Altea
25-02-2015, 00.22.55
Visto in questo periodo si narrano molte storie mi permetto di aggiungerne una, ma dal finale particolare...
Tanto tanto tempo fa, che ormai nessuno se lo ricorda più, un cavaliere dall’armatura di ferro e dalla spada lucente dopo lungo peregrinare giunse nel regno di Asgard nella fredda regione del Kvænangen.
Questo luogo era circondato da altissime montagne ricoperte dai ghiacci; il clima così freddo che nonostante fosse già primavera inoltrata i prati erano ancora coperti dalla brina e i fiori e gli alberi non si erano ancora destati dal torpore dell’inverno. Ma ciò che colpì il cavaliere, che di terre straniere in tutti quegli anni ne aveva visitate tante, fu la tristezza della gente che nemmeno lo degnava di uno sguardo. Sebbene inizialmente la cosa lo confortasse poiché così nessuno sembrava notare l’enorme cicatrice che gli deturpava il viso, alla fine si chiese la ragione di tanta scostante indifferenza.
Giunta la sera trovò alloggio in una locanda, sistemò il suo cavallo e cercò di che rifocillarsi. L’oste lo servì quasi senza proferire parola. Il cavaliere era molto stanco e non se ne dolse più di tanto, ma si ripromise, prima di chiudere gli occhi avvinto dal sonno dei giusti, che l’indomani avrebbe indagato su quel luogo tanto triste. Così la mattina seguente, mentre gli servivano la colazione, domandò all’oste, ai suoi servi e agli altri avventori circa il luogo e le loro usanze. Quello che ne ricavò furono delle mezze risposte, dei mugugni, che finirono per fargli saltare la mosca al naso. Solo quando fece per alzarsi stizzito da tavola e magari mettere mano alla spada, un giovane bardo che fino a quel momento se n’era stato in disparte iniziò a parlargli come si deve. Il poeta era nuovo del luogo, ma ne conosceva la storia poiché egli ne era alla perenne ricerca da musicare nelle sue canzoni. I due si misero infine d’accordo che se il cavaliere avesse raccontato la storia dello strano medaglione che portava al collo, il bardo avrebbe ricambiato il favore raccontandogli la storia disgraziata di Asgard.
E fu così che il cavaliere iniziò a raccontare la sua storia. Molti anni prima, quale giovane scudiero del famoso cavaliere Nero, accompagnava il suo signore nelle lontane terre dell’ovest andando a caccia dei pochi draghi rimasti in circolazione. I più feroci serpenti sputafuoco della regione cadevano sotto l’alabarda dell’eroico cavaliere, la cui fama crebbe di giorno in giorno tanto da essere convocato dal re di un regno del sud. Il cavaliere Nero compiaciuto che la sua fama fosse riconosciuta in tutti i regni del mondo si precipitò al cospetto di questo sovrano che lo pregò di sconfiggere il re dei draghi che da qualche tempo aveva scelto di vivere nelle sue sfortunato terre. L’impavido cavaliere accompagnato dal suo fido scudiero andò quindi alla ricerca del più feroce dei feroci draghi e tanto girarono che infine lo trovarono in una enorme grotta scavata nel cuore della più alta montagna. Il cavaliere Nero si fece porgere allora la sua alabarda e, approfittando della bestia addormentata, con quella la trafisse senza indugio al cuore. Parve, ma solo per un momento, che l’ennesimo drago fosse caduto sconfitto, ma non si era fatto i conti con l’imponderabile vigore del re dei draghi che, sebbene ferito, trovò la forza di restituire il mortale colpo al suo aggressore. Il cavaliere Nero stramazzò quindi a terra con la schiena spezzata. In quegli attimi, di fronte all’implacabile sguardo del mostro furente, il giovane scudiero si vide anch’egli spacciato. Fu solo con il coraggio della disperazione che raccolse da terra la spada del suo signore e si lanciò gridando contro il re dei draghi. Lo scontro impari portò incredibilmente il ragazzo ad avere la meglio sulla bestia con la cui testa omaggiò il re per provare che sebbene il cavaliere Nero fosse perito nell’impresa il regno era infine stato liberato. Per gratitudine il sovrano volle farlo cavaliere lui stesso con la spada del suo signore che ancora portava nel fodero e a ricordo dell’impresa volle fargli dono di quel prezioso medaglione con l’effige della testa del re dei draghi che da allora mostrava fiero al petto così come in viso la cicatrice che aveva riportato nello scontro con il più feroce dei feroci draghi.
Il giovane bardo compiaciuto di avere sentito una così bella storia a sua volta mantenne il patto e iniziò a raccontare le vicissitudini del regno di Asgard che a dispetto del clima freddo era stato famoso ai viandanti per la calorosa ospitalità dei suoi abitanti e per le sontuose feste e che richiamavano genti forestiere anche da molto lontano. Era un regno felice e spensierato e non di rado erano proprio il re e la regina accompagnate dalla loro incantevole figlia che aprivano le danze. Tutto era finito quando un mago di passaggio s’invaghì della bella Principessa i cui occhi incantavano come lapislazzuli. Egli s’infatuò talmente della giovane che corse immediatamente dal re a chiederne la mano. Non uno ma per ben cento giorni consecutivi il mago si presentò a corte e ogni giorno con un dono diverso per l’agognata promessa sposa. Il mago era un potente stregone delle terre dell’Est tanto ricco quanto riverito, abituato ad ottenere tutto ciò che desiderava. I sovrani seppur compiaciuti dai doni prima di dare il consenso alle nozze vollero chiedere alla Principessa il suo parere sul fidanzamento. La giovane tanto bella quanto algida, sebbene il mago fosse uomo potente e dalle belle fattezze lo disdegnò, schifando i doni e rifiutando il matrimonio. La Principessa non sapeva che farsene dell’amore. Fu così che il mago pazzo di gelosia e offeso per il rifiuto le scagliò addosso una terribile maledizione: se non sapeva che farsene del cuore egli l’avrebbe tramutato in ghiaccio fino a quando la Principessa non avesse incontrato qualcuno che indifferente all’alterigia le avesse dimostrato il vero amore. La gente del regno furente per il maleficio provò a scagliarsi contro il mago che, per vendetta, tolse loro la gioia di vivere: sarebbero stati liberi quando la loro Principessa si fosse dimostrata degna del vero amore. Da allora, ed erano passati ormai lunghi otto anni, il regno era avvolto nella tristezza e, il re e la regina morti di crepacuore.
Delle strane storie e dei prodigi che il cavaliere aveva sentito raccontare durante i suoi innumerevoli viaggi questa lo colpì incommensurabilmente. Ciò che lo incuriosiva maggiormente erano le fattezze della Principessa, tanto bella e irraggiungibile. Pertanto chiese d’incontrarla. Il giovane bardo pur avvertendolo di stare attento a non cadere preda dell’avvenenza della donna, rispose che se voleva rischiare di incontrarla ella era solita trascorrere i suoi pomeriggi primaverili con le sue ancelle nei giardini di bosso attorno al palazzo reale. E proprio lì il cavaliere la incontrò per la prima volta e non appena ebbe incrociato il suo sguardo con quello della Principessa capì che per lui tutto era finito. Non solo la bellezza della Principessa non aveva pari fra tutte le donne del mondo, ma lo sguardo della donna era al contempo così triste e tanto dolce che egli s’innamorò all’istante. Incurante del pericolo, forzò lo sbarramento delle guardie e s’inginocchiò davanti alla sua Principessa dichiarandole il suo amore eterno. Se le parole possono ferire tanto e più delle spade in quel momento fu il silenzio a trafiggere le carni. Senza proferire parola, la principessa lo guardò sdegnata e se ne andò. Quello sguardo tanto gelido e scostante di colei che amava spezzò per sempre il cuore al cavaliere.
Questa triste storia potrebbe finire qui. Ma il cavaliere come da giovane aveva sconfitto il re dei draghi per non aver capitolato all’evidente disfatta, non si arrese nemmeno davanti alla freddezza della sua Principessa e così, arso dal fuoco ardente del suo amore, decise di posizionarsi sotto le finestre delle reali stanze e urlò che non si sarebbe mosso da lì finché colei che egli amava non avesse riconosciuto il suo amore.
Dapprima la Principessa non si curò molto dell’impavido cavaliere che se ne stava lì immobile sotto le sue finestre. Poi s’infuriò: come osava, quell’impudente, dichiarare il suo amore a lei: non lo avrebbe considerato nemmeno se non avesse avuto quell’orrendo sbrego che gli deturpava la faccia. Forse avrebbe dovuto chiamare le guardie, ma alla fine non lo fece perché in fondo era compiaciuta dall’audacia dell’uomo. Il cavaliere da par suo era ancor più ostinato. Per lui la vita non aveva più senso se non accanto alla sua Principessa: né le intemperie che gli arrugginivano l’armatura né gli spasmi della fame e della sete avrebbero potuto farlo desistere.
Così passarono le ore, i giorni e le settimane. Ogni giorno la Principessa mentre le pettinavano i lunghi capelli davanti lo specchio chiedeva ad una delle sue ancelle di sbirciare dalla finestra per controllare se il cavaliere fosse ancora lì ad aspettare e, ogni giorno, l’ancella tornava da lei confermando che sì, il cavaliere era ancora lì, immobile in attesa di una sua risposta.
Così passarono altri giorni, altre settimane e altri mesi. Passò l’estate e quindi arrivò l’autunno con i primi venti gelidi provenienti dal nord che iniziarono a flagellare tutto il regno. Un’ancella mossasi a compassione per lo sventurato amante provò a pregare la Principessa di affacciarsi e dire qualcosa a quel poveretto, ma lei niente. La Principessa era sì compiaciuta dalla dimostrazione di amore del cavaliere, ma purtroppo non aveva più un cuore per ricambiare il nobile sentimento.
Giunse infine l’inverno e con esso una bufera di neve che tormentò il regno di Asgard per giorni e giorni. Accanto al fuoco dell’enorme caminetto posto nella sua stanza, la Principessa di tanto in tanto si domandava per quanto tempo ancora il cavaliere potesse resistere. Le sue ancelle le dissero allora che il cavaliere era tanto coperto dalla neve che di lui se ne scorgeva ormai solo la sagoma. Per un attimo il cuore della Principessa parve sciogliersi e lei fece per alzarsi e correre alla finestra, ma quell’istante passò in un baleno e infine si rimise a giocare a ramino.
Ma ormai una crepa in quel cuore gelato si era creata. Così ogni mattina ora attendeva con trepidazione il messaggio dell’ancella che le confermava che il cavaliere era ancora lì, sepolto nella neve, ma sotto la sua finestra. E si chiedeva se forse non era stata una stupida a non capire quanto il cavaliere dovesse amarla per trovare il coraggio e la forza di patire tutte quelle pene per starle accanto. Gli sguardi assorti rivolti verso alla finestra si fecero infine così frequenti che anche le ancelle iniziarono a sperare che la Principessa si svegliasse dal suo algido torpore e si precipitasse dal suo amato per coronare il loro sogno d’amore.
E venne il primo giorno di primavera. Non era nemmeno l’alba che la Principessa si svegliò e ordinò alle sue ancelle di vestirla con il suo abito più bello. Quando fu pronta ordinò a una squadra di guardie reali di accompagnarla in giardino là dove si trovava il suo cavaliere innamorato. E si iniziò a scavare nella neve, là dove si scorgeva la sagoma gelata dell’impavido cavaliere innamorato. La Principessa raccomandò tanto di agire con cautela per non rischiare di far male al suo amato. Le guardie e le ancelle che avevano seguito la loro Principessa in giardino non credettero alle loro orecchie. La loro algida Principessa dal cuore di ghiaccio aveva forse trovato il suo vero amore. Era quindi giunto il tempo di spezzare l’incantesimo lanciato dal malefico mago dell’Est?
Passarono diversi minuti e tutti trattenevano il fiato, ma scava scava alla fine non trovarono niente, solo una pozza di acqua e fango rossastro, anche l’armatura e la spada si erano dissolte in ruggine. Del cavaliere non v’era rimasto che il ciondolo d’oro con l’effige del drago che la Principessa raccolse dalla fanghiglia come se fosse il pegno d’amore più prezioso del mondo. E la tapina si mise a piangere e pianse lacrime amare. Era stata tanto stupida da non accorgersi in tempo dell’amore vero e alla fine l’aveva perduto per sempre.
Per quanto ne possiamo sapere ancora oggi il regno di Asgard nelle lontane terre di Kvænangen è il posto più triste del mondo intero.
tratto dal sito "Zirconet".
Tanto tanto tempo fa, che ormai nessuno se lo ricorda più, un cavaliere dall’armatura di ferro e dalla spada lucente dopo lungo peregrinare giunse nel regno di Asgard nella fredda regione del Kvænangen.
Questo luogo era circondato da altissime montagne ricoperte dai ghiacci; il clima così freddo che nonostante fosse già primavera inoltrata i prati erano ancora coperti dalla brina e i fiori e gli alberi non si erano ancora destati dal torpore dell’inverno. Ma ciò che colpì il cavaliere, che di terre straniere in tutti quegli anni ne aveva visitate tante, fu la tristezza della gente che nemmeno lo degnava di uno sguardo. Sebbene inizialmente la cosa lo confortasse poiché così nessuno sembrava notare l’enorme cicatrice che gli deturpava il viso, alla fine si chiese la ragione di tanta scostante indifferenza.
Giunta la sera trovò alloggio in una locanda, sistemò il suo cavallo e cercò di che rifocillarsi. L’oste lo servì quasi senza proferire parola. Il cavaliere era molto stanco e non se ne dolse più di tanto, ma si ripromise, prima di chiudere gli occhi avvinto dal sonno dei giusti, che l’indomani avrebbe indagato su quel luogo tanto triste. Così la mattina seguente, mentre gli servivano la colazione, domandò all’oste, ai suoi servi e agli altri avventori circa il luogo e le loro usanze. Quello che ne ricavò furono delle mezze risposte, dei mugugni, che finirono per fargli saltare la mosca al naso. Solo quando fece per alzarsi stizzito da tavola e magari mettere mano alla spada, un giovane bardo che fino a quel momento se n’era stato in disparte iniziò a parlargli come si deve. Il poeta era nuovo del luogo, ma ne conosceva la storia poiché egli ne era alla perenne ricerca da musicare nelle sue canzoni. I due si misero infine d’accordo che se il cavaliere avesse raccontato la storia dello strano medaglione che portava al collo, il bardo avrebbe ricambiato il favore raccontandogli la storia disgraziata di Asgard.
E fu così che il cavaliere iniziò a raccontare la sua storia. Molti anni prima, quale giovane scudiero del famoso cavaliere Nero, accompagnava il suo signore nelle lontane terre dell’ovest andando a caccia dei pochi draghi rimasti in circolazione. I più feroci serpenti sputafuoco della regione cadevano sotto l’alabarda dell’eroico cavaliere, la cui fama crebbe di giorno in giorno tanto da essere convocato dal re di un regno del sud. Il cavaliere Nero compiaciuto che la sua fama fosse riconosciuta in tutti i regni del mondo si precipitò al cospetto di questo sovrano che lo pregò di sconfiggere il re dei draghi che da qualche tempo aveva scelto di vivere nelle sue sfortunato terre. L’impavido cavaliere accompagnato dal suo fido scudiero andò quindi alla ricerca del più feroce dei feroci draghi e tanto girarono che infine lo trovarono in una enorme grotta scavata nel cuore della più alta montagna. Il cavaliere Nero si fece porgere allora la sua alabarda e, approfittando della bestia addormentata, con quella la trafisse senza indugio al cuore. Parve, ma solo per un momento, che l’ennesimo drago fosse caduto sconfitto, ma non si era fatto i conti con l’imponderabile vigore del re dei draghi che, sebbene ferito, trovò la forza di restituire il mortale colpo al suo aggressore. Il cavaliere Nero stramazzò quindi a terra con la schiena spezzata. In quegli attimi, di fronte all’implacabile sguardo del mostro furente, il giovane scudiero si vide anch’egli spacciato. Fu solo con il coraggio della disperazione che raccolse da terra la spada del suo signore e si lanciò gridando contro il re dei draghi. Lo scontro impari portò incredibilmente il ragazzo ad avere la meglio sulla bestia con la cui testa omaggiò il re per provare che sebbene il cavaliere Nero fosse perito nell’impresa il regno era infine stato liberato. Per gratitudine il sovrano volle farlo cavaliere lui stesso con la spada del suo signore che ancora portava nel fodero e a ricordo dell’impresa volle fargli dono di quel prezioso medaglione con l’effige della testa del re dei draghi che da allora mostrava fiero al petto così come in viso la cicatrice che aveva riportato nello scontro con il più feroce dei feroci draghi.
Il giovane bardo compiaciuto di avere sentito una così bella storia a sua volta mantenne il patto e iniziò a raccontare le vicissitudini del regno di Asgard che a dispetto del clima freddo era stato famoso ai viandanti per la calorosa ospitalità dei suoi abitanti e per le sontuose feste e che richiamavano genti forestiere anche da molto lontano. Era un regno felice e spensierato e non di rado erano proprio il re e la regina accompagnate dalla loro incantevole figlia che aprivano le danze. Tutto era finito quando un mago di passaggio s’invaghì della bella Principessa i cui occhi incantavano come lapislazzuli. Egli s’infatuò talmente della giovane che corse immediatamente dal re a chiederne la mano. Non uno ma per ben cento giorni consecutivi il mago si presentò a corte e ogni giorno con un dono diverso per l’agognata promessa sposa. Il mago era un potente stregone delle terre dell’Est tanto ricco quanto riverito, abituato ad ottenere tutto ciò che desiderava. I sovrani seppur compiaciuti dai doni prima di dare il consenso alle nozze vollero chiedere alla Principessa il suo parere sul fidanzamento. La giovane tanto bella quanto algida, sebbene il mago fosse uomo potente e dalle belle fattezze lo disdegnò, schifando i doni e rifiutando il matrimonio. La Principessa non sapeva che farsene dell’amore. Fu così che il mago pazzo di gelosia e offeso per il rifiuto le scagliò addosso una terribile maledizione: se non sapeva che farsene del cuore egli l’avrebbe tramutato in ghiaccio fino a quando la Principessa non avesse incontrato qualcuno che indifferente all’alterigia le avesse dimostrato il vero amore. La gente del regno furente per il maleficio provò a scagliarsi contro il mago che, per vendetta, tolse loro la gioia di vivere: sarebbero stati liberi quando la loro Principessa si fosse dimostrata degna del vero amore. Da allora, ed erano passati ormai lunghi otto anni, il regno era avvolto nella tristezza e, il re e la regina morti di crepacuore.
Delle strane storie e dei prodigi che il cavaliere aveva sentito raccontare durante i suoi innumerevoli viaggi questa lo colpì incommensurabilmente. Ciò che lo incuriosiva maggiormente erano le fattezze della Principessa, tanto bella e irraggiungibile. Pertanto chiese d’incontrarla. Il giovane bardo pur avvertendolo di stare attento a non cadere preda dell’avvenenza della donna, rispose che se voleva rischiare di incontrarla ella era solita trascorrere i suoi pomeriggi primaverili con le sue ancelle nei giardini di bosso attorno al palazzo reale. E proprio lì il cavaliere la incontrò per la prima volta e non appena ebbe incrociato il suo sguardo con quello della Principessa capì che per lui tutto era finito. Non solo la bellezza della Principessa non aveva pari fra tutte le donne del mondo, ma lo sguardo della donna era al contempo così triste e tanto dolce che egli s’innamorò all’istante. Incurante del pericolo, forzò lo sbarramento delle guardie e s’inginocchiò davanti alla sua Principessa dichiarandole il suo amore eterno. Se le parole possono ferire tanto e più delle spade in quel momento fu il silenzio a trafiggere le carni. Senza proferire parola, la principessa lo guardò sdegnata e se ne andò. Quello sguardo tanto gelido e scostante di colei che amava spezzò per sempre il cuore al cavaliere.
Questa triste storia potrebbe finire qui. Ma il cavaliere come da giovane aveva sconfitto il re dei draghi per non aver capitolato all’evidente disfatta, non si arrese nemmeno davanti alla freddezza della sua Principessa e così, arso dal fuoco ardente del suo amore, decise di posizionarsi sotto le finestre delle reali stanze e urlò che non si sarebbe mosso da lì finché colei che egli amava non avesse riconosciuto il suo amore.
Dapprima la Principessa non si curò molto dell’impavido cavaliere che se ne stava lì immobile sotto le sue finestre. Poi s’infuriò: come osava, quell’impudente, dichiarare il suo amore a lei: non lo avrebbe considerato nemmeno se non avesse avuto quell’orrendo sbrego che gli deturpava la faccia. Forse avrebbe dovuto chiamare le guardie, ma alla fine non lo fece perché in fondo era compiaciuta dall’audacia dell’uomo. Il cavaliere da par suo era ancor più ostinato. Per lui la vita non aveva più senso se non accanto alla sua Principessa: né le intemperie che gli arrugginivano l’armatura né gli spasmi della fame e della sete avrebbero potuto farlo desistere.
Così passarono le ore, i giorni e le settimane. Ogni giorno la Principessa mentre le pettinavano i lunghi capelli davanti lo specchio chiedeva ad una delle sue ancelle di sbirciare dalla finestra per controllare se il cavaliere fosse ancora lì ad aspettare e, ogni giorno, l’ancella tornava da lei confermando che sì, il cavaliere era ancora lì, immobile in attesa di una sua risposta.
Così passarono altri giorni, altre settimane e altri mesi. Passò l’estate e quindi arrivò l’autunno con i primi venti gelidi provenienti dal nord che iniziarono a flagellare tutto il regno. Un’ancella mossasi a compassione per lo sventurato amante provò a pregare la Principessa di affacciarsi e dire qualcosa a quel poveretto, ma lei niente. La Principessa era sì compiaciuta dalla dimostrazione di amore del cavaliere, ma purtroppo non aveva più un cuore per ricambiare il nobile sentimento.
Giunse infine l’inverno e con esso una bufera di neve che tormentò il regno di Asgard per giorni e giorni. Accanto al fuoco dell’enorme caminetto posto nella sua stanza, la Principessa di tanto in tanto si domandava per quanto tempo ancora il cavaliere potesse resistere. Le sue ancelle le dissero allora che il cavaliere era tanto coperto dalla neve che di lui se ne scorgeva ormai solo la sagoma. Per un attimo il cuore della Principessa parve sciogliersi e lei fece per alzarsi e correre alla finestra, ma quell’istante passò in un baleno e infine si rimise a giocare a ramino.
Ma ormai una crepa in quel cuore gelato si era creata. Così ogni mattina ora attendeva con trepidazione il messaggio dell’ancella che le confermava che il cavaliere era ancora lì, sepolto nella neve, ma sotto la sua finestra. E si chiedeva se forse non era stata una stupida a non capire quanto il cavaliere dovesse amarla per trovare il coraggio e la forza di patire tutte quelle pene per starle accanto. Gli sguardi assorti rivolti verso alla finestra si fecero infine così frequenti che anche le ancelle iniziarono a sperare che la Principessa si svegliasse dal suo algido torpore e si precipitasse dal suo amato per coronare il loro sogno d’amore.
E venne il primo giorno di primavera. Non era nemmeno l’alba che la Principessa si svegliò e ordinò alle sue ancelle di vestirla con il suo abito più bello. Quando fu pronta ordinò a una squadra di guardie reali di accompagnarla in giardino là dove si trovava il suo cavaliere innamorato. E si iniziò a scavare nella neve, là dove si scorgeva la sagoma gelata dell’impavido cavaliere innamorato. La Principessa raccomandò tanto di agire con cautela per non rischiare di far male al suo amato. Le guardie e le ancelle che avevano seguito la loro Principessa in giardino non credettero alle loro orecchie. La loro algida Principessa dal cuore di ghiaccio aveva forse trovato il suo vero amore. Era quindi giunto il tempo di spezzare l’incantesimo lanciato dal malefico mago dell’Est?
Passarono diversi minuti e tutti trattenevano il fiato, ma scava scava alla fine non trovarono niente, solo una pozza di acqua e fango rossastro, anche l’armatura e la spada si erano dissolte in ruggine. Del cavaliere non v’era rimasto che il ciondolo d’oro con l’effige del drago che la Principessa raccolse dalla fanghiglia come se fosse il pegno d’amore più prezioso del mondo. E la tapina si mise a piangere e pianse lacrime amare. Era stata tanto stupida da non accorgersi in tempo dell’amore vero e alla fine l’aveva perduto per sempre.
Per quanto ne possiamo sapere ancora oggi il regno di Asgard nelle lontane terre di Kvænangen è il posto più triste del mondo intero.
tratto dal sito "Zirconet".