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Urian
24-01-2010, 18.23.33
Amici, tempo fa, iniziai a scrivere un racconto a puntate ancora in fase di conclusione. Un racconto WHFB, il mio primo umile tentativo di produrre qualcosa.

Prologo: L'Orda Oscura

Viclamin Pegason, Lord di Ghrend, radunato un oscuro esercito, dopo un lungo viaggio approdò nelle terre dell'Impero. Diede al primo ufficiale l'ordine di attaccare la prima città sul loro cammino, Hargendorf. Nella foresta di Laurelon intanto Viclamin si nascose assieme alle navi e a gran parte dell'esercito. Lo scontro violento portò inaspettatamente alla vittoria delle truppe Imperiali, che riuscirono a respingere i pochi superstiti nella boscaglia.




IL NAGGARONTE DECAPITATO



Capitolo 1: La tana dei Drow

I guerrieri non osarono addentrarsi nella foresta, stanchi e impauriti. I Drow avevano ormai infuso la loro funesta aurea lungo il perimetro. Il sole, non più fulgido e alto, stava scomparendo dinnanzi a loro, sopra la florida selva, e l'oscurità s'impadronì in buona parte del cielo.
I Druchii dovevan aver raggiunto il cuore della foresta, ma tra le fronde degli alberi inondati dal lieve bagliore lunare, emergevano ancora svariate coppie di minuscoli puntini rossi, che balzavano di qua e di la, da un ramo all'altro, rapidi e fuggevoli nei loro movimenti.
“Almeno adesso sappiamo dove sono.” Un pensiero che aveva qualcosa d'incoraggiante si formò nella mente di un picchiere dell'esercito imperiale.
Lord Chorster, un mago non più giovane, calvo, appoggiato a un bastone da una parte e con un'ampolla fumosa dall'altra, cercò di frenare l'infausta scia che proveniva dalla boscaglia, senza successo.
D'un tratto, un pistoliero fece notare a Lord Wolfswift, giovane ufficiale soprannominato Xavgretor, sommo prete devoto a Sigmar, l'esistenza di un fiume che s'intrometteva prepotentemente a nord del bosco per poi sgorgare a ovest tuffandosi nell'oceano poco distante dietro la foresta, appena visibile nell'oscurità della notte.
Lord Chorster s'era appollaiato lì vicino, le mani sulle ginocchia.
“Falco d'un pistoliero, hai un'ottima vista: Frugeon, il fiume nero, così lo chiamano.” disse alzandosi velocemente in piedi aguzzando la vista prima verso nord, poi, più goffamente, verso ovest, dando ogni tanto uno sfuggevole sguardo alla mappa, soddisfatto.
Lord Wolfswift gli si avvicinò, le braccia incrociate, la fronte aggrottata.
“I guadi saranno sicuramente sorvegliati, tanto vale lanciare un attacco frontale.” ribatté.
“Chiediamo rinforzi navali, in città c'è ancora il Generale con decine di Guardie di Palazzo.” continuò spavaldo il mago. Aspettò un cenno di consenso da parte del prete e, chiamato un messo, scribacchiò velocemente quattro righe su una pergamena consegnandola nelle mani di quest'ultimo.
“Corri sempre avanti, non voltare mai lo sguardo! Dobbiamo rispedire quelle orrende bestie da dove sono venute, e il più velocemente possibile, qualunque sia il prezzo da pagare. Ora pensiamo a noi, Xavgretor. A quant'è l'ammontare dell'esercito?”.
“Ci restano un reggimento di Picchieri, due compagnie di Alabardieri, un manipolo di Flagellanti, qualche decina di Arcieri, due battaglioni di Cavalleria e due unità di Artiglieria: i tre quarti dell'intero esercito.”
Gloriosamente il prete indicò l'intera armata.
“Bene!” disse Chorster soddisfatto della risposta.
Volle assumere il comando della legione.
“Lord Otidak non sarà al limitare dell'oceano prima di dopodomani, per adesso, riposiamo, la notte è ancora lunga. Preparate il campo!”.
Durante la notte furono lasciati alcuni picchieri di guardia ai lati dell'accampamento. Tutti se ne stavano seduti e silenziosi; uno, rimasto in piedi, ripeteva continuamente alcune strane parole in una lingua ignota, quasi un ritornello.
Non accadde nulla.
Solo un fresco venticello s'era timidamente alzato, per poi dileguarsi rapidamente.
Dei Druchii, nessuna traccia.
Il sole sorse timidamente a est, i raggi a fatica penetravano tra le nuvole, abbagliando lievemente il campo. I soldati, ormai freschi e riposati, stavano combattendo tra loro. Nel frattempo, Xavgretor e Chorster discutevano su come attaccare l'oscura foresta. Il prete insisteva per un attacco frontale, il mago voleva colpire dal fiume.
Decisero di affondare contemporaneamente dai due lati. L'esercito andava diviso.
Certo, i Drow non potevano esser sopravvissuti così in gran numero da supportare l'avanzata su due fronti assiduamente, anzi, su tre. Convennero nell'aspettare la sera, anche se sapevano bene che per Druchii non avrebbe fatto differenza, quei maledetti vedevano anche nell'oscurità totale.
Dopo aver comunicato la notizia ai soldati, cercarono un'equa spartizione.
“Guaderò il fiume con la cavalleria, gli arcieri e i flagellanti.”
Chorster si scelse l'esercito.
“E sia.”
Xavgretor sarebbe avanzato con i picchieri, gli alabardieri e l'artiglieria.
Il giorno passò rapidamente, i soldati sempre intenti ad allenarsi. Il sole si spense nuovamente dietro la foresta.
L'oscurità calò sul campo.
Gli eserciti erano pronti, i comandanti, al loro posto.
Dovevano raggiungere la foresta insieme, altrimenti il diversivo non sarebbe riuscito.
La sopravvivenza era attaccata a un colpo di cannone.
Il silenzio spadroneggiava ovunque senza trovare degni rivali.

[continua...]

Urian
24-01-2010, 18.31.23
Capitolo 2: Chorster

Chorster si diresse verso il Frugeon, seguito dai suoi soldati.
Attendevano il rombo di un cannone.
L'attesa era inquietante, quei minuti sembrarono interminabili. L'impazienza li pervase.
Poi, il botto.
Si scatenò l'inferno.
I cavalieri partirono furiosamente al galoppo, tra questi, anche il mago; i flagellanti li seguirono indemoniati; gli arcieri, l'arco già teso, mirarono accuratamente.
Il silenzio che finora aveva governato incontrastato venne sopraffatto, incapace di resistere.
L'onda d'urto svegliò bruscamente la foresta.
Dai rami degli alti alberi partirono frecce a ripetizione, scoccate a ritmo dai balestrieri, diventati ora visibili tra le fronde impervie.
Chorster se l'era aspettato.
Non ne fu sorpreso. Soltanto, infastidito.
L'udire il sibilo delle frecce gli provocava da sempre una sensazione spiacevole, specie se lui era il bersaglio.
Colpirono la cavalleria una, due volte per poi crollare a terra infilzati pateticamente dalle frecce degli arcieri.
Man mano che proseguivano, le frecce iniziarono a cadere con minore intensità, fino a scomparire.
“Ha ha!” L'urlo sprezzante del mago pervase la selva.
“Tutto qui? Speriamo che Xavgretor abbia l'occasione di divertirsi più di noi. Da qualche parte dovranno pur essere quei miseri ladruncoli.”
L'esercito avanzò imperiosamente.
Niente poteva arrestarli. Nessuno, per ora.
“Perché tutta questa tranquillità? Vorrei sapere cosa stanno tramando.” Chorster pareva ora intimorito.
Nella foresta l'aria che si respirava divenne simile a un fetore puzzolente.
“Dove diavolo si sono cacciati!?...Xavgretor dovrebbe essere qui vicino.” imprecò scrutando il fogliame.
“Tum-Tum...”
“Tum-Tum...”
Tamburi. Il suono, sempre più vicino.
“Merda!” Esclamò all'improvviso Chorster, l'animo irrequieto.
Si fermarono all'insegna di una piccola radura.
“E tutti questi fottuti Drow da dove sono usciti?”.
Davanti a loro l'esercito oscuro era imponente, li superava di numero.
La sua figura si pietrificò, il fiato gli si mozzò in gola.
Era partito all'inseguimento di quei piccoli manipoli due giorni addietro.
Ora, finalmente, se li trovava di fronte.
Moltiplicati.
Un muro di picchieri, balestrieri, cavalieri oscuri e Khainite ostruiva altezzosamente la visione dell'oceano.
Erano ansimanti, quasi appena radunati in fretta e furia. Era evidente, li avevano colti di sorpresa.
Ma ora, quegli esseri avevano saldato il debito. Dietro, ad alimentare quell'ostacolo indesiderato, era apparso un possente cavaliere su un Naggaronte.
Viclamin Pegason, il loro condottiero.
Il mago fu per lo più attratto dall'animale.
Era, quella, la prima bestia che vedeva. Finora ne aveva solo udito vaghe rappresentazioni.
Dal vivo, faceva impressione.
Il corpo completamente verde, il cranio protetto da un'esile elmo. La sella dorata era poggiata sulla schiena, al di sopra di un tetro manto viola. Con la coda, spinata per giunta, si narrava fosse solito divertirsi con la preda.
Gli ufficiali stavano frettolosamente serrando le fila.
Senza preavviso, venne lanciato un altisonante grido, i soldati ancora attoniti.

[continua...]

Urian
24-01-2010, 18.32.38
Capitolo 3: Xavgretor

Xavgretor era ormai vicino cento passi dal limitare della selva. Fece un gesto all'artigliere che accese la miccia e mirò la foresta.
Partì un colpo di cannone.
La palla, atterrando, fece volare via alcuni corvi e spezzò il tronco di un albero. Da qualche parte in alto spuntò un aquila: planava su grandi ali grigio blu. Ingurgitò due corvi e poi sparì nuovamente nell'oscurità del cielo, sazia.
Ora dovevano essere rapidi.
Avanzarono nel silenzio più assoluto ed entrarono nella foresta senza trovarsi di fronte avversari.
“Dove si sono cacciati quei maledetti esseri? Possibile che...” così ruppe il silenzio il prete.
Cercò di cancellare all'istante il pensiero che si era formato nella sua mente.
“Diamoci una mossa!” ordinò.
Procedettero velocemente tra gli alberi, senza vessilli né trombe, la quiete spezzata soltanto dal fruscio lontano del fiume e dal fragore delle armature.
Deviarono il loro cammino verso nord-est: era preoccupato per Chorster.
Rallentò il passo in prossimità di alcuni cespugli voluminosi, inquieto.
Così fecero anche i soldati dietro.
In lontananza aveva intravisto, imponente, lo stendardo imperiale: i fratelli erano vicini.
“Perché sono immobili? E i Druchii dove sono?” pensò.
Alzò una fronda e trovò la risposta.
“Eccoli!” bisbigliò fremente di rabbia.
Con un lieve gesto indico ai soldati la posizione del nemico.
Erano in una piccola radura.
“Questi devono essere arrivati dopo. Oppure l'esercito che ci ha attaccati poco tempo fa non era che una parte dell'orda...di chi? chi era l'artefice di tutto questo?" si inclinò leggermente.
"Lord Viclamin!" sputò.
Cercò di captare i pensieri di Chorster.
Lo sguardo pareva atterrito.
Non c'era da meravigliarsi.
Per il mago il numero faceva la differenza. Su questo spesso si erano scontrati.
Sorrise.
Ma il ricordo durò poco.
Xavgretor fu riportato alla realtà dallo starnuto di un alabardiere.
“Fate silenzio, diamine!” disse in un tono che non ammetteva repliche.
L'immensa orda oscura si trovava perpendicolarmente rispetto all'armata del prete. Le colonne ordinate si protraevano per un centinaio di metri.
Lo stesso silenzio di prima prese nuovamente il comando. Nessuno osava contrastarlo.
Il prete, lo sguardo severo, si rivolse con voce bassa agli artiglieri.
“Pronti a far fuoco.”
“Al vostro segnale, Lord.”
Il rituale era pronto. Doveva solo celebrarlo.
“Non temete l'oscurità! Abbiate fede in Sigmar!” si rivolse alle truppe.
“Per l'Imperatore!” gridò.
L'urlo rimbombò nella foresta.

[continua...]

Urian
24-01-2010, 18.34.16
Capitolo 4: Viclamin

La giornata era grigia, gelida.
Il generale aveva fatto montare da alcuni dei suoi uomini una moltitudine di tende lungo la costa. Altri trovarono riparo dietro le rocce, proteggendosi sotto rozzi ripari improvvisati.
Lungo l'area c'erano molti falò, alcuni soldati intenti ad indurire le punte delle lance. Da un'altra parte, un paio di minuti picchieri si affrontavano, saltando di qua e di la, lanciando grugniti ogni volta che incassavano un colpo.
L'accampamento pareva senza fine.
Più che uno solo, parevano molti, tutti sparpagliati per la costa. Solo piccoli gruppi di esploratori di pattuglia passeggiavano par il campo.
La tenda di Viclamin era il triplo delle altre tende ed era fatta di pelli d'orso bianco cucite assieme con il tetto a cuspide, ornato da un paio di corna ramificate.
Lord Urthadar Walfalcon, l'ufficiale dell'esercito, stava camminando con passo deciso.
Entrò nella tenda del suo comandante.
Faceva caldo, là dentro, e l'aria, satura di fumo, lo infastidiva. Dai bracieri pieni di carboni ardenti collocati ai quattro angoli veniva emanato un debole chiarore rossastro, l'unica fonte di luce.
Chinò il capo innanzi al generale.
“Mio signore. Avete domandato di me?”
“Si, Urthadar.” la voce dell'elfo pareva un leggero sussurro.
Alto e snello, Viclamin sarebbe potuto essere perfino attraente se solo avesse avuto le orecchie.
“Ho chiesto di te.” proseguì.
Lo sguardo dell''ufficiale pareva stanco, il lungo viaggio lo aveva stremato.
“Voglio che conquistiate Hargendorf. Prendete le macchine d'assedio, i quattro reggimenti di cavalleria oscura e un manipolo di balestrieri. Dovrebbe essere sufficiente.”
“Senza dubbio, mio Signore. A quanto detto dai primi esploratori, la città non sembra molto protetta.”
“Ottimo. Radete al suolo ogni bettola che trovate.” l'ordine non poteva essere più chiaro.
“Come volete, mio Lord.” si congedò.
Radunato l'esercito, partirono, seppur fiacchi.
Faceva troppo freddo, eppure loro erano là fuori. Il vento li colpiva con aghi di gelo.
[...]
Galopparono veloci sparpagliandosi nella foresta: ora erano al sicuro. Solamente alcuni balestrieri si stanziarono sugli alberi vicino al guado del fiume.
Attraversarono una piccola radura, poco dopo, avvistarono l'accampamento. I fuochi erano spenti.
Lord Urthadar scese da cavallo e, carico di rabbia, gettò violentemente l'elmo in mare.
“In culo gli imperiali!”
Raggiunse la buia tenda di Viclamin e vi entrò. Il generale stava dormendo, i bracieri erano spenti.
“Perdonatemi, mio Signore.” sussurrò.
Viclamin sussultò ed impugnò il pugnale. Grondava di sudore.
“Che c'è?! Siete già di ritorno?” la voce era tremolante.
“Chiedo venia, mio Lord.” cercò di mantenere il controllo.
“Parla! Cos'è successo?”
“Ci hanno respinti quei fottuti imperiali.” fece una pausa.
“Siamo giunti alla città nel bel mezzo di una celebrazione. La guardia era stata duplicata e c'erano alcuni ufficiali di Altdorf. Hanno incenerito le balestre e falciato metà della cavalleria. Siamo stati costretti a fuggire.” il suo tono era amaro.
“Dannati esseri!” imprecò da coricato, la voce gli era tornata rigida.
“Vi hanno seguiti?”
La sconfitta passò in secondo piano.
Non voleva essere scoperto.
Non voleva attirare lì l'esercito imperiale.
“Si, Lord. Li abbiamo visti fermarsi al limitare della foresta.”
“Maledizione! Con te farò i conti più tardi.” e s'avviò furiosamente al di fuori dalla tenda.
La pioggia cadeva lenta, solo la luna abbagliava timidamente il campo dietro nubi grigie e nere.
Il Lord svegliò le due guardie tranquillamente appollaiate lì davanti.
“Sveglia, sveglia! Voglio tutti gli ufficiali nella mia tenda. Subito!”
“Come desiderate, Signore.” risposero i due in coro, sbadigliando e mettendosi in cammino.
I bracieri vennero riaccesi, la stanza tornò a riscaldarsi e ad impregnarsi di fumo.
Uno a uno gli ufficiali entrarono, ancora mezzi addormentati.
“A cosa dobbiamo questo concilio notturno?” intervenne uno.
“Signori miei, è molto probabile che un esercito imperiale ci aspetti al di fuori della foresta, e che potrebbe farci visita da un momento all'altro.” disse calmo Viclamin.
“Per ora” proseguì “si sono accampati, ma potrebbero attaccare da un momento all'altro. Cosa proponete?”
“Non possiamo aspettarli qui. Avanzare ora che riposano è l'unica soluzione!” disse un'ufficiale.
“I cavalieri sono appena tornati, devono anch'essi riposare.” ribatté Urthadar.
“Potremmo aspettare Brelove. Dovrebbe raggiungerci con i suoi corsari per dopodomani, e poi attaccare al primo crepuscolo.”
Ci furono dei cenni di consenso.
“Così sia. Ora possiamo tornare a riposare. Raddoppiate la guardia! Anzi, triplicatela!” concluse il generale.
[...]
Il balestriere inciampò in una radice.
Subito si rimise in piedi e riprese freneticamente la corsa, la faccia impregnata di fango.
Incontrò due gruppetti di esploratori che allegramente stavano chiacchierando.
“Che fai?”
“Arrivano!”
“Chi?”
“Gli imperiali! Hanno guadato il fiume, stanno avanzando!”
Volarono al campo, e lo riferirono al generale.
La piccola città si svegliò bruscamente. Viclamin montò solennemente sul suo spaventoso destriero e si mise al comando di quella massa informe di guerrieri.
Avanzarono fino a una piccola radura. Tra gli alberi scorsero delle figure a cavallo, immobili.
“E questo sarebbe il grande esercito?” Viclamin si rivolse al suo primo ufficiale, ancora boccheggiante.
“Serrate le fila, vermi. Serrate le fila.” dispose le truppe ordinatamente.
Un improvviso grido venne lanciato dalla boscaglia alla loro sinistra, i soldati stravolti.

[continua...]

Urian
24-01-2010, 18.36.46
Capitolo 5: La battaglia

“Per l'imperatore!”
All'udire tale grido, Chorster e Viclamin sobbalzarono, smorzando la tensione.
Un uomo sbucò violentemente dalla folta vegetazione, a destra dell'esercito oscuro, il calvo cranio illuminato dal bagliore lunare; a seguirlo, migliaia di purpurei picchieri e alabardieri, urlanti, simili ad ombre fiammeggianti nella notte.
“Xavgretor.”
Lo riconobbero.
Uno, felicemente, l'altro, seccato.
Quello era il segnale che i due artiglieri aspettavano gelosamente.
“Fuoco alla miccia! Fuoco!”
Non accadde nulla.
“Dannati cannoni!” imprecò l'artigliere risistemando la bombarda.
“Fuoco!” ruggì ancora.
In leggero ritardo, due colpi di cannone colpirono la cavalleria schierata dei Drow, creando due enormi buchi, gli imperiali pronti ad approfittarne, insinuandosi avidamente tra le impervie file nemiche.
Preso alla sprovvista, Chorster alzò la fulgida spada indicando l'orda che si trovava di fronte.
“Templari a me, carica!”
Si lanciarono verso le guerriere, avanzate per fronteggiare la fanteria imperiale; stavano dando fin troppi problemi a Xavgretor e, come saette velenose e scalmanate, s'esibivano in orrende decapitazioni. Dietro Chorster, lenti, i flagellanti correvano pazzamente lanciando ogni tanto qualche grugnito.
“Arcieri pronti, puntare, lanciare!” il tenente diede più volte l'ordine.
Una moltitudine di frecce sorpassò i templari al galoppo, ma il primo tiro s'abbatté fiaccamente contro le spesse armature nemiche.
“Mirate al collo e sotto le spalle! Maledizione!” smoccolò il mago mentre avanzava freneticamente.
La piccola radura semivuota si riempì improvvisamente e centinaia di splendenti armature scintillarono nel buio notturno. Non tirava alcun vento, i cavalieri soffocavano sotto gli elmi. Alcuni lo scaraventarono a terra, impregnati di sudore, lasciando soltanto un'attillata maglia di ferro a proteggere il capo.
Lord Viclamin, la voce rigida e ferma, comandò il suo esercito.
“Tirate! Tirate a volontà!” ordinò a balestrieri, che, incoccate le frecce avvelenate, le scoccarono a raffica.
“Avanzate fecce, abbassate le picche!”
Al comando, centinaia di picchieri avanzarono compatti e calarono imperiosamente le picche, aspettando fremebondi i templari.
Per ora, il possente cavaliere voleva restare in disparte.
La seconda ondata di frecce ebbe più successo, da ambedue le parti.
Decine di templari caddero prima ancora di arrivare allo scontro, il corpo perforato dai dardi, mentre la cavalleria oscura stava gradualmente calando di numero, un po' infilzata da frecce, un po' da lance e alabarde; l'artiglieria faceva il resto, scompigliando brutalmente l'esercito.
L'impatto dei templari fu violento, travolsero i picchieri, le lance in avanti, senza pietà, saltandoli addosso.
Finalmente, Chorster, spazientito, potè iniziare a combattere.
Xavgretor si trovò casualmente di fronte a Lord Urthadar. Tutto quello che accadeva attorno passò in quei momenti in secondo piano. C'erano solo loro due.
L'ufficiale oscuro scese elegantemente di sella, rimanendo in piedi sull'erba. A ogni suo movimento, l'armatura pareva incresparsi. La sua spada emetteva un debole chiarore bluastro. Sputò per terra.
Il prete impugnò solennemente il suo martello benedetto, i suoi movimenti erano però lenti e goffi.
Urthadar invece, era leggero come neve nel vento.
Dopo un paio di colpi a vuoto, la lama azzurra della sua spada volteggiò, scivolò, danzò e si aprì la strada tra gli anelli della maglia di ferro di Xavgretor, attraversando cuoio, pelle, carne e ossa. Emerse insanguinata dalla schiena del prete con un sibilo simile a quello di un rettile.
Il martello cadde violentemente a terra, lasciato andare. Poco dopo, anche il prete crollò al suolo, inerte, in una pozza di sangue.
Chorster vide l'amico esanime; l'odio arse dentro di lui.
Si diresse al galoppo verso l'oscuro ufficiale e gli saltò affannosamente addosso prendendolo di sorpresa mentre puliva la spada nel terreno, conficcandogli la daga più volte nel torace, il sangue che fumava attorno alla sua lama. Urthadar si accasciò dolcemente, privo di vita, sull'elsa della sua lama.
Sconfortati dall'atroce morte del loro ufficiale, gli imperiali cedettero terreno.
Accecato dal rancore, Chorster cercò d'incoraggiare gli uomini.
“Combattete, combattete! Fino all'ultimo uomo! Per Xavgretor!”
Gli artiglieri, sempre nascosti nella foresta, cambiarono bersaglio.
“Fuoco sui balestrieri! Non lasciamoli mirare!”
Le frecce infatti, non accennavano a diminuire, come del resto, anche gli oscuri cavalieri.
Gli arcieri furono costretti ad avanzare per poter prendere meglio la mira.
“Pronti, puntare, lanciare!” ripeté per l'ennesima volta il tenente.
I flagellanti, giunti stravolti, non furono di molto aiuto. Ogni colpo corrispondeva a una pausa di una decina di affannosi respiri.
Erano vulnerabili, stanchi, afflitti.
L'armata dei Drow aveva la meglio. Viclamin sprizzava di gioia, sembrava inoltre attendere qualcosa, o qualcuno.
Nell'aria, trombe squillarono soavemente.
“Eccoli, i miei corsari!” pensò.
Si girò entusiasta in cerca di Brelove, ma l'espressione sul suo volto si raggelò.
Chorster, immobile, lo sguardo rivolto alle spalle del naggaronte, osservò incredulo. Alti e numerosi, i vessilli imperiali ondeggiavano tranquillamente, aizzati da un leggero venticello.
All'istante ricordò.
“Horneiros*! Il mio Lord è qui.”
“Otidak! Otidak!” unanime il grido si levò assordante dal campo.
Pacatamente, una lieve luce rossastra invase la piccola radura.

[continua...]

*: Horneiros è il messo del capitolo 1.

Urian
24-01-2010, 18.39.28
Capitolo 6: La via di Horneiros

Lentamente, alle sue spalle, un rosso sole si stava svegliando, riflettendosi nel fiume.
Horneiros aveva galoppato furiosamente per tutta la gelida notte lungo il Frugeon e il cavallo iniziava a sentire i primi sprazzi di fatica.
Rallentò l'andatura; i lunghi capelli, che spuntavano da sotto un enorme cappello piumato, smisero d'ondeggiare e fastidiosamente si posarono davanti agli occhi, ostruendogli la visuale.
Con un brusco movimento della mano li spostò indietro.
Il messo era abituato ai lunghi viaggi senza riposo, ma il suo nuovo cavallo ancora stentava.
Mangiò un pezzo di pane raffermo e bevve un sorso d'acqua, presi dalla sua minuta bisaccia; la sua scorta si stava assottigliando.
Approfittando dell'andatura lenta, iniziò a canticchiare alcune antiche strofe, la voce talmente leggera pareva un sussurro.


“Messaggi io meno da una terra ad un'altra,
dallo scontro fuggo,
e sperdute vie casualmente percorrendo,
porgo d'aiuto richieste.
Un messaggero son, un messaggero son!”


D'un tratto, interruppe il canto e aguzzò la vista. In lontananza scorse, nascosto tra impervie fronde di abeti, il tetto d'una bettola.
“Finalmente t'ho raggiunto!” esclamò pieno d'entusiasmo e, aumentando leggermente l'andatura, riprese a cantare, stavolta più forte.


“Messaggi io meno da una terra ad un'altra,
al tramonto di una battaglia ritorno,
e della guerra le sorti cambio.
Un messaggero son, un messaggero son!”


Concluso il canto, arrivò innanzi alla locanda. L'insegna penzolante riportava l'emblema d'un cinghiale e una scritta sbiadita: “Ragù di Cinghiale”. Il piccolo edificio isolato era stato costruito al posto di un'antica torre di vedetta, vicino al fiume nero. I muri erano formati da blocchi di pietra calcarea accuratamente rifiniti mentre la porta era in legno d'abete, così come il tetto. A lato, tre cavalli erano legati al riparo in una piccola struttura completamente in legno d'abete. Vi legò malamente anche il suo, poi, s'affrettò a recarsi nella locanda.
Poche persone erano sedute ai piccoli tavoli e il messo riconobbe subito la locandiera, storpia, dai ricci capelli biondi. S'avvicinò deciso al bancone.
“Salve Loratranna! Vado di fretta, una coppa di vino, grazie. E che sia secco!” comandò alla donna, posando sul tavolo il cappello.
“Dammi un motivo Horneiros, e ti servirò all'istante il tuo vino!” ribatté seccata.
“Ordini, fottuti ordini di Chorster!” sussurrò “E ora donna, il mio vino, grazie.” disse malizioso.
Al nome del mago, l'espressione della donna s'indurì. Quel nome lo disprezzava, quell'uomo l'aveva umiliata anni or sono nella sua locanda, e Lora non l'aveva dimenticato.
“Ordini, dici...e sia, eccoti il tuo dannato vino!” borbottò infastidita versando il vino da un otre nel boccale e dandoglielo.
Il messo bevve avidamente e posò sul tavolo il bicchiere vuoto con un tonfo.
“Arrivederci Lora. E grazie.” disse prendendo il cappello e uscendo.
“Prima o poi pagherai il conto, e con tutti gli arretrati! Lora non dimentica!” gli urlò dietro la donna arrabbiata.
Tutte le volte che Horneiros passava di lì, era sempre maledettamente di fretta, e lei non aveva mai visto un soldo. “Ordini” diceva, e poi filava via col suo cavallo.
Il messo ripartì al galoppo, più fresco e riposato. Lasciò il fiume e tagliò in mezzo ai campi, sfrecciando velocemente tra le spighe. Cavalcò per ore, senza incontrare nessuno, infine, le avvistò.
“Le torri di Hargendorf! Sono arrivato infine.”
Seppur diroccate, bianche e alte, quattro torri comparvero all'orizzonte, e man mano che il messo s'avvicinava, diventavano più imponenti. A collegarle, un fatiscente muro bianco alto tre metri, che circondava la città. A sud, maestoso e splendente sul limitare dell'oceano, si ergeva intatto il porto, con quattro piccole navi, vele blu, attraccate.
A Hargendorf il vessillo con l'emblema del Cinghiale di Lord Otidak sventolava ancora sul castello in cima alla collina, dentro la città, ma le mura erano deserte e le porte sfondate.
Un lieve brusio giunse alle orecchie del messo.
Giunse al portone abbattuto e lo superò, ma una guardia s'intromise nel suo cammino.
“Alt! Identificatevi!” disse.
“Sono Horneiros, porto messaggi per Lord Otidak. Dove lo posso trovare?”
“Bentornato, messo. Troverai il Lord Cinghiale nel castello. Vai pure.” rispose lasciandolo proseguire.
La città ancora non si era ripresa dalla battaglia di due giorni addietro, e metà delle case e dei negozi era bruciata e saccheggiata. Per le stradine pochi ragazzi stavano gioiosamente correndo e qualche donna era intenta a rimproverarli.
Proseguì fino al maestoso castello, e s'arrestò innanzi all'imponente portone, osservando volteggiare nell'aria il vessillo.

[continua...]

Urian
24-01-2010, 18.45.00
Capitolo 7: Otidak, il Lord Cinghiale

Il sole stava tramontando mentre il Lord Cinghiale, così chiamato per la sua immensa passione gastronomica per i cinghiali, era appollaiato tranquillamente su una monumentale poltrona. Pochi irsuti capelli gli avvolgevano il cranio, una maestosa veste rosso fuoco e un sontuoso copri petto viola, sul quale era rappresentato dormiente il suo emblema, i suoi abiti.
Accanto, seduti allo stesso rigido tavolo, c'erano tre giovani ufficiali: Yennan Loyalar, basso e tarchiato, folta barba lunga e Petril Falconsflight, alto e snello, calvo, entrambi da Altdorf e Wallamin Serpenthelm, lunghi capelli castani, l'armatura completamente d'oro, da Middenheim.
Solo poche candele illuminavano la stanza, emanando flebili bagliori rossastri. Stavano studiando vecchie mappe quando il messo entrò affannosamente nella stanza semi buia irrompendo violentemente in quell'assordante silenzio.
I Lord alzarono lo sguardo, seccati per l'interruzione.
Un gracile uomo si fece avanti, ricurvo, le mani sulle ginocchia, la lingua fuori.
“Miei Lord, porto notizie di Chorster!” parlò il messo, il fiato lungo.
“Horneiros, bentrovato! Dimmi, che notizie?” gli chiese Lord Otidak, riconoscendolo gioiosamente all'istante.
“Ecco, ho un messaggio per voi, mio Sire, tenete.” disse prostrandosi innanzi al Lord Cinghiale e consegnandogli la pergamena, riprendendo vigore.
“Chiede aiuto, eh? Quel mago incompetente!” intervenne superbamente Lord Yennan.
“Beh, una bella sgranchita è proprio quello che ci vorrebbe!” s'intromise Lord Petril, annoiato.
Il Lord Cinghiale finì di leggere la pergamena e s'alzò solennemente, la sua tunica purpurea s'increspò.
“Ebbene, non sia mai che rifiutiamo una richiesta di soccorso di un nostro ufficiale. Se saremo inutili, Chorster se la vedrà con me. Ora, radunate le Guardie!” ordinò.
“Sire, ci vorranno due giorni prima d'arrivare alla foresta, siete proprio sicuro di voler partire? Anche se riuscissimo a giungere con mezza giornata d'anticipo, non credo che saremo molto utili al mago e a quell'altro...prete.” L'uomo che finora se n'era stato zitto, prese la parola: Lord Wallamin, prete devoto ad Ulric.
“Non intendo ripetermi. E, abbiate un po' più di cortesia con i miei due umili ufficiali, o sarò io a non averne per voi, Lord.” disse maliziosamente “Arriveremo via mare, proprio come suggerisce il mago” e gettò un occhiata a Lord Wallamin “così da impiegarci un giorno soltanto. Preparate le navi!” e si ritirò nella sua camera per indossare l'uniforme da battaglia.
“Via...mare?!” balbettò Wallamin, diventando pallido.
[...]
Salito a bordo per ultimo, Lord Otidak era restato sopra coperta con gli altri ufficiali e avevano iniziato a canticchiare, prima lievemente, poi, sempre più rumorosamente, la ballata: “Il destino di un cavaliere”*.


“Iniziò come un semplice scudiero,
presto, l'avrebbero invocato.
Giorno dopo giorno, nemico dopo nemico,
conquistò il potere.
Un glorioso condottiero,
per una splendente compagnia.
Spinto lontano dalla sete di gloria ed onori,
il suo giardino era una selva di lance.
Un altisonante trionfo,
per un vecchio guerriero.
Grandi gesta si raccontano innanzi al suo tumulo
e la fine divenne leggenda.
Una lacrima cade, un sorriso svanisce:
le tenebre incalzavano, la fine era vicina.
Un bagliore sorse furtivamente ad est:
un nuovo scudiero, stesso destino.”


Finito il canto, sull'acqua immobile e blu risuonavano solamente più il ritmo lento dei tamburi e il lieve fruscio dei remi delle galee. Le vele delle tre navi, gremite di Guardie di Palazzo, pendevano inerti, tristi teli inutili impiccati all'alberatura. In quell'infida bonaccia, Lord Wallamin protestava.
“Un giorno, eh? Si! Ma le Guardie saranno talmente stremate che faranno ben poco senza un po' di riposo!” imprecò contro il Lord Cinghiale.
Wallamin aveva continuato ad osservare la costa che svaniva con occhi enormi, dilatati, deciso a non mostrarsi pauroso, standosene attaccato all'albero maestro.
“Quanto vorrei che la “Swiftsoar” potesse volare come suggerisce il suo nome. In quel caso, non avremmo bisogno di remare, né di pregare perché s'alzi il vento.” Lord Petril apparve al fianco di Lord Otidak.
“Concordo, Petril.” gli rispose lui, compiaciuto di essersi conquistato la fiducia di quel Lord.
Per qualche ora le Guardie a bordo delle tre navi continuarono inesorabilmente a remare, ma alla fine iniziarono a mostrare i primi segni di stanchezza e si concessero una breve sosta. Lord Wallamin invece, non accennava a diminuir le sue continue imprecazioni, gagliardo e irato.
In quel momento, il Lord Cinghiale, intento a discutere con Wallamin, percepì un alito freddo sul collo. Sopra di lui, le vele scricchiolarono, si mossero.
“Vento!” Un unico, grande grido scosse la Swiftsoar da prua a poppa. “Il vento si sta alzando! Il vento!”
Otidak guardò l'albero. Le grandi vele della nave sbatterono e si gonfiarono, il sartiame si tendeva e schioccava riproponendo quel rincuorante coro di suoni e rumori che per le ultime quattro ore li aveva abbandonati. Lord Petril, abile marinaio, corse sul ponte, sbraitando ordini, ma le Guardie si abbandonarono al giubilo e si cimentarono in una sorta di balletto, lasciando le postazioni.
“Vedi? Basta avere pazienza. Ora taci, maledizione e fa' riposare le mie orecchie, o ti farò accorciare la lingua!” Otidak intimò a Wallamin, ottenendo il suo silenzio.
Il vento soffiò prima costante da est, poi a raffiche violente, spingendo velocemente la nave verso la Foresta di Laurelon. Risalirono per tutta la costa fino ad arrivare a sud della foresta, come Chorster aveva loro indicato, dove un breve tratto di costa s'intrometteva tra la boscaglia e l'acqua.
“Ehi, guardate là!” una Guardia attirò l'attenzione sulla riva.
Un lieve bagliore sanguigno proveniva dalla spiaggia e spezzava l'oscurità notturna. Appena sfiorato da quella fonte di luce, un elfo oscuro era comodamente seduto sul suolo ad affilare la sua lancia, gli occhi concentrati sull'oggetto, i lunghi capelli liberi di ondeggiare al vento.
“Guardia, il mio arco.” sussurrò Otidak.
La guardia glielo tese prontamente.
L'arco lungo, intagliato nel legno di tasso, decorato con schizzi primordiali di cinghialetti sul fodero, era stupendo, degno d'un Generale.
Irrequieto, incoccò la freccia, mirò alla testa, la parte su cui risplendeva più luce, e vibrò il colpo.
“Shhhhh!”.
Il fruscio diede il tempo all'elfo d'alzar la testa, ma non di schivare il colpo. S'accasciò a terra, immobile, le pupille dilatate, la bocca aperta quasi a voler cacciare un urlo che non sarebbe mai uscito.
“Avanziamo!” ordinò sottovoce il Lord Cinghiale, sentendo alcuni echi di complimento.
Abbandonarono le navi sulla riva e le resero semi visibili nell'oscurità. Compatti, Lord Otidak, i tre ufficiali e i tre plotoni, procedettero silenziosi lungo la costa, attirati da quell'insolito focolare.
“Per Ulric, un accampamento oscuro!? Qui?” esclamò Wallamin.
Innanzi a loro, man mano che avanzavano, una moltitudine di tende si protendeva per tutta la riva e attirò il loro sguardo fino a raggiungere degli enormi vascelli, solo sagome incerte nella notte.
“Signore, navi in avvicinamento!” Petril si rivolse a Lord Otidak, sentendo le imbarcazioni irrompere con violenza tra le onde.
“Nascondiamoci dietro le tende, fate silenzio!” mormorò lui.
Alte e veloci, cinque navi s'erano ormeggiate accanto a quegli enormi vascelli e da esse erano sbarcati rapidamente cinque manipoli di corsari. Il loro capo, benda di drago marino sull'occhio, parlò per primo con voce roca.
“Credevo che Viclamin avesse lasciato qualcuno ad accoglierci.” disse scrutando la riva. “Ah, ecco un focolare, ma...”. Il corpo dell'elfo inerte con una freccia conficcata nel cranio si presentò innanzi ai suoi occhi.
“Lord Viclamin? Ma allora, Chorster e Xavgretor sono in enorme pericolo!” pensò Otidak. “E infatti ci siamo noi!” rispose al corsaro, uscendo allo scoperto.
Con lui, spuntarono fuori centocinquanta Guardie di Palazzo.
“Che piacere rivederti, Otidak.” Un ghigno solcò le labbra del capitano.
“Peccato non possa dire lo stesso di te, Brelove.” rispose il Lord Cinghiale.
In mezzo a quella tensione, qualcuno si divertiva.
“Ehilà Brelove, ti ricordi di me?” s'intromise Wallamin, sorridente.
Brelove portò la mano tremante sull'occhio fasciato. Come poteva dimenticarlo? Quell'essere gli aveva portato via un occhio nella battaglie dei Sette Oceani.
Sputò.
“Ma guarda, che allegra compagnia! Vi farò passare la voglia di ridere.” Si voltò verso i suoi manipoli. “Corsari, alla guerra!”.
Pistole da una parte e lunghe spade dall'altra, i corsari si lanciarono disordinatamente contro gli Imperiali.
“Guardie, non cedete terreno! Resistete!” Il Lord Cinghiale caricò la Compagnia.
Le Guardie di Palazzo, grigie armature a placche, enormi spade in mano, formarono una linea compatta, resistendo al primo scontro.
Un colpo di pistola.
Sangue, sangue. Tanto sangue. Schizzi purpurei macchiarono la corazza dorata di Wallamin e la sopra veste, priva d'insegna.
“Har Har! Va all'inferno, lurido bastardo!” tuonò Brelove, esultante.
“Guardie! Trucidiamoli!” urlò Petril, il lacrime per l'amico.
Lord Otidak si fermò. Lì, accanto a lui, Wallamin giaceva immobile, con un buco nel collo.
Calmo, prese dalla schiena l'arco lungo, lo ammirò. Lo tese, incoccò la freccia e andò in cerca di Brelove.
Non aveva fretta.
Voleva essere sicuro di centrare il bersaglio.
Scoccò il dardo.
“Shhhhh”.
“Fottuto corsaro”.
La freccia l'aveva centrato in mezzo agli occhi, appena sotto la fine dell'elmo. Senza vita, sulla faccia dei Brelove restò quel suo ghigno arrogante.
Le guardie intanto, guidate da Petril e Yennan, falcidiarono uno a uno i corsari, subendo una decina di perdite.
“E questi sono andati, ma il peggio deve ancora venire.” Otidak si rivolse ai suoi uomini “Presto! Sento che Chorster e Xavgretor sono in pericolo, Seguitemi!” e si diresse verso la foresta.

[continua...]

*: si, è il testo del video in italiano.

Per ora son arrivato qui, l'ottavo e ultimo (forse) capitolo è già in produzione.

llamrei
24-01-2010, 22.51.27
Complimenti!!! Scritto di tuo pugno? Sei molto competente per gli anni che hai detto di avere! Bravo!
(mi raccomando: occhio a come aggettivi il corsaro ;))

Urian
24-01-2010, 23.44.05
Complimenti!!! Scritto di tuo pugno? Sei molto competente per gli anni che hai detto di avere! Bravo!
(mi raccomando: occhio a come aggettivi il corsaro ;))

Troppo buona :sad_cry_me: :smile:.

Urian
26-01-2010, 17.07.28
Capitolo 8: Scontro all'ultimo sangue

Sul terreno si ammonticchiavano i morti fatti a pezzi, i feriti che si dibattevano, i cavalli uccisi o morenti, e il sangue rendeva il suolo scivoloso. Le grida della battaglia venivano riecheggiate nella foresta: il cozzare delle spade sugli scudi, gli schianti e i grugniti degli uomini armati di lancia che si scontravano con uguale impeto, le grida di guerra e gli urli di trionfo, le imprecazioni, i nitriti dei cavalli morenti, i tristi gemiti degli uomini feriti a morte.
Le Guardie si fecero largo tra gli arbusti a suon di spade, fin quando non videro innanzi a loro una piccola radura, imperiali e elfi intenti a contendersela.
Si fermarono all'udire quel frastuono.
“Chi..?!” chiese Petril.
“Lord Viclamin, e la sua armata.” sussurrò amaramente in risposta il Lord Cinghiale.
Dalla loro nascosta posizione nella boscaglia, Otidak, Petril e Yennan seguivano la battaglia e trattenevano gli uomini schierati in silenzio, sebbene molte Guardie fremessero e tremassero per l'impazienza di gettarsi nella lotta.
Nel frattempo, la mortale battaglia continuava.
Chorster si rese conto che non avrebbe potuto sconfiggere i suoi nemici. Infuriò pazzamente come un leone ferito, correndo avanti e indietro contro chiunque gli si opponesse, cercando d'infondere coraggio nei suoi cavalieri.
“Guardie, andiamo ad aiutare i nostri fratelli! Suonate il corno di Hargendorf! Che riecheggi nella foresta!” sentenziò finalmente Otidak.
Il suono, forte e assordante, attirò l'attenzione dei due schieramenti che, per un attimo, smisero di combattere, per poi riprendere ancora più vigorosamente.
Un pallido sole stava sorgendo, inondando la sanguinosa radura.
Lord Viclamin, in preda allo sgomento, decise di prender parte alla battaglia. Lento e imponente, a cavallo sul suo smeraldino destriero, avanzò creando scompiglio tra le fila imperiali. Al seguito, alcune decine di carnefici, sbavanti, l'ascia già tremante salda in mano.
“Laggiù!” indicò il tenente, vedendo avanzare la bestia.
“Lo vediamo, lo vediamo!”
“Come mai allora non gli vedo già un palo in fronte?”
Alcuni arcieri scoccarono frettolosamente in direzione del naggaronte. Le frecce si conficcarono assordantemente nella corazza, rendendola spinosa.
“Dannazione, siamo troppo distanti, e l'armatura ricopre quasi tutto il corpo!”
“Avanziamo! Muoversi, muoversi!” gridò il tenente infuriato.
Ma ormai Lord Viclamin, stava già massacrando decine di picchieri con le lance attaccate alla corazza dell'animale, mentre quello ne faceva fuggire altrettanti, creando scompiglio tra le ordinate fila imperiali.
Lord Otidak, armato di una lunga spada argentata a due mani e uno scodo dorato, la sopravveste ornata da un cinghiale impennato, s'intromise altezzosamente fra le sue truppe e Lord Viclamin.
In sella al naggaronte, il Lord Oscuro parlò, la voce roca e carica di odio: “Sei il benvenuto.” e spronò il destriero lanciandosi all'attacco. Non esisteva alcuna possibilità di riposo per entrambi, perché l'animale, esortato e guidato dal padrone, era votato alla morte del suo avversario e non cessava di attaccare, di colpire e di farsi sotto, cercando un varco.
Il Lord Cinghiale, dal canto suo, si rendeva conto della pericolosità di un odio così feroce, della sua forza sovrumana, della sua resistenza alle ferite, ma conosceva altresì i punti deboli di una tattica temeraria. Si scoprì per attrarre la testa dell'animale che, caduto nel tranello, venne decapitato da Otidak; il sangue vermiglio che zampillava dal suo collo, ancora incandescente, disegnò un arco nell'aria.
Inerte, la carcassa del naggaronte s'accasciò a terra con un tonfo e Lord Viclamin fu costretto a smontare da quel corpo esanime.
Subito, impugnata l'enorme mazza di ferro, irruppe contro il Lord Cinghiale che, tuttavia, si limitava a parare all'ultimo i colpi di Viclamin, combattendo in difesa, con un minimo di movimenti, cercando di fiaccare con la spossatezza il suo ansimante avversario spronato dall'odio; a poco a poco, lo vide trascinare i piedi, ne udì il respiro sibilante e, in un attimo di sosta, notò che Viclamin vacillava stordito.
Abbassò lo scudo e simulò un attacco, poi si spostò di lato e gettò lo scudo tra i piedi che si trascinavano. Il Lord Oscuro stramazzò per terra e Lord Otidak gli immobilizzò il polso con un piede, sollevò la protezione posteriore dell'elmo e conficcò la punta della spada nella spina dorsale. Lord Viclamin fremette una sola volta e morì all'istante, ucciso dal colpo di grazia.
Sprezzante, il Lord Cinghiale squadrò il corpo inoperoso che giaceva a terra.
“Se non mi avesse odiato tanto, forse avrebbe avuto maggiori possibilità di battermi.” sputò.
Le Guardie, guidate dai due Ufficiali, erano giunte sul campo di battaglia, alcune di loro intente a combattere contro le truppe più forti dell'esercito oscuro, i carnefici.
Uno di questi ferì con la sua enorme scure Lord Yennan, troncandogli di netto un braccio.
“Che tu sia dannato, lurido essere! Va all'inferno!” e gli conficcò la lunga picca nel costato, perforandogli un polmone.
Due Guardie trascinarono a forza il Lord per qualche metro lontano dai nemici e si fermarono per curargli il perfetto taglio che aveva vicino alla spalla destra dal quale fuoriusciva continuamente sangue.
“Petril, seguimi con il tuo manipolo! Choster è da solo!” ordinò Otidak.
Lasciarono alle Guardie di Yennan l'incombenza dei balestrieri che, nel frattempo, avevan riposto le balestre ed avevan impugnato le esili spade.
Le Khainite s'arresero precocemente alle possenti guardie, che le sterminarono senza pietà.
“Si! Si! Trucidiamoli!” Chorster esultò incredulo.
Era finita.
"Vittoria. Abbiamo vinto!".
Solamente gli arcieri ancora incoccavano e lanciavano in cerca degli ultimi superstiti fuggitivi, mentre tutte le altre truppe riposavano in silenzio, lunghi affannosi respiri. Alcuni s'inginocchiarono accanto ai compagni morti in battaglia, e balbettarono tristi alcune preghiere, per poi rialzarsi ed attendere gli ordini del comandante.
“Soldati! Miei compari, quest'immensa battaglia resterà negli annali di Hargendorf, ergeremo qui un immenso tempio, per tutti i caduti. Ma ora, torniamo alle nostre case, ci aspetta una città da ricostruire.” sentenziò amaramente il Generale osservando l'immensa radura cosparsa di copri morti e sangue.
“Cinghiale per tutti!” concluse com'era solito, allegramente.
“Cinghiale per tutti!” ripeterono in coro tutte le truppe, facendo tremare la foresta, mettendosi in cammino per Hargendorf cantando e suonando tamburi.

[Fine]