Mordred Inlè
08-09-2009, 00.56.44
Su Agravaine : D
Menzione di incesto. Questo è l'unico avvertimento. Niente slash, questa volta!
<b>Il figlio delle Orcadi</b>
"So cosa state cercando di fare."
Quella era la frase che sembrava ripercorrere la vita di sir Agravaine, sempre, passo dopo passo.
So cosa stai tentando di fare. So cosa vuoi. So cosa è meglio per te.
"E cosa starei cercando di fare, mia regina?" domandò il cavaliere nipote di Artù alla sua signora e regina Ginevra.
La regina era alta e maestosa dove l'uomo sembrava ancora un ragazzo, più basso di lei, identico a sua madre.
"So cosa volete," continuò la regina, senza nemmeno alzarsi dalla propria sedia eppure torreggiando su Agravaine.
"Vi ripeto che non capisco."
"Cos'è? Vendetta? O è un'idea di vostra madre?"
"Di mia madre? Di mia madre, dite? Pensate forse che io non abbia idee mie?"
Ginevra batté un pugno sul piccolo tavolino ricolmo di seta e lana, accanto a lei.
"Tacete, serpe, ora e per sempre. Voglio che smettiate di infamare il mio nome e quello di Lancillotto con le vostre insinuazioni."
"Insinuazioni, mia signora? Mi sembra la verità e nient'altro. Non è quello che vuole il nostro re Artù da noi? Lealtà e verità."
La regina si alzò e a grandi passi giunse davanti all'uomo che era il figlio di Morgause ed era identico a lei.
"Menzogne. E' la vostra parola contro la mia."
Il sorriso che aveva teso il volto sempre rilassato di Agravaine si spense. La regina aveva ragione, lui non aveva prove da portare ad Artù del tradimento amoroso tra Ginevra e Lancillotto.
"Tornate a rintanarvi da vostra madre, tornate nelle Orcadi."
Lo vorrei tanto, pensò Agravaine, ma Gawain regna alle Orcadi.
Con un rigido inchino, Agravaine prese la frase della regina come un congedo e lasciò la stanza.
"Sir Agravaine," lo chiamò Laurel, dama di Ginevra, accelerando i suoi piccoli passi per raggiungerlo. Agravaine non fece nulla per aiutarla.
"Sir, vi prego, ascoltatemi, dovete capire che la regina-"
"Non devo capire nulla!" si voltò il cavaliere, spaventando la fanciulla, prima di uscire definitivamente dall'ala del palazzo riservata a Ginevra.
Uscì all'aria aperta ed ordinò al suo scudiero di sellargli un cavallo. Sir Kay tentò di fermarlo, più per obbligo che per affetto e simpatia ma Agravaine lo ignorò.
Per il pomeriggio fu fuori dalle mura di Camelot, fuori dagli intrighi del palazzo, dai sotterfugi e dalle donne.
C'era qualcosa in lui che temeva ed odiava le donne.
Ogni volta che era attratto da una di loro, queste facevano qualcosa, qualcosa di terribile, e lui non riusciva più a toccarla.
Dietro al sorriso di una donna c'era sempre qualcosa. E spesso quel qualcosa era il volto di Morgause.
Morgause era colei che lo aveva creato e distrutto e di nuovo plasmato. Lui non era altro che terra bruciata nelle mani di Anne Morgause, sorellastra del re.
Eppure Morgause non appariva in molti dei suoi ricordi d'infanzia.
Fin dal suo primo momento, Agravaine era sempre stato con la sua nutrice Gwendolyn o con i suoi fratelli maggiori Gaheris e Gawain ma mai aveva visto propria madre.
Agravaine aveva sette anni quando per la prima volta incontrò Anne Morgause.
Gwendolyn venne da lui, una mattina, lo lavò quasi ferocemente, arrosandogli la pelle (Agravaine adorava andare a giocare con i cani e spesso tornava a casa, ricoperto di fango) e ignorando i suoi lamenti.
Gli tagliò i capelli troppo lunghi e gli ammonì di stare fermo perché avrebbe incontrato presto sua madre, la regina delle Orcadi.
Gawain non era più al castello da un anno, partito per diventare cavaliere a Camelot, e Gaheris era in visita dalla zia Morgana, a Gorre.
Agravaine si ritrovò solo, senza sapere a chi chiedere informazioni su quella donna che tutti sembravano temere ed adorare.
“Non dite nulla di sciocco, siate cortese e gentile e vi prego, non piangete. Inchinatevi come vi ho insegnato e andrà tutto bene.”
Il bambino annuì ed annuì, troppo distratto dall’agitazione che stava nascendo dentro di lui per mostrarsi più attento.
Gwendolyn era già pronta a continuare quando la porta si aprì, lasciando entrare una fanciulla dall’aria scialba ed i capelli biondi. Era noto a tutti che Morgause sceglieva solo dame senza bellezza per sé, anche se Agravaine non aveva capito ancora il perché.
Dopo di lei entrò una donna alta, fasciata in un lungo abito rosso cupo e dorato. I capelli neri erano identici a quelli di Agravaine, della stessa tonalità, gli occhi scuri e fermi.
“Gwendolyn, Lynette, ci potete lasciare,” ordinò la donna e la sua voce era roca e sgradevole.
Le dame eseguirono ed Agravaine si affrettò in un inchino.
“Agravaine, il mio figlio più giovane,” sospirò la donna portandosi il pollice sul labbro. “Figlio di Lot o figlio di Morgause?” sorrise.
“Madre, sono figlio di tutti e due,” provò il bambino con voce sottile.
“Certo, certo,” annuì Morgause, volteggiando una mano in aria come per scacciare una mosca. “Tuo fratello è inutile, assolutamente inutile. Per la dea, che razza di figlio.”
“Mio fratello?”
“Gawain. E Gaheris è figlio di Lot. Ma non parliamo di loro.”
Agravaine avrebbe voluto chiedere se essere figlio di Lot fosse una cattiva cosa o come stesse Gawain ma Morgause iniziò a scrutarlo, a toccargli i capelli e girargli attorno. Gli alzò le braccia e lo tastò, come quegli stallieri che considerano i cavalli zoppi prima di decidere di ucciderli.
“Hai le lentiggini,” commentò la donna, alzandogli il viso tra le mani, “e gli occhi troppo grandi.”
Il bambino stava per lasciarsi fuggire delle scuse ma la madre gli afferrò le guance, deformandogli la bocca.
“Hai il mento sporco. Domani arriverà Costantio. Viene dalla Bretagna e ti insegnerà tutto ciò che dovrai sapere. Il latino, il francese e le arti militari. Voglio che tu sia educato e intelligente.”
Agravaine riuscì ad annuire, chiedendosi se anche la madre del suo amico Rufus, giù alle stalle, fosse una Morgause. Terribile e feroce.
Morgause annuì a sua volta e lo lasciò.
“Re Lot non starà qui per molto tempo. E’ una fortuna.”
Agravaine non capì bene perché fosse una fortuna. Re Lot, re del Lothian e delle Orcadi, avute in dote da Morgause, era in guerra contro re Artù.
Non si sapeva molto di Artù alle Orcadi se non che era un re crudele che aveva costretto Morgause a rinunciare al suo secondo figlio.
Gwendolyn aveva raccontato ad Agravaine che una notte di cinque anni prima, Merlino in persona, il vecchio e crudele mago di corte e spia del re, era venuto alle Orcadi a prendere il figlio appena nato della regina e di Lot e lo aveva portato via per ucciderlo.
Mordred era il fratello che Agravaine non aveva mai avuto e il bambino odiava il re per questo.
“Sì, madre,” rispose, senza capire.
Morgause lo osservò divertita e gli combinò i capelli.
“Agravaine, Agravaine, sarai il mio piccolo orgoglio, vedrai. Camelot un giorno sarà tutta tua.”
Costantio non arrivò il giorno dopo bensì un mese dopo. Il vecchio uomo aveva incontrato delle difficoltà ad attraversare la Cornovaglia di re Mark, alleata con Artù, e aveva dovuto viaggiare per nave più a lungo di ciò che aveva pensato.
Costantio era un uomo paziente, dai lunghi capelli ormai grigi e gli occhi stanchi. Visse nelle Orcadi per quattro anni, fino all’anno della sua morte, e insegnò ad Agravaine il francese, il latino e qualcosa che Morgause non avrebbe mai immaginato: i segreti delle erbe.
Le erbe curative, quelle che uccidevano e quelle che servivano alle donne per uccidere i loro figli.
Agravaine crebbe molto, allenandosi con Rufus e studiando, senza avere nemmeno un attimo libero per interrogarsi sulle visite sempre più rare e poi la scomparsa del padre Lot, che non aveva mai visto molto, o quella di Gaheris e Gawain.
Furono anni felici. Morgause, una volta al mese, incontrava il figlio e assisteva alle sue lezioni, pronta a correggerlo e indirizzarlo sulla strada giusta.
In quegli anni nacque Gareth, un bambino biondissimo e delicato, che, secondo Gwendolyn, era la copia identica della loro nonna Igraine.
Gareth rubò Gwendolyn ad Agravaine ma il ragazzo ormai aveva altro a cui pensare che alla propria balia, anzi, considerava il passaggio come un ulteriore passo verso la sua strada di uomo.
Infine Costantio si ammalò e Lot morì.
La notizia giunse a cavallo, per mano di un messaggero che nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere.
Gawain tornò alle Orcadi.
“Tuo fratello è qui,” lo avvertì Gwendolyn, con il piccolo Gareth appollaiato su un braccio.
Agravaine si affrettò verso la sala del trono, stanza in cui Morgause gli aveva proibito l’accesso (lei non voleva che lui vedesse gli squallidi cavalieri di Lot e la loro forza bruta, senza intelligenza), e trovò la madre sul posto di Lot, con la corona dorata in testa.
Davanti a lei un uomo biondo, alto e possente, vestito di bianco e rosso. Agravaine non riconobbe il fratello finché non sentì la sua voce.
“Madre, re Lot, tuo marito, è morto. Artù chiede al regno delle Orcadi e del Lothian l’alleanza e l’amicizia.”
“La sottomissione, intendi,” sorrise Morgause, freddamente.
“Come re delle Orcadi e del Lothian io dono la mia sottomissione al Grande Sovrano di Britannia.”
“Tu? Re? Io sono la regina delle Orcadi,” replicò la donna, nervosamente.
“Non secondo le leggi di Britannia.”
“Leggi del sud, leggi nuove e inutili. Una donna può ereditare il trono nelle antiche leggi del nord. Le Orcadi sono mie. E tu torna a strisciare dal tuo re ed a baciare la barba di quel mago pazzo.”
Gawain non si scompose e Agravaine riconobbe l’armatura del fratello. Era un’armatura fatta di silenzi e di dolore, una difesa contro le parole della madre e una difesa che da anni anche Agravaine aveva imparato a costruirsi.
“Lot ha perso la guerra e il trono delle Orcadi è di Artù e lui mette me su quel trono.”
“Artù, Artù! Giurerei che ti sei innamorato di lui!” rise Morgause, alzandosi maestosamente in piedi.
Gawain arrossì, per la vergogna che quelle parole gettavano sul suo onore e sulla sua pura fedeltà.
“E cosa vuoi fare di tua madre? Dei tuoi fratelli?”
“Potrete vivere alle Orcadi ma prima dovrete viaggiare fino a Camelot e giurare fedeltà al re.”
Morgause non rispose e Gawain distolse lo sguardo, continuando.
“Gaheris è diventato lo scudiero di Bedivere e presto diverrà cavaliere di Artù. Quando Agravaine e Gareth cresceranno dovrai portarli a Camelot, a scegliere la strada dei cavalieri della Tavola Rotonda.”
“Uomini!” urlò Morgause, voltandosi e dando un calcio al trono, “uomini ed i loro giochi! Tavole rotonde e cavalieri. Stupidi! Tutti! Non mi porterai via Agravaine, non lui.”
Suo malgrado, Agravaine arrossì di gioia alla possessività della madre.
Ma Gawain sorrise, prima di continuare. “Il re si è sposato con una principessa celta di nome Ginevra. Avranno un figlio e nessuno di noi- nessuno dei tuoi figli regnerà mai sul grande trono.”
“Agravaine è mio. E’ mio. Lui regnerà. E tu, Gawain, il più nobile,” sputò la parola come se scottasse, “sedotto da una spada e una lancia. Vattene, non voglio più vederti.”
“Il mio drappello è qui fuori. La nave è pronta e voglio che lo siate anche voi prima di una settimana.”
Con queste ultime parole, il figlio rinnegato si inchinò per non vedere il volto sconvolto ed abbruttito dalla sorpresa della bella madre.
“Vattene.”
E Gawain eseguì.
Appena il portone fu chiuso, una molla sembrò vibrare dentro la donna e questa si girò verso Gwendolyn e Agravaine.
“Prepara le cose per Gareth, fra una settimana lo porterai a Camelot.”
La dama si inchinò e se ne andò, lasciando che lo sguardo, ora bruciante, della regina senza regno si posasse sull’altro figlio.
“Agravaine, andiamo a Camelot, figlio mio. Ma prima devi dirmi una cosa. Mia madre non ha voluto insegnarmi ciò che le chiesi ma so che Costantio ti ha dato un erbario o qualcosa di simile. Dammelo, fammelo vedere.”
Per la prima volta in vita sua, Agravaine pensò che la madre fosse anziana, rugosa, e vide la nota di follia che saltava da un’iride all’altro.
“Io- non so se posso… non me l’ha dato, è suo.”
“Non essere sciocco, ormai Costantio è come se fosse morto. Questa notte portami l’erbario.”
Il bambino fece per correre via, ad eseguire o a nascondersi, ma Morgause lo afferrò per un braccio, forte.
“Non voglio che tu vada a cercare Gawain. Te lo proibisco.”
Menzione di incesto. Questo è l'unico avvertimento. Niente slash, questa volta!
<b>Il figlio delle Orcadi</b>
"So cosa state cercando di fare."
Quella era la frase che sembrava ripercorrere la vita di sir Agravaine, sempre, passo dopo passo.
So cosa stai tentando di fare. So cosa vuoi. So cosa è meglio per te.
"E cosa starei cercando di fare, mia regina?" domandò il cavaliere nipote di Artù alla sua signora e regina Ginevra.
La regina era alta e maestosa dove l'uomo sembrava ancora un ragazzo, più basso di lei, identico a sua madre.
"So cosa volete," continuò la regina, senza nemmeno alzarsi dalla propria sedia eppure torreggiando su Agravaine.
"Vi ripeto che non capisco."
"Cos'è? Vendetta? O è un'idea di vostra madre?"
"Di mia madre? Di mia madre, dite? Pensate forse che io non abbia idee mie?"
Ginevra batté un pugno sul piccolo tavolino ricolmo di seta e lana, accanto a lei.
"Tacete, serpe, ora e per sempre. Voglio che smettiate di infamare il mio nome e quello di Lancillotto con le vostre insinuazioni."
"Insinuazioni, mia signora? Mi sembra la verità e nient'altro. Non è quello che vuole il nostro re Artù da noi? Lealtà e verità."
La regina si alzò e a grandi passi giunse davanti all'uomo che era il figlio di Morgause ed era identico a lei.
"Menzogne. E' la vostra parola contro la mia."
Il sorriso che aveva teso il volto sempre rilassato di Agravaine si spense. La regina aveva ragione, lui non aveva prove da portare ad Artù del tradimento amoroso tra Ginevra e Lancillotto.
"Tornate a rintanarvi da vostra madre, tornate nelle Orcadi."
Lo vorrei tanto, pensò Agravaine, ma Gawain regna alle Orcadi.
Con un rigido inchino, Agravaine prese la frase della regina come un congedo e lasciò la stanza.
"Sir Agravaine," lo chiamò Laurel, dama di Ginevra, accelerando i suoi piccoli passi per raggiungerlo. Agravaine non fece nulla per aiutarla.
"Sir, vi prego, ascoltatemi, dovete capire che la regina-"
"Non devo capire nulla!" si voltò il cavaliere, spaventando la fanciulla, prima di uscire definitivamente dall'ala del palazzo riservata a Ginevra.
Uscì all'aria aperta ed ordinò al suo scudiero di sellargli un cavallo. Sir Kay tentò di fermarlo, più per obbligo che per affetto e simpatia ma Agravaine lo ignorò.
Per il pomeriggio fu fuori dalle mura di Camelot, fuori dagli intrighi del palazzo, dai sotterfugi e dalle donne.
C'era qualcosa in lui che temeva ed odiava le donne.
Ogni volta che era attratto da una di loro, queste facevano qualcosa, qualcosa di terribile, e lui non riusciva più a toccarla.
Dietro al sorriso di una donna c'era sempre qualcosa. E spesso quel qualcosa era il volto di Morgause.
Morgause era colei che lo aveva creato e distrutto e di nuovo plasmato. Lui non era altro che terra bruciata nelle mani di Anne Morgause, sorellastra del re.
Eppure Morgause non appariva in molti dei suoi ricordi d'infanzia.
Fin dal suo primo momento, Agravaine era sempre stato con la sua nutrice Gwendolyn o con i suoi fratelli maggiori Gaheris e Gawain ma mai aveva visto propria madre.
Agravaine aveva sette anni quando per la prima volta incontrò Anne Morgause.
Gwendolyn venne da lui, una mattina, lo lavò quasi ferocemente, arrosandogli la pelle (Agravaine adorava andare a giocare con i cani e spesso tornava a casa, ricoperto di fango) e ignorando i suoi lamenti.
Gli tagliò i capelli troppo lunghi e gli ammonì di stare fermo perché avrebbe incontrato presto sua madre, la regina delle Orcadi.
Gawain non era più al castello da un anno, partito per diventare cavaliere a Camelot, e Gaheris era in visita dalla zia Morgana, a Gorre.
Agravaine si ritrovò solo, senza sapere a chi chiedere informazioni su quella donna che tutti sembravano temere ed adorare.
“Non dite nulla di sciocco, siate cortese e gentile e vi prego, non piangete. Inchinatevi come vi ho insegnato e andrà tutto bene.”
Il bambino annuì ed annuì, troppo distratto dall’agitazione che stava nascendo dentro di lui per mostrarsi più attento.
Gwendolyn era già pronta a continuare quando la porta si aprì, lasciando entrare una fanciulla dall’aria scialba ed i capelli biondi. Era noto a tutti che Morgause sceglieva solo dame senza bellezza per sé, anche se Agravaine non aveva capito ancora il perché.
Dopo di lei entrò una donna alta, fasciata in un lungo abito rosso cupo e dorato. I capelli neri erano identici a quelli di Agravaine, della stessa tonalità, gli occhi scuri e fermi.
“Gwendolyn, Lynette, ci potete lasciare,” ordinò la donna e la sua voce era roca e sgradevole.
Le dame eseguirono ed Agravaine si affrettò in un inchino.
“Agravaine, il mio figlio più giovane,” sospirò la donna portandosi il pollice sul labbro. “Figlio di Lot o figlio di Morgause?” sorrise.
“Madre, sono figlio di tutti e due,” provò il bambino con voce sottile.
“Certo, certo,” annuì Morgause, volteggiando una mano in aria come per scacciare una mosca. “Tuo fratello è inutile, assolutamente inutile. Per la dea, che razza di figlio.”
“Mio fratello?”
“Gawain. E Gaheris è figlio di Lot. Ma non parliamo di loro.”
Agravaine avrebbe voluto chiedere se essere figlio di Lot fosse una cattiva cosa o come stesse Gawain ma Morgause iniziò a scrutarlo, a toccargli i capelli e girargli attorno. Gli alzò le braccia e lo tastò, come quegli stallieri che considerano i cavalli zoppi prima di decidere di ucciderli.
“Hai le lentiggini,” commentò la donna, alzandogli il viso tra le mani, “e gli occhi troppo grandi.”
Il bambino stava per lasciarsi fuggire delle scuse ma la madre gli afferrò le guance, deformandogli la bocca.
“Hai il mento sporco. Domani arriverà Costantio. Viene dalla Bretagna e ti insegnerà tutto ciò che dovrai sapere. Il latino, il francese e le arti militari. Voglio che tu sia educato e intelligente.”
Agravaine riuscì ad annuire, chiedendosi se anche la madre del suo amico Rufus, giù alle stalle, fosse una Morgause. Terribile e feroce.
Morgause annuì a sua volta e lo lasciò.
“Re Lot non starà qui per molto tempo. E’ una fortuna.”
Agravaine non capì bene perché fosse una fortuna. Re Lot, re del Lothian e delle Orcadi, avute in dote da Morgause, era in guerra contro re Artù.
Non si sapeva molto di Artù alle Orcadi se non che era un re crudele che aveva costretto Morgause a rinunciare al suo secondo figlio.
Gwendolyn aveva raccontato ad Agravaine che una notte di cinque anni prima, Merlino in persona, il vecchio e crudele mago di corte e spia del re, era venuto alle Orcadi a prendere il figlio appena nato della regina e di Lot e lo aveva portato via per ucciderlo.
Mordred era il fratello che Agravaine non aveva mai avuto e il bambino odiava il re per questo.
“Sì, madre,” rispose, senza capire.
Morgause lo osservò divertita e gli combinò i capelli.
“Agravaine, Agravaine, sarai il mio piccolo orgoglio, vedrai. Camelot un giorno sarà tutta tua.”
Costantio non arrivò il giorno dopo bensì un mese dopo. Il vecchio uomo aveva incontrato delle difficoltà ad attraversare la Cornovaglia di re Mark, alleata con Artù, e aveva dovuto viaggiare per nave più a lungo di ciò che aveva pensato.
Costantio era un uomo paziente, dai lunghi capelli ormai grigi e gli occhi stanchi. Visse nelle Orcadi per quattro anni, fino all’anno della sua morte, e insegnò ad Agravaine il francese, il latino e qualcosa che Morgause non avrebbe mai immaginato: i segreti delle erbe.
Le erbe curative, quelle che uccidevano e quelle che servivano alle donne per uccidere i loro figli.
Agravaine crebbe molto, allenandosi con Rufus e studiando, senza avere nemmeno un attimo libero per interrogarsi sulle visite sempre più rare e poi la scomparsa del padre Lot, che non aveva mai visto molto, o quella di Gaheris e Gawain.
Furono anni felici. Morgause, una volta al mese, incontrava il figlio e assisteva alle sue lezioni, pronta a correggerlo e indirizzarlo sulla strada giusta.
In quegli anni nacque Gareth, un bambino biondissimo e delicato, che, secondo Gwendolyn, era la copia identica della loro nonna Igraine.
Gareth rubò Gwendolyn ad Agravaine ma il ragazzo ormai aveva altro a cui pensare che alla propria balia, anzi, considerava il passaggio come un ulteriore passo verso la sua strada di uomo.
Infine Costantio si ammalò e Lot morì.
La notizia giunse a cavallo, per mano di un messaggero che nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere.
Gawain tornò alle Orcadi.
“Tuo fratello è qui,” lo avvertì Gwendolyn, con il piccolo Gareth appollaiato su un braccio.
Agravaine si affrettò verso la sala del trono, stanza in cui Morgause gli aveva proibito l’accesso (lei non voleva che lui vedesse gli squallidi cavalieri di Lot e la loro forza bruta, senza intelligenza), e trovò la madre sul posto di Lot, con la corona dorata in testa.
Davanti a lei un uomo biondo, alto e possente, vestito di bianco e rosso. Agravaine non riconobbe il fratello finché non sentì la sua voce.
“Madre, re Lot, tuo marito, è morto. Artù chiede al regno delle Orcadi e del Lothian l’alleanza e l’amicizia.”
“La sottomissione, intendi,” sorrise Morgause, freddamente.
“Come re delle Orcadi e del Lothian io dono la mia sottomissione al Grande Sovrano di Britannia.”
“Tu? Re? Io sono la regina delle Orcadi,” replicò la donna, nervosamente.
“Non secondo le leggi di Britannia.”
“Leggi del sud, leggi nuove e inutili. Una donna può ereditare il trono nelle antiche leggi del nord. Le Orcadi sono mie. E tu torna a strisciare dal tuo re ed a baciare la barba di quel mago pazzo.”
Gawain non si scompose e Agravaine riconobbe l’armatura del fratello. Era un’armatura fatta di silenzi e di dolore, una difesa contro le parole della madre e una difesa che da anni anche Agravaine aveva imparato a costruirsi.
“Lot ha perso la guerra e il trono delle Orcadi è di Artù e lui mette me su quel trono.”
“Artù, Artù! Giurerei che ti sei innamorato di lui!” rise Morgause, alzandosi maestosamente in piedi.
Gawain arrossì, per la vergogna che quelle parole gettavano sul suo onore e sulla sua pura fedeltà.
“E cosa vuoi fare di tua madre? Dei tuoi fratelli?”
“Potrete vivere alle Orcadi ma prima dovrete viaggiare fino a Camelot e giurare fedeltà al re.”
Morgause non rispose e Gawain distolse lo sguardo, continuando.
“Gaheris è diventato lo scudiero di Bedivere e presto diverrà cavaliere di Artù. Quando Agravaine e Gareth cresceranno dovrai portarli a Camelot, a scegliere la strada dei cavalieri della Tavola Rotonda.”
“Uomini!” urlò Morgause, voltandosi e dando un calcio al trono, “uomini ed i loro giochi! Tavole rotonde e cavalieri. Stupidi! Tutti! Non mi porterai via Agravaine, non lui.”
Suo malgrado, Agravaine arrossì di gioia alla possessività della madre.
Ma Gawain sorrise, prima di continuare. “Il re si è sposato con una principessa celta di nome Ginevra. Avranno un figlio e nessuno di noi- nessuno dei tuoi figli regnerà mai sul grande trono.”
“Agravaine è mio. E’ mio. Lui regnerà. E tu, Gawain, il più nobile,” sputò la parola come se scottasse, “sedotto da una spada e una lancia. Vattene, non voglio più vederti.”
“Il mio drappello è qui fuori. La nave è pronta e voglio che lo siate anche voi prima di una settimana.”
Con queste ultime parole, il figlio rinnegato si inchinò per non vedere il volto sconvolto ed abbruttito dalla sorpresa della bella madre.
“Vattene.”
E Gawain eseguì.
Appena il portone fu chiuso, una molla sembrò vibrare dentro la donna e questa si girò verso Gwendolyn e Agravaine.
“Prepara le cose per Gareth, fra una settimana lo porterai a Camelot.”
La dama si inchinò e se ne andò, lasciando che lo sguardo, ora bruciante, della regina senza regno si posasse sull’altro figlio.
“Agravaine, andiamo a Camelot, figlio mio. Ma prima devi dirmi una cosa. Mia madre non ha voluto insegnarmi ciò che le chiesi ma so che Costantio ti ha dato un erbario o qualcosa di simile. Dammelo, fammelo vedere.”
Per la prima volta in vita sua, Agravaine pensò che la madre fosse anziana, rugosa, e vide la nota di follia che saltava da un’iride all’altro.
“Io- non so se posso… non me l’ha dato, è suo.”
“Non essere sciocco, ormai Costantio è come se fosse morto. Questa notte portami l’erbario.”
Il bambino fece per correre via, ad eseguire o a nascondersi, ma Morgause lo afferrò per un braccio, forte.
“Non voglio che tu vada a cercare Gawain. Te lo proibisco.”