Hastatus77
29-02-2008, 14.31.22
Con “ciclo arturiano” o “ciclo bretone” si intende la vastissima mole di materiale letterario incentrato sulla figura di re Artù. Le vicende di Artù, dei cavalieri della Tavola Rotonda, del Mago Merlino, di Lancillotto, di Excalibur, vengono elaborate attraverso i secoli in una vasta ed eterogenea serie di testi scritti in numerose lingue, a partire dal Basso Medioevo. Alcuni dei temi del ciclo arturiano hanno origine nella leggenda e nei miti celtici; altri sono stati aggiunti nel tempo dalla creatività dei numerosi autori che si sono succeduti nei secoli.
Tra le storie più celebri si ricordano le leggende su Merlino e la spada Excalibur, l'origine prodigiosa del regno di Artù, l'amore tra Lancillotto e la regina Ginevra (moglie di Artù), l'amore di Tristano ed Isotta (moglie di re Marco), le vicissitudini, le avventure e le ricerche riguardanti Morgana la Fata (Morgan le Fay) e suo figlio Mordred, i cavalieri della Tavola Rotonda (tra cui Galvano – Gawain – Ivano, Galeotto, Tristano, Palamede e moltissimi altri), la figura di Perceval e il tema del Graal, etc.
Alcune caratteristiche proprie di questo ciclo sono i combattimenti eroici impari, gli avversari magici, e i castelli incantati; qui inoltre ottengono il dovuto riconoscimento i tornei e la cavalleria errante. Al riguardo è essenziale per lo stile dei romance che il cavaliere debba errare in cerca di avventure. I duelli e gli incantesimi che incontra sono raramente ostacoli al suo viaggio, anzi, ne sono, in genere, lo scopo stesso. Abbiamo anche combattimenti provocati da briganti, oppure cavalieri che non si conoscono e non hanno motivo per aggredirsi si battono senza una sfida. In quest’ultimo genere di duelli, i protagonisti giungono spesso a un pelo dalla morte, ma in pratica, non periscono mai. Si tratta di episodi che non corrispondono ad alcuna usanza cavalleresca riscontrabile nella vita reale, trattandosi in gran parte di espedienti per accrescere la tensione del racconto.
Caratteristiche tipiche del “ciclo arturiano” sono dunque la presenza di elementi magici e fantastici, la ricerca dell’avventura, che si presenta come una giustificazione per l’esistenza del cavaliere errante (quasi tutti gli episodi si concludono infatti con il compimento di una buona azione: un’usanza malvagia soppressa, un cavaliere o una damigella tratti in salvo, un gigante abbattuto), il combattimento eroico ed il rapporto tra cavaliere e dama come il più importante degli ideali. Nel regno meraviglioso che sta al di fuori della corte di Artù, i cavalieri sono i dispensatori della giustizia in un mondo ostile e malvagio; e loro stessi formano un gruppo compatto.
La più antica testimonianza su Artù è contenuta nell'Historia Brit(t)onum, scritta tra l'VIII e il IX secolo dal monaco gallese Nennio. In quest’opera Artù viene presentato come comandante militare delle truppe dei Britanni; si narra, inoltre, di alcuni suoi successi conseguiti contro i Sassoni, che ne faranno la figura di eroe entrata nel mito. L'ultimo successo si sarebbe svolto intorno al 516 presso un non identificato monte Badon, in cui Artù avrebbe ucciso, da solo, novecentoquaranta uomini. Tuttavia Angli e Sassoni hanno avuto la meglio, gettando le basi della moderna Inghilterra e relegando la cultura celtica in posizione del tutto marginale. L’Artù storico, quindi, non è un re, ma un comandante militare (dux bellorum) . La tradizione orale, poi, amplifica le sue imprese e contribuisce a formare un vasto corpus di leggende.
E’ solo verso l'XI e il XII secolo che le leggende celtiche - confluendo nella già rigogliosa corrente della letteratura francese - cominciano a perdere la connotazione mitica e pagana per trasformarsi in romanzi cavallereschi. L’Inghilterra normanna si conforma, infatti, ai modelli culturali francesi, ma allo stesso tempo la cultura francese della classe dominante normanna assorbe il mondo mitologico che l’Inghilterra anglo – sassone e britannico – celtica aveva creato e, così facendo, permette che queste tradizioni entrino a far parte della propria cultura, nonché di quella francese d’oltre Manica. Il mito di Artù viene pertanto a contrapporsi a quello di Carlo Magno (“ciclo Carolingio”) e dei suoi paladini, importato proprio dagli invasori normanni.
Le vicende del grande re inglese sono in tal modo arricchite di una nuova ambientazione storica, sociale e psicologica molto più adatta ai gusti del pubblico medievale. Artù perde, di conseguenza, molti dei tratti sovrumani e soprannaturali per acquistare una nuova umana grandezza. La sua corte è splendida e raffinata e i valorosi condottieri che la compongono sono perfetti cavalieri feudali, non più semidei provenienti delle leggende celtiche.
Ma il principale artefice di questo cambiamento è Goffredo di Monmouth, chierico di origine gallese, che nel 1135 scrive l'Historia Regum Britanniae. Questa “pseudostoria”, colorata di leggende e di riferimenti dotti, segue le vicende dei re inglesi a partire da Bruto, discendente di Enea. Essa raggruppa diverse storie, legate alla tradizione orale e popolare delle isole britanniche, e serve da manifesto dinastico per i Plantageneti, in contrapposizione al “ciclo carolingio” dei sovrani d'oltre Manica. L'opera di Goffredo è la prima “costruzione” letteraria a presentare in maniera coerente la leggenda di Artù e determina in modo definitivo la creazione, importantissima per la cultura europea, del “ciclo bretone”.
Molto importante per la diffusione sul continente dell'opera di Goffredo è l'adattamento che ne fa il normanno Robert Wace nel 1155 sotto il titolo Roman De Brut. È grazie a una sua fortunata invenzione che il ciclo si arricchisce di un elemento divenuto ormai un vero e proprio simbolo: la Tavola Rotonda. Proprio grazie a quest'autore, l'elemento fantastico, sentimentale e poetico di cui è ricca la narrazione di Goffredo riesce a influenzare la cultura francese e le letterature dell'intera Europa.
Tuttavia è nella Francia settentrionale del XII secolo, che la letteratura legata al “ciclo arturiano” si sviluppa in modo particolare. Il vero “padre” della “materia di Bretagna” propriamente detta, è il poeta francese Chrétien de Troyes. E’ Chrétien, infatti, a introdurre nel ciclo arturiano il tema della “cerca del Graal”; è ancora Chrétien a battezzare Camelot la reggia di Artù e a presentare alcuni grandi protagonisti del ciclo (Lancillotto, tanto per ricordarne uno); è sempre lui, infine, a introdurre nell'opera il tema dell'amor cortese, che caratterizzerà tutte le narrazioni successive.
In seguito, tra il 1215 e il 1235 circa, autori rimasti anonimi compongono quel gruppo di romanzi in prosa francese che va sotto il nome di Corpus Lancelot-Graal, Lancillotto in prosa o Ciclo Vulgata. Diviso per comodità in cinque parti (Storia del Graal, Merlino, Lancillotto propriamente detto, Ricerca del Graal e Morte di Artù), il corpus del Lancelot-Graal è in realtà un'opera grandiosa e complessa, ma unitaria.
Durante i due secoli successivi, le opere che si ispirano alla “materia di Bretagna” o ai miti ad essa collegati (la vita di Merlino, gli amori di Tristano e Isotta, la cerca del Graal, ecc.) fioriscono numerose in tutta Europa. La nazione meno rappresentata in questo campo è l'Inghilterra.
La letteratura inglese, infatti, si interessa poco della Cavalleria: il francese è la lingua dei cavalieri, e le origini più umili degli scrittori inglesi prima di Chaucer fanno sì che il mondo della Cavalleria resti al di là della loro comprensione. Con Chaucer ed i suoi successori si avvertono già i primi stimoli del mondo umanista che si sostituisce alle concezioni cavalleresche. L’unica grossa eccezione a questa regola sarà proprio Sir Gawain and the Green Knight, che è stato presumibilmente composto nel 1375 ed è, di fatto, uno dei pochi esempi di letteratura in lingua inglese del periodo, che si cimenti col tema della Cavalleria.
Dovremo aspettare, poi, la metà del XV secolo per trovare un altro grande autore capace di rappresentare con rinnovato vigore la vita e le gesta del grande re e della sua corte. Sir Thomas Malory, personaggio misterioso che dopo aver ottenuto successi sociali e politici finisce la sua vita in prigione con l'accusa di furto e stupro, scrive una Storia di re Artù e dei suoi cavalieri - Le Morte d’Arthur - che raggiunge una diffusione unica rispetto a tutta la tradizione precedente grazie alla pubblicazione tipografica. Nel trascrivere le leggende, Malory opera anche delle variazioni: omissioni, selezioni o inserimenti. Egli considera inoltre la Cavalleria come un’istituzione secolare con connotazioni morali più che religiose e la società della Tavola Rotonda, come una compagnia investita di una missione concreta nel mondo: il mantenimento dell’ordine, in tempi difficili.
In seguito, dal XVI al XIX secolo, la materia di Bretagna viene dimenticata, se si esclude qualche adattamento teatrale. Solo verso la fine del XIX secolo, a seguito di alcune opere del movimento pittorico dei Preraffaelliti (tra cui il famoso dipinto La tomba di re Artù di Dante Gabriele Rossetti) esplode un vero e proprio revival per le leggende arturiane, di cui il principale rappresentante è Sir Alfred Tennyson.
Fonte: Web
Tra le storie più celebri si ricordano le leggende su Merlino e la spada Excalibur, l'origine prodigiosa del regno di Artù, l'amore tra Lancillotto e la regina Ginevra (moglie di Artù), l'amore di Tristano ed Isotta (moglie di re Marco), le vicissitudini, le avventure e le ricerche riguardanti Morgana la Fata (Morgan le Fay) e suo figlio Mordred, i cavalieri della Tavola Rotonda (tra cui Galvano – Gawain – Ivano, Galeotto, Tristano, Palamede e moltissimi altri), la figura di Perceval e il tema del Graal, etc.
Alcune caratteristiche proprie di questo ciclo sono i combattimenti eroici impari, gli avversari magici, e i castelli incantati; qui inoltre ottengono il dovuto riconoscimento i tornei e la cavalleria errante. Al riguardo è essenziale per lo stile dei romance che il cavaliere debba errare in cerca di avventure. I duelli e gli incantesimi che incontra sono raramente ostacoli al suo viaggio, anzi, ne sono, in genere, lo scopo stesso. Abbiamo anche combattimenti provocati da briganti, oppure cavalieri che non si conoscono e non hanno motivo per aggredirsi si battono senza una sfida. In quest’ultimo genere di duelli, i protagonisti giungono spesso a un pelo dalla morte, ma in pratica, non periscono mai. Si tratta di episodi che non corrispondono ad alcuna usanza cavalleresca riscontrabile nella vita reale, trattandosi in gran parte di espedienti per accrescere la tensione del racconto.
Caratteristiche tipiche del “ciclo arturiano” sono dunque la presenza di elementi magici e fantastici, la ricerca dell’avventura, che si presenta come una giustificazione per l’esistenza del cavaliere errante (quasi tutti gli episodi si concludono infatti con il compimento di una buona azione: un’usanza malvagia soppressa, un cavaliere o una damigella tratti in salvo, un gigante abbattuto), il combattimento eroico ed il rapporto tra cavaliere e dama come il più importante degli ideali. Nel regno meraviglioso che sta al di fuori della corte di Artù, i cavalieri sono i dispensatori della giustizia in un mondo ostile e malvagio; e loro stessi formano un gruppo compatto.
La più antica testimonianza su Artù è contenuta nell'Historia Brit(t)onum, scritta tra l'VIII e il IX secolo dal monaco gallese Nennio. In quest’opera Artù viene presentato come comandante militare delle truppe dei Britanni; si narra, inoltre, di alcuni suoi successi conseguiti contro i Sassoni, che ne faranno la figura di eroe entrata nel mito. L'ultimo successo si sarebbe svolto intorno al 516 presso un non identificato monte Badon, in cui Artù avrebbe ucciso, da solo, novecentoquaranta uomini. Tuttavia Angli e Sassoni hanno avuto la meglio, gettando le basi della moderna Inghilterra e relegando la cultura celtica in posizione del tutto marginale. L’Artù storico, quindi, non è un re, ma un comandante militare (dux bellorum) . La tradizione orale, poi, amplifica le sue imprese e contribuisce a formare un vasto corpus di leggende.
E’ solo verso l'XI e il XII secolo che le leggende celtiche - confluendo nella già rigogliosa corrente della letteratura francese - cominciano a perdere la connotazione mitica e pagana per trasformarsi in romanzi cavallereschi. L’Inghilterra normanna si conforma, infatti, ai modelli culturali francesi, ma allo stesso tempo la cultura francese della classe dominante normanna assorbe il mondo mitologico che l’Inghilterra anglo – sassone e britannico – celtica aveva creato e, così facendo, permette che queste tradizioni entrino a far parte della propria cultura, nonché di quella francese d’oltre Manica. Il mito di Artù viene pertanto a contrapporsi a quello di Carlo Magno (“ciclo Carolingio”) e dei suoi paladini, importato proprio dagli invasori normanni.
Le vicende del grande re inglese sono in tal modo arricchite di una nuova ambientazione storica, sociale e psicologica molto più adatta ai gusti del pubblico medievale. Artù perde, di conseguenza, molti dei tratti sovrumani e soprannaturali per acquistare una nuova umana grandezza. La sua corte è splendida e raffinata e i valorosi condottieri che la compongono sono perfetti cavalieri feudali, non più semidei provenienti delle leggende celtiche.
Ma il principale artefice di questo cambiamento è Goffredo di Monmouth, chierico di origine gallese, che nel 1135 scrive l'Historia Regum Britanniae. Questa “pseudostoria”, colorata di leggende e di riferimenti dotti, segue le vicende dei re inglesi a partire da Bruto, discendente di Enea. Essa raggruppa diverse storie, legate alla tradizione orale e popolare delle isole britanniche, e serve da manifesto dinastico per i Plantageneti, in contrapposizione al “ciclo carolingio” dei sovrani d'oltre Manica. L'opera di Goffredo è la prima “costruzione” letteraria a presentare in maniera coerente la leggenda di Artù e determina in modo definitivo la creazione, importantissima per la cultura europea, del “ciclo bretone”.
Molto importante per la diffusione sul continente dell'opera di Goffredo è l'adattamento che ne fa il normanno Robert Wace nel 1155 sotto il titolo Roman De Brut. È grazie a una sua fortunata invenzione che il ciclo si arricchisce di un elemento divenuto ormai un vero e proprio simbolo: la Tavola Rotonda. Proprio grazie a quest'autore, l'elemento fantastico, sentimentale e poetico di cui è ricca la narrazione di Goffredo riesce a influenzare la cultura francese e le letterature dell'intera Europa.
Tuttavia è nella Francia settentrionale del XII secolo, che la letteratura legata al “ciclo arturiano” si sviluppa in modo particolare. Il vero “padre” della “materia di Bretagna” propriamente detta, è il poeta francese Chrétien de Troyes. E’ Chrétien, infatti, a introdurre nel ciclo arturiano il tema della “cerca del Graal”; è ancora Chrétien a battezzare Camelot la reggia di Artù e a presentare alcuni grandi protagonisti del ciclo (Lancillotto, tanto per ricordarne uno); è sempre lui, infine, a introdurre nell'opera il tema dell'amor cortese, che caratterizzerà tutte le narrazioni successive.
In seguito, tra il 1215 e il 1235 circa, autori rimasti anonimi compongono quel gruppo di romanzi in prosa francese che va sotto il nome di Corpus Lancelot-Graal, Lancillotto in prosa o Ciclo Vulgata. Diviso per comodità in cinque parti (Storia del Graal, Merlino, Lancillotto propriamente detto, Ricerca del Graal e Morte di Artù), il corpus del Lancelot-Graal è in realtà un'opera grandiosa e complessa, ma unitaria.
Durante i due secoli successivi, le opere che si ispirano alla “materia di Bretagna” o ai miti ad essa collegati (la vita di Merlino, gli amori di Tristano e Isotta, la cerca del Graal, ecc.) fioriscono numerose in tutta Europa. La nazione meno rappresentata in questo campo è l'Inghilterra.
La letteratura inglese, infatti, si interessa poco della Cavalleria: il francese è la lingua dei cavalieri, e le origini più umili degli scrittori inglesi prima di Chaucer fanno sì che il mondo della Cavalleria resti al di là della loro comprensione. Con Chaucer ed i suoi successori si avvertono già i primi stimoli del mondo umanista che si sostituisce alle concezioni cavalleresche. L’unica grossa eccezione a questa regola sarà proprio Sir Gawain and the Green Knight, che è stato presumibilmente composto nel 1375 ed è, di fatto, uno dei pochi esempi di letteratura in lingua inglese del periodo, che si cimenti col tema della Cavalleria.
Dovremo aspettare, poi, la metà del XV secolo per trovare un altro grande autore capace di rappresentare con rinnovato vigore la vita e le gesta del grande re e della sua corte. Sir Thomas Malory, personaggio misterioso che dopo aver ottenuto successi sociali e politici finisce la sua vita in prigione con l'accusa di furto e stupro, scrive una Storia di re Artù e dei suoi cavalieri - Le Morte d’Arthur - che raggiunge una diffusione unica rispetto a tutta la tradizione precedente grazie alla pubblicazione tipografica. Nel trascrivere le leggende, Malory opera anche delle variazioni: omissioni, selezioni o inserimenti. Egli considera inoltre la Cavalleria come un’istituzione secolare con connotazioni morali più che religiose e la società della Tavola Rotonda, come una compagnia investita di una missione concreta nel mondo: il mantenimento dell’ordine, in tempi difficili.
In seguito, dal XVI al XIX secolo, la materia di Bretagna viene dimenticata, se si esclude qualche adattamento teatrale. Solo verso la fine del XIX secolo, a seguito di alcune opere del movimento pittorico dei Preraffaelliti (tra cui il famoso dipinto La tomba di re Artù di Dante Gabriele Rossetti) esplode un vero e proprio revival per le leggende arturiane, di cui il principale rappresentante è Sir Alfred Tennyson.
Fonte: Web