che aveva imparato dal suo ultimo tutore (ed anche da Morgause, in realtà) era che mostrare volontariamente le proprie debolezze era una sciocchezza, un sintomo di demenza.
"-la nostra infermeria," finì il monaco, voltandosi verso di lui.
"Tremendamente interessante," rispose Mordred, freddamente.
L'uomo lo fece entrare e Mordred vide file di letti quasi tutti vuoti.
Un bambino se ne stava seduto assieme ad una donna dall'aspetto malandato sul letto accanto alla finestra, il monaco si fermò brevemente a parlare con loro.
Nel letto accanto alla porta vi era Gwyddin. L'uomo aveva gli occhi chiusi ed era tremendamente pallido.
Sopra di lui il monaco giovane gli stava parlando ed accanto a loro vi era un ragazzo che non indossava la tunica religiosa.
Vestiva come un nobile, ma senza la dorata esagerazione che Morgause tanto amava.
Aveva i capelli biondissimi e per un attimo Mordred lo credette una fanciulla. Ed effettivamente aveva il viso e le mani di una ragazza.
"-nostro guaritore."
"E' lui?" domandò Mordred, quando notò che il vecchio monaco era tornato al suo fianco.
L'uomo gli scoccò un'occhiata strana e Mordred capì che probabilmente gli aveva parlato fino ad ora del loro amatissimo guaritore.
"E' il figlio di lady Elaine, da poco la madre superiora del convento qui accanto. E' il nipote di Re Pellam."
Mordred aveva una vaga idea di chi fosse re Pellam. "Un vecchio fanatico che adora giocare con i veleni," gli aveva un giorno misteriosamente spiegato sua madre.
"Come avete detto che si chiama?"
"Galahad. Ha delle mani d'oro. Se non riuscirà lui a guarire il vostro amico non vi riuscirà nemmeno Dio."
Mordred non aveva grande fiducia in Dio e quindi non vedeva il senso dell'avere fiducia in questo Galahad, ma poiché Gwyddin non era proprio un 'amico', non se ne preoccupò più di tanto. Lui aveva fatto tutto il possibile.
"Dovrò ripartire molto presto," annunciò.
"Non rimanete nemmeno a vedere se il vostro servitore si riprende?"
Ragno gli morse leggermente la mano e Mordred alzò lo sguardo.
Il famigerato Galahad-guaritore-di-Dio si trovava davanti a lui. Con irritazione notò che da vicino perdeva un po' dell'aria da donna che aveva avuto. Era alto, anche se non quanto lui, ma le sue spalle erano più larghe.
"Il nobile Gwyddin si salverà," sorrise Galahad, con un sorriso perfetto in un volto perfetto.
"Non è il nobile Gwyddin, ma sono felice di non dover badare al suo funerale."
Il viso di Galahad si accigliò e gli occhi blu scuro di incupirono.
"Non dovreste parlare così di un uomo malato."
"Per quanto mi piacerebbe rimanere a chiacchierare con voi sulla salute dei vostri pazienti, temo che sia ora che io prenda il mio cavallo e torni in viaggio."
Il vecchio monaco gli passò oltre e quando il naso freddo di Ragno gli toccò la mano, Mordred si rese conto che l'alto gli aveva parlato o l'aveva saluto.
Stupido lento cane.
Ed ovviamente nell'attimo in cui Mordred distolse la sua attenzione per osservare il monaco, Galahad decise che era il momento più indicato per parlare. Con la coda dell'occhio vide la sua mascella muoversi, ma non riuscì a cogliere nulla.
Stupido Galahad.
"Cosa?"
"Ho chiesto dove vi state dirigendo," rispose Galahad con cautela, rallentando le parole (e di quello, suo malgrado, Mordred gli fu grato).
"Camelot. Non è forse dove tutti vanno? Anche voi dovreste andarci invece di rimanere rinchiuso in questo buco."
Questa volta Galahad rispose in fretta, arrotolando le parole fra di loro e Mordred non riuscì a capire assolutamente nulla.
Le sopracciglia di Galahad si alzarono ed il principe si accorse che quella dell'altro non era che una prova.
"Bastardo," sibilò Mordred e con suo grande piacere Galahad arrossì violentemente.
"Perdonatemi, volevo solo-"
"Certo," replicò Mordred, bruscamente, dando un colpetto alla testa di Ragno e voltandosi per andarsene.
La mano di Galahad sul suo polso non fu una sorpresa perché il cane gli colpì la gamba con il torso per avvertirlo, ma i calli sulla mano del guaritore lo furono. Sapeva che in realtà non avrebbe dovuto sorprendersi. Come nipote di un re probabilmente era stato addestrato per diventare un cavaliere.
"Non avevo mai visto nessuno come voi," disse Galahad, quando Mordred si fu nuovamente girato a guardarlo (perché nonostante tutto c'era qualcosa, qualcosa, e lui voleva davvero sapere cosa l'altro gli stesse dicendo).
"Come me."
"Così abile," si corresse il giovane, arrossendo nuovamente. La sua pelle era così pallida che non gli era difficile. "Leggete le mie labbra. Nessuno se ne è accorto."
"Sono felice che il mio fascino vi abbia colpito. Voi invece mi parete abbastanza comune quindi sono costretto a districarmi dalla vostra deliziosa presenza e riprendere il mio viaggio. Se non vi dispiace," continuò infine Mordred, alzando il proprio polso attorno al quale c'era ancora la mano di Galahad che bruscamente lo lasciò.
"Oh, scusate, sì," rispose l'altro senza dar segno di essersi offeso per le sue parole.
Probabilmente era un po' lento.
"Vi farò sapere a Camelot come guarisce il vostro amico, allora" si affrettò ad aggiungere, prima che Mordred si voltasse nuovamente ed uscisse dal monastero.
Questa è la seconda della serie Vite di Camelot, ma per leggere questa NON è necessario leggere Le luci della Villa, anche se mi fareste molto felice leggendola : D (anche quella è slash, Kai/Artù).
(PS: Questa storia, per alcuni personaggi, potrebbe avere un maledettissimo lieto fine).
Warnings del capitolo: preslash
http://www.mixtli.net/mordred/mordgal/icon17.png
Prologo
Fu Morgause ad impedire a Mordred di smettere di parlare quando il mondo divenne silenzio.
Morgause era sempre stata una donna testarda, una donna che sapeva perfettamente ciò che voleva e che mutava il mondo a suo piacimento, plasmandolo come creta. Una donna che si era sempre creduta una sorta di giusta dea vendicativa.
Quindi fu per merito suo se Mordred divenne ciò che poi tutti conobbero, nel male o nel bene.
Ed anche se non fu lei ad accudire il figlio colto da quella terribile febbre, perché non sopportava di vedere i suoi figli stare male, fu però Morgause a rimanere accanto a Mordred quando questi si rintanò tra le coperte del piccolo letto, nascosto dal mondo privo delle urla dei gabbiani.
Era a lei che le preghiere di Mordred andavano. Ed anche le sue maledizioni.
"Ho fatto tutto questo per una ragione e non sarai tu a rovinare i miei progetti," gli aveva detto Morgause, dopo aver scoperto che la febbre aveva rubato al figlio la capacità di sentire.
Fortunatamente Mordred non aveva sentito, ma l'espressione della madre non lasciava spazio all'immaginazione.
Fin da quando era bambino, Morgause gli aveva parlato del crudele Artù, del falso Artù che aveva mandato nel suo palazzo un terribile uomo di nome Severinus per fare del male ai suoi figli. Del sanguinario Artù che mandava cavalieri su cavalieri in battaglie disperate contro i Sassoni, perché incapace di ammettere la propria incapacità.
La prima parola che Morgause gli aveva insegnato fu Giustizia ed anche se Gawain un giorno urlò che la giustizia delle Orcadi sapeva di vendetta, Mordred non poteva fare a meno di ritornare ai suoi giochi di fanciullo in cui la Giustizia calava dal cielo a salvare la madre dal freddo destino del nord e cacciare il falso re da Camelot.
La seconda parola che imparò fu Merlino, subito seguita da Rapimento. Tutti alle Orcadi conoscevano la storia di come re Artù avesse mandato il suo fidato Merlino a rapire Mordred per poterlo affogare.
I racconti di Morgause non risparmiavano sui particolari, descrivendo i dettagli del ritrovamento del bambino, irrigidito dal freddo e con i polmoni piedi d'acqua.
Fu uno dei motivi per cui Mordred non imparò mai a nuotare. Temeva che l'acqua capisse di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo vivo e lo volesse nuovamente portare via con sé.
Giustizia fu anche la prima parola che Mordred disse quando smise di sentire.
Fu difficile dirne altre perché non gli ci volle molto per uscire da quella terribile febbre che aveva rischiato di ucciderlo all'età di dieci anni e scoprire che sua madre gli stava parlando, ma lui non riusciva a sentirne la voce.
Parlare è difficile quando non si sente ciò che si dice. Come lo sto dicendo? Troppo alto? Troppo basso? Ma Morgause non si lasciò intimidire. Gli parlò tutti i giorni e l'unica opzione fu imparare a leggere le labbra veloci della madre o venire colpiti dalla sua mano. Imparò a risponderle a voce, sempre un po' troppo piano per paura di urlare, e scoprì che il trucco stava nel togliere dalle parole qualsiasi emozione. Le parole emozionate erano sempre stata difficili, con lettere troppo arrotolate o tremolanti.
Agravaine non perse mai tempo a fargli notare queste parole e fu sempre con un rabbioso rossore che Mordred imparò a correggersi.
Morgause non gli permise mai di smettere di parlare e di questo Mordred le fu grato.
01. Grida di gabbiani
Gawain era partito molti anni prima. Fuggito dalle Orcadi per la giustizia e dopo di lui anche Agravaine e Gaheris se ne erano andati, per la gloria e l'avidità, correndo nella calda Camelot dove Gawain promise loro dei posti sicuri.
Tutti sapevano della Tavola Rotonda, anche alle Orcadi. Il mito di una comunità di guerrieri amati ed adorati, venerati come dei, seguaci dei più leali e più forti. Il nobile Lancillotto. L'invincibile Gawain.
Il giusto Artù.
Voci, spezzoni, mozziconi della vita di Camelot giungevano alle Orcadi dove tutti procedevano al ritmo delle grida dei gabbiani.
Tutti tranne Mordred. Perché Mordred procedeva ad un ritmo tutto suo, una musica che si era costruito da solo con i colori del mondo e la ruvidezza della lingua del suo grosso cane da caccia.
Morgause l'aveva chiamato Ragnelle, come la moglie di Gawain, nonostante il cane fosse sempre orrendamente arruffato e maschio.
"E' selvaggio come quella donna," aveva commentato Morgause, parlando come sempre in modo chiaro e tranquillo per permettere a Mordred di leggerle le labbra.
Mordred non era propriamente d'accordo. Aveva conosciuto Ragnelle l'estate precedente e le era parsa gentile anche se bizzarra. Quando Ragnelle, assieme a Gawain, aveva lasciato le Orcadi aveva anche lasciato un vuoto dietro di sé.
Tutti se ne andavano dalle Orcadi. Uno dopo l'altro.
Molti avrebbero detto che era colpa di Morgause perché la donna terrorizzava i paesani e voci di stregoneria giravano per il regno, ma Mordred non ne era convinto.
Lui amava sua madre eppure voleva andarsene da quel freddo.
Morgause era l'unica cosa luminosa di quel luogo. Severa, terribile nei suoi modi, ma giusta e l'unica che davvero credesse in lui. E bruciante, come un sole.
"Madre, perché non volete che io vada a Camelot?" chiese una sera il ragazzo.
Il fuoco che bruciava non era mai abbastanza caldo e si muoveva silenziosamente ed ipnotico.
"Perché me lo chiedi ora?"
"Perché ho quindici anni ormai."
La maggior parte dei giovani nobili divenivano cavalieri molto giovani, o almeno scudieri. Anche Mordred aveva imparato a combattere e giostrare, a servire come scudiero ed alzare la spada come un cavaliere, ma a parte le battute di caccia non aveva mai usato veramente le proprie armi.
Quella sera Morgause non rispose nulla, ma il giorno successivo gli procurò un nuovo tutore, un anziano romano dal sud di Camelot, un uomo che gli narrò la storia del regno e tutto ciò che doveva sapere sui Sassoni ed i loro costumi.
Mordred sapeva di essere intelligente, ma doveva esserci qualcosa che non andava in lui perché pareva troppo stupido per capire le tattiche militari che usava il suo tutore. Erano complicate ed a volte parevano insensate. Preferiva il suo tutore precedente che lo lasciava dolorante dopo ore di allenamento e gli insegnava ad accudire i cavalli ed addestrare Ragnelle (che aveva iniziato a chiamare Ragno, per rispetto alla moglie del fratellastro).
Morgause osservava i suoi deboli progressi con la bocca contorta in una linea severa.
"Un giorno diverrai re dopo il traditore, devi essere pronto," gli ripeteva, molto spesso.
E Mordred capiva la politica, di quello ne era sicuro. Alleanze, sottigliezze ed inganni gli erano più semplici dello studio degli eserciti, del terreno e del tempo delle battaglie.
"Un giorno ci vendicheremo di ciò che ci ha fatto Merlino."
Morgause non parlava spesso di ciò che aveva fatto Merlino.
Il fedele mago di Artù, su ordine del re, aveva rapito Mordred ed aveva tentato di affogarlo.
Mordred non ricordava nulla di quelle ore, era troppo piccolo, ma nonostante tutto non poteva fare a meno di sognare la trappola dell'acqua sopra di lui e di soffocare, lottare senza speranza per poter respirare e non riuscirci. Molte notte si addormentava nel silenzio e poi lottava e smetteva di respirare, svegliandosi qualche secondo dopo con la testa leggera ed i polmoni che scoppiavano alla ricerca d'aria.
"Camelot ti aspetta," disse, inaspettatamente, Morgause, il giorno del suo diciassettesimo compleanno. "Sai cosa fare."
Mordred sapeva cosa fare. Doveva entrare nella Tavola Rotonda. Farsi riconoscere come fratello di Gawain e solo dopo come figlio di Artù. Gawain era molto amato e questo sarebbe bastato per proteggerlo da tutto ciò che il re avrebbe tentato di fargli.
"E devi essere sicuro che tutti sappiano che sei suo figlio. La vostra somiglianza basterà, credo. Devi essere forte, per noi, per i nostri sogni. E poi tutto andrà bene."
E poi tutto andrà bene.
Mordred aveva un disperato bisogno di quel poi. Si aggrappava a poi tutto andrà bene. In quel poi in cui poteva respirare senza i falsi ricordi di essere affogato, in quel poi in cui Morgause non avrebbe più detto nulla su Merlino o Artù, ma avrebbe parlato di gabbiani e di cani e insultato la moglie del proprio fratello perché era bruttina o sciatta e non perché era la regina del traditore.
Fatti riconoscere come suo figlio. Probabilmente non ti riconoscerà ufficialmente, non sapendo che io sono tua madre, non potrà permetterselo. Ma il sangue è forte. Ti raggiungerò quando sarà il momento.
Mordred non capiva che cosa intendesse per il momento, ma ne aveva un'idea. Morgause era una donna paziente, ma non era disposta ad aspettare più di ciò che era necessario.
E quindi, qualche settimana dopo il suo diciassettesimo compleanno, Mordred prese un cavallo, le proprie armi e Ragno. Baciò la madre, che lo strinse teneramente a sé, si congedò dal proprio tutore e partì assieme al vecchio scudiero che aveva seguito Lot durante le sue battaglie.
Stava finalmente andando a Camelot, dai suoi fratellastri e da suo padre, l'uomo che aveva tentato di ucciderlo ed al quale avrebbe ricambiato il favore.
Gwynnid non aveva mai amato Morgause. Quando il suo padrone Lot l'aveva sposata, su ordine di Uther che voleva semplicemente sbarazzarsi di lei e guadagnarci qualcosa nell'impresa, Gwynnid aveva protestato ad alta voce sulle orecchie sorde di Lot.
"Quella donna è una strega, non si fermerà davanti a nulla per vendicarsi di ciò che il Grande Re ha fatto a suo padre!"
Ma Lot era innamorato ed era convinto che Morgause lo amasse. Gwynnid aveva dovuto mordersi la lingua e guardare il suo nobile padrone prendere come moglie una donna che sicuramente lo avrebbe distrutto. Ed in parte fu proprio così.
Quando Lot decise di prendere per sé ed i propri figli il diritto del trono, dopo la morte di Uther, fu uno delle piccole serpi nate da Morgause a tradirlo ed aiutare la sua sconfitta. Non fu proprio Gawain ad ucciderlo, ma un tradimento è sempre un tradimento.
"E tu credi che io sia felice che Artù sia ora re?" aveva domandato Morgause, con occhi di fuoco, quando Gwynnid aveva borbottato a mezza voce che la prole di Igraine aveva rovinato il suo amato padron Lot.
Gwynnid dovette ammettere che Morgause non sembrava felice, ma nemmeno troppo disperata. Era come se Lot non fosse mai esistito in quel castello. Gwynnid dovette farsi in quattro per poter raccogliere tutte le cose del suo padrone, l'uomo per il quale era stato il fidato scudiero per più di vent'anni, e salvarle da un fuoco purificante che Morgause aveva voluto preparare.
"Non abbiamo bisogno di vecchi ricordi. Nascerà presto un figlio."
Quando Gwyddin le aveva chiesto, non senza un po' troppo ardire, se quello era l'ultima goccia del sangue e del seme di Lot, lei aveva sorriso e lo aveva ignorato.
Ed un giorno, pochi mesi dopo la nascita del bambino, Gwyddin incontrò Merlino.
Tutti conoscevano Merlino. Tutti coloro che avevano amato Uther avevano conosciuto Merlino che si diceva fosse il mago più potente di tutta la Britannia e di oltre il mare.
Fu una sorpresa trovarselo davanti, una notte di gennaio, in misere vesti di viandante e stivali sporchi di fango.
"Voi siete un brav'uomo. Siete lo scudiero di Lot, io vi conosco."
"Vi conobbi al banchetto del matrimonio di Uther," aveva annuito Gwyddin, torcendosi le mani. Non aveva paura dei maghi (e come poteva? viveva sotto il regime di una strega), ma non amava ricordare troppo i tempi di Uther. Portava fitte di nostalgia.
"Ho bisogno del tuo aiuto, Gwyddin."
L'uomo fu sorpreso dal fatto che il mago si ricordasse addirittura il suo nome e non poté evitare di esserne decisamente lusingato.
Ma quando Merlino gli chiese di portare fuori dal castello il piccolo Mordred, Gwyddin non poté accettare.
"Se pensi che sia il figlio di Lot ti sbagli, buon Gwyddin. Quel bambino è il demonico risultato di un inganno. Lady Morgause, ancora sposata con Lot, ha drogato un buon uomo di cui non farò il nome e concepito contro la sua volontà un figlio."
Gwyddin non aveva alcuna difficoltà a credere alla sua storia.
"E' una questione di vita o di morte, Gwyddin. Se quel bambino rimarrà con Morgause le conseguenze potrebbero essere terribili. Sarai ricompensato. Terre ti aspetteranno a sud di Camelot quando vorrai lasciare le Orcadi."
Avrebbe potuto chiedere a Merlino cosa volesse fare di Mordred, avrebbe potuto insistere sul sapere il padre del bambino, ma aveva deciso di non fare nulla di simile.
Quella notte aveva lasciato aperta la porta posteriore della stalla ed aveva dimenticato le chiavi delle stanze accanto ad una delle mangiatoia.
Morgause non l'aveva scoperto. Forse non era la strega che tutti credevano o forse, alla notizia del rapimento del figlio, era stata troppo sconvolta per badare ai particolari.
Ed il fatto che fosse stato proprio Gwyddin a riportarglielo aveva anche aiutato a cancellare i sospetti della donna.
Gwyddin non amava Morgause, ma non era un uccisore di bambini. Quella notte tutti i servi del castello erano stati mandati a cercare il rapitore e fu proprio Gwyddin a trovarne le tracce, forse perché sapeva dove cercarle.
Voleva semplicemente trovare Merlino ed essere sicuro che il mago mantenesse la sua parola, ma quando vide un soldato, senza alcun araldo, tenere un bambino immerso nella fredda acqua del fiume, Gwyddin non si fermò a pensare.
Si lanciò sul soldato che, sorpreso, fece cadere il piccolo Mordred nel fiume. Gwyddin dovette tuffarsi per recuperarlo e lo fece appena in tempo.
Non seppe mai se quel soldato lavorasse per Merlin, l'avesse tradito o altro, decise di non pensare più agli avvenimenti. Non avrebbe più chiesto le sue terre. Non avrebbe più pensato a cosa aveva fatto.
Tornò al castello di Morgause assieme ad un piccolo bambino mezzo affogato, chiedendosi perché Merlino aveva deciso un metodo così crudele per servire il suo signore.
Con il passare degli anni, Gwyddin si chiese se non avesse sbagliato.
Il bimbo crebbe in un ragazzino ed i servi iniziarono a sussurrare di Artù, del re, di Merlino.
Artù è il padre di Mordred.
Mordred è il principe.
Morgause vuole vendetta.
Forse salvando quel ragazzo aveva davvero messo in moto la vendetta di Morgause? Aveva aiutato la strega nel tentativo di uccidere Artù? Ma Artù dopotutto era la causa della morte di Lot. Non era giusto che morisse?
Gwyddin guardò il ragazzo seduto accanto al fuoco.
Mordred aveva diciassette anni e non era come Gwyddin avrebbe immaginato un principe.
Era stupido. E sordo. Non sempre capiva che cosa che cosa gli si stava dicendo. Era goffo, sapeva combattere, ma Gwyddin era sicuro che avrebbe avuto la peggio in un duello.
Aveva le spalle strette del nonno e le labbra sottili che parevano sempre piegate in uno spiacevole ghigno.
Ed era il figlio di sua madre. Lo sputo della strega.
"Dovremmo partire prima che inizi a piovere," esclamò Mordred, guardando il cielo e portando subito i suoi occhi su Gwyddin.
A Gwyddin non piacevano quegli occhi. Erano grigi ed immobili e bevevano le persone come se fossero alcool. Lo mettevano a disagio.
"Volete che selli i cavalli, padrone?"
"Sì." Una pausa ed ancora quegli occhi non si muovevano. "Adesso, se non ti dispiace," sibilò.
Sgarbato come Morgause.
"Certo," rispose a mezza voce, stringendo esageratamente le labbra per impedire all'altro di capire. "Come desiderate, piccolo serpente."
Le ciglia scure di Mordred si aggrottarono per la confusione. Fu quella l'ultima cosa che Gwyddin vide prima di sentire l'acuto dolore di un morso alla caviglia.
Un serpente, boccheggiò, guardando a terra.
L'ironia della vita continuava a sorprenderlo.
Mordred non aveva mai particolarmente amato lo scudiero di Lot.
Gwyddin era sgarbato, si lamentava spesso ed amava parlare bofonchiando in modo che Mordred non potesse leggere ciò che diceva. Ma allo stesso tempo conosceva la strada per Camelot, sapeva usare una spada ed era abbastanza vecchio da necessitare comunque l'aiuto di Mordred (e per questo, probabilmente, non l'avrebbe abbandonato in mezzo alla strada). Morgause adorava ed odiava l'uomo al tempo stesso, ma si fidava di lui.
"Ti ha salvato la vita," aveva spesso detto al figlio.
Mordred solitamente si limitava a scrollare le spalle. Non gli piaceva pensare alla notte in cui aveva rischiato di affogare.
No, Mordred non amava Gwyddin, ma non desiderava nemmeno vederlo morire sotto i suoi occhi.
"Tutta colpa di quella donna, vipera quanto... lei... vipera," esclamò Gwyddin, in un momento di lucidità.
Mordred l'aveva fatto salire sul vecchio cavallo grigio e mentre Ragno si aggirava attorno a loro uggiolando preoccupato, il principe di Camelot tentava di portare avanti la bestia ed impedire a Gwyddin di cadere a terra.
Non aveva la più pallida idea di che cosa fare in caso di morso di vipera.
Ricordava solo qualche vecchia storia del suo primo tutore che raccontava di come il figlio fosse morto per il veleno di una vipera. "Ci avevo messo dei fiori, ma non funzionò. Fiori freschi."
E così Mordred aveva fatto. Tenendo in una mano le briglie del cavallo, mentre il proprio animale seguiva obbedientemente, con l'altra premeva una manciata di fiori freschi contro la ferita.
Le labbra di Gwyddin erano diventate più difficili da leggere, come quelle di un ubriaco, ma tra un farfuglio e l'altro Mordred riuscì a captare qualche "Lot" e persino un "stupido serpente" quando era fortunato.
Improvvisamente, il giovane principe sentì che Ragno gli stava fermamente tirando i vestiti per attirare la sua attenzione e si guardò attorno. C'era un sentiero fangoso poco dietro ad un vecchio albero demolito da un fulmine.
Un vecchio monaco stava arrancando dalla loro parte, tenendosi ad un bastone, e stava probabilmente urlando qualcosa a Mordred.
"State bene?" riuscì a vedere il ragazzo, quando l'anziano uomo fu solo a pochi passi da loro.
Aveva i capelli completamente bianchi ed un'orrenda cicatrice sulla guancia sinistra.
"Il mio scudiero è stato morso da un serpente."
Il monaco annuì preoccupato. "Fareste meglio a portarlo al monastero, cavaliere," rispose, osservando gli abiti scuri di Mordred e la spada al suo fianco.
Non sono proprio un cavaliere, avrebbe voluto correggerlo l'altro, ma non aveva tempo né voglia di farlo. Inoltre farsi credere un vero e proprio cavaliere poteva avere i suoi vantaggi.
Il monaco aiutò Mordred con il povero Gwyddin.
Ormai lo scudiero si era fatto silenzioso e ciondolava rozzamente sul proprio cavallo, avanti ed indietro.
Il monastero era più vicino di ciò che sembrava, nel cielo limpido e stranamente secco.
Era un luogo particolarmente bello, quasi ostentatamente ricco.
"Abbiamo un nobile benefattore," si difese il prete.
Il nobile benefattore doveva essere particolarmente generoso perché poco dietro al monastero si stagliava un altrettanto maestoso convento.
Un servo stava trasportando alcuni cavalli che parevano più militari che da lavoro ed un altro monaco, più giovane, lo stava guidando.
Mordred non riuscì a vedere cosa il proprio monaco avesse detto all'altro, ma dovette essere stato una richiesta d'aiuto perché subito dopo entrambi gli uomini aiutarono Gwyddin a scendere dal cavallo.
"-tore. Non vi preoccupate, è in buone mani," disse il monaco più giovane, voltandosi verso Mordred.
Non fidarti dei preti, gli aveva ripetuto sua madre. Ma in questo caso non aveva scelta.
E probabilmente, avrebbe lasciato lì Gwyddin e se ne sarebbe andato subito a Camelot. Sarebbe stata comunque una scocciatura in meno.
"-ndo?"
La lingua di Ragno sulla sua mano gli bastò per avvertirlo che qualcuno gli stava parlando e Mordred si voltò nuovamente verso il vecchio monaco.
"Potete ripetere?"
"Dove stavate andando? Siete dei viandanti, vedo, ma non avete stemmi su di voi."
"Sto andando a Camelot." Da mio padre, avrebbe voluto aggiungere e fu con un moto di irritazione verso se stesso che si morse la lingua.
"Nobile luogo! Nobile luogo! I più grandi cavalieri si trovano a Camelot. Perdonatemi non mi sono presentato. Sono Murodd."
"Sono Mordred, figlio di Morgause," rispose l'altro.
Avrebbe dovuto fingere, ma non ne vedeva il motivo. Almeno non fino a quel punto.
Gli occhi di Murodd si allargarono sorpresi e l'uomo iniziò ad osservarlo con sospetto.
"Figlio di Morgause? Conosciamo la sorellastra del re."
"Sono felice che la conosciate," sorrise Mordred. Sapeva di non avere un sorriso particolarmente affascinante. Uno dei suoi canini era storto. Tutto merito della sua baldanza giovanile e del suo estremo passato desiderio di cogliere delle uova da un albero. "Sapete tutto di lei. E' una donna molto esigente e molto vendicativa."
"Non volevo- non- non intendevo intendere nulla. E' un grande regina," balbettò il monaco. "Noi conosciamo il nobile Gawain!" aggiunse.
"Certo. Ed ora conoscete anche il nobile Mordred."
Il monaco annuì e non sapendo cosa aggiungere fece strada verso l'interno del monastero. Probabilmente stava aggiungendo altre scuse o descrivendo l'edificio, ma Mordred non aveva alcuna intenzione di chiedergli di stare zitto o di parlargli direttamente. Se c'era una cosa che aveva imparato dal suo ultimo tutore (ed anche da Morgause, in realtà) era che mostrare volontariamente le proprie debolezze era una sciocchezza, un sintomo di demenza.
"-la nostra infermeria," finì il monaco, voltandosi verso di lui.
"Tremendamente interessante," rispose Mordred, freddamente.
L'uomo lo fece entrare e Mordred vide file di letti quasi tutti vuoti.
Un bambino se ne stava seduto assieme ad una donna dall'aspetto malandato sul letto accanto alla finestra, il monaco si fermò brevemente a parlare con loro.
Nel letto accanto alla porta vi era Gwyddin. L'uomo aveva gli occhi chiusi ed era tremendamente pallido.
Sopra di lui il monaco giovane gli stava parlando ed accanto a loro vi era un ragazzo che non indossava la tunica religiosa.
Vestiva come un nobile, ma senza la dorata esagerazione che Morgause tanto amava.
Aveva i capelli biondissimi e per un attimo Mordred lo credette una fanciulla. Ed effettivamente aveva il viso e le mani di una ragazza.
"-nostro guaritore."
"E' lui?" domandò Mordred, quando notò che il vecchio monaco era tornato al suo fianco.
L'uomo gli scoccò un'occhiata strana e Mordred capì che probabilmente gli aveva parlato fino ad ora del loro amatissimo guaritore.
"E' il figlio di lady Elaine, da poco la madre superiora del convento qui accanto. E' il nipote di Re Pellam."
Mordred aveva una vaga idea di chi fosse re Pellam. "Un vecchio fanatico che adora giocare con i veleni," gli aveva un giorno misteriosamente spiegato sua madre.
"Come avete detto che si chiama?"
"Galahad. Ha delle mani d'oro. Se non riuscirà lui a guarire il vostro amico non vi riuscirà nemmeno Dio."
Mordred non aveva grande fiducia in Dio e quindi non vedeva il senso dell'avere fiducia in questo Galahad, ma poiché Gwyddin non era proprio un 'amico', non se ne preoccupò più di tanto. Lui aveva fatto tutto il possibile.
"Dovrò ripartire molto presto," annunciò.
"Non rimanete nemmeno a vedere se il vostro servitore si riprende?"
Ragno gli morse leggermente la mano e Mordred alzò lo sguardo.
Il famigerato Galahad-guaritore-di-Dio si trovava davanti a lui. Con irritazione notò che da vicino perdeva un po' dell'aria da donna che aveva avuto. Era alto, anche se non quanto lui, ma le sue spalle erano più larghe.
"Il nobile Gwyddin si salverà," sorrise Galahad, con un sorriso perfetto in un volto perfetto.
"Non è il nobile Gwyddin, ma sono felice di non dover badare al suo funerale."
Il viso di Galahad si accigliò e gli occhi blu scuro di incupirono.
"Non dovreste parlare così di un uomo malato."
"Per quanto mi piacerebbe rimanere a chiacchierare con voi sulla salute dei vostri pazienti, temo che sia ora che io prenda il mio cavallo e torni in viaggio."
Il vecchio monaco gli passò oltre e quando il naso freddo di Ragno gli toccò la mano, Mordred si rese conto che l'alto gli aveva parlato o l'aveva saluto.
Stupido lento cane.
Ed ovviamente nell'attimo in cui Mordred distolse la sua attenzione per osservare il monaco, Galahad decise che era il momento più indicato per parlare. Con la coda dell'occhio vide la sua mascella muoversi, ma non riuscì a cogliere nulla.
Stupido Galahad.
"Cosa?"
"Ho chiesto dove vi state dirigendo," rispose Galahad con cautela, rallentando le parole (e di quello, suo malgrado, Mordred gli fu grato).
"Camelot. Non è forse dove tutti vanno? Anche voi dovreste andarci invece di rimanere rinchiuso in questo buco."
Questa volta Galahad rispose in fretta, arrotolando le parole fra di loro e Mordred non riuscì a capire assolutamente nulla.
Le sopracciglia di Galahad si alzarono ed il principe si accorse che quella dell'altro non era che una prova.
"Bastardo," sibilò Mordred e con suo grande piacere Galahad arrossì violentemente.
"Perdonatemi, volevo solo-"
"Certo," replicò Mordred, bruscamente, dando un colpetto alla testa di Ragno e voltandosi per andarsene.
La mano di Galahad sul suo polso non fu una sorpresa perché il cane gli colpì la gamba con il torso per avvertirlo, ma i calli sulla mano del guaritore lo furono. Sapeva che in realtà non avrebbe dovuto sorprendersi. Come nipote di un re probabilmente era stato addestrato per diventare un cavaliere.
"Non avevo mai visto nessuno come voi," disse Galahad, quando Mordred si fu nuovamente girato a guardarlo (perché nonostante tutto c'era qualcosa, qualcosa, e lui voleva davvero sapere cosa l'altro gli stesse dicendo).
"Come me."
"Così abile," si corresse il giovane, arrossendo nuovamente. La sua pelle era così pallida che non gli era difficile. "Leggete le mie labbra. Nessuno se ne è accorto."
"Sono felice che il mio fascino vi abbia colpito. Voi invece mi parete abbastanza comune quindi sono costretto a districarmi dalla vostra deliziosa presenza e riprendere il mio viaggio. Se non vi dispiace," continuò infine Mordred, alzando il proprio polso attorno al quale c'era ancora la mano di Galahad che bruscamente lo lasciò.
"Oh, scusate, sì," rispose l'altro senza dar segno di essersi offeso per le sue parole.
Probabilmente era un po' lento.
"Vi farò sapere a Camelot come guarisce il vostro amico, allora" si affrettò ad aggiungere, prima che Mordred si voltasse nuovamente ed uscisse dal monastero.