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Mordred Inlè
04-09-2009, 15.31.34
Da tanto volevo scrivere una long fiction con questa trama ma poi scoprii che Soijin aveva già scritto una storia simile (la stupenda Catechism) e decisi di lasciare la mia storia. Però l'idea mi stuzzica ancora e mi piace ancora così ho deciso di scrivere una serie di storie sulle reincarnazioni, ciascuna dedicata ad un personaggio diverso.
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Re del passato e del futuro
01. La lettera
Quando penso ai miei genitori penso a Lucy Linder, donna del Texas un po' rotonda di volto e con il sorriso che sa di marmellata, ed a Gary Lovegood, poliziotto di New York con antiche origini inglesi.
Poi la mia mente inizia a lavorare da sola ed appaiono altri volti, una donna alta ed austera con folti capelli rossi ed un uomo enorme, con una pesante barba. Appaiono e scompaiono subito ma non per un difetto della mia memoria ma perché vissi davvero poco tempo con Igraine di Cornovaglia ed Uther Pendragon.
Sarà meglio mettere un po' di ordine, prima di mandarti questa mia lettera, e spero proprio che tu non mi prenda per un pazzo ammiratore o spasimante.
Mi chiamo Arthur Lovegood, sono nato a Dallas, in Texas, ma solo due anni dopo la mia famigli si è trasferita a San Francisco. Sono sempre stato un bambino tranquillo anche forse un po' viziato perché non ho né fratelli né sorelle.
La mia vita è sempre stata normale fino al mio viaggio in Cornovaglia. Mio padre aveva ricevuto un aumento, una promozione, e decise di festeggiare con il nostro primo viaggio all'estero. Essendo lui di origini inglesi pensò bene di farci vedere e conoscere la sua patria.
Partimmo il sei agosto ed io avevo quattordici anni.
Trovammo un piccolo albergo nel ud dell'Inghilterra e viaggiammo con un'auto noleggiata per vedere i luoghi principali.
Fu una vacanza tranquilla finché mio padre non ci portò al castello di Tintagel, o quello che ne rimane.
Fu come un fulmine per me o meglio, la caduta di un blocco. Qualcosa nel mio cervello si liberò e sentii nuovi ingranaggi iniziare a girare. Le immagini, i suoni e le sensazioni erano troppo forti per me.
Dovetti sedermi perché il sangue mi rombava nelle orecchie e tutto ciò che potevo sentire era la voce di Merlino che mi diceva:" Artù, Artù, tu sei nato proprio qui, spero tu ci pensi due volte prima di donare questo castello a Morgause."
Gary e Lucy mi portarono all'albergo, credendomi troppo stanco per continuare, e quella notte fu una notte terribile.
Vidi che ero nato in un altro tempo ed un altro luogo ma non seppi né come né perché. Sognai le mie sorelle, Elaine, Morgana e Morgause. Sognai i miei meriti, la pace, le vittorie e le armature lucide dei miei cavalieri.
Sognai la mia regina, con i suoi bellissimi capelli biondo ramati, ed il suo tradimento.
Sognai Lancillotto, soprattutto Lancillotto.
E poco prima di svegliarmi vidi Camlann e la mia fine. Vidi le mie colpe e mio figlio.
Il giorno dopo Gary e Lucy mi ritrovarono diverso, dissero che sembravo più maturo e non potei dar loro torto.
Mi appassionai alle leggende arturiane, tentando di riempire buchi delle mie memorie, e lessi cose terribili e cose assolutamente ridicole ma fu nel tomo di sir Thomas Malory che trovai una possibile spiegazione alla mia reincarnazione (ormai avevo cominciato a chiamarla così). In Le Morte d'Arthur, Malory scriveva questa frase sulla mia ipotetica tomba: HIC IACET ARTHURUS REX QUONDAM REXQVE FUTURUS — "Qui giace Artù, re una volta e re in futuro."
Fu in quel periodo che decisi di dedicarmi alla politica. Mi laureai con il massimo dei voti alla Stanford ed a soli ventiquattro anni entrai in politica.
Per tutta la mia vita continuai a chiedermi se ero tornato solo io, se c'era qualcun altro, se li avrei riconosciuti. Una parte di me impazziva al pensiero che io fossi solo e sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
Per questo fu un sollievo quando ti vidi. No, sollievo è troppo poco. Fu una gioia, mi mancò il respiro e non solo perché scoprii che c'era qualcun altro.
Stavo scrivendo un discorso rappresentativo assieme ad uno dei miei collaboratori quando vennero ad annunciarmi che una giornalista del San Francisco Chronicle voleva intervistarmi.
Lasciai che ti facessero entrare, sapevo di dovermi far conoscere e non avrei mai abbandonato l'opportunità di un articolo su di me.
Entrasti e ti riconobbi subito. Avevi gli occhi verdi e non azzurri ma i capelli erano dello stesso biondo rame che ricordavo.
Mi sorridesti ed io ti sorrisi. Ed in quel momento capii che tu sapevi ed eri lì per quello.
"Ginevra Piper, reporter del San Francisco Chronicles," ti presentasti e mi stringesti la mano, con forza.
Spero che tu possa rispondere a questa lettera.
Ci sono due biglietti per il teatro nella busta, sarebbe un onore se tu volessi venirci assieme a me. Potremmo parlare e poi andare a cenare da qualche parte, anche solo come amici.
Aspetto con ansia tue notizie.
Tua una volta e tuo in futuro, se mi vorrai,

Artù Pendragon

Morris
04-09-2009, 21.10.00
In silenzio...solo per farvi sapere che vi leggo....e che apprezzo molto il vostro estro ed ego!
Continuate pure..milady.........io sono qui....dietro di voi.

Sir Morris

Mordred Inlè
04-09-2009, 21.18.33
Inquietante XD dietro di me.
Però vi ringrazio davvero : D

02. Il figlio

Una storia d'amore segreta dura solo fino ad un certo punto. Questo Ninette lo sapeva bene e sapeva anche che era giusto così.
Nina Rochelle, detta Ninette, aveva trentadue anni ed era vedova ma già da un anno e mezzo frequentava un nuovo amore, all'insaputa del figlio.
Una qualsiasi donna normale avrebbe fatto conoscere l'amante al figlio e viceversa, avrebbe aperto la propria famiglia al mondo.
Ma Ninette non era normale e non era sempre stata Ninette. Per ragioni che ancora stava studiando, come professoressa di filosofia e lettere, Ninette era stata qualcosa di molto altro prima di questo tempo.
Era stata molte cose.
Una guerriera, in un tempo in cui le donne erano al dominio, una regina, di un regno caldo ed assolato, la sabbia che si librava nell'aria e poi una sacerdotessa dell'isola di Avalon.
Era stata dama Nimue, moglie di Pelleas, allieva di Merlino e consigliera di Artù.
Ed ora era solo Ninette, la donna che aveva perso il marito in un incidente d'auto, che insegnava in una scuola superiore e che adorava collezionare ceramiche danesi.
Fortunatamente non era sola a ricordare quello che era e non sarebbe mai stato.
Alla morte dell'amato marito, Ninette aveva promesso che non si sarebbe mai più innamorata ma Lance le aveva fatto cambiare idea.
Lance era arrivato un giorno di settembre, su un'auto sportiva, portando con sé sua nipote a scuola.
Ninette stava leggendo un libro su se stessa, cosa che trovava molto ironico, e stava fumando, sorridendo delle sciocchezze su un amore fra Nimue e Merlino che quell'autore narrava.
"Zio Lance, ti prego, ricordati di venirmi a prendere," aveva detto la ragazzina, Ameliè.
"Così poca fiducia nelle mie capacità," aveva sospirato Lance e Ninette aveva alzato lo sguardo, sorpresa e sconvolta.
La sigarette le era caduta dalle dita, bruciandole leggermente il polso ma lei non si era accorta di nulla.
"Buongiorno professoressa Rochelle," l'aveva salutata Ameliè, prima di entrare.
Lance l'aveva guardata e lei aveva guardato Lance.
"E dunque siete arrivato fino a qui. Francia, ventesimo secolo."
"Vengo da Parigi, lavoro là, sono solo di passaggio."
"Ottuso come sempre, sir Lancillotto."
Lance aveva sorriso.
"Non posso certo andare in giro ad accusare professoresse di essere antiche sacerdotesse forse mai esistite."
"Mi offendo, messere, sono sicura di essere esistita."
"Ah, sì, lo sono sicuro anch'io, lady Nimue."
"Ninette, oggi."
Lance aveva annuito.
"Pensavo di essere solo," aveva ammesso, qualche minuto dopo, avvicinandosi a lei e sedendosi su un muretto diroccato.
"Non lo siete. Non lo sei, scusami, la forza dell'abitudine. Siamo in tanti, forse non tutti."
"Ne hai trovati altri?"
"Certo. Ma non qui e non è necessario ritrovarsi."
Lance aveva gettato uno sguardo sul libro che la donna stava leggendo.
"Avete i capelli più biondi di ciò che ricordavo," aveva detto, prima di tornare a guardare il tomo, "non li leggo mai. Non mi piace quello che dicono di me. E di Ginevra."
"Ma è vero."
"E' accaduto solo una volta. Solo una ed è stato un errore per tutti. Ma ogni libro la racconta in modo diverso."
"E' una storia ora, non la storia."
Era calato il silenzio, per qualche minuto.
"Bhè, Lance," aveva esclamato infine Ninette, chiudendo il libro e mettendolo nella borsa, "hai un domicilio al quale ti posso venire a prendere questa sera alle sette?"
Lance effettivamente aveva un domicilio.

I due si erano ritrovati ed avevano iniziato ad uscire assieme. Ristorante o cinema o anche solo il parco. Inizialmente per parlare, per rivangare tempi più vecchi dei vecchi tempi e per non sentirsi soli.
Finché un giorno accadde ciò che pensavano impossibile ed improbabile.
Lady Nimue di Avalon, donna pura e forte, e Lancillotto, cavaliere che mai l'aveva guardata come qualcosa di diverso da una strega, si erano innamorati. Nessuno dei due si soffermò a chiedersi se sarebbe accaduto anche ad Avalon e Camelot o se era un amore destinato solo al ventesimo secolo.
"C'è un motivo se ancora non mi hai portato a casa tua?" domandò una sera Lance, mentre i due guardavano un film, accoccolati sul divano.
"E non dirmi che sei una disordinata cronica, per favore," scherzò l'antico cavaliere.
"Nessun disordine. Sono piuttosto ordinata. Si tratta di mio figlio."
Lance annuì. Ninette gli aveva detto di avere un figlio dell'età di sedici anni. Non era il suo figlio di sangue ma un ragazzo che lei ed il suo precedente marito avevano adottato quando il bambino aveva otto anni.
"Temi che non possa accettare la minaccia di una figura maschile?"
"No, non penso che se la prenderebbe. Sarebbe sospettoso, forse, all'inizio. Non ha mai avuto figure maschili particolarmente gentili prima di arrivare da noi."
"Lo sai che non gli farei mai del male, vero?" la interrogò Lance, sollevandosi su un gomito per osservare negli occhi Ninette.
"No. Non lo so. O forse sì, è che è complicato."
L'uomo le prese il volto fra le mani.
"Vorrò bene a questo ragazzo perché tu lo ami come un figlio. No, perché è tuo figlio."
"So che mi ami Lance e so che io amo te ma lui non ti amerà. Sarà terrorizzato, tu non capisci. Con quello che è accaduto-"
Lance la bloccò prima che la donna potesse continuare nelle sue preoccupazioni.
"Non farò nulla che possa ricordargli la sua prima famiglia in cui è stato. Devi solo dirmi come."
"Non è solo quello," insis***** Ninette, staccandosi dall'altro. Aveva bisogno di esporre i fatti in modo chiaro ma aveva paura. Anche lei poteva avere paura.
"Ho paura di perderti e così facendo non ti sto dando fiducia, lo so, ma temo che tu possa andartene quando lo conoscerai. E temo di perdere anche lui."
Fu quello il momento in cui Lance capì.
"Chi è? Dimmi chi è, Nimue."
"Si chiama Mortimer. Morty."
"No, dimmi chi è davvero."
"E' Mordred."
Lance pensò di aver capito male, di aver frainteso.
Una parte di lui aveva sempre pensato che queste reincarnazioni fossero il premio di una seconda vita dopo le tragedie della prima ma mai avrebbe pensato che anche Mordred fosse lì, con loro.
Non che avesse mai conosciuto particolarmente il ragazzo. Sapeva che era giunto a Camelot in gran segreto ed era il figlio di Artù e la sorella Morgause e del loro immaginabile ed abominioso incesto.
Mordred era sempre stato strabico da un occhio e le persone consideravano quel difetto come il marchio del diavolo impresso sul bambino.
Lancillotto non aveva mai dato particolari attenzioni a Mordred fino al giorno in cui lui andò da Artù a dire al padre di ciò che Ginevra e lui avevano fatto.
"Mordred ci ha traditi. Lui mi ha costretto a fuggire."
"Mordred non era solo ma tutti sembrano ricordare solo lui. Agravaine era con lui, così come Bedivere e Gawain, che credevano di fare del bene. Ma tutti si ricordano solo di Mordred perché era destinato a fare del male fin dalla nascita, a causa di come era nato."
"Lui è passato al nemico."
"Artù l'ha cacciato dalla corte per aver detto la verità e lui è fuggito dove ha potuto. Non ha ucciso suo padre, se è questo che ti preoccupa ed il padre non ha ucciso lui."
Lance s***** in silenzio, nel tentativo di acquisire queste nuove informazioni. Tutto ciò che aveva saputo al suo ritorno a Camelot, dopo la fuga in Francia, era che ormai era troppo tardi.
Mordred aveva tradito il re, se ne era andato e si era unito ad una fazione di re ribelli. Infine Artù e Mordred avevano combattuto a Camlann uccidendosi a vicenda.
Il pensiero che nella realtà Artù non fosse stato costretto ad uccidere il figlio sollevò dall'animo di Lance un peso che lui riconobbe subito come colpa.
"E' stata anche colpa mia."
"Sì, e mia. Di tutti. E di Mordred, è vero. Ma ora è un ragazzo."
"Forse gli dei l'hanno mandato qui per essere punito per le sue malvagità, forse la famiglia in cui è finito serviva per-"
Lo schiaffo risuonò potente nell'aria ed il volto di Lance venne colpito violentemente e senza alcun dubbio.
"Non osare mai più parlare così di mio figlio."
"Ninette, perdonami, scusami. Io- volevo solo-"
Uno sguardo degno di dama Nimue gli fece capire che sarebbe stato meglio se fosse stato zitto.
"Perdonami. Hai ragione," ammise infine Lance.
"Bene. Ho bisogno di tempo per riflettere, se non ti dispiace. Ti chiamo io."
Passarono due giorni prima che Ninette chiamasse di nuovo Lance e gli chiedesse di vederla ancora.
Lance accettò senza indugio, felice che la donna l'avesse perdonato.
I due parlarono nuovamente di Mordred e Ninette ammise che tenere Lance nascosto era un comportamente vergognoso sia per Lance che per Morty.
"Penso che tu debba conoscerlo."
"Non so se sono pronto."
"Lo sarai, è un bravo ragazzo. Ha bisogno di una figura paterna."
L'incontro fu fissato per il giorno dopo. Troppo tardi per i gusti di Ninette e troppo presto per quelli di Lance.
Per la prima volta, Lance poté entrare in casa di Ninette e fu con un misto di delusione e divertimento che trovò una casa con il mobilio più moderno possibile e con ampie vetrate addobbate di edera.
"Appassionata di fiori?"
"Morty, lo è. E ti prego, non chiamarlo Mordred, non gli piace. Morty andrà bene, o Mortimer."
Con il cuore in gola, Lance seguì Ninette fino alla cucina e lì, seduto al tavolo di vetro e metallo ambrato, trovò il ragazzo.
Era più basso di come lo ricordava e molto meno robusto. Indossava un'aria nervosa e si stava strappando alcune pellicine dal labbro.
Quando li sentì entrare alzò lo sguardo su di loro e Lance vide che aveva i capelli più scuri, neri, ed anche gli occhi scuri dove un tempo erano stati castano chiaro.
L'occhio strabico era ancora lì, segnato, poco sotto da una macchia di bruciatura.
Mordred, Morty, lo fissò con attenzione e cautela quando lui si sedette di fronte.
"Ragazzi, vi porto qualcosa da bere? O forse sarà meglio che vada a dar da bere alle piante. Così potrete instaurare una tregua relativamente pacifica ed io non ne dovrò sapere nulla," scherzò Ninette, prima di uscire e lasciarli soli.
"Bene, sir Lancillotto, non siete cambiato, mi sembra," sorrise Morty, appoggiandosi allo schienale della sedia.
"Lance, mi chiamo Lance. Tu sei diverso. O è tinta quello che vedo sui tuoi capelli?"
"No, sono miei, Lance."
Il silenzio imbarazzato non tardò a cadere.
"Cos'hai fatto alla faccia?" chiese infine Morty, indicando un livido sul volto dell'altro.
"Tua madre mi ha schiaffeggiato."
Monty aprì la bocca sorpreso e rise.
"Dei del cielo, te lo devi essere meritato allora. O era un qualche tipo di giochino erotico?" sorrise maliziosamente il ragazzo.
Lance arrossì e decise di ribattere con un'altra domanda, a disagio per la situazione in cui il sedicenne lo aveva messo.
"E tu cos'hai fatto? Sotto l'occhio, intendo."
"Il signor Morel credeva che fosse divertente bruciarmi la faccia con una sigaretta."
Lance aprì la bocca per chiedere chi fosse questo signor Morel ma non vi riuscì ed in fondo sapeva già la risposta
"Mi dispiace."
"Dopo quello che ti ho fatto?"
"Ascoltami, Morty, è stato in un'altra vita. Letteralmente. E la colpa non fu solo tua. Eri il più giovane e noi eravamo vecchi. Fu colpa mia e di Ginevra, di Artù, di Merlino e delle sue mezze profezie, dei suoi inganni. Fu colpa di tutti."
"Che cosa hai fatto per farti schiaffeggiare da Ninette?" chiese Morty, ignorando il suo discorso.
Lance decise di non mentire. Decise che non voleva mentire a Mordred, il ragazzo a cui tutti avevano mentito, il ragazzo che tutti avevano manipolato.
"Ho detto che ti eri meritato ciò che ti è successo prima che Ninette ti adottasse."
Morty annuì ma Lance vide con chiarezza il deglutire del ragazzo.
"E' stata una sciocchezza. E me ne vergogno. Non lo credo davvero."
Morty rise. "Lancillotto che si vergogna, c'è una prima volta per tutte."
"Lance è una persona che sa di cosa vergognarsi."
"E Morty è una persona che sa quando fermarsi," ammise Mortimer, senza guardarlo negli occhi.
"Allora, devo avere anch'io il pollice verde per frequentare tua madre?"
"Per gli dei, non ti avvicinare alle mie piante. E già che ci sei, se vedi Ninette che prova a potarle, fermala."
Lance annuì e per la prima volta vide Mortimer.
Con il suo occhio strabico, la bruciatura, il braccialetto rosso con il proprio segno zodiacale, il cellulare appoggiato sul tavolo ed una casa piena di fiori e piante.
"Non sarai gay?"
"Lo scoprirai solo vivendo," sorrise Mortimer, inarcando un sopracciglio. "E se fai soffrire mia madre ti do in pasto alle mie piante carnivore."


"Lance, si può sapere cosa stai facendo?" domandò Ninette, entrando nella camera del fidanzato.
Dopo aver conosciuto Morty, ormai sei mesi prima, Lance si era trasferito in città, in un piccolo appartamento accanto alla scuola in cui lavorava Ninette.
Al momento, l'uomo si trovava chino su una scrivania, al suo computer, a mandare email e la situazione non era cambiata da almeno un'ora.
Ninetta aveva guardato un film e poi, incuriosita, l'aveva raggiunto in camera.
"Ti ricordi di Flavien?"
"Il tuo amico nella polizia, giusto? O quello che si ubriaca sempre il sabato?"
"No, è il poliziotto. Io e lui abbiamo cercato informazioni su Gabin Morel. Ninette, prima che tu possa arrabbiarti, sappi che non volevo intromettermi ma solo fare qualcosa."
"E?"
"Ed ha trovato altri due ragazzi in affidamento da lui. L'ha arrestato."
Ninette rimase immobile, rigida, accanto alla sedia dell'amante.
"Sei arrabbiata?"
"Perché l'hai fatto?"
"Me lo stai chiedendo davvero? Dopo quello che quel bastardo ha fatto a Morty."
"Morty lo sa?"
"No, e non sono sicuro di volerglielo dire. Non ora."
Ninette annuì e sorrise, appena.
"Sei un brav'uomo, Lance. Questa parte di te è sempre rimasta la stessa."
Detto questo, si chinò su di lui e lo baciò.

Mordred Inlè
10-09-2009, 22.10.51
03. London Eye

Bevis appoggiò il bicchiere sul bancone di legno massiccio e girò sullo sgabello fino a poter vedre la porta del bar ed appoggiarsi allo stesso bancone.
"Allora, Bevis, come ti sembra come posto?" gli chiese Mark, amico di vecchia data e da tempo noto gay abitante di Londra.
Bevis e Mark si erano conosciuti da bambini ed erano cresciuti assieme in Scozia. Come spesso accade, si erano persi di vista ed era stata una sorpresa per Bevis quando, eppan trasferito a Londra per il suo nuovo lavoro di guardia giurata, aveva scoperto che anche Mark viveva a Londra, con il suo compagno.
"Gay," ridacchiò Bevis, tornando a prendere il bicchiere, ora di nuovo pieno.
"Ma tu sei gay," lo rimbrottò Mark.
"Nei tuoi sogni, forse."
Bevis non era mai stato attratto dagli uomini. In realtà non era mai stato particolarmente attratto nemmeno dalle donne. La sua vita era troppo complicata per una cosa banale come l'amore.
Oh no, non banale. L'amore aveva fatto cadere il regno, il mondo.
Da sempre, Bevis aveva saputo di essere diverso. Vedeva cosa che gli altri non potevano vedere, vedeva un mondo che era stato un tempo ed ora non più.
Sapeva cavalcare senza bisogno di corsi di equitazione, e sapeva combattere. Aveva il sangue freddo di un guerriero che aveva ucciso molti uomini per il proprio re.
A nessuno aveva mai parlato di tutto ciò perché sapeva bene cosa accadeva a chi lo faceva. Veniva creduto pazzo e lentamente impazziva davvero.
Bevis, un tempo sir Bedivere, ufficiale delle guardie di Camelot, aveva vissuto senza sapere bene perché si trovava lì o come era morto dopo Camlann, forse era invecchiato e poi era scomparso. Così aveva deciso di vivere una vita normale.
Si era diplomato con voti decenti, si era trovato un lavoro come cameriere e poi, dopo la morte del padre, aveva deciso di diventare una guardia giurata, come lui.
Non c'era motivo per crucciarsi su altre vite che erano ormai irraggiungibili.
Ma qualche notte si svegliava con le lacrime agli occhi, sentendosi terribilmente solo, abbandonato, nostalgico del suo amato re ed amico, di sir Kay l'uomo sempre pronto a mietere vittime con una battuta acida, di Ginevra, la bella regina dall'aria timida e persino di Morgana, doppiogiochista ed imprevedibile.
"Nei miei sogni no, grazie, apprezzo la tua offerta, però," sorrise Mark. "Troppo moro per i miei gusti e troppo alto."
"Troppo alto?" ridacchiò Bevis, inarcando le sopracciglia.
"Guardati attorno almeno."
Bevis fece spallucce. Non che avesse molto altro da fare, a parte bere. Così si guardò attorno.
Uomini e donne, la maggior parte dei quali, come lui, stavano sondando il terreno e le persone.
"Maledetto, mi hai portato in un bar per farmi rimorchiare. In un bar gay," rnghiò scherzosamente Bevis.
Un uomo, dall'altra parte della sala, gli fece un occhiolino e sollevò il proprio bicchiere, in segno di saluto. Bevis si sentì arrossire leggermente e distolse lo sguardo che cadde sui salottini a destra del bancone.
C'era un uomo, su uno dei divanetti. Era un uomo particolare, alto, capelli rossi e viso pieno di lentiggini. Non era bello, solo particolare.
L'uomo alzò i propri occhi verdi su di lui e lo guardò.
Fu un attimo. Forse non fu nulla ma il rosso si alzò di scatto ed iniziò a farsi strada nella folla, verso di lui.
"Chi è quello?" chiese Bevis all'amico Mark, frettolosamente.
"Quello chi?"
"Quello rosso!"
"Ah, quindi hai fatto colpo."
"Dannazione, Mark-" ma Bevis fu costretto a bloccarsi perché lo sconosciuto lo aveva ormai raggiunto.
E dei, se non era uguale a lui.
"Ciao," lo salutò il rosso ed il suo volto era sconvolto quasi quanto quello di Bevis.
"Salve, io- Bevis," si presentò, porgendo la mano.
L'altro sembrò aggrottare le sopracciglia per la delusione e la confusione e portò lo sguardo sulla sua mano, prima di afferrarla.
"Kai."
"Nome strano," si intromise Mark, prima di presentarsi.
"Mia madre era scandinava," spiegò Kai.
Kai, pensò Bevis, Kai, non può essere eppure è.
"Mia madre è scozzese," esclamò improvvisamente Bevis, "avrebbe voluto chiamarmi Bedivere."
L'espressione di confusione e delusione sul volto di Kai scomparve in un istante.
"E' un bellissimo nome," gli rispose, sorridendo.
Ed il sorriso era lo stesso, con i canini un po' aguzzi e le labbra sottili.
Lo stesso sorriso che aveva quando sir Kay era siniscalco di Camelot ed amico di Bedivere.
"Lo stesso," sussurrò Bedivere, sorridendo a sua volta.

Mordred Inlè
13-09-2009, 23.05.52
04. Le notti di Plymouth
Il faro di Plymouth è acceso tutte le notti. E' alto, rosso e bianco e il suo richiamo è come il verso di un'antica creatura sperduta, che chiama a sé, disperata, i propri compagni.
Ma nessuna strana creatura giunge alla riva, per consolare il solitario faro.
Albert si sedeva spesso sulla riva ovest, poco distante dal faro, ad aspettare assieme a lui un qualcosa.
Aspettava l'arrivo di qualcuno che lo conoscesse e, al tempo stesso, temeva quell'evento più di qualsiasi altra cosa.
In un altro tempo era stato un dannato. Un maledetto, incantato da una stregoneria, o forse solo da parole troppo suadenti, a divenire il burattino di dame gelide e senza cuore.
In un'altra vita era stato Bercilak de Hautdesert, detto il Cavaliere Verde. Uno dei cavalieri più potenti, l'uomo che sfidava la corte di Artù e non aveva paura di nulla.
Albert, che la madre aveva sempre chiamato Bert, aveva perso quel coraggio. Aveva paura della sua vita, dei sogni pieni di sangue e sentimenti che non riusciva più a provare.
Aveva paura che, un giorno, camminando per le strade di Plymouth, potesse incontrare Gawain e risvegliare in lui qualcosa di terribile, una gelosia e un'ammirazione che non era abbastanza forte per sostenere. Temeva di incontrare il sovrano che aveva tanto ostacolato, Artù, o un altro dei suoi fidi cavalieri.
Li temeva perché in questa vita, Bert non era pronto a combattere contro di loro. Non era pronto a nulla.
Eppure li aspettava, si sedeva sotto il fare e aspettava che qualcosa venisse ad accarezzarlo e a ricordargli che non era solo.
Lo faceva tutte le notti, quando era bambino. Fin da piccolo aveva vissuto la sua vita sognando quella passata.
Ora capitava più di rado.
Una volta o due, aspettava insieme al faro. E poi si alzava e tornava a casa.
Prendeva la sua bicicletta e pedalava per le lunghe strade, incrociando qualche ragazzo ubriaco o qualche signora impettita.
Svoltava al Museo Elisabettiano e si inoltrava nel centro.
Cercava le chiavi nelle tasche e si specchiava nell'ampio portone vetrato, mettendo in ordine i propri capelli tinti di blu che si era fatto per una scommessa persa.
Saliva due rampe di scale, perché temeva gli ascensori più di qualsiasi altra cosa, e tornava a casa, alla sua vita di oggi che sempre più distruggeva la nostalgia del tempo passato.
Sorrideva e apriva la porta.

Anche quella sera, Bert aprì la porta.
"Ti stavo aspettando. Pensavo che volessi vedere quel film sulla BBC one," lo salutò Eva, seduta sul divano verde.
"Non è un film, è un telefilm e non è così importante."
Bert la raggiunse, rubandole un biscotto dal vassoio che la donna teneva sulle ginocchia.
Eva era una donna di quel tempo. Non aveva rimpianti di secoli precedenti né ricordi che la tormentavano. Lavorava da poca al museo Elisabettiano e la cosa la riempiva di infantile entusiasmo.
"Lo stanno ancora facendo, se vuoi."
L'accento di Eva era un accento moderno, londinese, perché era vissuta con la madre a Londra per qualche anno, prima di trasferirsi a Plymouth.
Per Bert era come il richiamo di un faro, qualcosa che lo strappava da mondi che non poteva più raggiungere e che gli ricordava del mondo in cui viveva e poteva ancora vivere.
Per un attimo, Bert si sentì di nuovo coraggioso, si chinò verso Eva e le baciò le labbra sottili.
"Bhè, grazie, Albert," sorrise la donna, leggermente confusa, accarezzando la tempia del fidanzato delicatamente, come una persona che calma un animale incerto.
"Va tutto bene?"
"Certo. Stavo pensando alle bollette della luce."
Eva singhiozzò, non sapendo se ridere o disperarsi.
Bert sorrise di nuovo e si sedette per terra, con la testa accanto al ventre di Eva..
Per lei una leggenda rimaneva una leggenda e Bert ringraziava ogni giorno per questa benedizione.

Hastatus77
17-09-2009, 14.52.48
:neutral_think:
E' la prima volta che letto storie sulla reincarnazione. Mi sembra un'idea originale.

Mordred Inlè
17-09-2009, 16.41.51
Non così originale come sembra : D
David Peter ci scrisse una trilogia (in cui Artù doveva essere letto sindaco XD) e una adorabile fanciulla, Soujin, ci sta scrivendo un racconto meravigioso.