Mordred Inlè
13-11-2011, 19.39.03
WARNING: Questa è una storia eccessivamente sdolcinata e piena di cliché. Siete stati avvertiti! Ah, è Galahad/Mordred. E' la cosa più emo che io abbia mai scritto.
Questa storia inoltre è piena di cliché ed è ispirata dalla tragedia di Campbell intitolata "Mordred". Nella stessa Mordred è un giovane gobbo che ha in realtà un animo molto gentile ed ama tanto tanto, ma tutti lo odiano per il suo aspetto. Insomma, questa è quella storia in cui Morgana è come Yzma, Mordred non si piace e Galahad è un novello Redi.
Ci sono degli anacronismi? Forse. Questa non è una storia storica, è una robaccia fantasy ambientata nel mondo di Malory.
Things that go meow in the knight
Mordred tentò di rimangiarsi lo starnuto, ma finì solamente per riuscire ad ingoiare sorsate del proprio muco ed a singhiozzare imbarazzato.
Morgana gli scoccò un'occhiata insoddisfatta e assottigliò maggiormente le già quasi invisibili e livide labbra.
"Deve essermi andato di traverso qualcosa," sorrise Mordred. Negare l'evidenza era il più grande dei suoi pregi e non vi era nulla di male se, rabbrividendo per la febbre, con il viso che aveva l'aspetto di una sfera di cristallo (ma molto rossa) ed il naso che colava più delle cascatelle della dama del lago, il giovane figlio di Artù riusciva, sorridendo, ad ammettere che non si era mai e poi mai sentito meglio di così. Per non parlare del fatto che era difficile peggiorare il suo aspetto e probabilmente nessuno avrebbe notato i cambiamenti.
"Certo," bofonchiò Morgana.
Morgana e Morgause avevano poco in comune. Dove l'una aveva una nidiata di maschiacci, l'altra aveva sfornato solo un giovane e timido cavaliere. Dove la prima prorompeva sensualità provocante la seconda aveva il sex appeal di un torsolo di mela. Ma c'era qualcosa che le accomunava (esclusi ovviamente i parenti serpenti; nominalmente "Artù") ed era l'assoluta intolleranza per le malattie.
Fin dove il ricordo di Mordred arrivava, Morgause era sempre stata categorica nell'evitare di avvicinarsi ai figli in caso di malattia. Una volta aveva addirittura lasciato la corte del Lothian per allontanarsi da Gaheris che si era beccato una dose maligna e terribile di raffreddore. Mordred non aveva dubbi sul fatto che anche la pazienza di Morgana navigasse piuttosto bassa e, per di più, la strega era anche assolutamente assorbita dallo stress. Morgause le aveva cordialmente chiesto di accudire il giovane Mordred all'arrivo a Camelot e rendere di lui un astuto statista.
"Assomiglia ad un minotauro e ci sarà chi lo chiamerà figlio del demonio o demone lui stesso!" aveva esclamato Morgause alla sorella minore. Non aveva avuto tutti i torti perché gli abitanti di Camelot sembravano parecchio propensi a chiamarlo 'demone' anche se ognuno aveva le proprie personali ragioni (molti lo facevano perché era nato da incesto, altri perché effettivamente Mordred aveva tentato di rubar loro amicizie, glorie o denari e la maggior parte usava simili termini semplicemente per il suo aspetto).
"Quello che mi- ci - serve è che la sua intelligenza di astuto statista brilli così tanto da offuscare tutto il resto," erano state le ultime parole di saluto di Morgause prima della partenza del figlio per Camelot.
Mordred purtroppo non aveva nulla di astuto. O dello statista. E quindi Morgana si era ritrovata con l'incapacità del giovane cavaliere da una parte e l'irritabilità della sorella maggiore dall'altra. Una vera e propria accumulatrice di insalubre stress.
Al quinto starnuto (che Mordred non riuscì ad ingoiare) Morgana si alzò dal tavolo, acchiappando frettolosa i propri libri e tentando di ripararsi da nuove piogge disgustose da parte del nipote.
"Scusatemi, zia Morgana," farfugliò Mordred, asciugandosi il volto su una manica. Gli occhi avevano anche iniziato a lacrimare e la luce gli stava dando parecchio fastidio. Tentò di mettersi a sedere più comodo nella sedia, ma tutte le ossa gli facevano male. In realtà la cosa aveva un lato piacevole perché per una volta non doveva preoccuparsi del fastidioso dolore della sua schiena sbilenca appoggiata allo schienale.
"Non posso tollerare una cosa simile, vai nelle tue stanze e torna quando non sembrerai più una candela in fase di disgustoso scioglimento."
"No, zia Morgana! Devo finire di imparare i nomi delle famiglie irlandesi entro domani. E' il programma di-"
"-di tua madre, lo so. Ma di questo passo finirai per scioglierli i miei libri."
"Zia Morgana-" starnuto "-ti assicuro che passerà in qualche-" starnuto "-minuto."
La strega portò gli occhi al cielo e mormorò qualche parola sospettosamente simile a 'testardo' e 'lezione' e 'tempo'. Speranzoso che la frase nell'insieme fosse qualcosa di simile a 'Che testardo, vuole continuare la lezione. Per fortuna c'è ancora tempo', Mordred prese con innocente fiducia la tazza scura che la zia portò qualche minuto dopo dalla porta accanto.
"Mi farà passare-" starnuto "-quest'inconveniente casualità?" domandò il cavaliere, bevendo. Aveva un sapore zuccherino ed ignoto, ma non del tutto spiacevole.
"Certo. Vedrai."
Mordred non aveva la minima idea del fatto che la frase brontolata da Morgana fosse: "Che testardo, è il momento di dargli una lezione. E di racimolare un po' di tempo libero per me."
La prima cosa di cui Mordred si accorse, quando si svegliò, fu l'assenza del fastidioso e sordo dolore che gli capitava sempre quando dormiva per troppo a lungo nella stessa posizione. E subito dopo si rese conto che la sua schiena era perfettamente normale. Poteva alzare la testa, raddrizzarsi poteva- muovere la coda?
Fu con orrore che Mordred abbassò lo sguardo su delle zampe al posto dei suoi normalissimi piedi (e sentì anche una bizzarra nostalgia per il proprio storto piede destro). C'erano zampe. Zampe nere striate di grigio, con piccole unghie retrattili.
Si guardò attorno sentendosi leggermente nel panico. Tutto era molto più grande (o forse lui era molto più piccolo?), tutto era molto meno colorato e tutto- tutti i nuovi odori, come vortici! Ed i rumori erano così forti.
Quando Mordred riuscì a mettersi sulle proprie nuove e terribili quattro zampe, si permise un profondo sospiro e non si spaventò nemmeno troppo quando l'aria uscì dalla sua gola con un miagolio strozzato.
"Bene," pensò, nervosamente. "Sono un gatto, ma non c'è nulla di cui preoccuparsi."
Guardandosi attorno si accorse di essere ancora nell'anticamera delle stanze di Morgana. Il morbido arazzo decorato a fate minute di falcetti con intenti decapitatori era inconfondibile. E se Mordred non ricordava male, subito dopo il tavolino per il ricamo, vi era un lussuoso specchio a parete che il ricco re Urien aveva regalato alla moglie prima di vederla partire per Camelot.
Mordred si avvicinò, ondeggiando all'inizio ma acquisendo sempre più fiducia nei propri nuovi cuscinetti carnosi. Lo specchio era lì, altissimo e imponente e invece di riflettere un ragazzo gobbo, dal naso storto coperto di lentiggini, stava regalando l'immagine di un gatto. Un gatto molto piccolo, ma dalla schiena e dalle zampe perfettamente dritte. Era completamente nero con qualche spennellata grigia che pareva essere stata dimenticata sulle sue zampe e sulla coda. Nel muso decisamente affilato spiccavano degli enormi occhi blu.
La cosa disgustosa fu che, per un secondo, Mordred desiderò rimanere così per sempre in quella forma animale arruffata che poteva tranquillamente guardarsi ed ammirarsi allo specchio senza dover provare ribrezzo o vergogna.
L'emozione non durò a lungo perché qualcosa di più impellente subentrò: la fame. Aveva un'improvvisa e terribile fame. Per non parlare degli starnuti che avevano ricominciato a salire ed uscire da quel naso tutto nuovo, facendogli vibrare i baffi (anch'essi tutti nuovi; da uomo aveva avuto un filo di barba tagliuzzata, ma mai nulla di simile a dei baffi).
Doveva trovare del cibo. Ed un posto caldo in cui dormire. E uccidere Morgana. No, forse quest'ultimo pensiero era da eliminare, dopotutto Morgana sapeva quanto Morgause contasse su Mordred per riavere un po' del potere perduto con la salita al trono di Artù e quindi la zia non avrebbe mai osato veramente fargli del male.
Fame. Fame.
Mordred si ritrovò a miagolare. E poi miagolò più forte e ancora più forte.
Gironzolò per la stanza, senza meta. Saltò sopra il tavolino del ricamo e rimase incantato qualche minuto davanti ad un filo che penzolava da uno degli aghi luccicanti.
Fame, gli ricordò il proprio stomaco. Dal tavolino poteva vedere tutti l'anticamera con l'orribile arazzo, il caminetto spento ed un'apertura verso l'esterno che lasciava intravedere qualche stella. Quindi era notte, o sera, e Morgana stava dormendo o si trovava nella sala del banchetto dove nessuno avrebbe notato l'assenza del figlio bastardo del re.
Fantastico.
E lui aveva ancora fame.
Saltando giù dal tavolino, Mordred raggiunse la porta che dava sulla stanza da notte della zia e grattò il vecchio legno, tentando di fare leva, ma senza risultato.
Sconsolato provò la porta che lo avrebbe portato nel corridoio principale e fuori dal piccolo territorio di Morgana.
Fortunatamente questa era solo stata socchiusa e, anche se a fatica, il gattesco cavaliere riuscì ad infilare una zampa nello spiraglio ed a trascinare la pesante porta verso di sé.
Dovette ammettere che a sforzo fatto la sua fame era triplicata.
"Ora sono nel corridoio," si miagolò da solo, starnutendo subito dopo. "Devo solo raggiungere le cucine e rubare qualcosa da mangiare prima che uno di quei selvaggi servi decida di mangiare me."
Trovare la via verso le cucine e la sala del banchetto fu più facile del previsto. Non solo Mordred conosceva il castello come le sue tasche, ma gli bastava anche solo seguire l'odore del cibo ed il rumore della musica flebile ed in lontananza.
Percorse l'intero corridoio senza intoppi particolari (a parte una dama di compagnia troppo frettolosa che rischiò di decapitarlo con le proprie gonne) e si ritrovò davanti ad una rampa di scale che l'avrebbero portato al cortile esterno, oltre le stalle, fino alla sala, un po' separata, del banchetto.
Le scale erano sempre state difficili per Mordred che riusciva a percorrerle solo con un'andatura particolarmente ondeggiante e ridicola. Da agile e perfetto felino non poteva essere tanto ardua, giusto?
Con baldanza, appoggiò la zampa anteriore destra su un gradino e poi la sinistra. Fu nel momento in cui alzava una posteriore per poter balzare in avanti che Mordred si accorse di quanto scivolosi fossero quei pavimenti e le unghie non fecero nulla per trattenerlo dalla caduta.
Rotolò per almeno sette o otto gradini prima di scontrarsi contro un morbido muro. Un morbido muro dall'odore stranamente e inconsciamente familiare.
Ci fu un poderoso starnuto e Mordred alzò gli occhi da gatto ad esaminare chi o cosa avesse interrotto la sua pericolosa caduta. Il cosa era una coppia di persone e, nonostante sembrassero dei terribili giganti, Mordred li conosceva.
"E' un gatto del demonio," annunciò sir Bors, starnutendo di nuovo. "Vedi l'effetto che mi fa?"
Mordred fu sul punto di tirare fuori le unghie e graffiare abbondantemente la gamba del cavaliere, ma proprio in quel momento un paio di mani lo sollevarono con facilità e lui si ritrovò faccia a faccia con sir Galahad. Il bellissimo sir Galahad con il naso a punta e le guance sempre rosse.
Da così vicino, Mordred poté scorgere con facilità persino le pagliuzze verdi negli enormi occhi azzurri del giovane cavaliere. E la minuscola cicatrice sul biondo sopracciglio destro.
"E' solo un gatto," annunciò Galahad. "Non è nemmeno del tutto nero."
"Mettimi giù, idiota," miagolò il figlio del re, con rabbia e si ritrovò persino a soffiare. La sorpresa negli occhi dell'altro fu di grande soddisfazione.
"Non aver paura. Bors non ti brucerà su nessun rogo," sussurrò Galahad appoggiandosi l'animaletto contro il petto, tenendolo stretto a sé nell'incavo del braccio sinistro.
Oh, pensò Mordred. E' tutto caldo. E morbido.
No, lui era un principe, era il principe del Grande Re, nipote della Strega, fratello di uno dei migliori cavalieri della Tavola Rotonda e figlio della donna più temuta del regno, lui non avrebbe ceduto. D'accordo, essere toccato così era piacevole (e decisamente nuovo perché a parte gli abbracci dei propri fratelli nessuno mai osava toccarlo) ed in particolarmente essere toccato dallo strambo sir Galahad.
Miglior-cavaliere-del-torneo-Galahad, Faccia-di-fanciulla-Galahad, Oh-vorrei-che-fosse-mio-figlio-al-posto-di-Mordred-Galahad (o questo era ciò che Agravaine gli aveva riferito un giorno, mentre spiava Artù), Ho-avuto-un-sogno-erotico-su-di-lui-Galahad (e questo era meglio dimenticarlo).
Stava pensando così intensamente che si sentì persino i baffi vibrare.
E poi l'altra mano di Galahad iniziò a fare delle cose assolutamente indecenti, cose che Artù avrebbe di sicuro dovuto mettere al bando perché parevano rendere la brillante (anche se non troppo) mente del principe ad una nebbiolina informe.
Iniziò a lasciare brevi tocchi sulla testa di Mordred, fino a raggiungere la coda, con le dita e poi con la mano intera, passando a grattare sotto il mento e strofinare le guance ed i baffi con il pollice.
Mordred sospirò e con il sospiro si accorse di aver appena iniziato a produrre un bizzarro rumore sordo e ripetitivo. Fu più forte di lui, era come navigare sotto il sole e lasciarsi addormentare circondati da calore e dagli odori rassicuranti dell'estate.
(Nella confusione che la sua mente era diventata, Mordred capì di dover assolutamente progettare un tremendo stratagemma per rapire Galahad ed obbligarlo a coccolarlo per sempre.)
"Sta facendo le fusa," esclamò Galahad, con una nota di trionfo che Mordred ignorò, non era il momento di pensare troppo alla propria dignità, doveva solo rimanere lì e lasciare che tutto il resto scomparisse. Che ci pensasse Morgause a riprendere il potere, che ci pensasse Morgana alla politica e Gawain alle Orcadi. A lui bastava bagnarsi in quel momento di calore ed assuefarsi alle vibrazioni che il petto di Galahad mandava mentre questi discuteva con Bors.
Forse stavano parlando di importanti segreti relativi a Lancillotto ed a terribili stratagemmi per prendere il trono di Artù? A Mordred non poteva importare di meno in quel momento. Fu solo una la frase che colse la sua attenzione: "Sir Bors, dovremmo prendergli del cibo dalle cucine."
"Sì, sì, bravo Galahad, sono certo che il sale in zucca ti viene tutto da parte di madre," pigolò Mordred affondando ritmicamente le unghie nella tunica dell'altro.
Ciò che rispose Bors non fu importante, la cosa fondamentale fu che Mordred riuscì ad appoggiare la testa sulla spalla di Galahad e chiuse un attimo gli occhi. Giusto un secondo, per riposarsi dal trauma di risvegliarsi gatto. Avrebbe dormito in quel calore (così tiepido e morbido) solo per un minutino.
Si destò tutto intorpidito e con l'odore di pesce nel naso.
"Bentornato, Agamennone," esclamò gioiosa la voce di Galahad.
Non si trovavano più nel corridoio o per le scale, ma in una stanza che Mordred non riconobbe e che sicuramente doveva appartenere al francese. Non ebbe però tempo per esaminarla perché proprio lì davanti a lui, per terra, vi era un piatto enorme di cibo. E lui ne aveva bisogno ora.
Con un balzo felino, letteralmente, Mordred si districò dalle mani dell'altro e si fiondò sul cibo. Non aveva mai mangiato nulla di così buono.
A metà piatto poté concedersi un sospiro e sentì gli occhi che si stavano nuovamente chiudendo. La dura vita del gatto, pensò, mangiare metteva sonno.
"Ridammi il mio calore, schiavo," miagolò, pateticamente, ma Galahad parve capire almeno il senso di ciò che voleva perché lo riprese nuovamente in braccio e, dopo essersi sdraiato sul proprio letto, se lo appoggiò nuovamente sul petto.
"Hai sonno, Agamennone?"
"Non posso credere che tu mi abbia chiamato Agamennone. E' un nome orrendo! Tu sei orrendo!" Mancava energia però nella nuova indignazione perché Galahad non era orrendo e Mordred poteva ben dirlo. Perché Mordred se ne intendeva di cose orrende (gli piaceva ricordare come la prima cosa orrenda che avesse mai visto fosse stata se stesso riflesso in un lago, lassù alle Orcadi e subito dopo Gaheris che tentava di mangiarsi la teiera bollente di loro madre).
Con la zampina, il figlio del re tastò il mento dell'altro e poi gli zigomi ed il naso. Era tutto perfettamente simmetrico e- e- le mani di Galahad sul suo pelo iniziavano a distrarlo ed inoltre era difficile riuscire a pensare con tutto il rumore delle proprie fusa.
Decise che la cosa migliore per tutti sarebbe stata dormire.
Nel sonno del gatto, Mordred scoprì due cose. La prima era che Galahad russava leggermente, ma era avvantaggiato dall'avere l'odore più buono del mondo. La seconda cosa era che i felini sognavano e Mordred sognò in modo epico (avrebbe aggiunto la cosa alla lista di attività che, sorprendentemente, era in grado di svolgere). Sognò di uccelli di metallo volanti e di pietre altissime, così alte da sorpassare l'albero più alto che lui avesse mai visto e vivevano tutti in un posto detto Nuova York.
Questa storia inoltre è piena di cliché ed è ispirata dalla tragedia di Campbell intitolata "Mordred". Nella stessa Mordred è un giovane gobbo che ha in realtà un animo molto gentile ed ama tanto tanto, ma tutti lo odiano per il suo aspetto. Insomma, questa è quella storia in cui Morgana è come Yzma, Mordred non si piace e Galahad è un novello Redi.
Ci sono degli anacronismi? Forse. Questa non è una storia storica, è una robaccia fantasy ambientata nel mondo di Malory.
Things that go meow in the knight
Mordred tentò di rimangiarsi lo starnuto, ma finì solamente per riuscire ad ingoiare sorsate del proprio muco ed a singhiozzare imbarazzato.
Morgana gli scoccò un'occhiata insoddisfatta e assottigliò maggiormente le già quasi invisibili e livide labbra.
"Deve essermi andato di traverso qualcosa," sorrise Mordred. Negare l'evidenza era il più grande dei suoi pregi e non vi era nulla di male se, rabbrividendo per la febbre, con il viso che aveva l'aspetto di una sfera di cristallo (ma molto rossa) ed il naso che colava più delle cascatelle della dama del lago, il giovane figlio di Artù riusciva, sorridendo, ad ammettere che non si era mai e poi mai sentito meglio di così. Per non parlare del fatto che era difficile peggiorare il suo aspetto e probabilmente nessuno avrebbe notato i cambiamenti.
"Certo," bofonchiò Morgana.
Morgana e Morgause avevano poco in comune. Dove l'una aveva una nidiata di maschiacci, l'altra aveva sfornato solo un giovane e timido cavaliere. Dove la prima prorompeva sensualità provocante la seconda aveva il sex appeal di un torsolo di mela. Ma c'era qualcosa che le accomunava (esclusi ovviamente i parenti serpenti; nominalmente "Artù") ed era l'assoluta intolleranza per le malattie.
Fin dove il ricordo di Mordred arrivava, Morgause era sempre stata categorica nell'evitare di avvicinarsi ai figli in caso di malattia. Una volta aveva addirittura lasciato la corte del Lothian per allontanarsi da Gaheris che si era beccato una dose maligna e terribile di raffreddore. Mordred non aveva dubbi sul fatto che anche la pazienza di Morgana navigasse piuttosto bassa e, per di più, la strega era anche assolutamente assorbita dallo stress. Morgause le aveva cordialmente chiesto di accudire il giovane Mordred all'arrivo a Camelot e rendere di lui un astuto statista.
"Assomiglia ad un minotauro e ci sarà chi lo chiamerà figlio del demonio o demone lui stesso!" aveva esclamato Morgause alla sorella minore. Non aveva avuto tutti i torti perché gli abitanti di Camelot sembravano parecchio propensi a chiamarlo 'demone' anche se ognuno aveva le proprie personali ragioni (molti lo facevano perché era nato da incesto, altri perché effettivamente Mordred aveva tentato di rubar loro amicizie, glorie o denari e la maggior parte usava simili termini semplicemente per il suo aspetto).
"Quello che mi- ci - serve è che la sua intelligenza di astuto statista brilli così tanto da offuscare tutto il resto," erano state le ultime parole di saluto di Morgause prima della partenza del figlio per Camelot.
Mordred purtroppo non aveva nulla di astuto. O dello statista. E quindi Morgana si era ritrovata con l'incapacità del giovane cavaliere da una parte e l'irritabilità della sorella maggiore dall'altra. Una vera e propria accumulatrice di insalubre stress.
Al quinto starnuto (che Mordred non riuscì ad ingoiare) Morgana si alzò dal tavolo, acchiappando frettolosa i propri libri e tentando di ripararsi da nuove piogge disgustose da parte del nipote.
"Scusatemi, zia Morgana," farfugliò Mordred, asciugandosi il volto su una manica. Gli occhi avevano anche iniziato a lacrimare e la luce gli stava dando parecchio fastidio. Tentò di mettersi a sedere più comodo nella sedia, ma tutte le ossa gli facevano male. In realtà la cosa aveva un lato piacevole perché per una volta non doveva preoccuparsi del fastidioso dolore della sua schiena sbilenca appoggiata allo schienale.
"Non posso tollerare una cosa simile, vai nelle tue stanze e torna quando non sembrerai più una candela in fase di disgustoso scioglimento."
"No, zia Morgana! Devo finire di imparare i nomi delle famiglie irlandesi entro domani. E' il programma di-"
"-di tua madre, lo so. Ma di questo passo finirai per scioglierli i miei libri."
"Zia Morgana-" starnuto "-ti assicuro che passerà in qualche-" starnuto "-minuto."
La strega portò gli occhi al cielo e mormorò qualche parola sospettosamente simile a 'testardo' e 'lezione' e 'tempo'. Speranzoso che la frase nell'insieme fosse qualcosa di simile a 'Che testardo, vuole continuare la lezione. Per fortuna c'è ancora tempo', Mordred prese con innocente fiducia la tazza scura che la zia portò qualche minuto dopo dalla porta accanto.
"Mi farà passare-" starnuto "-quest'inconveniente casualità?" domandò il cavaliere, bevendo. Aveva un sapore zuccherino ed ignoto, ma non del tutto spiacevole.
"Certo. Vedrai."
Mordred non aveva la minima idea del fatto che la frase brontolata da Morgana fosse: "Che testardo, è il momento di dargli una lezione. E di racimolare un po' di tempo libero per me."
La prima cosa di cui Mordred si accorse, quando si svegliò, fu l'assenza del fastidioso e sordo dolore che gli capitava sempre quando dormiva per troppo a lungo nella stessa posizione. E subito dopo si rese conto che la sua schiena era perfettamente normale. Poteva alzare la testa, raddrizzarsi poteva- muovere la coda?
Fu con orrore che Mordred abbassò lo sguardo su delle zampe al posto dei suoi normalissimi piedi (e sentì anche una bizzarra nostalgia per il proprio storto piede destro). C'erano zampe. Zampe nere striate di grigio, con piccole unghie retrattili.
Si guardò attorno sentendosi leggermente nel panico. Tutto era molto più grande (o forse lui era molto più piccolo?), tutto era molto meno colorato e tutto- tutti i nuovi odori, come vortici! Ed i rumori erano così forti.
Quando Mordred riuscì a mettersi sulle proprie nuove e terribili quattro zampe, si permise un profondo sospiro e non si spaventò nemmeno troppo quando l'aria uscì dalla sua gola con un miagolio strozzato.
"Bene," pensò, nervosamente. "Sono un gatto, ma non c'è nulla di cui preoccuparsi."
Guardandosi attorno si accorse di essere ancora nell'anticamera delle stanze di Morgana. Il morbido arazzo decorato a fate minute di falcetti con intenti decapitatori era inconfondibile. E se Mordred non ricordava male, subito dopo il tavolino per il ricamo, vi era un lussuoso specchio a parete che il ricco re Urien aveva regalato alla moglie prima di vederla partire per Camelot.
Mordred si avvicinò, ondeggiando all'inizio ma acquisendo sempre più fiducia nei propri nuovi cuscinetti carnosi. Lo specchio era lì, altissimo e imponente e invece di riflettere un ragazzo gobbo, dal naso storto coperto di lentiggini, stava regalando l'immagine di un gatto. Un gatto molto piccolo, ma dalla schiena e dalle zampe perfettamente dritte. Era completamente nero con qualche spennellata grigia che pareva essere stata dimenticata sulle sue zampe e sulla coda. Nel muso decisamente affilato spiccavano degli enormi occhi blu.
La cosa disgustosa fu che, per un secondo, Mordred desiderò rimanere così per sempre in quella forma animale arruffata che poteva tranquillamente guardarsi ed ammirarsi allo specchio senza dover provare ribrezzo o vergogna.
L'emozione non durò a lungo perché qualcosa di più impellente subentrò: la fame. Aveva un'improvvisa e terribile fame. Per non parlare degli starnuti che avevano ricominciato a salire ed uscire da quel naso tutto nuovo, facendogli vibrare i baffi (anch'essi tutti nuovi; da uomo aveva avuto un filo di barba tagliuzzata, ma mai nulla di simile a dei baffi).
Doveva trovare del cibo. Ed un posto caldo in cui dormire. E uccidere Morgana. No, forse quest'ultimo pensiero era da eliminare, dopotutto Morgana sapeva quanto Morgause contasse su Mordred per riavere un po' del potere perduto con la salita al trono di Artù e quindi la zia non avrebbe mai osato veramente fargli del male.
Fame. Fame.
Mordred si ritrovò a miagolare. E poi miagolò più forte e ancora più forte.
Gironzolò per la stanza, senza meta. Saltò sopra il tavolino del ricamo e rimase incantato qualche minuto davanti ad un filo che penzolava da uno degli aghi luccicanti.
Fame, gli ricordò il proprio stomaco. Dal tavolino poteva vedere tutti l'anticamera con l'orribile arazzo, il caminetto spento ed un'apertura verso l'esterno che lasciava intravedere qualche stella. Quindi era notte, o sera, e Morgana stava dormendo o si trovava nella sala del banchetto dove nessuno avrebbe notato l'assenza del figlio bastardo del re.
Fantastico.
E lui aveva ancora fame.
Saltando giù dal tavolino, Mordred raggiunse la porta che dava sulla stanza da notte della zia e grattò il vecchio legno, tentando di fare leva, ma senza risultato.
Sconsolato provò la porta che lo avrebbe portato nel corridoio principale e fuori dal piccolo territorio di Morgana.
Fortunatamente questa era solo stata socchiusa e, anche se a fatica, il gattesco cavaliere riuscì ad infilare una zampa nello spiraglio ed a trascinare la pesante porta verso di sé.
Dovette ammettere che a sforzo fatto la sua fame era triplicata.
"Ora sono nel corridoio," si miagolò da solo, starnutendo subito dopo. "Devo solo raggiungere le cucine e rubare qualcosa da mangiare prima che uno di quei selvaggi servi decida di mangiare me."
Trovare la via verso le cucine e la sala del banchetto fu più facile del previsto. Non solo Mordred conosceva il castello come le sue tasche, ma gli bastava anche solo seguire l'odore del cibo ed il rumore della musica flebile ed in lontananza.
Percorse l'intero corridoio senza intoppi particolari (a parte una dama di compagnia troppo frettolosa che rischiò di decapitarlo con le proprie gonne) e si ritrovò davanti ad una rampa di scale che l'avrebbero portato al cortile esterno, oltre le stalle, fino alla sala, un po' separata, del banchetto.
Le scale erano sempre state difficili per Mordred che riusciva a percorrerle solo con un'andatura particolarmente ondeggiante e ridicola. Da agile e perfetto felino non poteva essere tanto ardua, giusto?
Con baldanza, appoggiò la zampa anteriore destra su un gradino e poi la sinistra. Fu nel momento in cui alzava una posteriore per poter balzare in avanti che Mordred si accorse di quanto scivolosi fossero quei pavimenti e le unghie non fecero nulla per trattenerlo dalla caduta.
Rotolò per almeno sette o otto gradini prima di scontrarsi contro un morbido muro. Un morbido muro dall'odore stranamente e inconsciamente familiare.
Ci fu un poderoso starnuto e Mordred alzò gli occhi da gatto ad esaminare chi o cosa avesse interrotto la sua pericolosa caduta. Il cosa era una coppia di persone e, nonostante sembrassero dei terribili giganti, Mordred li conosceva.
"E' un gatto del demonio," annunciò sir Bors, starnutendo di nuovo. "Vedi l'effetto che mi fa?"
Mordred fu sul punto di tirare fuori le unghie e graffiare abbondantemente la gamba del cavaliere, ma proprio in quel momento un paio di mani lo sollevarono con facilità e lui si ritrovò faccia a faccia con sir Galahad. Il bellissimo sir Galahad con il naso a punta e le guance sempre rosse.
Da così vicino, Mordred poté scorgere con facilità persino le pagliuzze verdi negli enormi occhi azzurri del giovane cavaliere. E la minuscola cicatrice sul biondo sopracciglio destro.
"E' solo un gatto," annunciò Galahad. "Non è nemmeno del tutto nero."
"Mettimi giù, idiota," miagolò il figlio del re, con rabbia e si ritrovò persino a soffiare. La sorpresa negli occhi dell'altro fu di grande soddisfazione.
"Non aver paura. Bors non ti brucerà su nessun rogo," sussurrò Galahad appoggiandosi l'animaletto contro il petto, tenendolo stretto a sé nell'incavo del braccio sinistro.
Oh, pensò Mordred. E' tutto caldo. E morbido.
No, lui era un principe, era il principe del Grande Re, nipote della Strega, fratello di uno dei migliori cavalieri della Tavola Rotonda e figlio della donna più temuta del regno, lui non avrebbe ceduto. D'accordo, essere toccato così era piacevole (e decisamente nuovo perché a parte gli abbracci dei propri fratelli nessuno mai osava toccarlo) ed in particolarmente essere toccato dallo strambo sir Galahad.
Miglior-cavaliere-del-torneo-Galahad, Faccia-di-fanciulla-Galahad, Oh-vorrei-che-fosse-mio-figlio-al-posto-di-Mordred-Galahad (o questo era ciò che Agravaine gli aveva riferito un giorno, mentre spiava Artù), Ho-avuto-un-sogno-erotico-su-di-lui-Galahad (e questo era meglio dimenticarlo).
Stava pensando così intensamente che si sentì persino i baffi vibrare.
E poi l'altra mano di Galahad iniziò a fare delle cose assolutamente indecenti, cose che Artù avrebbe di sicuro dovuto mettere al bando perché parevano rendere la brillante (anche se non troppo) mente del principe ad una nebbiolina informe.
Iniziò a lasciare brevi tocchi sulla testa di Mordred, fino a raggiungere la coda, con le dita e poi con la mano intera, passando a grattare sotto il mento e strofinare le guance ed i baffi con il pollice.
Mordred sospirò e con il sospiro si accorse di aver appena iniziato a produrre un bizzarro rumore sordo e ripetitivo. Fu più forte di lui, era come navigare sotto il sole e lasciarsi addormentare circondati da calore e dagli odori rassicuranti dell'estate.
(Nella confusione che la sua mente era diventata, Mordred capì di dover assolutamente progettare un tremendo stratagemma per rapire Galahad ed obbligarlo a coccolarlo per sempre.)
"Sta facendo le fusa," esclamò Galahad, con una nota di trionfo che Mordred ignorò, non era il momento di pensare troppo alla propria dignità, doveva solo rimanere lì e lasciare che tutto il resto scomparisse. Che ci pensasse Morgause a riprendere il potere, che ci pensasse Morgana alla politica e Gawain alle Orcadi. A lui bastava bagnarsi in quel momento di calore ed assuefarsi alle vibrazioni che il petto di Galahad mandava mentre questi discuteva con Bors.
Forse stavano parlando di importanti segreti relativi a Lancillotto ed a terribili stratagemmi per prendere il trono di Artù? A Mordred non poteva importare di meno in quel momento. Fu solo una la frase che colse la sua attenzione: "Sir Bors, dovremmo prendergli del cibo dalle cucine."
"Sì, sì, bravo Galahad, sono certo che il sale in zucca ti viene tutto da parte di madre," pigolò Mordred affondando ritmicamente le unghie nella tunica dell'altro.
Ciò che rispose Bors non fu importante, la cosa fondamentale fu che Mordred riuscì ad appoggiare la testa sulla spalla di Galahad e chiuse un attimo gli occhi. Giusto un secondo, per riposarsi dal trauma di risvegliarsi gatto. Avrebbe dormito in quel calore (così tiepido e morbido) solo per un minutino.
Si destò tutto intorpidito e con l'odore di pesce nel naso.
"Bentornato, Agamennone," esclamò gioiosa la voce di Galahad.
Non si trovavano più nel corridoio o per le scale, ma in una stanza che Mordred non riconobbe e che sicuramente doveva appartenere al francese. Non ebbe però tempo per esaminarla perché proprio lì davanti a lui, per terra, vi era un piatto enorme di cibo. E lui ne aveva bisogno ora.
Con un balzo felino, letteralmente, Mordred si districò dalle mani dell'altro e si fiondò sul cibo. Non aveva mai mangiato nulla di così buono.
A metà piatto poté concedersi un sospiro e sentì gli occhi che si stavano nuovamente chiudendo. La dura vita del gatto, pensò, mangiare metteva sonno.
"Ridammi il mio calore, schiavo," miagolò, pateticamente, ma Galahad parve capire almeno il senso di ciò che voleva perché lo riprese nuovamente in braccio e, dopo essersi sdraiato sul proprio letto, se lo appoggiò nuovamente sul petto.
"Hai sonno, Agamennone?"
"Non posso credere che tu mi abbia chiamato Agamennone. E' un nome orrendo! Tu sei orrendo!" Mancava energia però nella nuova indignazione perché Galahad non era orrendo e Mordred poteva ben dirlo. Perché Mordred se ne intendeva di cose orrende (gli piaceva ricordare come la prima cosa orrenda che avesse mai visto fosse stata se stesso riflesso in un lago, lassù alle Orcadi e subito dopo Gaheris che tentava di mangiarsi la teiera bollente di loro madre).
Con la zampina, il figlio del re tastò il mento dell'altro e poi gli zigomi ed il naso. Era tutto perfettamente simmetrico e- e- le mani di Galahad sul suo pelo iniziavano a distrarlo ed inoltre era difficile riuscire a pensare con tutto il rumore delle proprie fusa.
Decise che la cosa migliore per tutti sarebbe stata dormire.
Nel sonno del gatto, Mordred scoprì due cose. La prima era che Galahad russava leggermente, ma era avvantaggiato dall'avere l'odore più buono del mondo. La seconda cosa era che i felini sognavano e Mordred sognò in modo epico (avrebbe aggiunto la cosa alla lista di attività che, sorprendentemente, era in grado di svolgere). Sognò di uccelli di metallo volanti e di pietre altissime, così alte da sorpassare l'albero più alto che lui avesse mai visto e vivevano tutti in un posto detto Nuova York.