Vanegoor
15-06-2009, 13.51.46
Qual dono una notte limpida, ove la luna palesa quel che il sole cela di giorno.
Qual scoperta per l’amante del peregrinar notturno, andare in cerca di misteri;
qual meraviglia raccoglierli come un onda marina che lascia un opale a riva.
Così vagando nel giardino spettrale d’ombre tinto, con fiori senza colori ma non meno profumati,
una dama rientra nottetempo nel suo castello vuoto, pensa,
e qual sorpresa nell’imbattersi nella visione inedita d’un cavaliere ignoto!
Costui, di nero vestito per intero qual contendesse lo scettro alla notte
di chi vuol esser più fosco, dimora in attesa ritto dinanzi alla grande scalinata.
Non par ch’intenda ostruire il passaggio, anzi sembiante ha sì lieto
come volesse piuttosto condurre la dama per nuovi sentieri.
E codesta, ch’io or chiamo con il nome della rosa perché volentier ivi la conduco per mano,
e mi scuso se il nome in tutto non è desso, purché ella lo sia invece,
senza timor alcuno e nulla paventando se non il pensiero ch’egli non sia
dove par ch’esser dovrebbe, gli domanda alquanto, ed egli muto risponde.
Con breve cenno la conduce in alto per la scalinata maestosa, ed ella,
al sommo giunta, folgorata da maestoso stupore, a sé ed egli domanda:
“Che stanza è questa?” Ed il cavaliere del suo tacer si sveste,
e risponde: “Sono certo che non vi fosti mai, pur quivi vivendo!”
Nel suo parlare infatti il torto si è mutato in ragione, dacché la dama
sì dimora in quella stanza, ma anziché la medesima ne vede in luogo d’essa
una simile a giardino edenico, d’alberi con pomi variegati colma,
edera ch’ovunque adorna le pareti e fiori che in terra non hanno nomi
neppure al cospetto di chi di botanica si intende, tanto sono nuovi!
“Vorresti convertire la stanza passata in questa?”, domanda il cavaliere,
e del “Si!”, già è certo. Invece egli chiude la porta, lasciando sé e la dama
fuori, con grande sgomento. A ciò però non v’è alcuna cagione, invero,
poiché subito la riapre e, qual stupor, qual meraviglia, non la natura,
ma l’arte cattura la dama ed ogni suo disio! “Qual estro ispirò tutto questo?”
La stanza adesso è piena di dipinti d’ogni specie, ritratti di persone
che giacciono in oblio, tele con paesaggi che nel vero nessuno vide,
eppure l’arte è più che esistenza per essi! Statue di divinità senza nome,
ma divinamente scolpite e sol per questo son divine. Di tutto ciò e più
la stanza è piena, e la dama: “Chi fece tutto questo?” “Non io, di certo,
ma forse la tua mente!” “Qual tempo mi vien concesso ch’io prenda visione
d’ogni singola opera, come or vorrei profondamente?”, domanda ella.
“Nessuno, e ti chiedo perdono per questo”, ed il cavalier chiude la porta.
Lo sgomento è appena minor di prima, non la delusione, ahimé, ed io
di perdonar il cavaliere similmente domando! Ed egli a lei:
“Cosa vorresti che dal disio nel vero fosse tratto?”
E mentre la dama pensa disiosa alquanto, il cavaliere senza nome
riapre la porta e palesa un oceano immenso, placido e di tinte blu
con orizzonte azzurro, che rammenta il nome d’un gioiello prezioso
di simile colore. La dama: “Proprio in questo avevo gli occhi
del pensier già immersi!”, ed in cotal visione si trastulla a lungo
ascoltando le onde, ma appena si volge all’oscuro cavaliere ignoto
questo dal suo cospetto è scomparso. Si gira verso la stanza,
ed al suo primo stato si è convertita. Infine la dama cerca sonno
nel suo letto, ma vi trova le visioni di paesaggi che gradirebbe.
La notte seguente si domanda ancora del cavaliere, in silenzio,
passeggiando nella sala degli antichi ritratti. Come fantasmi
senza nome vegliano sulla dama, tra le luci delle torce che
conferiscono a loro movimento, qual minor passato fosse per loro
il presente. D’un tratto la dama pensosa tra essi ne scorge uno,
inedito alla sua vista, ma non il soggetto, sebbene di molti secoli
da ella è disgiunto. “È senz’altro lui, il cavaliere; ma come può essere?”
Nel ritratto è assiso, similmente di nero vestito, reggendo una spada
che ieri non ebbe; la scena è illuminata da un effimero raggio,
ma egli ne è in disparte. “Dunque non parlerai più? Ed il tuo nome mai saprò!”
Ed in basso, pari ad un motto antico, la bella dama legge queste parole
che certamente furono del cavaliere:
“Le mie ossa sono già divenute polvere, la mia voce giace in oblivioso silenzio,
ma i miei propositi per te saranno eterni!”
Quindi la dama nottetempo esce in giardino, preda di nuovi misteri.
Vanegoor.
Qual scoperta per l’amante del peregrinar notturno, andare in cerca di misteri;
qual meraviglia raccoglierli come un onda marina che lascia un opale a riva.
Così vagando nel giardino spettrale d’ombre tinto, con fiori senza colori ma non meno profumati,
una dama rientra nottetempo nel suo castello vuoto, pensa,
e qual sorpresa nell’imbattersi nella visione inedita d’un cavaliere ignoto!
Costui, di nero vestito per intero qual contendesse lo scettro alla notte
di chi vuol esser più fosco, dimora in attesa ritto dinanzi alla grande scalinata.
Non par ch’intenda ostruire il passaggio, anzi sembiante ha sì lieto
come volesse piuttosto condurre la dama per nuovi sentieri.
E codesta, ch’io or chiamo con il nome della rosa perché volentier ivi la conduco per mano,
e mi scuso se il nome in tutto non è desso, purché ella lo sia invece,
senza timor alcuno e nulla paventando se non il pensiero ch’egli non sia
dove par ch’esser dovrebbe, gli domanda alquanto, ed egli muto risponde.
Con breve cenno la conduce in alto per la scalinata maestosa, ed ella,
al sommo giunta, folgorata da maestoso stupore, a sé ed egli domanda:
“Che stanza è questa?” Ed il cavaliere del suo tacer si sveste,
e risponde: “Sono certo che non vi fosti mai, pur quivi vivendo!”
Nel suo parlare infatti il torto si è mutato in ragione, dacché la dama
sì dimora in quella stanza, ma anziché la medesima ne vede in luogo d’essa
una simile a giardino edenico, d’alberi con pomi variegati colma,
edera ch’ovunque adorna le pareti e fiori che in terra non hanno nomi
neppure al cospetto di chi di botanica si intende, tanto sono nuovi!
“Vorresti convertire la stanza passata in questa?”, domanda il cavaliere,
e del “Si!”, già è certo. Invece egli chiude la porta, lasciando sé e la dama
fuori, con grande sgomento. A ciò però non v’è alcuna cagione, invero,
poiché subito la riapre e, qual stupor, qual meraviglia, non la natura,
ma l’arte cattura la dama ed ogni suo disio! “Qual estro ispirò tutto questo?”
La stanza adesso è piena di dipinti d’ogni specie, ritratti di persone
che giacciono in oblio, tele con paesaggi che nel vero nessuno vide,
eppure l’arte è più che esistenza per essi! Statue di divinità senza nome,
ma divinamente scolpite e sol per questo son divine. Di tutto ciò e più
la stanza è piena, e la dama: “Chi fece tutto questo?” “Non io, di certo,
ma forse la tua mente!” “Qual tempo mi vien concesso ch’io prenda visione
d’ogni singola opera, come or vorrei profondamente?”, domanda ella.
“Nessuno, e ti chiedo perdono per questo”, ed il cavalier chiude la porta.
Lo sgomento è appena minor di prima, non la delusione, ahimé, ed io
di perdonar il cavaliere similmente domando! Ed egli a lei:
“Cosa vorresti che dal disio nel vero fosse tratto?”
E mentre la dama pensa disiosa alquanto, il cavaliere senza nome
riapre la porta e palesa un oceano immenso, placido e di tinte blu
con orizzonte azzurro, che rammenta il nome d’un gioiello prezioso
di simile colore. La dama: “Proprio in questo avevo gli occhi
del pensier già immersi!”, ed in cotal visione si trastulla a lungo
ascoltando le onde, ma appena si volge all’oscuro cavaliere ignoto
questo dal suo cospetto è scomparso. Si gira verso la stanza,
ed al suo primo stato si è convertita. Infine la dama cerca sonno
nel suo letto, ma vi trova le visioni di paesaggi che gradirebbe.
La notte seguente si domanda ancora del cavaliere, in silenzio,
passeggiando nella sala degli antichi ritratti. Come fantasmi
senza nome vegliano sulla dama, tra le luci delle torce che
conferiscono a loro movimento, qual minor passato fosse per loro
il presente. D’un tratto la dama pensosa tra essi ne scorge uno,
inedito alla sua vista, ma non il soggetto, sebbene di molti secoli
da ella è disgiunto. “È senz’altro lui, il cavaliere; ma come può essere?”
Nel ritratto è assiso, similmente di nero vestito, reggendo una spada
che ieri non ebbe; la scena è illuminata da un effimero raggio,
ma egli ne è in disparte. “Dunque non parlerai più? Ed il tuo nome mai saprò!”
Ed in basso, pari ad un motto antico, la bella dama legge queste parole
che certamente furono del cavaliere:
“Le mie ossa sono già divenute polvere, la mia voce giace in oblivioso silenzio,
ma i miei propositi per te saranno eterni!”
Quindi la dama nottetempo esce in giardino, preda di nuovi misteri.
Vanegoor.