Morrigan
20-09-2010, 22.19.08
Spero di fare onore alla parola data a Lady Dafne, e di fare insieme piacere a voi tutti, miei signori, parlandovi qui di un'altra donna che emerse con i suoi versi al di sopra del sentire comune del suo tempo :smile:
Sulpicia era la figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo e nipote dell’omonimo giurista amico di Cicerone. La madre Valeria era sorella del generale romano Marco Valerio Messalla. Questi, alla morte del padre di lei, divenne suo tutore, e Sulpicia ebbe la possibilità di frequentare il circolo letterario istituito dallo zio, cui partecipavano personaggi come Tibullo e Ovidio.
La frequentazione dei ricchi ambienti e dei circoli letterari fa di Sulpicia una donna emancipata e in aperto rifiuto delle convenzioni sociali del suo tempo.
I testi che sono stati attribuiti a Sulpicia si trovano nel terzo libro del Corpus Tibullianum. Tale attribuzione, però, non fu che tardiva. I primi commentatori, infatti, attribuirono i versi a Tibullo, e anche coloro che vi riconoscevano una mano differente, si rifiutavano di accettare che i componimenti potessero appartenere ad una donna, poiché era tradizione ritenere che la produzione poetica di livello superiore fosse esclusivamente maschile.
Occorrerà attendere il 1755 e il filologo tedesco Heyne perché le sei Elegidia contenute nel libro fossero attribuite finalmente a Sulpicia, anche se il valore della poetessa, in quel secolo, non venne comunque riconosciuto. Si parlò di Sulpicia, infatti, come si dotta puella che scrive lettere d’amore, senza possedere alcuna arte dell’espressione poetica. Il completo riconoscimento di questa penna femminile avviene soltanto nel ‘900, durante il quale i filologi riconosceranno che i versi di Sulpicia furono composti per la pubblicazione, e non come manifestazione privata dei suoi sentimenti, e le Elegidie furono considerate di altissima qualità espressiva.
Le Elegidia cantano l’amore di Sulpicia per Cerinto. Probabilmente si tratta di uno pseudonimo, che forse nasconde il nome di Cornutus, amico di Tibullo, e che di certo si riferisce ad un uomo di condizione sociale inferiore rispetto a quella di lei, visto che nella terza elegia ella sembra rinfacciare all’amante fredifrago il suo rango.
Le Elegidia sono un breve canzoniere, di 40 versi in totale, scritto in forma di piccoli biglietti d’amore. Leggendolo ci possiamo fare un’idea realistica della storia d’amore della ragazza.
Già nella prima si evince che il suo non è un amore platonico, ma un amore passionale e ricambiato. Nella seconda, Sulpicia lamenta il fatto di essere costretta a trascorrere il compleanno lontana da Roma, e quindi dal suo amato, per volere del suo tutore. Ma nella terza elegia ella comunica con gioia a Cerinto che il trasferimento in campagna è stato annullato.
La quarta elegia ha tono differente. Sulpicia accusa Cerinto di tradirla con una prostituta, e la ragazza comprende allora il dolore di coloro che si sono preoccupati per lei per il fatto che si fosse concessa ad un uomo indegno.
Nella quinta, la ragazza è malata, ma non esprime il desiderio di guarire, dal momento che lui non si è curato della sua malattia.
L’ultimo componimento, infine, è una dichiarazione d’amore passionale.
I
L’amore alfin è venuto, ed occultarlo al pudore
più che aprirlo a qualcuno mi sarebbe vergogna.
Pregata dalle mie Muse, me lo portò Citerea,
ed ella lo depose entro le nostre braccia.
Venere fu di parola: e se diranno che alcuno
di suoi non ne ebbe, quello racconti i miei piaceri.
Non voglio confidar nulla a buste con il sigillo,
perché nessuno prima del mio caro lo legga:
Piace il peccare, ma secca il fare un viso contrito;
si dica ch’eravamo degni l’una dell’altro.
II
Che compleanno noioso tristemente dovrò trascorrere
nell’odiosa campagna senza il mio Cerinto!
Che cosa è più piacevole della città?O forse ad una giovane
sono più adatti una villa ed un gelido fiume che scorre nell’agro aretino?
Non affannarti, infine, o Messalla, che troppo di me ti preoccupi:
non sempre, parente mio, son tempestivi i viaggi.
Anche se non posso decidere quello che voglio
E mi conduci via, io lascio qui l’anima e i sensi.
III
Sai che la triste preoccupazione di quel viaggio svanita è dall’anima della tua fanciulla?
Ora le è permesso di stare a Roma nel giorno del suo compleanno.
Celebriamo tutti questo giorno
Che ora forse ti giunge inaspettato.
IV
Mi fa piacere che, finalmente sicuro, tu mi permetta
Molte cose, senza temere che cada d’improvviso,
come una stolta. Preoccupati piuttosto di una toga***,
o d’una donnaccia col suo paniere appesantito.
Non di Sulpicia, figlia di Servio.
Ma c’è chi si preoccupa per me, che nulla teme di più
Ch’io ceda ad un letto ignoto.
***La toga era indossata dalle prostitute, che non potevano portare la stola come le matrone romane.
V
Non provi, o Cerinto, una pietosa preoccupazione per la tua fanciulla,
perché la febbre ora tormenta il mio corpo spossato?
Ah certamente non desidererei guarire dal mio triste male
se non sapessi che anche tu lo vuoi allo stesso modo!
Perché mai dovrei guarire dal male,
se con cuore indifferente puoi sopportare la mia malattia?
VI
O mia luce, ch’io possa non essere più il tuo amore appassionato,
come mi pare d’ essere stata fino a pochi giorni fa,
se in tutti gli anni della giovinezza, sciocca, ho commesso
qualcosa di cui maggiormente pentita mi confessi
che dell’averti lasciato solo la scorsa notte,
desiderando nasconderti il mio desiderio!
I.
Tandem venit amor, qualem texisse pudori
quam nudasse alicui sit mihi fama magis.
Exorata meis illum Cytherea Camenis
adtulit in nostrum deposuitque sinum.
Exsolvit promissa Venus: mea gaudia narret,
dicetur siquis non habuisse sua.
Non ego signatis quicquam mandare tabellis,
ne legat id nemo quam meus ante, velim,
sed peccasse iuvat, vultus conponere famae
taedet: cum digno digna fuisse ferar
II.
Invisus natalis adest, qui rure molesto
et sine Cerintho tristis agendus erit.
Dulcius urbe quid est? an villa sit apta puellae
atque Arrentino frigidus amnis agro?
Iam nimium Messalla mei studiose, quiescas,
heu tempestivae, saeve propinque, viae!
Hic animum sensusque meos abducta relinquo,
arbitrio quamvis non sinis esse meo.
III.
Scis iter ex animo sublatum triste puellae?
natali Romae iam licet esse suo.
Omnibus ille dies nobis natalis agatur,
qui nec opinanti nunc tibi forte venit.
IV.
Gratum est, securus multum quod iam tibi de me
permittis, subito ne male inepta cadam.
Sit tibi cura togae potior pressumque quasillo
scortum quam Servi filia Sulpicia:
Solliciti sunt pro nobis, quibus illa dolori est,
ne cedam ignoto, maxima causa, toro.
V.
Estne tibi, Cerinthe, tuae pia cura puellae,
quod mea nunc vexat corpora fessa calor?
A ego non aliter tristes evincere morbos
optarim, quam te si quoque velle putem.
At mihi quid prosit morbos evincere, si tu
nostra potes lento pectore ferre mala?
VI.
Ne tibi sim, mea lux, aeque iam fervida cura
ac videor paucos ante fuisse dies,
si quicquam tota conmisi stulta iuventa,
cuius me fatear paenituisse magis,
hesterna quam te solum quod nocte reliqui,
ardorem cupiens dissimulare meum.
- Per i testi latini originali: http://www.lankelot.eu/letteratura/introduzione-alla-poesia-di-sulpicia.html
- Per la traduzione italiana o maggiori informazione su Sulpicia e sul Corpus Tibullianum: http://it.wikipedia.org/wiki/Sulpicia - http://www.letteraturaalfemminile.it/sulpicia.htm - E. Cantarella, Passato Prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, ed. Feltrinelli
Sulpicia era la figlia dell’oratore Servio Sulpicio Rufo e nipote dell’omonimo giurista amico di Cicerone. La madre Valeria era sorella del generale romano Marco Valerio Messalla. Questi, alla morte del padre di lei, divenne suo tutore, e Sulpicia ebbe la possibilità di frequentare il circolo letterario istituito dallo zio, cui partecipavano personaggi come Tibullo e Ovidio.
La frequentazione dei ricchi ambienti e dei circoli letterari fa di Sulpicia una donna emancipata e in aperto rifiuto delle convenzioni sociali del suo tempo.
I testi che sono stati attribuiti a Sulpicia si trovano nel terzo libro del Corpus Tibullianum. Tale attribuzione, però, non fu che tardiva. I primi commentatori, infatti, attribuirono i versi a Tibullo, e anche coloro che vi riconoscevano una mano differente, si rifiutavano di accettare che i componimenti potessero appartenere ad una donna, poiché era tradizione ritenere che la produzione poetica di livello superiore fosse esclusivamente maschile.
Occorrerà attendere il 1755 e il filologo tedesco Heyne perché le sei Elegidia contenute nel libro fossero attribuite finalmente a Sulpicia, anche se il valore della poetessa, in quel secolo, non venne comunque riconosciuto. Si parlò di Sulpicia, infatti, come si dotta puella che scrive lettere d’amore, senza possedere alcuna arte dell’espressione poetica. Il completo riconoscimento di questa penna femminile avviene soltanto nel ‘900, durante il quale i filologi riconosceranno che i versi di Sulpicia furono composti per la pubblicazione, e non come manifestazione privata dei suoi sentimenti, e le Elegidie furono considerate di altissima qualità espressiva.
Le Elegidia cantano l’amore di Sulpicia per Cerinto. Probabilmente si tratta di uno pseudonimo, che forse nasconde il nome di Cornutus, amico di Tibullo, e che di certo si riferisce ad un uomo di condizione sociale inferiore rispetto a quella di lei, visto che nella terza elegia ella sembra rinfacciare all’amante fredifrago il suo rango.
Le Elegidia sono un breve canzoniere, di 40 versi in totale, scritto in forma di piccoli biglietti d’amore. Leggendolo ci possiamo fare un’idea realistica della storia d’amore della ragazza.
Già nella prima si evince che il suo non è un amore platonico, ma un amore passionale e ricambiato. Nella seconda, Sulpicia lamenta il fatto di essere costretta a trascorrere il compleanno lontana da Roma, e quindi dal suo amato, per volere del suo tutore. Ma nella terza elegia ella comunica con gioia a Cerinto che il trasferimento in campagna è stato annullato.
La quarta elegia ha tono differente. Sulpicia accusa Cerinto di tradirla con una prostituta, e la ragazza comprende allora il dolore di coloro che si sono preoccupati per lei per il fatto che si fosse concessa ad un uomo indegno.
Nella quinta, la ragazza è malata, ma non esprime il desiderio di guarire, dal momento che lui non si è curato della sua malattia.
L’ultimo componimento, infine, è una dichiarazione d’amore passionale.
I
L’amore alfin è venuto, ed occultarlo al pudore
più che aprirlo a qualcuno mi sarebbe vergogna.
Pregata dalle mie Muse, me lo portò Citerea,
ed ella lo depose entro le nostre braccia.
Venere fu di parola: e se diranno che alcuno
di suoi non ne ebbe, quello racconti i miei piaceri.
Non voglio confidar nulla a buste con il sigillo,
perché nessuno prima del mio caro lo legga:
Piace il peccare, ma secca il fare un viso contrito;
si dica ch’eravamo degni l’una dell’altro.
II
Che compleanno noioso tristemente dovrò trascorrere
nell’odiosa campagna senza il mio Cerinto!
Che cosa è più piacevole della città?O forse ad una giovane
sono più adatti una villa ed un gelido fiume che scorre nell’agro aretino?
Non affannarti, infine, o Messalla, che troppo di me ti preoccupi:
non sempre, parente mio, son tempestivi i viaggi.
Anche se non posso decidere quello che voglio
E mi conduci via, io lascio qui l’anima e i sensi.
III
Sai che la triste preoccupazione di quel viaggio svanita è dall’anima della tua fanciulla?
Ora le è permesso di stare a Roma nel giorno del suo compleanno.
Celebriamo tutti questo giorno
Che ora forse ti giunge inaspettato.
IV
Mi fa piacere che, finalmente sicuro, tu mi permetta
Molte cose, senza temere che cada d’improvviso,
come una stolta. Preoccupati piuttosto di una toga***,
o d’una donnaccia col suo paniere appesantito.
Non di Sulpicia, figlia di Servio.
Ma c’è chi si preoccupa per me, che nulla teme di più
Ch’io ceda ad un letto ignoto.
***La toga era indossata dalle prostitute, che non potevano portare la stola come le matrone romane.
V
Non provi, o Cerinto, una pietosa preoccupazione per la tua fanciulla,
perché la febbre ora tormenta il mio corpo spossato?
Ah certamente non desidererei guarire dal mio triste male
se non sapessi che anche tu lo vuoi allo stesso modo!
Perché mai dovrei guarire dal male,
se con cuore indifferente puoi sopportare la mia malattia?
VI
O mia luce, ch’io possa non essere più il tuo amore appassionato,
come mi pare d’ essere stata fino a pochi giorni fa,
se in tutti gli anni della giovinezza, sciocca, ho commesso
qualcosa di cui maggiormente pentita mi confessi
che dell’averti lasciato solo la scorsa notte,
desiderando nasconderti il mio desiderio!
I.
Tandem venit amor, qualem texisse pudori
quam nudasse alicui sit mihi fama magis.
Exorata meis illum Cytherea Camenis
adtulit in nostrum deposuitque sinum.
Exsolvit promissa Venus: mea gaudia narret,
dicetur siquis non habuisse sua.
Non ego signatis quicquam mandare tabellis,
ne legat id nemo quam meus ante, velim,
sed peccasse iuvat, vultus conponere famae
taedet: cum digno digna fuisse ferar
II.
Invisus natalis adest, qui rure molesto
et sine Cerintho tristis agendus erit.
Dulcius urbe quid est? an villa sit apta puellae
atque Arrentino frigidus amnis agro?
Iam nimium Messalla mei studiose, quiescas,
heu tempestivae, saeve propinque, viae!
Hic animum sensusque meos abducta relinquo,
arbitrio quamvis non sinis esse meo.
III.
Scis iter ex animo sublatum triste puellae?
natali Romae iam licet esse suo.
Omnibus ille dies nobis natalis agatur,
qui nec opinanti nunc tibi forte venit.
IV.
Gratum est, securus multum quod iam tibi de me
permittis, subito ne male inepta cadam.
Sit tibi cura togae potior pressumque quasillo
scortum quam Servi filia Sulpicia:
Solliciti sunt pro nobis, quibus illa dolori est,
ne cedam ignoto, maxima causa, toro.
V.
Estne tibi, Cerinthe, tuae pia cura puellae,
quod mea nunc vexat corpora fessa calor?
A ego non aliter tristes evincere morbos
optarim, quam te si quoque velle putem.
At mihi quid prosit morbos evincere, si tu
nostra potes lento pectore ferre mala?
VI.
Ne tibi sim, mea lux, aeque iam fervida cura
ac videor paucos ante fuisse dies,
si quicquam tota conmisi stulta iuventa,
cuius me fatear paenituisse magis,
hesterna quam te solum quod nocte reliqui,
ardorem cupiens dissimulare meum.
- Per i testi latini originali: http://www.lankelot.eu/letteratura/introduzione-alla-poesia-di-sulpicia.html
- Per la traduzione italiana o maggiori informazione su Sulpicia e sul Corpus Tibullianum: http://it.wikipedia.org/wiki/Sulpicia - http://www.letteraturaalfemminile.it/sulpicia.htm - E. Cantarella, Passato Prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, ed. Feltrinelli