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Mordred Inlè
08-12-2009, 17.23.24
Slash! Galahad/Mordred... è una blasfemia?


still thy name is spoken

~~~~ Camelot, Inghilterra ~~~~

"Ho sentito che siete il figlio di sir Lancillotto," esclamò Mordred, entrando nella piccola stalla dove Galahad stava dando da mangiare a Joan, il bel cavallo bianco del giovane.
"Ho sentito che non devo fidarmi di voi, sir Mordred," rispose Galahad, con cortesia, non fermandosi nel suo lavoro.
Mordred torse la bocca in una smorfia amare che finì in un sorriso. "Siete a corte solo da qualche settimana e già date retta ai pettegolezzi."
"Mi fido di mio padre e di ciò che dice," rispose Galahad, fermandosi e voltandosi. Osservò Mordred con curiosità. I suoi capelli castani, gli occhi scuri, il naso dritto come quello di Artù. Aveva sentito molti altri pettegolezzi su quel sir Mordred.
"Siete un giovane ingenuo," sibilò l'altro, senza mai perdere il sorriso e sapendo bene che, dopotutto, Galahad era più giovane di lui solo di tre o quattro anni.
"Così mi dicono."
"Ci sarà un motivo. Fidarvi di sir Lancillotto è una sciocchezza."
"Io mi fido di mio padre," spiegò Galahad, con grazia e semplicità.
Per qualche secondo sembrò che Mordred volesse sputargli addosso, portò la mano al fianco sinistro notando l'assenza della spada e infine scrollò le spalle. "Non è una ragione sufficiente. Ti ha concepito con l'inganno."
Un leggero rossore salì sulle guance dell'altro e Mordred sorrise soddisfatto.
"Tua madre l'ha ingannato, questo si dice," continuò, "e lui è fuggito dopo averlo scoperto. Per tornare nel letto della regina."
Galahad deglutì un paio di volte e sospirò. "Li ho perdonati. Sono stati sopraffatti dalla passione ma li ho perdonati."
L'altro cavaliere alzò le sopracciglia, sorpreso, e si lasciò sfuggire una breve risata. "Sir Galahad, il puro," esclamò, con un inchino esagerato. Mordred aspettò che l'altro ribattesse.
Generalmente, a questo punto, Lancillotto avrebbe volentieri preso la spada per combattere la maliziosa ironia con la forza. Dinadan avrebbe riso. Kai avrebbe ribattuto acidamente qualcosa come 'Sir Mordred, il bastardo'.
Ma sir Galahad rimase in silenzio, a guardarlo.
Mordred aspettò fino a che lo sguardo degli occhi verdi dell'altro iniziarono a farlo sentire a disagio.
"E' stato un onore conoscervi, sir Mordred," disse infine il più puro dei cavalieri, senza alcuna ironia nella sua voce.
Mordred si inchinò goffamente, a disagio, ed uscì.

Galahad venne accolto a Camelot con emozioni contrastanti.
Diversamente da ciò che tutti credevano, Lancillotto andò incontro al figlio a braccia aperte e sembrò onorato e commosso dal poterlo nominare cavaliere lui stesso.
Ginevra, senza sorpresa, si mostrò cortese e gelida, probabilmente invidiosa del fatto che un'altra donna avesse potuto donare a Lancillotto un figlio.
Galahad riuscì a farsi amare fra i più giovani mentre i più anziani si divertivano a prendersi gioco di lui per la sua tanto nota 'purezza'.
"E' perché è cresciuto in un monastero, non ha mai incontrato una vera donna," soleva dire Mador de la Porte, quando lo vedeva passare per raggiungere la cappella a pregare.
"E' un uomo nobile e molto vicino a Dio," rispondeva quindi Bors, cugino di Lancillotto, con severità.
Galahad ignorava tutto ciò, preferendo dedicarsi alla preghiera ed ai suoi compiti come cavaliere. Lui e Lancillotto erano pari in forza fisica e capacità ed il re, fiero di loro, li mandava spesso in missioni vicino a Camelot perché non desiderava che stessero troppo via da lui.
Fu al ritorno di una di queste missioni che Galahad raggiunse le sue stanze e vi trovò Mordred.
Lui e Mordred non si erano più detti nulla dal loro primo incontro e Galahad aveva cercato di evitarlo con cortesia.
"Sir Galahad, perdonate l'intrusione."
"E' un piacere vedervi, sir Mordred," replicò Galahad, togliendosi la cotta di maglia.
"Mentite con una tale cortesia."
L'altro si voltò, quasi offeso. "Io non mento, sir Mordred." E per un attimo Mordred gli credette.
"Bene, giusto e nobile in ogni vostra sfaccettatura, vi faccio i miei complimenti." Mordred gli concesse anche un breve applauso divertito.
"Posso chiedervi il motivo della vostra visita?"
"Il figlio del re può andare dove vuole e senza motivi."
Galahad fece per dire qualcosa ma chiuse subito la bocca. Il figlio del re. Ovviamenteaveva sentito delle voci sul concepimento di Mordred, sul terribile peccato compiuto da Artù, peccato che si era fatto uomo in Mordred e che ora lo dannava standogli sempre attorno a Camelot.
Per un attimo, in tutta la sua innocenza, si chiese se stare vicino a Mordred, nato da incesto e inganno, non fosse pericoloso, contagioso e terribile per la propria anima.
"Certo, mio signore," rispose infine Galahad, incerto.
Mordred gli si avvicinò, velocemente, e Galahad retrocedette di un passo."Avete paura di me! Sono più basso di voi di una spanna, disarmato e sicuramente meno abile di voi con la spada e voi avete paura," Mordred sorrise soddisfatto, "Oh sì, forse se vi toccherò vi sporcherò con qualcosa di terribile. Avete sentito della mia nascita," continuò, sussurrando e sorridendo.
Galahad si lasciò distrarre. Aveva sentito della sua nascita. Pensò che Mordred fosse la persona che sorridesse di più al mondo e che fosse meno in grado di farlo.
I suoi sorrisi sembravano ghigni.
"Ho sentito e ora voi mi confermate."
"Bene, bene, e voi? Anche voi siete nato dall'inganno."
"Sì. Ma-"
"Ma?"
"Nulla, sir."
"Ma non erano fratello e sorella?" continuò Mordred per lui. "E' questo che ci rende diversi?" Il sorriso scomparve e Galahad vide una nota di pazzia disperata, isterica, negli occhi dell'altro cavaliere.
"E' questo che rende voi un cavaliere così puro, nobile, perfetto e intoccabile?"
"No, mio signore. Non sono così puro come dite."
Mordred gli afferrò i capelli biondi con una mano e lo tirò a sé. Lo baciò, con forza e rabbia e ci volle qualche secondo perché Galahad si riprendesse abbastanza dalla sorpresa per spingerlo via.
"Che cosa state facendo?"
"Almeno non è incesto," sorrise Mordred.
"Siete impazzito. Avete bisogno di una confessione di- qualcuno."
"Potrei aver bisogno di voi. Di rovinarvi."
Galahad scosse la testa e si allontanò ancora dall'imprevedibile Mordred. C'era qualcosa che non capiva. Per la prima volta si trovava di fronte a qualcuno che sembrava agire con l'unico scopo di distruggere.
"Vi odio, sir Galahad."
"Perché?"
"Perché ama voi e non me?"
"Come?" Nel momento in cui Galahad ebbe pronunciato la domanda, seppe a cosa si riferiva Mordred.
Perché Lancillotto vi ama e Artù non ama me?
"Questo posto mi da la nausea. Tutta Camelot," esclamò Mordred, prima di uscire dalla stanza senza nemmeno guardare Galahad, immobile, nel centro di essa.

Passarono settimane prima che Mordred tornasse. Dopo la sera del suo confronto con Galahad aveva chiesto al re, suo padre, di poter andare a trovare sua zia Morgana, regina di Gorre, ed il permesso era stato accordato.
Quando l'assenza di Mordred si fece lunga, Artù lo mandò a chiamare, ordinandogli di tornare a palazzo e Mordred ubbidì.
Mordred ubbidì, si accorse Galahad, perché non poteva farne a meno. Era acido e sembrava odiare Artù ma quando il re gli parlava, il giovane scodinzolava come un cane e lo seguiva ovunque. Artù tentava di stargli il più distante possibile forse cosciente della forza che esercitava sul figlio ma troppo impaurito per usarla nel modo giusto.
Anche quella volta, Galahad trovò Mordred nelle proprie stanze.
Quella sera si sentiva pronto ad affrontare qualsiasi cosa Mordred avesse potuto lanciargli addosso. Aveva ricevuto una lettera dall'amata madre ed era appena tornato dalla preghiera. Si sentiva forte, puro e invincibile, il Galahad che tutti riconoscevano in lui.
"Dark as beneath a winter sky the sea," esclamò Mordred, quando lo vide.
"Prego, mio signore?"
"Una vecchia filastrocca, sir Galahad. Non sono qui per recitarvi poesie."
"E per cosa?" domandò Galahad, sapendo bene che non avrebbe ricevuto nessuna risposta. Probabilmente lo stesso Mordred non sapeva bene quale fosse il proprio scopo.
"Avete trascorso una bella giornata? So che avete pranzato con dama Laurel."
"Ho pranzato con molte signore."
"Oh, stanno tutte tentando di vincere le vostre grazie," sorrise Mordred, lasciandosi cadere su una delle sedie accanto alla porta. "Fanno scommesse su di voi, su quale sarà la prima che vi farà cedere, di chi vi innamorerete."
"Temo che rimarranno deluse, allora. Le amo tutte allo stesso modo."
"Vergine e con il cuore di una sgualdrina," rise Mordred.
Galahad inarcò un sopracciglio alla parola volgare, ma non disse nulla.
"Somigliate a vostro padre."
"E voi al vostro."
Mordred si irrigidì e si sporse in avanti, appoggiando il gomito al bracciolo della sedia. "E schermaglia verbale, sia, dunque."
"La mia non era un'offesa, messere, e vi chiedo perdono se vi ho turbato."
La frase, ricolma di sincerità, sembrò indispettire Mordred più di tutto ciò che si erano detti prima. Il cavaliere si alzò dalla sua sedia e raggiunse Galahad che, seduto ad un'ampia scrivania, stava pulendo il suo elmo.
Si inginocchiò davanti a lui.
"Non è necessario," disse Galahad, con decisione, sentendo tutta la forza che pensava di avere affievolirsi in un mare di disagio e confusione.
"E' necessario per questo," replicò Mordred, senza alcuna sfumatura ironica. Prima che Galahad potesse domandare, il cavaliere davanti a lui gli afferrò una mano ed iniziò a baciarla. Sul dorso, sul palmo. Baciò il polso pallido.
"Siete pazzo! Cosa volete fare?" ringhiò Galahad che, per un attimo, sembrò un Lancillotto più giovane e più autoritario.
"Mi chiedo se siete abbastanza puro e giovane da non capirlo," esclamò Mordred, lasciando andare la mano che Galahad tentava di strappargli dalle grinfie. Decise di concentrarsi su qualcos'altro e si alzò abbastanza da arrivare all'altezza del viso di Galahad, per baciarlo.
Questa volta non si lasciò spingere via con facilità ed il cavaliere puro, il giusto, dovette alzarsi in piedi con violenza e colpirlo su un fianco con l'elmo che teneva accanto a sé.
"Siete... siete un sodomita!"
"Peccatum contra naturam," recitò Mordred, divertito.
"Perché io?"
"Mi chiedevo se sareste ancora stato il puro cavaliere di Dio dopo una cosa simile."
Galahad si fermò a riflette. Lo era ancora? Era peccato? Lui non aveva fatto nulla, era stato Mordred che-
"Uscite dalle mie stanze."
"Il nobile Galahad che si concede all'ira."
"E' un'ira giusta."
"Certo, potete sempre confessarvi, dopotutto," annuì Mordred, con una tale naturalezza che sembrò essere completamente d'accordo con Galahad. Si inchinò brevemente ed uscì.

Questa volta Galahad tentò davvero di evitare Mordred. Persino Lancillotto si accorse del suo comportamento ed era già pronto a distruggere il giovane figlio di Artù se questi avesse osato fare del male al suo puro figlioletto.
Galahad assicurò che non era nulla e che si stava sbagliando. Lui e Mordred si incrociarono brevemente nelle settimane successive. Dovettero cenare assieme molte volte, quando Artù chiamava a sé i suoi cavalieri. Dovettero sedere assieme alla tavola, ma non si parlarono.
Spesso Galahad trovò gli occhi scuri di Mordred che lo osservavano con ironia e disprezzo e, proprio per questo, stava in guardia. Attento ad ogni mossa dell'altro.
E Mordred riuscì ancora a sorprenderlo.
"Sir Galahad, il migliore di tutti noi!" esclamò Agravaine quando lo vide entrare nella sala da pranzo nord. Agravaine era un uomo agile e aggraziato, con i capelli neri e le mani nervose sempre in movimento. Era il nipote di Artù e figlio Morgause, dalla quale aveva preso una certa eleganza sottile e subdola.
"Sir Agravaine, che Dio sia con voi," rispose Galahad.
"Che piacere avervi qui con noi," continuò Agravaine, ambiguamente.
Accanto a lui, Galahad scorse Gaheris, suo fratello, e Mordred, suo fratellastro. Mordred stava intagliando un serpente arrotolato nel legno e sembrava non ascoltare la conversazione.
"E' un piacere anche per me," rispose Galahad, cauto.
"Finalmente qualcuno con cui parlare seriamente della cosa."
"Quale cosa?"
"Bhè, essendo voi il figlio di Lancillotto saprete bene se lui e la regina si dilettano o no nel piacere dell'adulterio."
Galahad arrossì, leggermente. Sapeva delle voci che correvano, da anni ormai, su suo padre e Ginevra ma preferiva ignorarle. Non sopportava l'idea del volto triste della madre ogni volta che la donna sentiva il nome della regina. Elaine aveva amato Lancillotto con tutta se stessa e lui l'aveva ricambiata con una fredda simpatia.
Galahad aveva imparato a perdonare il padre, dopotutto sua madre aveva sempre parlato bene di lui, ma l'argomento della regina ancora lo turbava.
"Cosa ci dite?" insistette Agravaine.
"Non penso. No, mio padre non è un adultero."
"Quindi l'amore è rimasto solo un'adorazione casta, dite? Sir, come siete ingenuo," rise Agravaine, " e sfortunato, oserei dire. Non sapete cosa vi perdete. Forse se lo chiedete, vostro padre sarà disposto a dividere la sua amante con voi."
I presente sobbalzarono violentemente quando il coltello di Mordred finì incastrato nel legno della tavola, proprio davanti ad Agravaine.
"E forse voi avreste dovuto chiedere a Lot di divide vostra madre con voi, vi sarebbe piaciuto, vero?" sibilò il bastardo del re. Agravaine impallidì e Gaheris sembrò smettere di respirare.
Mordred si passò una mano sul dorso della bocca, si alzò e facendo un cenno di saluto, si voltò per uscire.
Galahad lo seguì. Lo seguì perché si sentiva come se l'altro lo avesse protetto e perché non poteva sopportare di rimanere ancora con Agravaine.
"Perché mi seguite?"
"Perché volevo ringraziarvi."
"Tutto ciò che faccio lo faccio per me. Agravaine si meritava una strigliata."
"Certo, sir."

Dopo quell'episodio, Mordred tornò a trovarlo. Non fece alcun tentativo, come prima, di baciarlo o di distruggerlo nelle sue subdole maniere. Semplicemente lo punzecchiava, lo prendeva in giro con sottili ironie molto meno grossolane delle parole di Agravaine.
Mordred tentava di fargli perdere la pazienza di farlo peccare, da una parte o dall'altra. Irritandolo o avvicinandosi talmente a lui da sussurrargli le sue acide parole sul collo o in un orecchio.
E poi Artù decise che i suoi cavalieri erano stati troppo tempo con le mani in mano. Preti e sacerdoti, compresa la strega Nimue, gli avevano parlato di questo magico calice che si dicesse essere il sacro Graal dell'ultima cena di Gesù Cristo. Già alcuni cavalieri erano partiti alla sua ricerca ma nulla di ufficiale o comandato.
Artù decise di utilizzare le forza addormentate dei suoi uomini per la ricerca del Graal. Dette loro il tempo di un anno per trovare la sacra coppa.
Agravaine rise e mormorò che probabilmente Artù aveva paura di morire e voleva la coppa per poter usare i suoi poteri e rendersi eterno o più giovane. Ginevra osservava con astio i preparativi, stanca di essere esclusa da quel mondo di uomini e stanca di vederli partire ogni volta. Ed i cavalieri erano pronti a partire.
"Dark as beneath a winter sky the sea,
So to my heart crowd memories awaking,
So dark, O love, my spirit without thee," stava recitando Mordred, quando Galahad entrò nelle proprie stanze.
"Che cos'è?"
"Una vecchia filastrocca che ho imparato a Glastonbury."
"Siete stato a Glastonbury?"
"Molto tempo fa," ammise Mordred, ricordando di quando, ancora bambino, la madre Morgause si era rifugiata a Clastonbury per supplicare Artù di non portarle via i suoi figlioletti Gareth e Gaheris. Non che Mordred avesse provato pena. L'unica cosa che Morgause aveva voluto era tenere stretti a sé i suoi cuccioli in modo da poterli poi aizzare contro Camelot.
"Verrete con noi?"
"Dove?" domandò Mordred, divertito.
"Alla ricerca del Graal."
"Alla ricerca del Graal," ripeté Mordred, sorridendo, "non mi dite."
"Percival ed io partiremo in mattinata."
"Molto sensato. Non c'è nulla di più sensato che partire alla ricerca di una stoviglia."
Galahad arrossì per la blasfemia e si fece un veloce segno della croce. "Non dovreste parlare così."
"Forse non dovrei parlare affatto, allora," commentò Mordred, sporgendosi verso di lui e prendendogli il volto tra le mani guantate. Rimase qualche secondo a contemplare Galahad che, immobile, aspettava.
"Peccatum contra naturam," mormorò il figlio del re, "vi rovinerebbe decisamente la vostra sciocca e santa ricerca."
Galahad si chiese se la sua strana, ambigua forse, vicinanza con Mordred lo avessero reso meno puro. Forse anche quello era un peccato. Forse non era più degno di Kai o di Agravaine per tenere la sacra coppa.
Mordred non lo baciò come lui aveva temuto e creduto, rimase a fissarlo, negli occhi e Galahad non spostò né abbassò lo sguardo.
"Siete dei pazzi, tutti voi. Andrete a farvi uccidere."
"Sarei lieto di morire in una simile ricerca."
"Non andate."
Galahad si chiese se avesse sentito davvero ciò che aveva detto l'altro o se avesse solo interpretato il mormorio nel modo a lui più piacevole.
"Mia madre," continuò Mordred, "mi manda dei sogni. A volte, vedo delle cose-"
"Vostra madre è morta," lo interruppe Galahad.
"E' morta, sì. Morirete anche voi,lo so. O rimarrete lontano da Camelot."
"Tornerò con il Graal."
"Siete un bugiardo, un bastardo e un imbecille. Dio, quanto odio Camelot. Sono io ad essere pazzo o siete tutti voi ad essere impazziti? Non importa, vi odio lo stesso. Tutti. Odio il vostro Dio."
Non era giusto, pensava Galahad, mentre vedeva fiammelle di pazzia negli occhi dell'altro, non era giusto che Mordred si comportasse così, che parlasse in questo modo.
Quindi lo abbracciò. Lo strinse a sè, in modo che le sue parole e le sue ingiurie venissero soffocate nel proprio collo. Circondò le proprie braccia attorno a lui e lo strinse, sentendolo scosso da brividi.
Per non ascoltare le sue blasfemie, si disse Galahad, abbracciando Mordred e chiudendo gli occhi.

Quella fu l'ultima volta che Mordred vide Galahad a Camelot e che Galahad vide Mordred.
Il puro figlio di Lancillotto partì la mattina successiva e non tornò più.
Dopo un anno, cavalieri iniziarono a tornare a Camelot raccontando di eventi straordinari e follie. Dimagriti, ammalati, ubriachi, feriti, estatici.
Più della metà di loro non tornò e nessuno di loro tornò con il Graal.

Mordred Inlè
08-12-2009, 17.23.57
~~~~ Glastonbury, Inghilterra ~~~~

Le rovine dell'abbazia di Glastonbury mettevano soggezione. Erano imponenti e sembravano eterne, nonostante il loro stato dimostrasse chiaramente il contrario.
Antiche, enormi e familiari.
Il sole riusciva ad emanare una debole luce che dava al prato attorno all'abbazia un'atmosfera desolata e gelida.
Gale si fermò ad osservare un cartello per turisti con un'infinita spiegazione sul fondatore dell'abbazia.
Una donna straniera, forse francese, lo sorpassò lamentandosi rumorosamente di qualcosa, parlando al cellulare.
"Quel temps fait-il là-bas? Pleut-il ces jours-ci? Uh? Il fait très froid aujourd'hui."
La voce si perse nel gruppo. La cattedrale era abbastanza affollata quel giorno. Doveva essere per via delle vacanze natalizie.
Gale invece visitava Glastonbury tutti gli anni, nella stessa settimana. Era lì che era morto.
Era stata dura per lui accettare di non essere un pazzo (e aveva ancora qualche dubbio) ma ciò che ricordava era così vivido che non poteva essere altrimenti.
Ricordava di essere morto a Glastonbury. Era stato malato ma aveva trovato ciò che aveva cercato per molto tempo, così si era abbandonato alla debolezza e si era lasciato morire.
"Si dice che questa fosse la famosa Avalon," esclamò una signora dall'accento irlandese.
Glastonbury era stata, effettivamente, chiamata Avallon, l'isola delle mele, ma questo era un segreto che Gale avrebbe dovuto mantenere. Era un uomo sincero quando si trattava di parlare dei suoi ricordi era meglio tacere. Lo aveva imparato a proprie spese.
Continuò a camminare, seguendo il sentiero e sentendosi in pace e nostalgico. Erano passati così tanti anni.
Ancora una volta si chiese se essere rinato fosse la sua ricompensa per aver trovato il Graal. Era morto cercandolo e la sacra coppa gli aveva donato un'altra vita.
Il vento gelido iniziò a colpirgli il volto senza pietà. Gale si avvolse in una sciarpa fino al naso e continuò il suo tragitto, incurante degli occhiali che si appannavano quando respirava.
Passò la mattinata all'abbazia, ammirandola senza fretta.
All'uscita passò dal piccolo negozio di souvenir. Non era un amante dei souvenir ma il suo capo gli aveva chiesto un libro o una maglietta per la figlia e Gale non voleva deluderlo.
Vagò nel negozietto che visitava per la prima volta. Vi erano un'infinità di deliziose sciocchezze, tra cui un assurdo tagliacarte con la forma di Excalibur.
Gale si ritrovò a sorridere e passò al reparto dei libri.
Un uomo stava sfogliando una copia di Le Morte d'Arthur. E poi l'uomo alzò lo sguardo su di lui e Gale si sentì mancare il respiro.
Lo sconosciuto dovette provare la stessa cosa perché mise velocemente giù il libro e si affretto all'uscita. Ma per uscire avrebbe dovuto passare accanto a Gale che gli si parò di fronte bloccandolo.
Trovandosi intrappolato, più letteralmente ma con una buona dose di trappola metaforica, lo sconosciuto sorrise amaramente. "Sembra che quei libri finiscano tutti allo stesso modo."
"Lascia stare i libri," mormorò Gale, deglutendo rumorosamente. Lo sconosciuto, che non era affatto uno sconosciuto, era diverso da come era stato quasi millecinquecento anni prima ma era ancora poco più basso di lui, aveva gli stessi capelli castani e sorrideva.
"Devo proprio andare."
"Aspetta-" lo bloccò Gale, fermandolo per un braccio, "-non ora, aspetta un po'."
"Non ci conosciamo nemmeno," sorrise l'antico Mordred.
"Ci conosciamo invece. Possiamo conoscerci."
"Hai la possibilità di non conoscermi, ti consiglio di prenderla al volo."
"No, dimmi di te. Dimmi tutto."
"Mi chiamo Moray, ora," rispose Moray, a disagio.
"Moray, è un piacere trovarti qui," sorrise Gale, sentendosi sull'orlo di una risata liberatoria, "Sono Gale."
"Menti sempre nello stesso modo sfacciato."
"Andiamo a mangiare qualcosa?"
Moray sorrise, liberandosi dalla presa dell'altro. "Ho già mangiato."
"Allora- un caffè," propose Gale, velocemente, seguendolo fuori dal negozio.
"Non bevo caffè," rispose Moray, accendendosi una sigaretta ed accelerando il passo.
"Sai cosa intendo."
"D'accordo, allora ci troviamo qui oggi alle tre."
Gale fu quasi pronto ad accettare ma ci ripensò. "No, non verresti. Ora."
Moray si fermò e si voltò finalmente verso di lui. "Non siamo soli. Non ci siamo solo noi due, non ci sono solo io. Se vuoi ti do l'indirizzo di qualcun altro, c'è Bors, c'è lui se vuoi."
"Non voglio andare a prendere un caffè con Bors ma con te."
"Perché io?"
"Perché ci sono delle cose che avrei dovuto dirti."
Moray buttò la sigaretta a terra e sorrise. "Allora dovevi pensarci prima."
"Solo un caffè. Ci sediamo in un posto, al caldo, e parliamo. Ti prego. Mi devo inginocchiare?"
Il sorriso dell'altro si trasformò in una smorfia irritata. "Non è necessario," rispose infine.
"Bene, perfetto," esclamò Gale, "offro io."

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La poesia che ho citato è questa:

You at God's altar stand, His minister
And Paris lies about you and the Seine:
Around this Breton isle the Ocean swells,
Deep water and one love between us twain.

Wild is the wind, but still thy name is spoken;
Rough is the sea: it sweeps not o'er they face.
Still runs my lover for shelter to its dwelling,
Hither, O heart, to thine abiding place.

Swift as the waves beneath an east wind breaking
Dark as beneath a winter sky the sea,
So to my heart crowd memories awaking,
So dark, O love, my spirit without thee

E' di Venantius Fortunatus, nato nel 530 d.C. e morto nel 603 d.C.
Trovata su questo sito: http://www.fordham.edu/halsall/source/homo-med.html
Glastonbury Abbey è la cattedrale nella quale, turisticamente parlando, si dice sia sepolto il cortpo di Artù. ( http://it.wikipedia.org/wiki/Glastonburyy (http://it.wikipedia.org/wiki/Glastonbury) )