Visualizza versione completa : Storie di Cavalieri
llamrei
14-06-2008, 21.48.05
se conoscete qualche storia in particolare che riguarda un cavaliere e avete voglia di raccontarcela ...;)
Morris
15-06-2008, 01.33.27
CHIARO IL MATTINO
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che nasce dall'est...
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Questa foresta... è tua!
Nato selvaggio...
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puro nell'anima...
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non sai paura cos'è...
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Quei cavalieri...
simili a dei...
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Morris
15-06-2008, 01.42.20
NON LI HAI MAI VISTI PERO'...
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgsp4JjzuyN14JDWwR-tyUcA1Gmvew_C8u0UiMlfPNpEVLO9XfpRMZGGvUYqoFvhOyk (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgsp4JjzuyN14JDWwR-tyUcA1Gmvew_C8u0UiMlfPNpEVLO9XfpRMZGGvUYqoFvhOyk)
NON PAURA NASCE DENTRO.....
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PARLERANNO A TE
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DI DIO,
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgtu5OOPyJMc750B31OpnqMtwqYTnfqhyO4B3gO VxzKo_5o0PRjETwNV_pYaXyzDgJc (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgtu5OOPyJMc750B31OpnqMtwqYTnfqhyO4B3gO VxzKo_5o0PRjETwNV_pYaXyzDgJc)
DEL RE...
http://www.cinemedioevo.net/film/PS/primocav07.jpg
LE FANCIULLE IN FIORE
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgvGAdm7qRzK8bFRSQfbndosjIMVtEe25Uv9dtN xrKZvARoFfFEzAOEVioMBJ3TXTVs (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgvGAdm7qRzK8bFRSQfbndosjIMVtEe25Uv9dtN xrKZvARoFfFEzAOEVioMBJ3TXTVs)
NEL VIAGGIO VEDRAI...
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IN UN GRANDE SOGNO ANTICO..
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgs93sQ7lIARj4QPp-_oZXbEN83GMM4QLD83WT_uWpMLnBtTBKJ5pwZuGuPeLNCunjM (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgs93sQ7lIARj4QPp-_oZXbEN83GMM4QLD83WT_uWpMLnBtTBKJ5pwZuGuPeLNCunjM)
LA TUA NUOVA VITA
SOLITARIO TI SOSPINGERA'...
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgvFg7jJrh6dh89-DLJxlifnrZqWW_mB2rNg9Ne5n4t0AiDW3SK_G3hKa0ybZ0yUX7 Q (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgvFg7jJrh6dh89-DLJxlifnrZqWW_mB2rNg9Ne5n4t0AiDW3SK_G3hKa0ybZ0yUX7 Q)
E UN DUBBIO TI CONQUISTERA'...
http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgtwgdsY-Sf-U5adyFswZxeMi88_VyQdEsah2n_0gasdB5SkrTOpQUEswZTojc yPT9s (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgtwgdsY-Sf-U5adyFswZxeMi88_VyQdEsah2n_0gasdB5SkrTOpQUEswZTojc yPT9s)
QUI SI FERMA IL TUO CAMMINO...
llamrei
15-06-2008, 22.10.53
Fantastico! Sembrerebbe il Parsifal :neutral_think:
Sir Morris: siete una sorpresa continua ;) ;)
Morris
16-06-2008, 01.06.04
Thank you, very much, milady!!
Soggetto aggiunto!
llamrei
17-06-2008, 19.29.12
Sir Morris, sei talmente bravo ad illustrare e raccontare che rendi la soluzione della questione facile a tutti ;)
Io vi voglio raccontare una storia un pò diversa rispetto alle storie dei cavalieri come siamo abituati a conoscere;) . Spero la cosa vi faccia piacere ;)
Questa è la storia di un "cavaliere-suo-malgrado", raccontata da un abate di Cluny, un certo "Oddone", che la cita nel suo testo" Vita di Gerardo conte di Auxerre". Siamo a cavallo del X e XI sec.
(non riporto il testo come da fonte -sarebbe lungo- lo riassumo)
Gerardo è nato figlio di conti e come tale riceve una educazione "come è costume dei nobili": si applica allo studio delle lettere e svolge esercizi secolari (impara a diventare un cavaliere). Gerardo però era più predisposto allo studio delle lettere che agli esercizi cavallereschi e, per volontà di Dio, si ammalò (si presume di una malattia psicosomatica tanto di "moda" all'epoca - vedete poi i re taumaturghi). Quindi si dedicò esclusivamente allo studio delle lettere...forse era meglio che diventasse un chierico, pensarono i genitori conti...invece...quando entrambi morirono e lui era un adolescente...si vide costretto ad assolvere i suoi doveri di conte: protezione del popolo che viveva nelle sue terre ed altri compiti. Divenuto adolescente e guarito, il giovane Gerardo dimostrò invece di essere un abile e agile cavalerizzo e molto bravo con le armi.
Ma a Gerardo la sua abilità non interessava...ma era costretto ad assolvere i suoi compiti. Gerardo si trovava spesso a combattere contro aristocratici che vivevano confinanti con lui e che volevano parte delle sue terre: Gerardo, cavaliere, prima offriva loro la pace e se questa veniva rifiutata combatteva in un modo molto particolare: con le armi al rovescio. Facendo così, che ci crediate o meno, riusciva a vincere le sue battaglie.
Gerardo è stato fatto santo per questo suo modo di creare una pace. A differenza di tutti gli altri santi militari lui non si è mai convertito alla vita monastica.
Morris
17-06-2008, 20.11.43
:smile: Bella, Milady!
llamrei
17-06-2008, 20.52.53
Si, particolare ;)
Morris
21-06-2008, 01.43.54
Da anni ormai il suo tetto era il cielo stellato. La sua casa erano le più intricate foreste di quel regno che tanto amava. Aveva abbandonato compagni, amici, terre per obbedire al sacro comando che aveva ricevuto. A volte sentiva nostalgia dei volti amati, ma mai una volta aveva rimpianto la scelta di seguire ciò che da sempre aveva nel cuore. Quel desiderio di valore, onore e speranza che solo nella devozione alla Dama del Lago aveva trovato compimento.
Aveva attraversato tutta la Bretonnia, fedele a quel voto per il quale tanti prima di lui erano partiti. In pochi però avevano fatto ritorno e questo il cavaliere lo sapeva. Ma neppure questo riusciva a scolpire la sua ferrea devozione: avrebbe portato a termine il suo compito. Avrebbo ritrovato ancora una volta il Graal. Perchè il cavaliere già una volta aveva trovato quella sacra reliquia: scelse però di non sorseggiare ciò che gli era stato offerto dall'ancella della Dama per dare una speranza al regno nella lotta contro Melkhior.
Quel ricordo rimaneva indelebile nella sua memoria: elfi, nani, seguaci di altre divinità potevano parlare di tutte le loro bizzarre credenze, ma lui sapeva che la fede nella Dama era pura realtà.
Era però tempo di tornare verso le terre che un tempo aveva chiamato casa: una sensazione di urgenza, di pericolo aveva spinto i suoi passi verso quei luoghi. Forse la Bianca Signora gli stava chiedendo di dare, ancora una volta, prova del suo onore prima di fargli portare a termine la Cerca. O forse doveva sacrificare la sua vita nella lotta contro il Caos senza riuscire a ritrovare ciò che cercava. Alain avrebbe accolto entrambe le possibilità senza battere ciglio: avrebbe fatto ciò che la Dama aveva scelto per lui.
"Forza Draco - disse il cavaliere accarezzando il cavallo che lo aveva accompagnato in tutte le sue peregrinazioni - è ora di tornare a casa"
Fonte: http://www.m4d.it/forum/showthread.php?p=924065
Ninive Shyal
23-06-2008, 17.46.05
Sir Morris complimenti! Sia per le storie che per le immagini della prima, stupende!
Morris
23-06-2008, 18.59.08
Grazie Lady Ninive, Vi adoro!
llamrei
23-06-2008, 21.31.37
Volevo includere in questa sezione anche Totila, re dei Goti. Propriamente non sarebbe corretto chiamarlo "cavaliere" per il semplice fatto che è nato in un periodo storico in cui il termine "cavaliere" ancora non era stato coniato...ma se mi permettete, io lo definirei proprio cosi..cavaliere. Cavaliere per quello che ha fatto prima di una battaglia, particolare pittoresco di una mezz'ora della sua vita ;)
Questa mezz'ora o poco più (non saprei quantificarlo) è stata raccontata da Procopio che era il segretario di Narsete, comandante Bizantino.
A Tagina, 552 dc, nei pressi di Benevento si stanno per affrontare, appunto, l'esercito bizantino e l'esercito goto. Totila deve guadagnare tempo in quanto sta aspettando rinforzi...come fare visto che i due eserciti sono già schierati uno di fronte all'altro? Totila si piazza in mezzo ai due schieramenti e, indossando una meravigliosa "armatura" dorata da parata non da guerra, si mette a compiere evoluzioni a cavallo: esercizi di equilibrio, spronava il cavallo al galoppo e lui in equilibrio da un lato, esercizi di lancio del giavellotto, corsa a cavallo ecc. Ha avuto il suo momento di gloria!;)
Dopo questo "spettacolo" la battaglia ha avuto inizio e lasciamo il resto alla storia.
Totila dimostra che è abile a cavallo, che è un re e quindi come tale "deve" essere in grado di poter fare ed eseguire tali acrobazie. Si deduce che chi apparteneva ad una certa classe sociale doveva essere anche in grado di avere una certa destrezza a cavallo...
Hastatus77
24-06-2008, 13.44.18
Ottima segnalazione lady llamrei.
Ricordo di aver letto delle evoluzioni di Totila, in un libro che riporta le più grandi battaglie del medioevo, tra le quali c'era anche la battaglia di Tagina.
llamrei
24-06-2008, 14.26.18
già ;) a quanto pare Totila sembrava essere un pò megalomane negli atteggiamenti;) Nel libro che hai letto viene riportato qualcos'altro in merito a questo re goto?
Hastatus77
24-06-2008, 14.36.54
Nel libro, si parlava soprattutto della battaglia, però quando trovo un po' di tempo, proverò a riguardare il capitolo dedicato alla battaglia di Tagina.
llamrei
24-06-2008, 14.39.55
gentilissimo come sempre ;)
Qualcosa su Alboino nel tuo magico libro?:o
Morris
01-07-2008, 00.32.43
STORIA DI UN CAVALIERE...SIEGAFRIED
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http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgsjn7uu0IBnBdQNY_U2gvj0AUHbhtkzVmDhSrS 25s6r_jAcTJVNg5BZbtf-Btk5bqA (http://byfiles.storage.live.com/y1pioSPoC4kMgsjn7uu0IBnBdQNY_U2gvj0AUHbhtkzVmDhSrS 25s6r_jAcTJVNg5BZbtf-Btk5bqA)
Di nuovo insieme
ma...in un'altro mondo
llamrei
01-07-2008, 14.17.01
:shakehands: :Anniversaire: di poche parole...ma buone!
Morris
01-07-2008, 20.50.35
Grazie, Milady!
Morris
08-07-2008, 15.02.13
Dovete sapere che questo Gobbin Gobbetto era figlio di un re, ma aveva deciso di andarsene da solo per il mondo a cercare fortuna. E così, finì a servizio di un gigante, che lo mise a badare alla casa, ma gli vietò assolutamente di aprire la stalla, che era chiusa. Jack (questo era il suo vero nome) per un pò ubbidì, ma poi mentre il gigante era fuori aprì la porta della stalla, e trovò un orso e una cavalla, tristi tristi perché davanti alla cavalla stava un pezzo di carne e davanti all’orso c’era un mucchio di fieno, così che nessuno dei due poteva sfamarsi. Jack ebbe pietà dei due animali e invertì il cibo che stava loro davanti, così entrambi mangiarono, ma nell’uscire dalla stalla un dito rimase imprigionato, tanto che non riusciva assolutamente a liberarlo, e dovette tagliarselo perché il gigante non lo trovasse lì. Ma il gigante se ne accorse e si arrabbiò moltissimo, minacciandolo di morte se l’avesse fatto ancora. Jack non resisteva però all’idea di quelle povere bestie affamate e così il giorno dopo ripetè quello che aveva fatto. Il gigante stavolta gli promise davvero che non avrebbe avuto pietà, e solo che per certi favori che doveva alla famiglia di Jack lo risparmiava, ma che la prossima volta…. Il giorno dopo, quando il gigante se ne fu andato, Jack tornò nella stalla, e la giumenta gli parlò. Dopo averlo ringraziato, gli disse che per tutti e tre c’era un solo modo per sfuggire all’ira del gigante, ed era FUGGIRE. Così tutti e tre si allontanarono di gran carriera prima che il gigante tornasse, ma quando si videro inseguiti decisero di separarsi e la giumenta, per fare in modo che Jack potesse rifugiarsi in castello vicino, lo trasformò in un ometto brutto e gobbo, perché il re di quella regione aveva tre figlie e non voleva ragazzotti intorno a casa.
In breve, le due figlie maggiori sposarono i re di Spagna e di Francia, mentre la minore, che non accettava nessuno dei pretendenti, rimaneva sempre più tempo in giardino, e diventò amica di Gobbin Gobbetto. Ora, prima di un’importante battaglia, il re chiese ai suoi generi di procurare un’acqua miracolosa che si trovava in capo al mondo e aveva il potere di resuscitare i morti e guarire i feriti all’istante. I due generi impostori tornarono con due fiasche d’acqua normale, ma Gobbin Gobbetto grazie ad un cappello magico regalatogli dalla buona cavalla ottenne veramente l’acqua miracolosa. Poi acconsnetì a darla ai due principi, in cambio delle sfere d’oro pegno del contratto nuziale, e di scrivere loro una frase sulla schiena. I due, senza por tempo in mezzo, acconsentirono. E Jack scrisse loro: “quest’uomo è indegnamente sposato”. Poi se ne tornò al suo giardino. La mattina della battaglia, la giumenta gli fornì una meravigliosa armatura, e gli consiglio di andare con l’esercito del re, senza svelare la sua identità. Il cavaliere fu il più valoroso di tutti sul campo di battaglia, ma quando il re lo invitò a castello declinò, dicendo che doveva tornare a casa. L re allora, per gratitudine, gli regalò una tovaglia magica, che bastava stendere perché si riempisse di ogn itipo di leccornia. Il secondo giorno, Jack si presentò ancora, con un’armatura diversa, e dichiarando di essere il fratello del primo cavaliere. La scena si ripetè ancora, e il re per gratitudine gli offrì un portamonete magico, che si riempiva da solo ogni volta che si apriva… Il terzo giorno, con un’armatura ancora più splendida, Jack sgominò l’esercito dei Goti e ne uccise il re. Stavolta non potè declinare l’invito del re, che gli regalò un pettine che faceva cadere oro e argento dai capelli ogni volta che si fosse pettinato, ma volle che tutti e tre i cavalieri sedessero alla sua tavola. Jack disse che potevano venire solo uno per volta, nelle tre sere successive. Poi, nei panni dei cavalieri impavidi, tentò di corteggiare la principessa, che però ogni volta rifiutava, per amore di Gobbin Gobbetto. Allora Jack, dopo aver smascherato i due ignobili generi mostrando al re le loro schiene e mostrando le sfere d’oro pegno d’amore che loro avevano tanto facilmente ceduto, raccontò tutta la storia e ottenne la mano della sua amata principessa. Col pettine che aveva ricevuto in dono dal re, acquisto le belle sembianze del principe Jack e smise per sempre di essere Gobbin Gobbetto.
Fonte: http://www.pianetabimbi.it/sp/anteprima.php?ID=324&RET=nuovoelenco_penelope.php&PageID=1
KingArthur
08-07-2008, 18.58.40
Signori, e in particolare mi rivolgo a Morris, vi rinnovo l'invito a mettere ben in evidenza la fonte da cui copiate i testi, questo per evitare d'infrangere i diritti d'autore.
Grazie per la collaborazione.
Morris
08-07-2008, 20.17.03
Signori, e in particolare mi rivolgo a Morris, vi rinnovo l'invito a mettere ben in evidenza la fonte da cui copiate i testi, questo per evitare d'infrangere i diritti d'autore.
Grazie per la collaborazione.
Grazie a Voi!
llamrei
09-07-2008, 11.35.55
Questo Gobbin Gobbetto no mi è nuovo:neutral_think: :neutral_think: :neutral_think: leggendo la storia qualcosa mi sovviene...ricordi di bambina forse? E' sempre un piacere tornare indietro con la memoria;)
Morris
09-07-2008, 12.19.28
E' vero, Milady.....spostandomi... tra un bosco ed un altro....ho degli "amici gnomi" che mi raccontano qualche storiella dal sapore del "bel passato"!
llamrei
09-07-2008, 13.58.29
amici gnomi eh?:neutral_think: :neutral_think:
Morris
09-07-2008, 15.03.37
Il più affezionato si chiama David ed è il medico del bosco!
Lui mi ha esortato a raccontargli qualche storiella di mia fantasia; io gli ho risposto che ha ragione nel voler sentir qualcosa di nuovo, ma ogni tanto è giusto metter in evidenza le opere d'altri, un pò dimenticate!
llamrei
09-07-2008, 15.08.40
Gnomo David, colto e dotto...suggerirei al vostro amico di illuminarci con altre sue belle storie ;)
Morris
10-07-2008, 00.07.54
http://www.youtube.com/watch?v=yhPTM629atA
llamrei
10-07-2008, 18.14.19
Caspita!!!! Siete un fenomeno sir!!!:smile_clap: :smile_clap: :smile_clap:
Piacere Sir David!!!
Morris
10-07-2008, 19.57.08
Quando (il tempo non ricordo!)
cani, gatti, topi a schiera
ben si misero d'accordo,
c'era, allora, c'era... c'era...
... un orfano detto Prataiolo, tardo e trasognato, tenuto da tutti per un mentecatto. Prataiolo mendicava di porta in porta ed era accolto benevolmente dalle massaie e dalle fantesche, perché tagliava il legno, attingeva al pozzo; e quelle lo compensavano con una ciotola di minestra. Ma quando Prataiolo compì i diciott'anni, il vicinato cominciò ad accoglierlo meno bene ed a rimproverargli il suo ozioso vagabondare.
Tanto che egli decise di lasciare il paese e di mettersi pel mondo alla ventura.
Andò a salutare la sua sorella di latte, Ciclamina, e questa gli disse:
- Voglio darti una piccola cosa, per mio ricordo. Non sono ricca e non posso fare gran che. Aggiungerò al tuo fardello una logora camicia della mia trisavola, che era negromante.
Prataiolo non poté nascondere un sorriso di delusione.
- Non sdegnare il mio dono, o Prataiolo. Ti sarà più utile che tu non pensi. Ti basterà distendere la camicia per terra e comandare ciò che vorrai: e ciò che vorrai sarà fatto.
Prataiolo prese il dono, abbracciò la sorella, e partì. Verso sera sentiva appetito e trovandosi senza provviste e senza denaro, cominciava ad inquietarsi, perché aveva ben poca fiducia nella tela miracolosa.
Volle provare, tuttavia; la distese in terra e mormorò:
- Camicia della trisavola, vorrei un pollo arrosto!
Ed ecco disegnarsi a poco a poco l'ombra di un pollo, leggiera dapprima e trasparente, poi più densa e concreta, solida e dorata come un pollo naturale. E un profumo delizioso si diffondeva intorno.
Prataiolo non osava toccarlo, temendo un malefizio. Poi si chinò, lo palpò, ne strappò un'ala, la portò alla bocca.
Era un pollo autentico e squisito. Ordinò allora una torta allo zibibbo, un piatto di pesche, una bottiglia di Cipro.
E tutto si disegnava leggiero, si concretava a poco a poco sulla camicia miracolosa.
Prataiolo mangiava tranquillo, seduto sull'erba, quando vide sulla strada maestra un mendicante che lo fissava muto e supplichevole.
- Posso offrirti, compagno?
Il vecchio non si fece pregare e divise il banchetto con lui.
Ma quando vide la comparsa meravigliosa delle portate, pregò il ragazzo di donargli la tela magica.
- Ti darò questo mio bastone in compenso.
- E che vuoi che ne faccia?
- Se tu sapessi la virtù di questo mio bastone, accetteresti con gioia. Contiene mille piccole celle ed ogni cella racchiude un cavaliere armato e un cavallo bardato di tutto punto. Ogni volta che avrai bisogno d'aiuto ti basterà comandare: «Fuori l'armata!».
Prataiolo aveva sempre sognato d'essere generale e non poté resistere a quella tentazione: accettò il cambio e si mise in cammino. Ma dopo poche ore era già pentito.
- Ho fame e non ho più la mia camicia! A che può giovarmi un'armata quando lo stomaco è vuoto?
L'appetito cresceva e per distrarsi egli puntò in terra il bastone e comandò:
- Fuori l'armata!
Ed ecco un fruscìo dal di dentro, poi aprirsi nel legno tante piccole finestre e da ogni finestra uscir fuori un cosino minuscolo come un'ape; poi crescere in pochi secondi, crescere, formare all'intorno una muraglia di cavalli scalpitanti e di cavalieri armati.
Prataiolo guardava trasognato.
- Che cosa comandate, signor generale?
Egli ebbe un'idea.
- Che mi sia riportata la camicia della trisavola!
L'armata partì di gran galoppo, sparve all'orizzonte, e poco dopo era di ritorno con la tela miracolosa.
- L'armata rientri in caserma! ...
Prataiolo puntò il bastone in terra. Cavalli e cavalieri presero a rimpicciolire, in pochi secondi ritornarono minuscoli come api, rientrarono nelle cellette che si rinchiusero sul legno senza lasciar traccia.
Prataiolo era felice.
Riprese la via e giunse ad un mulino.
Il mugnaio era sulla soglia e suonava il flauto: la moglie e i suoi nove figli danzavano intorno. Prataiolo sentì che avvicinandosi gli cresceva una voglia irresistibile di muover le gambe; poi fu costretto da una forza ignorata a ballare con gli altri ballerini.
Sentiva intanto la moglie del mugnaio che danzando gridava furibonda al marito:
- Basta! Basta! Uomo senza cuore! Dacci del pane invece che costringerci a ballare!
Poi rivolgendosi a Prataiolo che ballava con loro:
- Vedete? Questo mascalzone di marito, quando lo si prega di sfamarci, prende il suo flauto dannato e ci costringe a ballare!
Il mugnaio, quando gli piacque, smise di suonare e la moglie, i figli, Prataiolo caddero sfiniti dalla ridda vertiginosa. Prataiolo, riprese le forze, distese la camicia della trisavola e comandò un pranzo magnifico. Invitò il mugnaio e la sua famiglia sbigottita a dividere il pasto. Quelli non si fecero pregare, e giunti alle frutta il mugnaio disse:
- Cedimi la camicia ed io ti do il mio flauto.
Prataiolo accettò il cambio, già sicuro di ciò che doveva fare poco dopo.
Giunto, infatti, a dieci miglia dal paese, spedì i mille cavalieri che gli riportarono la tela.
- Ed eccomi ora possessore della camicia, del bastone, del flauto magico... Non posso desiderare di più.
Arrivò verso sera in una città e vide grandi annunci a vivi colori. Si accordava la mano della figlia del Re a chi sapeva guarirla della sua insanabile malinconia.
Prataiolo si presentò subito alla Reggia. Il Re dava quella sera un banchetto di gala agli ambasciatori del Gran Sultano, ma, udita la profferta dello sconosciuto, lo fece passare all'istante. Prataiolo entrò nella sala immensa, e fu abbagliato dallo sfolgorio degli ori e delle gemme.
Sedevano a mensa più di cinquecento persone, con a capo il Re, la Regina e la Principessa, bella ed assorta, pallida come un giglio.
Prataiolo fece legare da un servo le gambe della Principessa, senza che i commensali se n'avvedessero, poi si rifugiò in un angolo e cominciò le prime note. Ed ecco un agitarsi improvviso fra i commensali, un fremere di gambe e di ginocchia... Poi tutti s'alzano d'improvviso, scostano le sedie, cominciano a ballare guardandosi l'un l'altro, spaventati.
Principi, baroni, ambasciatori panciuti, baronesse pingui e venerabili, servi e coppieri, e financo i veltri, i pavoni, i fagiani farciti nei piatti d'oro, tutti si animarono, cominciarono a ballare la danza irresistibile.
- Basta! Basta! Per pietà! - gridavano i più vecchi e i più pingui.
- Avanti! Avanti ancora! - dicevano i più giovani, tenendosi per mano.
La Principessa, legata alla sua sedia, tentava anch'essa d'alzarsi e guardava gli altri, e rideva giubilante. Quando piacque a Prataiolo, il suono cessò e i cinquecento ballerini caddero sfiniti sulle sedie e sui tappeti, le dame senza scarpette e senza parrucca. La Principessa rise per un'ora e quando poté parlare disse al Re:
- Padre mio, costui mi ha risanata ed io sono la sua sposa.
Il Re acconsentì, ma Prataiolo esitava.
- Ho lasciata al paese la mia sorella di latte, bella come il sole e alla quale devo la mia fortuna; vorrei farvela conoscere.
- Partite, dunque, e portatela fra noi - dissero i commensali.
I mille cavalieri comparvero, occupando la sala immensa, fra lo stupore generale.
- Mi sia portata Ciclamina, la mia piccola sorella -. E l'armata attraversò la Reggia, le sale, gli scaloni, con gran fragore. Poco dopo era di ritorno con la sorella Ciclamina. La fanciulla fu trovata così bella, che un ambasciatore se ne innamorò all'istante.
E in uno stesso giorno furono celebrate le doppie nozze.
Fonte:http://it.wikisource.org/wiki/La_danza_degli_gnomi_e_altre_fiabe/La_camicia_della_trisavola
llamrei
10-07-2008, 21.42.25
Gran bella storia :smile_clap: :smile_clap:
Morris
10-07-2008, 21.57.13
Sono d'accordo con Voi, mia cara intenditrice!
Morris
11-07-2008, 00.17.45
C'era una volta un vecchio signore, senza più fortuna, che aveva tre figli. Il primogenito disse un giorno al padre:
- Voglio mettermi pel mondo, alla ventura.
- Sia come tu vuoi - disse il padre, - ma non posso darti più di dieci scudi.
- È poco, ma farò che mi bastino.
Desiderio prese i dieci scudi e partì.
Giunto in città vide un uomo che gridava per le vie un bando del Re. Il Re cercava chi sapesse costruirgli una nave che andasse per mare e per terra. Ricompensa: la mano della principessa.
- Voglio tentare - disse Desiderio, e si propose al banditore.
Fu condotto alla reggia e all'indomani gli fu data un'accetta per abbattere il legno necessario all'impresa.
Lavorò tutto il mattino, e a mezzodì sedette all'ombra d'un vecchio castagno, per mangiare il suo tozzo di pane.
Una gazza lo guardava curiosa, scendendo di ramo in ramo. Ella diceva nel suo roco cicaleccio:
- Un briciolo anche a me! Un briciolo anche a me!
E protendeva il becco verso le mani di Desiderio, supplicando.
- Lasciami in pace, bestia importuna! - gridò Desiderio impaziente.
La gazza risalì di due rami.
- Che lavoro stai facendo?
- Dei cucchiai, se ti piace! - le rispose Desiderio, beffandola.
- Cucchiai! Cucchiai! - gridò la gazza, risalendo di ramo in ramo.
E disparve.
Terminato il pasto, Desiderio si rimise all'opera, ma ad ogni colpo staccava dall'albero una scheggia in forma di rozzo cucchiaio. E non gli riusciva di far altro. Tentò e ritentò, poi capì di essere vittima di qualche incantesimo.
- Quella gazza dannata mi ha stregato l'accetta!
Gettò via lo stromento e fece ritorno alla casa paterna.
- Già di ritorno, figlio mio? - gli disse il padre.
- Sì. Ho pensato che la vita con voi, nella mia casa, era preferibile a qualunque avventura.
E tacque del bando, e della gazza misteriosa.
Saturnino, il secondogenito, volle partire a sua volta.
Il padre non gli diede che cinque scudi.
Giunto in città s'incontrò col banditore e volle tentare l'impresa. Si propose al banditore, e dopo aver lavorato tutto un mattino si sedette ai piedi del castagno centenario, sbocconcellando il suo pane.
Ed ecco la gazza scendere di ramo in ramo:
- Un briciolo anche a me! Un briciolo anche a me!
- Lasciami in pace, bestia importuna!
E come la gazza si protendeva agitando le ali, Saturnino la minacciò con la mano.
La gazza risalì tra i rami.
- Che fai tu qui?
- Grucce per le tue gambe, gazza curiosa! - gli rispose il giovane beffandola.
- Grucce! Grucce per le mie gambe! - gridò l'uccello risalendo tra le fronde.
E disparve.
Quando Saturnino riprese il lavoro, ad ogni colpo che dava nel legno non riusciva che a staccarne schegge in forma di grucce minuscole.
- Eccomi segno della magia di quell'uccellaccio.
Saturnino gettò l'accetta e riprese deluso la via del ritorno.
Gentile, il terzogenito, un fanciullo pallido e taciturno, volle tentare a sua volta la sorte.
- E tu speri di vincere - disse il padre - là dove furono sconfitti i tuoi fratelli maggiori?
- Il destino può essermi benigno. Lasciami partire.
Gentile va in città, ode il bando, si propone al banditore. Ed eccolo nella foresta, dopo un mattino di lavoro, che sbocconcella il suo pane sotto il castagno venerando.
- Un briciolo anche a me! Un briciolo anche a me!
Alzò gli occhi e vide la gazza protesa verso di lui.
- Avrai la tua parte, povera bestiola!
E sminuzzò il pane e lo gettò sull'erba. La gazza, mangiando, lo interrogava:
- Che stai facendo qui?
E Gentile narrò i casi suoi e il bando e il tentativo.
- Buona fortuna e bella nave! - gridò la gazza risalendo di ramo in ramo.
- Che Dio t'ascolti!
Gentile si rimise all'opera e ad ogni colpo d'accetta che dava nei tronchi, egli staccava un pezzo della nave già lavorato e scolpito per incanto. E le varie parti s'attiravano, s'univano fra di loro come se fossero calamitate.
- Ecco l'aiuto di qualche magia favorevole! - pensava Gentile, esultando.
Prima del tramonto la nave prodigiosa era pronta, ed egli vi salì, prendendone il timone e dirigendola attraverso i campi, i fiumi, le valli, i laghi, fra lo sbigottimento dei contadini.
A mezza via incontrò un uomo che rodeva un osso.
- Che stai facendo? - gli domandò Gentile.
- Muoio di fame!
- Sali con me e avrai di che sfamarti.
E l'uomo salì sulla nave.
Poco più lungi incontrarono un altro uomo presso una fontana.
- E tu che stai facendo?
- Ho prosciugato, col bere, tutta questa sorgente, ed ora attendo che si riempia, perché ho ancora sete.
- Sali con me e avrai di che dissetarti.
E il bevitore prodigioso salì sulla nave.
Non molto lontano incontrarono un altro individuo che aveva una pietra da macina a ciascun piede e che correva tuttavia come un daino.
- Che significa questo? - gli chiese Gentile.
- Voglio prendere una lepre che deve passare di qui.
- E tu, imbecille, ti leghi una pietra da macina alle gambe?
- Sì, perché corro troppo in fretta, e nonostante le pietre da macina alle gambe, avanzo sempre di qualche miglio la lepre da prendere.
- Questa è buffa! Vuoi salire sulla nave con noi?
Anche il corridore insuperabile salì sulla nave.
Verso il tramonto incontrarono un altro individuo che teneva in mano un arco teso e fissava un oggetto invisibile per loro.
- Uomo dell'arco, che stai facendo?
- Prendo di mira una lepre che vedo lassù, su quella montagna.
- Tu ci vuoi beffare...
In quel momento la freccia partì e l'uomo disse:
- Ecco... L'ho uccisa... Ma di qui alla montagna ci sono sette miglia e temo che altri passi e se la prenda.
- Presto, Primosempre - disse Gentile - corri e vedi se la lepre è uccisa o se costui è un fanfarone...
Primosempre partì e ritornò poco dopo con la lepre.
- Sei un arciere insuperabile - disse Gentile, rivolgendosi ad Occhiofino. - Vieni con noi e dividi le nostre avventure.
Occhiofino salì sulla nave che proseguì il cammino.
Poco dopo s'incontrarono in un altro sconosciuto, con l'orecchio applicato contro la terra.
- Che stai facendo? - gli chiese Gentile.
- Ieri ho seminato dell'avena e l'ascolto crescere...
- Che udito fine! - disse Gentile. - Se tu vuoi, sali sulla nave; credo che sei compagni come noi possono far grandi cose.
Eccoli dunque in sei sulla nave prodigiosa: Gentile, Mangiatutto, Bevitutto, Occhiofino, Finorecchia, Primosempre. La nave si mise in cammino e giunse trionfale in città, fra i cittadini sbigottiti e festanti.
Gentile scese dinanzi alla reggia e si presentò al Re.
- Maestà, eccovi servita. Vostra figlia è mia.
Il Re ammirava la nave, ma gli pesava concedere la figlia a quel poveretto randagio.
- Questo non basta, figliuolo. Prima di aver la sua mano si devono soddisfare altre prove ancora...
- Accetto le nuove prove.
- Sta bene - disse il Re. - Io ho dunque nelle mie stalle cinquanta buoi, e occorre che tu, o uno dei tuoi compagni, li mangi da solo in otto giorni.
- Tenteremo, Sire.
Gentile affidò l'impresa a Mangiatutto e quattro giorni dopo le stalle erano vuote.
Il Re era contrariato d'aver perduto la prova e le bestie.
- Non basta - disse a Gentile. - Dopo il pasto bisogna bere; ho nelle mie cantine cinquanta botti di vino inacidito. Tu, o uno dei tuoi compagni deve berlo da solo, in otto giorni.
- Bevitutto, questo è affar tuo.
E in otto giorni le cantine erano vuote.
- Chi è, dunque, costui e i suoi compagni? - pensava il Re inquieto, e non sapeva come disfarsene.
Uno dei ministri lo consigliò.
- Maestà, voi avete nella vostra cucina un cuoco insuperabile alla corsa. In cinque minuti va ad attingere acqua a dieci miglia di qui, e ritorna con gli otri pieni. Proponete allo sconosciuto una gara con lui.
Il Re fece chiamare Gentile e gli propose la gara.
- Sarà fatto - rispose Gentile, e delegò la cosa a Primosempre.
All'indomani il cuoco e Primosempre partirono insieme e questi giunse assai per tempo alla fontana, con grande ira del cuoco, che si credeva insuperabile alla corsa. Mentre si riposavano sull'erba, dopo aver riempito gli otri, il cuoco, che s'intendeva anche di magia, addormentò Primosempre col fissarlo a lungo; e partì con gli otri, dopo avergli deposte due pietruzze verdi sulle palpebre, perché non si svegliasse.
Ma Finorecchia era in ascolto e informava gli amici di quanto accadeva lontano.
- Finorecchia, che stanno facendo?
- Il cuoco e Primosempre si sono seduti ansanti e conversano presso la fontana. Primosempre s'addormenta, e russa forte. Il cuoco ritorna di corsa verso la reggia.
- Occhiofino, guarda e dacci notizia.
- Il cuoco è a mezza via e Primosempre dorme supino, con due pietruzze sugli occhi.
- Prendi il tuo arco - ordinò Gentile - e togli da gli occhi di Primosempre le pietruzze malefiche, perché si svegli. Bada di non ferirlo!
L'arciere prodigioso tese l'arco e sbalzò le pietre dalle palpebre del compagno addormentato.
Questi si svegliò con un sussulto, prese gli otri, e partì con tale velocità che arrivò prima ancora del cuoco, fra lo stupore del Re e dei cortigiani.
- Sia dunque - disse il Re, vinto ormai. E rivolgendosi verso Gentile: - Amo meglio aver per genero che per nemico un uomo della tua abilità.
Le nozze splendide ebbero luogo nella settimana. E Primosempre, Mangiatutto, Bevitutto, Finorecchia, Occhiofino furono fatti ministri.
Fonte: http://it.wikisource.org/wiki/La_danza_degli_gnomi_e_altre_fiabe/La_leggenda_dei_sei_compagni
llamrei
11-07-2008, 14.42.08
Finorecchia: un nome, un mito!!!! Stupendo!!!;)
Morris
11-07-2008, 19.33.10
C'era una volta un pover'uomo rimasto vedovo, con un figlio chiamato Candido; egli possedeva per tutta fortuna un campicello e tre buoi. Candido, che era un bimbo sveglio e intelligente, giunto agli otto anni disse al padre:
- Vorrei andare a scuola...
- Non ho danaro sufficiente, figlio mio!
- Vendete uno dei buoi.
Il padre restò pensoso, poi si decise. Alla fiera seguente vendette uno dei buoi e col danaro ricavato mandò Candido alla scuola.
Candido imparava rapidamente e i maestri erano sbigottiti della sua intelligenza.
Quando seppe leggere e scrivere, decise di mettersi pel mondo alla ventura. Si vestì d'un abito nero da un lato, bianco dall'altro e si mise in cammino. Per via incontrò un signore a cavallo:
- Dove vai, ragazzo mio?
- A cercar lavoro.
- Sai leggere?
- Leggere e scrivere.
- Allora non fai per me - e il signore proseguì la via. Candido restò sbigottito, poi si tolse l'abito, lo vestì a rovescio, corse attraverso i campi fino a trovarsi una seconda volta sulla strada dello sconosciuto; questi non lo riconobbe:
- Dove vai, ragazzo mio?
- A cercar lavoro.
- Sai leggere?
- Né leggere né scrivere.
- Sta bene. Sali in groppa, dietro di me.
Candido salì sul cavallo dello sconosciuto e dopo molti giorni di cammino giunsero ad un castello circondato da mura altissime. Nessuno venne a riceverli; discesero nel cortile deserto e il signore condusse egli stesso il suo cavallo alla scuderia; poi disse a Candido:
- Non vedrai qui dentro persona viva; ma non t'inquietare; avrai ogni cosa che ti talenta e un lauto stipendio.
- Quali sono le mie incombenze, signoria?
- Dovrai aver cura dei cavalli che ho nelle mie scuderie, non altro. Oggi devo partire per un viaggio lunghissimo, e non ritornerò che fra un anno e un giorno: il mio castello è nelle tue mani. Addio!
Il barone partì.
Candido, rimasto solo, curava diligentemente i cavalli. Quattro volte al giorno trovava la mensa imbandita nella vasta sala da pranzo, senza mai vedere anima viva né udir voce umana; mangiava, beveva, passeggiava per le sale e pel parco. Un giorno vide tra gli alberi trasparire una veste azzurra: era una fanciulla bellissima che fuggiva verso le scuderie.
Candido la raggiunse e la principessa si rivolse a lui con volto supplichevole.
- Sono uno dei cavalli che voi avete in custodia: un pomellato bianco, il terzo a destra di chi entra. Sono figlia del Re di Corelandia e il barone negromante m'ha cangiata in cavallo perché non lo volli per marito... Se il barone, al suo ritorno, sarà contento dei vostri servigi, per ricompensarvi vi dirà di scegliere uno dei cavalli; e voi scegliete me, non avrete a pentirvene.
Candido promise e si diede a leggere i libri del barone e apprese i segreti della negromanzia. Dopo un anno il barone era di ritorno al castello.
- Sono soddisfatto dei tuoi servigi, e poiché l'anno è passato, eccoti una borsa di monete d'oro. Vieni nelle scuderie, dove potrai sceglierti un cavallo pel tuo ritorno al paese.
Scesero nelle scuderie e Candido, dopo aver finto qualche esitazione, indicò il pomellato bianco.
- Scelgo quello.
- Come? Quella rozza? Non sei veramente buon intenditore; guarda i magnifici cavalli che le son vicini!
- Mi piace quella e non ne voglio altri.
- Sia pure - disse il barone; e pensò: «Servo scaltro! Deve conoscere il mio segreto; ma lo saprò raggiungere a mezza via!».
Candido prese la cavallina pomellata e partì. Appena fuori del castello, essa riapparve nelle forme della principessa.
- Grazie, amico mio. Ritorna presso tuo padre, ed io ritorno alla Corte di Corelandia, dove tu dovrai trovarti fra un anno e un giorno.
E disparve.
Candido si diresse al paese natìo. Giunse dopo molti giorni alla capanna e si gettò nelle braccia del padre, che stentava a riconoscerlo.
- Siamo ricchi, padre mio, e bisogna goderci il nostro danaro!
E gli presentò la borsa e incominciarono pei due giorni di felicità ed agiatezza. Ma, poiché tutto ha una fine, anche il gruzzolo giunse all'ultimo scudo.
- Figlio mio, siamo ritornati alla miseria di prima!
Non inquietatevi! Domattina andremo alla fiera per vendere un magnifico cavallo.
- Un cavallo? Dove lo posso prendere?
- Poco importa: domattina l'avrete e ne riceverete trecento scudi; ma badate di non cedere la briglia al compratore.
- La briglia si cede con la bestia - osservò il vecchio.
- Non lasciate la briglia, vi ripeto, o mi esporrete ad un pericolo irreparabile.
- Sta bene, la riporterò a casa, benché non sia costume.
All'indomani il vecchio udì nitrire alla porta e vi trovò un magnifico cavallo; ma cercò invano suo figlio perché l'accompagnasse:
«Mi avrà forse già preceduto al mercato». E si mise in cammino. Giunto in paese non trovò suo figlio e fu circondato subito dai compratori.
- Bello il vostro cavallo. Quanto volete?
- Trecento scudi e la briglia per me.
- Facciamo duecentocinquanta.
- Non cedo d'un soldo!
S'avanzò un mercante sconosciuto dai capelli rossi e dagli occhi di brace (era il barone travestito) che fece l'offerta:
- È caro. Ma la bestia mi piace e non mercanteggio. Datemi la briglia ch'io lo possa condurre.
- La briglia non la cedo a nessun patto.
- Allora non ne facciamo nulla.
E lo sconosciuto s'allontanò minaccioso.
Il cavallo fu venduto a un carrettiere che non pretese la briglia; condusse la bestia per la criniera e la chiuse con altri cavalli nella sua scuderia. Ma all'alba il cavallo non c'era più. Era Candido che, grazie ai segreti appresi nei libri magici, s'era trasformato in cavallo, poi in uomo ancora, per ritornarsene dal padre. Padre e figlio godettero i trecento scudi e vissero lieti per molti giorni.
Giunti all'ultima moneta, Candido disse:
- Non c'è più danaro. L'altra volta mi trasformai in cavallo nero, domattina mi trasformerò in cavallo bianco e mi porterete al mercato; ma badate bene di non cedere la briglia, o tutto è finito per me.
All'alba il vecchio sentì nitrire nel cortile, e vide un cavallo bellissimo, candido come la neve. Lo prese per la briglia e si diresse al mercato.
I compratori circondarono la bestia; s'avanzò il mercante sconosciuto, dai capelli rossi e dagli occhi fiammeggianti.
- Bella bestia, la vostra; quanto volete?
- Cinquecento scudi.
- Sono troppi. Ma ve li do. Lasciatemela prima provare.
E lo sconosciuto salì in sella, cacciò gli speroni nei fianchi della bestia che fuggì di galoppo, lasciando il povero vecchio senza cavallo e senza briglia.
Giunto dinanzi a un maniscalco lo sconosciuto scese di groppa, entrò nella fucina:
- Maniscalco, il mio cavallo non è ferrato. Fategli all'istante quattro ferri di quattrocento libbre ciascuno.
- Quattrocento libbre? Voi scherzate, signore!
- Non scherzo, eseguite senza commenti e sarete ben pagato.
Mentre il barone e l'uomo parlavano, il cavallo era stato legato ad un anello del muro. Alcuni bimbi gli furono intorno e presero a tormentarlo.
- Staccatemi, bambini belli!
- Un cavallo che parla! - e i piccoli esultarono di gioia.
- Che dice dunque?
- Dice di staccarlo.
- Sì, staccatemi, bambini, e vi divertirò con un bel giuoco.
Il più alto e il più audace staccò il cavallo, che si convertì subito in lepre e disparve nei campi. Il barone uscì dalla fucina col maniscalco.
- Dov'è il mio cavallo?
- S'è mutato in lepre ed è fuggito attraverso i campi.
Il barone negromante si mutò in cane e si precipitò sulle sue tracce.
Candido, incalzato da presso, si mutò in airone e il negromante lo seguì nell'aria sotto forma d'uno sparviero, e giunsero così nella capitale della Corelandia; lo sparviero stava per ghermire l'airone quando questo si mutò in un anello e infilò il dito della principessa che sospirava alla finestra del castello.
Il negromante riprese la sua forma umana e si presentò a palazzo per offrire le sue cure al Re, che era sofferente d'un morbo insanabile.
- Prometto di guarirvi, Sire; ma ad un patto.
- Domandate e qualsiasi pretesa vostra sarà appagata.
- Voglio l'anello d'oro che porta in dito vostra figlia.
- Questo soltanto, volete? Io son disposto a ben altro!
- Non domando altro, Maestà.
Intanto la principessa aveva chiuse le finestre e stava togliendosi gli anelli; quando si tolse quello d'oro le apparve Candido sorridente.
- Oh Candido! Come siete qui?
Candido narrò i casi suoi:
- Il negromante è nel castello ed ha promesso a vostro padre di guarirlo a patto gli sia dato il vostro anello; voi acconsentite, ma nell'atto di passarlo al dito del negromante, lasciatelo cadere in terra e tutto sarà per il meglio.
La principessa promise.
All'indomani il vecchio Re fece chiamare la figlia nella sala del trono e le presentò il negromante travestito da medico.
- Figlia mia, questo medico famoso non domanda, per rendermi la salute, che il tuo anello d'oro.
- Acconsento - disse la principessa, e fece atto di passare l'anello al dito del negromante, ma lo lasciò cadere ad arte sul pavimento.
L'anello si cangiò in fava e il negromante in gallo, per inghiottirla, ma la fava si cangiò in volpe e divorò il gallo.
Candido riprese la sua forma di prima, dinanzi a tutta la Corte sbigottita del prodigio.
La principessa presentò al padre il suo liberatore e quel giorno stesso furono celebrate le nozze.
Fonte: http://it.wikisource.org/wiki/La_danza_degli_gnomi_e_altre_fiabe/La_cavallina_del_negromante
llamrei
11-07-2008, 21.44.25
:smile_clap: :smile_clap: :smile_clap: Bella! Mi fate tornare piccina messere :o
Sono le storie che raccontate ai vostri nipoti?
Morris
11-07-2008, 21.48.28
Alle ultime due, di 7 e di 10 anni, Milady! Gentilissimamente, nostalgica lettrice!
llamrei
12-07-2008, 15.56.47
Lo ripeterò all'infinito: nipoti fortunate ;)
Morris
12-07-2008, 23.25.06
Quando il sughero pesava
e la pietra era leggera
come il ricciolo dell'ava
c'era, allora, c'era... c'era...
... una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padre Gennaio.
Lassù, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini, il Re Gennaio preparava la neve con una chimica nota a lui solo; Nevina la modellava su piccole forme tolte dagli astri e dagli edelweiss, poi, quando la cornucopia era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai quattro punti dell'orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo.
Nevina era pallida e diafana, bella come le dee che non sono più: le sue chiome erano appena bionde, d'un biondo imitato dalla Stella Polare, il suo volto, le sue mani avevano il candore della neve non ancora caduta, l'occhio era cerulo come l'azzurro dei ghiacciai.
Nevina era triste.
Nelle ore di tregua, quando la notte era serena e stellata e il padre Gennaio sospendeva l'opera per dormire nell'immensa barba fluente, Nevina s'appoggiava ai balaustri di ghiaccio, chiudeva il mento tra le mani e fissava l'orizzonte lontano, sognando.
Una rondine ferita che valicava le montagne, per recarsi nelle terre del sole, era caduta nelle sue mani, che avevano tentato invano di confortarla; nei brividi dell'agonia la rondine aveva delirato, sospirando il mare, i fiori, i palmizi, la primavera senza fine. E Nevina da quel giorno sognava le terre non viste.
Una notte decise di partire. Passò cauta sulla barba fluente di Gennaio, lasciò il ghiaccio e la neve eterna, prese la via della valle, si trovò fra gli abeti. Gli gnomi che la vedevano passare diafana, fosforescente nelle tenebre della foresta, interrompevano le danze, sostavano cavalcioni sui rami, fissandola con occhi curiosi e ridarelli.
- Nevina!
- Nevina! Dove vai?
- Nevina, danza con noi!
- Nevina, non ci lasciare!
E gli Spiritelli benigni le facevano ressa intorno, tentavano di arrestarle il passo abbracciandole con tutta forza la caviglia, cercavano di imprigionarle i piedi leggeri entro rami d'edera e di felce morta.
Nevina sorrideva, sorda ai richiami affettuosi, toglieva dalla cornucopia d'argento una falda di neve, la diffondeva intorno, liberandosi dei piccoli compagni di gioco. E proseguiva il cammino diafana, silenziosa, leggera come le dee che non sono più.
Giunse a valle, fu sulla grande strada.
L'aria si mitigava. Un senso d'affanno opprimeva il cuore di Nevina; per respirare toglieva dalla cornucopia una falda di neve, la diffondeva intorno, ritrovava le forze e il respiro nell'aria fatta gelida subitamente.
Proseguì rapida, percorse gran tratto di strada. Ad un crocevia sostò in estasi, con gli occhi abbagliati. Le si apriva dinnanzi uno spazio ignoto, una distesa azzurra e senza fine, come un altro cielo tolto alla volta celeste, disteso in terra, trattenuto, agitato ai lembi da mani invisibili. Nevina proseguì sbigottita. La terra intorno mutava. Anemoni, garofani, mimose, violette, reseda, narcisi, giacinti, giunchiglie, gelsomini, tuberose, fin dove l'occhio giungeva, dal colle al mare, mal frenati dai muri e dalle siepi dei giardini, i fiori straripavano come un fiume di petali dove emergevano le case e gli alberi.
Gli ulivi distendevano il loro velo d'argento, i palmizi svettavano diritti, eccelsi come dardi scagliati nell'azzurro.
Nevina volgeva gli occhi estasiati sulle cose mai viste, dimenticava di diffondere la neve; poi l'affanno la riprendeva, toglieva una falda, si formava intorno una zona di fiocchi candidi e d'aria gelida che le ridava il respiro. E i fiori, gli ulivi, le palme guardavano pur essi con meraviglia la giovinetta diafana che trasvolava in un turbine niveo e rabbrividivano al suo passaggio.
Un giovane bellissimo, dal giustacuore verde e violetto, apparve innanzi a Nevina, fissandola con occhi inquieti, vietandole il passo:
- Chi sei?
- Nevina sono. Figlia di Gennaio.
- Ma non sai, dunque, che questo non è il regno di tuo padre? Io sono Fiordaprile, e non t'è lecito avanzare sulle mie terre. Ritorna al tuo ghiacciaio, pel bene tuo e pel mio!
Nevina fissava il principe con occhi tanto supplici e dolci che Fiordaprile si sentì commosso.
- Fiordaprile, lasciami avanzare! Mi fermerò poco. Voglio toccare quella neve azzurra, verde, rossa, violetta che chiamate fiori, voglio immergere le mie dita in quel cielo capovolto che è il mare!
Fiordaprile la guardò sorridendo; assentì col capo: - Andiamo, dunque. Ti farò vedere tutto il mio regno.
Proseguirono insieme, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, estasiati e felici. Ma via via che Nevina avanzava, una zona bigia offuscava l'azzurro del cielo, un turbine di fiocchi candidi copriva i giardini meravigliosi. Passarono in un villaggio festante; contadini e contadine danzavano sotto i mandorli in fiore. Nevina volle che Fiordaprile la facesse danzare: entrarono in ballo; ma la brigata si disperse con un brivido, i suoni cessarono, l'aria si fece di gelo; e dal cielo fatto bigio cominciarono a scendere, con la neve odorosa dei mandorli, i petali gelidi della neve, la vera neve che Nevina diffondeva al suo passaggio. I due dovettero fuggire tra le querele irose della brigata. Giunti poco lungi, volsero il capo e videro il paese di nuovo festante sotto il cielo rifatto sereno...
- Nevina, ti voglio sposare!
- I tuoi sudditi non vorranno una regina che diffonde il gelo.
- Non importa. La mia volontà sarà fatta.
Avanzarono ancora, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, immemori e felici... Ma ad un tratto Nevina s 'arrestò coprendosi di un pallore più diafano.
- Fiordaprile! Fiordaprile! ... Non ho più neve!
E tentava con le dita - invano - il fondo della cornucopia.
- Fiordaprile! ... Mi sento morire! .. . Portami al confine... Fiordaprile!... Non reggo più!...
Nevina si piegava, veniva meno. Fiordaprile tentò di sorreggerla, la prese fra le braccia, la portò di peso, correndo verso la valle.
- Nevina! Nevina!
Nevina non rispondeva. Si faceva diafana più ancora. Il suo volto prendeva la trasparenza iridata della bolla che sta per dileguare.
- Nevina! Rispondi!
Fiordaprile la coprì col mantello di seta per difenderla dal sole ardente, proseguì correndo, arrivò nella valle, per affidarla al vento di tramontana.
Ma quando sollevò il mantello Nevina non c'era più. Fiordaprile si guardò intorno smarrito, pallido, tremante. Dov'era? L'aveva perduta per via? Alzò le mani al volto, in atto disperato; poi il suo sguardo s'illuminò. Vide Nevina dall'altra parte della valle che salutava con la mano protesa in un addio sorridente.
Un suo vecchio precettore, il vento di tramontana, la sospingeva pei sentieri nevosi, verso il ghiaccio eterno, verso il regno inaccessibile del padre Gennaio.
Fonte: http://it.wikisource.org/wiki/La_danza_degli_gnomi_e_altre_fiabe/Nevina_e_Fiordaprile
llamrei
13-07-2008, 15.04.50
ma è tristissima......:sad_cry_me: :sad_cry_me:
Morris
14-07-2008, 19.15.30
C'era una volta un Principe che ritornando dalla caccia vide nella polvere, sul margine della via, un bimbo di forse otto anni che dormiva tranquillo. Scese da cavallo, lo svegliò:
- Che fai qui, piccolino?
- Non so - rispose quegli, fissandolo senza timidezza.
- E tuo padre?
- Non so.
- E tua madre?
- Non so.
- Di dove sei?
- Non so.
- Qual è il tuo nome?
- Non so.
Preso il bimbo in groppa, il Principe lo portò al suo castello e lo consegnò alla servitù, perché ne avesse cura.
E gli fu dato il nome di Nonsò.
Quando ebbe vent'anni, il Principe lo prese per suo scudiero. Un giorno passando in città gli disse:
- Sono contento di te e voglio regalarti un cavallo magnifico, per tuo uso particolare.
Andarono alla fiera. Nonsò esaminava gli splendidi cavalli, ma nessuno gli piaceva e se ne andarono senza aver nulla comperato. Passando dinanzi ad un mulino videro una vecchia giumenta quasi cieca, che girava la macina. Nonsò guardò attentamente la bestia e disse:
- Signore, quello è il destriero che mi abbisogna!
- Tu scherzi!
- Signore, compratemelo e ne sarò felice.
Il Principe si sdegnò quasi, poi vedendo Nonsò supplicante, cedette alle sue preghiere e comperò la giumenta. Il mugnaio, consegnando la bestia a Nonsò, gli disse all'orecchio:
- Vedete questi nodi nella criniera della cavalla? Ogni volta che ne sfarete uno, essa vi porterà sull'istante a cinquecento leghe lontano.
Ritornarono a casa.
Pochi giorni dopo il Principe venne invitato dal Re, e Nonsò fu ospite col suo signore nel palazzo reale. Una notte di plenilunio passeggiava nel parco e vide appesa ad un albero una collana di diamanti che scintillava alla luna.
- Prendiamola, dunque... - disse ad alta voce.
- Guardati bene o te ne pentirai! - fece una voce ignota e vicina.
Si guardò intorno. Chi aveva parlato era il suo cavallo. Esitò un poco, ma poi si lasciò vincere dal desiderio e prese la collana.
Il Re aveva affidato a Nonsò la cura di alcuni suoi cavalli e di notte egli illuminava la sua scuderia con la collana sfavillante. Gli altri staffieri, gelosi di lui, cominciarono ad insinuare che nella scuderia di Nonsò splendeva una luce sospetta, che egli si dava a stregonerie misteriose. Il Re volle spiarlo; e una notte, entrando di subito nella scuderia, vide che la luce veniva dalla collana abbagliante, appesa ad una mangiatoia. Fece arrestare il giovane e convocò i saggi della capitale perché decifrassero una parola scritta sul fermaglio della collana. Uno studioso decrepito scoperse che il monile era della Bella dalle Chiome Verdi, la principessa più sdegnosa del mondo.
- Bisogna che tu mi conduca la principessa dalle Chiome Verdi - disse il Sovrano - o non c'è che la morte per te.
Nonsò era disperato.
Andò a rifugiarsi dalla vecchia giumenta e piangeva sulla sua magra criniera.
- Conosco la causa del tuo dolore - gli disse la bestia fedele, - è venuto il giorno del pentimento per la collana presa contro mio consiglio. Ma fa' cuore ed ascoltami. Chiedi al Re molta avena e molto danaro, e mettiamoci in viaggio.
Il Re diede avena e danaro e Nonsò si mise in viaggio con la sua cavalla sparuta. Arrivarono al mare. Nonsò vide un pesce prigioniero fra le alghe.
- Libera quel poveretto! - gli consigliò la cavalla.
Nonsò ubbidì, e il pesce, emergendo con la testa sull'acqua, disse:
- Tu mi hai salvata la vita e il tuo benefizio non sarà dimenticato. Se tu abbisognassi di me, chiamami e verrò.
Poco dopo videro un uccello preso alla pania.
- Libera quel poveretto! - gli consigliò la giumenta.
Nonsò ubbidì e l'uccello disse:
- Grazie, Nonsò; quando ti sia necessario, chiamami e saprò sdebitarmi.
Giunsero dinanzi al castello della principessa.
- Entra - disse la giumenta - e non temere di nulla. Quando vedrai la Bella, invitala ad accompagnarti qui. Io danzerò per lei danze meravigliose.
Nonsò bussò al palazzo. Aprì una dama bellissima, ch'egli prese per la principessa in persona.
- Principessa...
- Non son io la principessa.
E l'accompagnò in un'altra sala dove l'attendeva una fanciulla più bella ancora.
E questa a sua volta l'accompagnò in una sala attigua da una compagna più bella di lei; e così di sala in sala, da una dama all'altra, sempre più bella, per abituare gli occhi di Nonsò alla bellezza troppo abbagliante della Bella dalle Chiome Verdi.
Questa lo accolse benevolmente, e dopo un giorno accondiscese a vedere la giumenta danzatrice.
- Saltatele in groppa, principessa, ed essa danzerà con voi danze meravigliose.
La Bella, un poco esitante, ubbidì.
Nonsò le balzò accanto, sciolse uno dei nodi della criniera e si trovarono di ritorno dinanzi al palazzo del Re.
- M'avete ingannata - gridava la principessa, - ma non mi do per vinta, e prima d'essere la sposa del Re vi farò piangere più d'una volta...
Nonsò sorrideva soddisfatto.
- Sire, eccovi la Bella dalle Chiome Verdi!
Il Re fu abbagliato di tanta bellezza e voleva sposarla all'istante.
Ma la principessa chiese che le si portasse prima una forcella d'oro tempestata di gemme che aveva dimenticato nello spogliatoio del suo castello.
E Nonsò fu incaricato dal Re della ricerca, pena la morte. Il giovane non osava ritornare al castello della Bella dalle Chiome Verdi, dopo il rapimento, e guardava la sua giumenta, accorato.
- Ti ricordi - disse questa - d'aver salvata la vita all'uccello impaniato? Chiamalo e t'aiuterà.
Nonsò chiamò e l'uccello comparve.
- Tranquillati, Nonsò! La forcella ti sarà portata.
E adunò tutti gli uccelli conosciuti, chiamandoli a nome. Comparvero tutti, ma nessuno era abbastanza piccolo per entrare dalla serratura nello spogliatoio della Bella. Vi riuscì finalmente il reattino, perdendovi quasi tutte le penne, e portò la forcella al desolato Nonsò. Nonsò presentò la forcella alla principessa.
- Al presente - disse il Re - voi non avete più motivo per ritardare le nozze.
- Sire, una cosa mi manca ancora e senza di essa non vi sposerò mai.
- Parlate, principessa, e ciò che vorrete sarà fatto.
- Un anello mi manca, un anello che mi cadde in mare, venendo qui...
Venne ingiunto a Nonsò di ritrovare l'anello, e quegli si mise in viaggio con la giumenta fedele. Giunto in riva al mare chiamò il pesce e questo comparve.
- Ritroveremo l'anello, fatti cuore!
E il pesce avvertì i compagni; la notizia si sparse in un attimo per tutto il mare e l'anello venne ritrovato poco dopo, tra i rami d'un corallo.
La principessa dovette acconsentire alle nozze.
Il giorno stabilito s'avviarono alla cattedrale con gran pompa e cerimonia.
Nonsò e la cavalla seguivano il corteo regale ed entrarono in chiesa con grave scandalo dei presenti.
Ma quando la cerimonia fu terminata, la pelle della giumenta cadde in terra e lasciò vedere una principessa più bella della Bella dalle Chiome Verdi. Essa prese Nonsò per mano:
- Sono la figlia del Re di Tartaria. Vieni con me nel regno di mio padre e sarò la tua sposa.
Nonsò e la principessa presero congedo dagli astanti stupefatti, né più se n'ebbe novella.
Fonte: http://it.wikisource.org/wiki/La_danza_degli_gnomi_e_altre_fiabe/Nons%C3%B2