Uther
14-10-2010, 11.21.09
Lo scorso agosto ero in visita a una dama che, dopo aver lasciato il feudo paterno in Trinacria alla ricerca di nuove avventure, attualmente vive in Cumbria. Durante quella breve vacanza nella terra dei Cymri decisi di fare un salto presso i malinconici ruderi del castello di Dinas Bran, nello Denbighshire. Per chi fosse curioso, eccovi la posizione del luogo:
http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl&q=52%C2%B058'46.68%22%20N%2C%20%2003%C2%B009'34.45 %22%20W (http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl&q=52%C2%B058'46.68%22%20N%2C%20%2003%C2%B009'34.45 %22%20W)
Si tratta di una fortezza di cui oggi rimangono poche suggestive rovine su una collina che domina la valle del Llangollen, probabilmente uno dei luoghi più magici del Galles. Sebbene le rovine che oggi ammiriamo siano di epoca basso medievale, esse insistono sul sito di una fortezza molto più antica: il fossato e i terrapieni che cingono parte della fortezza risalgono, infatti, all'età del ferro. Il nome "Dinas" è termine abbastanza "generico" (e comune) per un castello in Galles (in gallese dovrebbe significare proprio roccaforte, fortezza o anche "luogo alto"), "Bran" invece è un nome gallese che significa "corvo": Dinas Bran, dunque, significherebbe nient'altro che "castello del corvo"... Arrivarci non è molto semplice, ma d'altra parte chiunque di noi abbia avuto il piacere o semplicemente la curiosità di visitare un luogo arturiano in Conovaglia o in Galles o chissà dove, sa che la difficoltà e la fatica rappresentano il fattore comune di ciascun sito, e che la possibilità di perdersi e la tentazione di mollare sono sempre in agguato. Ma una volta raggiunta la meta, gli scenari di solito sono di quelli che tolgono il fiato, e poco importa se un “dux bellorum” storico o un potente sovrano nato dalla penna di poeti fantasiosi, vi abbia mai vissuto o ci sia mai anche solo transitato. La vista ci ripaga di tutta le difficoltà e delle energie fisiche e mentali spese nella ricerca. Ma torniamo a noi. C'è una strada che si arrampica su per questa collina, almeno fino a un certo punto, dopodiché bisogna abbandonare l'autovettura in uno slargo (si fa per dire...) e continuare lungo un accidentato percorso a piedi, in mezzo a pecorelle curiose, e sfidando un vento che taglia il viso, una pioggerellina intermittente a farti compagnia e un pallido sole a fare pigramente capolino fra nuvole capricciose. A dire il vero, il tratto "carrabile" è ancora più accidentato di quello pedonale, manca un seppur lontano parente di un guard rail e, mentre state guidando (sul lato "sbagliato" della vettura), le ruote esterne lambiscono piuttosto "perigliosamente" il bordo della strada... inutile dire che pur di tenermi il più all'interno possibile della strada, avrò strofinato l'auto contro tutti i rovi che crescono sulla collina... e ne crescono tanti! Alcuni tratti in salita sono davvero "tosti" per cui il mio consiglio è di prendere una 4x4 e sperare vivamente di non incrociare lungo la salita un auto che, proprio in quel momento, dalla collina ne stia discendendo: come sempre accade su queste mulattiere, non c'è spazio per due auto affiancate se non in poche, accidentate, aree ad hoc e inserire la retromarcia in queste zone, con due ruote perennemente in bilico sulla scarpata, richiede un certo sangue freddo :p Però, credetemi: una volta lasciata l'auto il battito vi si normalizza, specie dopo aver opportunamente controllato di aver inserito il freno a mano… (recuperare l'auto in fondo al burrone potrebbe essere un problema, non foss'altro che è difficile spiegarlo all'agenzia di autonoleggio...). Una volta terminato il percorso a piedi ed essere giunti in cima al colle, camminare fra le rovine del castello e godersi il verde e suggestivo panorama... beh, lo spettacolo che vi si dischiude davanti agli occhi vi ripaga di tutto lo sforzo (e vi dà la carica per affrontare il viaggio di ritorno... almeno una volta che sarete riusciti a staccarvi da quei luoghi così pregni di fascino e di mistero). E se durante la salita avete avuto più volte il dubbio su cosa ci siete venuti a fare fin quassù, beh, credetemi, una volta guadagnata la vetta e aver contemplato, sotto di voi, quella valle che sorprende per la sua epica bellezza... vi assicuro che ogni dubbio scompare, strappato via con veemenza da quel vento ancestrale che spazza la rupe.
Ma scusate, ho divagato... Abbiamo parlato finora del castello di Dinas Bran (insieme a un goffo tentativo di raccontarvi un'oretta di trekking). Adesso parliamo di (apparentemente) tutt'altro.
Nella mitologia gallese, Re Bran Fendigaid, Bran "il benedetto", l'antico eroe gallese (una divinità pre-cristiana) da cui il castello citato pare abbia preso il nome, partì per un lungo viaggio alla ricerca di un magico vaso dell'abbondanza, il "calderone celtico della rinascita": secondo il Mabinogion, i guerrieri morti che vi venissero gettati al cadere della notte, la mattina seguente sarebbero risorti. Durante una guerra contro l'Irlanda, Bran fu ferito a un piede (probabilmente al tallone) da una lancia avvelenata e da quel momento la sua terra cominciò progressivamente a perire finché egli non fosse guarito (c'è una variante secondo cui la ferita fu subita all'inguine: il collegamento fra il vigore sessuale del re e la fertilità della sua terra è assai comune in queste leggende). Ora, questa storia non ci ricorda piuttosto da vicino quella della Cerca del Graal da parte de cavalieri di Artù? E il suo nome, Bran, non ricorda un pò troppo Bron, il cognato di Giuseppe di Arimatea e Re pescatore (o Re magagnato) di Robert de Boron? Per non parlare della ferita associata al deperimento della terra! Ma le coincidenze non finiscono qui: in una delle Triadi gallesi si dice che Bran fu uno dei tre sovrani "beati" che portarono il cristianesimo nelle isole britanniche (e ancora il parallelo con la famiglia di Giuseppe di Arimatea viene naturale). Non solo, ma sempre secondo il Mabinogion, Bran possedeva un piatto con un potere straordinario: qualunque cibo si desiderasse, subito vi appariva (proprietà, questa, talvolta attribuita al Graal).
Un'altra coincidenza (quantomeno bizzarra...): Bran aveva un cane dal pelo bianco, di nome Cafall, capace di “vedere” il vento: Cafall - o Caball - era anche il nome del cane di Artù...
Una curiosità: secondo le Triadi gallesi, allorché Bran viene ferito a morte durante il conflitto contro gli irlandesi, egli dice ai suoi uomini di recidergli la testa e seppellirla sulle coste della Britannia, affinché possa difendere l’isola (secondo le antiche credenze dei guerrieri celti, l’anima di una persona risiedeva infatti nella sua testa). La testa di Bran fu seppellita dove ora sorge la White Tower di Londra, con il volto rivolto verso la costa francese: fintanto che la sua testa fosse rimasta lì, la Britannia non avrebbe subito invasioni straniere. Secondo un'altra leggenda, Artù disseppellì la testa di Bran poiché riteneva che nessun altri, al di fuori di lui, potesse essere il difensore delle isole britanniche. Il seppellimento della testa di Bran viene ricordato come "Uno dei Tre Felici Occultamenti" di Britannia, mentre il suo disseppellimento da parte di Re Artù diversi secoli dopo, è ricordato, invece, come "Una della Tre Infelici Scoperte" per aver portato all’invasione dell’Inghilterra da parte dei Sassoni.
Una curiosità ancora più... curiosa: chiunque di noi si sia recato a Londra avrà notato che ancora oggi dei corvi vengono allevati e accuditi presso la Torre di Londra poiché si ritiene che finché dei corvi abiteranno la Torre, l'Inghilterra sarà salva (ancora una volta un "bran", un corvo, è un simbolo erto a protezione dell'Inghilterra... certe cose non cambieranno mai!).
Peraltro, dalla sfortunata missione in terra irlandese, con il loro macabro fardello, tornarono solo in sette e fra questi sette sopravvissuti vi era anche il leggendario bardo Taliesin, che narrò le gesta degli uomini di Britannia in terra irlandese.
Ora facciamo un volo pindarico (di quelli a cui la mia mente confusionaria dovrebbe avervi abituati :p). Tutti noi sappiamo che, nei cicli vulgato e post-vugato (e in Malory), il castello del Graal viene chiamato "Corbenic". Il nome di "castello di Corbenic" sembra provenire da "Corbin-Vicus". La parola Vicus è di chiara matrice latina e sta per "insediamento". Corbin, invece, sembra sia la traduzione francese ("corben") di "corvo" (guarda un pò, proprio come "bran" in gallese...). Sicché Castello di Corbenic sarebbe nient'altro che "Castello del corvo"... toh! esattamente come Castell Dinas Bran!!! Inoltre la valle del Llangollen, dominata dal castello di Dinas Bran, è attraversata da un fiume, il Dee river: il castello del Graal descritto da Chretien e dall’anonimo autore del ciclo vulgato non sorgeva forse vicino a un fiume? Dunque le poche pietre rimaste in piedi del castello di Dinas Bran, sarebbero le uniche mute testimoni dell'ultimo nascondiglio del sacro calice? E' un'ipotesi suggestiva, molto suggestiva (e non vi nascondo che è il motivo che mi ha spinto fin lassù, sfidando le vertigini, la fatica, le cadute...). La risposta, come sempre, possiamo sperare di ottenerla solo liberando la mente durante la salita e, una volta in cima, seduti fra le pietre antiche, in quella seducente desolazione, con gli occhi chiusi cerchiamo di ascoltare le parole appena sussurrate dal vento, parole antiche che vengono da tanto lontano, che quel vento amico ha raccolto per noi fra le pieghe del tempo. E sperare che quel mormorio che abbiamo udito, forse un semplice capriccio del vento che indugia fra le pietre consumate dai secoli, o forse il lamento di un vecchio paralitico e sofferente, custode di un antico tesoro e di un segreto che ha varcato per noi i confini del tempo... sperare, dicevamo, che quelle parole appena sussurrate, che crediamo di aver udito in quel sogno durato un istante, non volino via come foglie mosse dal vento appena riapriamo gli occhi, lasciandoci quel senso di vuoto che proviamo quando ci svegliamo d’improvviso da un sonno senza sogni.
Ma forse è ora di ridestarsi dal torpore di questi pensieri, è l'ora di scendere dal colle e di tornare lentamente verso valle. Come sempre quando ci allontaniamo da un luogo arturiano, ne torniamo con le mani vuote ma con il ricordo di scenari incantati, la suggestione di una dimensione... diversa. Col tempo le sensazioni visive, tattili, uditive... sbiadiranno. Ma le emozioni, quelle no! le emozioni resteranno dentro di noi come un marchio impresso col fuoco.
Seppure a malincuore, dobbiamo tornare a più prosaiche considerazioni... L'Estoire del Saint Graal (secondo il ciclo vulgato) asserisce che "Corbenic" è un nome caldeo che significa "vaso sacro". In realtà, un importante medievalista (R. S. Loomis) fa notare che in francese "cor benoit" significa "corno benedetto" e potrebbe essere una chiara allusione al corno magico posseduto da Bran il benedetto, uno dei Tredici Tesori di Britannia (colui che vi avesse bevuto vi avrebbe trovato la bevanda desiderata, un pò come il piatto a cui si accennava prima): un (altro) Graal ante-litteram? Ancora, "corps benoit" significa "corpo santo": Corbenic come una corruzione dell'espressione "corpo santo" inteso come corpo eucaristico di Cristo? Bella domanda...
Un altro studioso, J. D. Bruce, ha fatto notare l'esistenza di una città in Picardia chiamata Corbeni, non lontana dal monastero dove si crede abbia vissuto l'anonimo autore della Queste vulgata. Che sia stata la banale toponomastica a suggerirgli il nome Corbenic? Speriamo di no…
E visto che mi è sempre difficile terminare un racconto senza una nota finale, per quanto banale, vi dirò che secondo molti studiosi il nostro Bran, non contento di tutti i "guai" che ci ha combinato, ha pure ispirato il nome di alcuni importanti personaggi del ciclo arturiano. Un esempio? Il nome Ban de Benoic, papà di Lancillotto, non vi dice niente? a ben vedere, sembra proprio la corruzione del nome "Bran le Benoit" ("Bran il benedetto" in francese...). E fermiamoci qua... :smile_lol:
http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl&q=52%C2%B058'46.68%22%20N%2C%20%2003%C2%B009'34.45 %22%20W (http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl&q=52%C2%B058'46.68%22%20N%2C%20%2003%C2%B009'34.45 %22%20W)
Si tratta di una fortezza di cui oggi rimangono poche suggestive rovine su una collina che domina la valle del Llangollen, probabilmente uno dei luoghi più magici del Galles. Sebbene le rovine che oggi ammiriamo siano di epoca basso medievale, esse insistono sul sito di una fortezza molto più antica: il fossato e i terrapieni che cingono parte della fortezza risalgono, infatti, all'età del ferro. Il nome "Dinas" è termine abbastanza "generico" (e comune) per un castello in Galles (in gallese dovrebbe significare proprio roccaforte, fortezza o anche "luogo alto"), "Bran" invece è un nome gallese che significa "corvo": Dinas Bran, dunque, significherebbe nient'altro che "castello del corvo"... Arrivarci non è molto semplice, ma d'altra parte chiunque di noi abbia avuto il piacere o semplicemente la curiosità di visitare un luogo arturiano in Conovaglia o in Galles o chissà dove, sa che la difficoltà e la fatica rappresentano il fattore comune di ciascun sito, e che la possibilità di perdersi e la tentazione di mollare sono sempre in agguato. Ma una volta raggiunta la meta, gli scenari di solito sono di quelli che tolgono il fiato, e poco importa se un “dux bellorum” storico o un potente sovrano nato dalla penna di poeti fantasiosi, vi abbia mai vissuto o ci sia mai anche solo transitato. La vista ci ripaga di tutta le difficoltà e delle energie fisiche e mentali spese nella ricerca. Ma torniamo a noi. C'è una strada che si arrampica su per questa collina, almeno fino a un certo punto, dopodiché bisogna abbandonare l'autovettura in uno slargo (si fa per dire...) e continuare lungo un accidentato percorso a piedi, in mezzo a pecorelle curiose, e sfidando un vento che taglia il viso, una pioggerellina intermittente a farti compagnia e un pallido sole a fare pigramente capolino fra nuvole capricciose. A dire il vero, il tratto "carrabile" è ancora più accidentato di quello pedonale, manca un seppur lontano parente di un guard rail e, mentre state guidando (sul lato "sbagliato" della vettura), le ruote esterne lambiscono piuttosto "perigliosamente" il bordo della strada... inutile dire che pur di tenermi il più all'interno possibile della strada, avrò strofinato l'auto contro tutti i rovi che crescono sulla collina... e ne crescono tanti! Alcuni tratti in salita sono davvero "tosti" per cui il mio consiglio è di prendere una 4x4 e sperare vivamente di non incrociare lungo la salita un auto che, proprio in quel momento, dalla collina ne stia discendendo: come sempre accade su queste mulattiere, non c'è spazio per due auto affiancate se non in poche, accidentate, aree ad hoc e inserire la retromarcia in queste zone, con due ruote perennemente in bilico sulla scarpata, richiede un certo sangue freddo :p Però, credetemi: una volta lasciata l'auto il battito vi si normalizza, specie dopo aver opportunamente controllato di aver inserito il freno a mano… (recuperare l'auto in fondo al burrone potrebbe essere un problema, non foss'altro che è difficile spiegarlo all'agenzia di autonoleggio...). Una volta terminato il percorso a piedi ed essere giunti in cima al colle, camminare fra le rovine del castello e godersi il verde e suggestivo panorama... beh, lo spettacolo che vi si dischiude davanti agli occhi vi ripaga di tutto lo sforzo (e vi dà la carica per affrontare il viaggio di ritorno... almeno una volta che sarete riusciti a staccarvi da quei luoghi così pregni di fascino e di mistero). E se durante la salita avete avuto più volte il dubbio su cosa ci siete venuti a fare fin quassù, beh, credetemi, una volta guadagnata la vetta e aver contemplato, sotto di voi, quella valle che sorprende per la sua epica bellezza... vi assicuro che ogni dubbio scompare, strappato via con veemenza da quel vento ancestrale che spazza la rupe.
Ma scusate, ho divagato... Abbiamo parlato finora del castello di Dinas Bran (insieme a un goffo tentativo di raccontarvi un'oretta di trekking). Adesso parliamo di (apparentemente) tutt'altro.
Nella mitologia gallese, Re Bran Fendigaid, Bran "il benedetto", l'antico eroe gallese (una divinità pre-cristiana) da cui il castello citato pare abbia preso il nome, partì per un lungo viaggio alla ricerca di un magico vaso dell'abbondanza, il "calderone celtico della rinascita": secondo il Mabinogion, i guerrieri morti che vi venissero gettati al cadere della notte, la mattina seguente sarebbero risorti. Durante una guerra contro l'Irlanda, Bran fu ferito a un piede (probabilmente al tallone) da una lancia avvelenata e da quel momento la sua terra cominciò progressivamente a perire finché egli non fosse guarito (c'è una variante secondo cui la ferita fu subita all'inguine: il collegamento fra il vigore sessuale del re e la fertilità della sua terra è assai comune in queste leggende). Ora, questa storia non ci ricorda piuttosto da vicino quella della Cerca del Graal da parte de cavalieri di Artù? E il suo nome, Bran, non ricorda un pò troppo Bron, il cognato di Giuseppe di Arimatea e Re pescatore (o Re magagnato) di Robert de Boron? Per non parlare della ferita associata al deperimento della terra! Ma le coincidenze non finiscono qui: in una delle Triadi gallesi si dice che Bran fu uno dei tre sovrani "beati" che portarono il cristianesimo nelle isole britanniche (e ancora il parallelo con la famiglia di Giuseppe di Arimatea viene naturale). Non solo, ma sempre secondo il Mabinogion, Bran possedeva un piatto con un potere straordinario: qualunque cibo si desiderasse, subito vi appariva (proprietà, questa, talvolta attribuita al Graal).
Un'altra coincidenza (quantomeno bizzarra...): Bran aveva un cane dal pelo bianco, di nome Cafall, capace di “vedere” il vento: Cafall - o Caball - era anche il nome del cane di Artù...
Una curiosità: secondo le Triadi gallesi, allorché Bran viene ferito a morte durante il conflitto contro gli irlandesi, egli dice ai suoi uomini di recidergli la testa e seppellirla sulle coste della Britannia, affinché possa difendere l’isola (secondo le antiche credenze dei guerrieri celti, l’anima di una persona risiedeva infatti nella sua testa). La testa di Bran fu seppellita dove ora sorge la White Tower di Londra, con il volto rivolto verso la costa francese: fintanto che la sua testa fosse rimasta lì, la Britannia non avrebbe subito invasioni straniere. Secondo un'altra leggenda, Artù disseppellì la testa di Bran poiché riteneva che nessun altri, al di fuori di lui, potesse essere il difensore delle isole britanniche. Il seppellimento della testa di Bran viene ricordato come "Uno dei Tre Felici Occultamenti" di Britannia, mentre il suo disseppellimento da parte di Re Artù diversi secoli dopo, è ricordato, invece, come "Una della Tre Infelici Scoperte" per aver portato all’invasione dell’Inghilterra da parte dei Sassoni.
Una curiosità ancora più... curiosa: chiunque di noi si sia recato a Londra avrà notato che ancora oggi dei corvi vengono allevati e accuditi presso la Torre di Londra poiché si ritiene che finché dei corvi abiteranno la Torre, l'Inghilterra sarà salva (ancora una volta un "bran", un corvo, è un simbolo erto a protezione dell'Inghilterra... certe cose non cambieranno mai!).
Peraltro, dalla sfortunata missione in terra irlandese, con il loro macabro fardello, tornarono solo in sette e fra questi sette sopravvissuti vi era anche il leggendario bardo Taliesin, che narrò le gesta degli uomini di Britannia in terra irlandese.
Ora facciamo un volo pindarico (di quelli a cui la mia mente confusionaria dovrebbe avervi abituati :p). Tutti noi sappiamo che, nei cicli vulgato e post-vugato (e in Malory), il castello del Graal viene chiamato "Corbenic". Il nome di "castello di Corbenic" sembra provenire da "Corbin-Vicus". La parola Vicus è di chiara matrice latina e sta per "insediamento". Corbin, invece, sembra sia la traduzione francese ("corben") di "corvo" (guarda un pò, proprio come "bran" in gallese...). Sicché Castello di Corbenic sarebbe nient'altro che "Castello del corvo"... toh! esattamente come Castell Dinas Bran!!! Inoltre la valle del Llangollen, dominata dal castello di Dinas Bran, è attraversata da un fiume, il Dee river: il castello del Graal descritto da Chretien e dall’anonimo autore del ciclo vulgato non sorgeva forse vicino a un fiume? Dunque le poche pietre rimaste in piedi del castello di Dinas Bran, sarebbero le uniche mute testimoni dell'ultimo nascondiglio del sacro calice? E' un'ipotesi suggestiva, molto suggestiva (e non vi nascondo che è il motivo che mi ha spinto fin lassù, sfidando le vertigini, la fatica, le cadute...). La risposta, come sempre, possiamo sperare di ottenerla solo liberando la mente durante la salita e, una volta in cima, seduti fra le pietre antiche, in quella seducente desolazione, con gli occhi chiusi cerchiamo di ascoltare le parole appena sussurrate dal vento, parole antiche che vengono da tanto lontano, che quel vento amico ha raccolto per noi fra le pieghe del tempo. E sperare che quel mormorio che abbiamo udito, forse un semplice capriccio del vento che indugia fra le pietre consumate dai secoli, o forse il lamento di un vecchio paralitico e sofferente, custode di un antico tesoro e di un segreto che ha varcato per noi i confini del tempo... sperare, dicevamo, che quelle parole appena sussurrate, che crediamo di aver udito in quel sogno durato un istante, non volino via come foglie mosse dal vento appena riapriamo gli occhi, lasciandoci quel senso di vuoto che proviamo quando ci svegliamo d’improvviso da un sonno senza sogni.
Ma forse è ora di ridestarsi dal torpore di questi pensieri, è l'ora di scendere dal colle e di tornare lentamente verso valle. Come sempre quando ci allontaniamo da un luogo arturiano, ne torniamo con le mani vuote ma con il ricordo di scenari incantati, la suggestione di una dimensione... diversa. Col tempo le sensazioni visive, tattili, uditive... sbiadiranno. Ma le emozioni, quelle no! le emozioni resteranno dentro di noi come un marchio impresso col fuoco.
Seppure a malincuore, dobbiamo tornare a più prosaiche considerazioni... L'Estoire del Saint Graal (secondo il ciclo vulgato) asserisce che "Corbenic" è un nome caldeo che significa "vaso sacro". In realtà, un importante medievalista (R. S. Loomis) fa notare che in francese "cor benoit" significa "corno benedetto" e potrebbe essere una chiara allusione al corno magico posseduto da Bran il benedetto, uno dei Tredici Tesori di Britannia (colui che vi avesse bevuto vi avrebbe trovato la bevanda desiderata, un pò come il piatto a cui si accennava prima): un (altro) Graal ante-litteram? Ancora, "corps benoit" significa "corpo santo": Corbenic come una corruzione dell'espressione "corpo santo" inteso come corpo eucaristico di Cristo? Bella domanda...
Un altro studioso, J. D. Bruce, ha fatto notare l'esistenza di una città in Picardia chiamata Corbeni, non lontana dal monastero dove si crede abbia vissuto l'anonimo autore della Queste vulgata. Che sia stata la banale toponomastica a suggerirgli il nome Corbenic? Speriamo di no…
E visto che mi è sempre difficile terminare un racconto senza una nota finale, per quanto banale, vi dirò che secondo molti studiosi il nostro Bran, non contento di tutti i "guai" che ci ha combinato, ha pure ispirato il nome di alcuni importanti personaggi del ciclo arturiano. Un esempio? Il nome Ban de Benoic, papà di Lancillotto, non vi dice niente? a ben vedere, sembra proprio la corruzione del nome "Bran le Benoit" ("Bran il benedetto" in francese...). E fermiamoci qua... :smile_lol: