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Nello stesso momento, nel covo degli Atari, Guisgard ed il nano Gila si aggiravano attenti a non farsi scoprire.
"Dove stiamo andando?" Chiese Guisgard. "Verso un'uscita che dovrebbe essere poco sorvegliata." Rispose il nano. "Seguimi." "Va bene." "Non vedo l'ora di uscire da questo mattatoio." Mormorò Gila. "I lamenti di quelle disperate mi lacerano l'anima..." "Un momento..." si fermò Guisgard "... vuoi dire che ci sono delle ragazze qui? Ancora vive?" "Ci sono, ma non so se sono ancora vive..." rispose il nano "... se i supplizi per loro sono già cominciati, allora noi possiamo fare ben poco..." "Dobbiamo comunque tentare di liberare quelle che sono ancora in vita!" "Ma sei pazzo? Sarebbe un suicidio! Loro custodiscono con attenzione le loro martiri!" Esclamò il nano. "Sei rimasto in silenzio per anni" replicò Guisgard "ed ora che hai la possibilità di riscattarti fai il vigliacco? Se vuoi scappare allora fallo da solo! Io cercherò quelle ragazze e tenterò di liberarle!" "E va bene..." disse il nano "... ma ora calmati, Gwinashamil..." "Come mi hai chiamato?" Domandò incuriosito Guisgard. "Gwinashamil." Rispose il nano. "E' un eroe eponimo della mitologia di noi nani. Un guerriero testa calda e rissoso, ma con un gran cuore. Insomma, ti somiglia in tutto e per tutto." "Bah, preferisco gli eroi dei poemi cavallereschi, io." Replicò Guisgard. "Tipo, non so, Erec, Tristano, Lancillotto..." "Sono dei cavalieri?" Chiese Gila. "Si. Il fiore della cavalleria!" "Ed io chi potrei essere?" Domandò il nano. "Se tu sei un cavaliere, io voglio essere il tuo fedele aiutante e scudiero! Conosci qualcuno adatto a me?" "Vediamo... beh, mi viene in mente Morgante, lo scudiero di Orlando." E poi scoppiò a ridere. "Perchè ridi ora?" Chiese il nano. "Perchè Morgante era un gigante, mentre tu sei un nano!" "Ah, si, divertente... ma dimmi di questo Morgante..." "Era un gigante infedele, che Orlando convertì e ne fece il suo scudiero." Rispose Guisgard. "E sia. Mi piace. Io sarò Morgante e tu Orlando." Sentenziò il nano. "Va bene, ma ora diamoci una mossa." Disse Guisgard tornando serio. "Io vado a liberare le ragazze prigioniere. Tu sei con me?" "Certo, altrimenti finiresti col perderti qui dentro." Rispose il nano. "Forse abbiamo tempo... loro hanno una nuova preda e probabilmente cominceranno a torturare lei... così forse ci saranno meno uomini a sorvegliare le altre." "Una nuova preda?" Chiese Guisgard. "Chi è? L'hai vista?" "Si, l'ho veduta mentre la rinchiudevano." Rispose il nano. "Credo si tratti di qualche nobile dama. L'ho compreso dalla loro soddisfazione per averla catturata." "Una nobile dama?" Ripeté Guisgard. "E sai dove l'hanno rinchiusa?" "Dimenticala... sarà sorvegliata a vista... purtroppo possiamo far ben poco per lei... concentriamoci dunque sulle altre, cercando di liberarne il più possibile." Disse Gila. |
Morven guardò Gonzaga con evidente sollievo, quindi il suo sguardo tornò a fissarsi, pungente, su Bumin.
"Preferisco condurla con me in luoghi perigliosi, piuttosto che saperla sola lontana dalla mia spada!", rispose di rimando, quasi senza ragionare. L'istintiva diffidenza che gli aveva provocato quell'uomo cresceva ad ogni istante. Non gli piaceva il suo sguardo, non gli piaceva il suo tono e soprattutto non gli piaceva il suo modo di fare, tra l'arrogante e il paternale, che mescolava finta cortesia a manifesto disprezzo. L'unica cosa cui Morven riusciva a pensare in quel momento era come liberarsi di quella fastidiosa presenza al più presto. "Tenete," disse infine, porgendo a quell'uomo una delle sue spade corte "prendete questa. Fuori da qui c'è il mio cavallo. Usatelo per andare in salvo fino a Cartignone. E credetemi, signore, questa è l'ultima delle cortesie che posso concedere ad un uomo che mi ha paragonato al suo stalliere! E adesso prendete la via del ritorno. Non ho interesse a discorrere oltre con voi! Andate, e che Dio vi assista!" Con quelle parole si scostò ancor più da Bumin, e si fece da presso a Gonzaga, quasi facendole scudo con il suo corpo, e in quella posizione guardinga attese di vedere quale sarebbe stata la prossima mossa di quell'uomo bizzarro. |
Bumin fissò con attenzione Morven.
Cercò di scrutarne i pensieri ed i sentimenti. "E sia..." disse "... non mi lasciate molta scelta... del resto sono ferito e non posso indugiare oltre in questo luogo... inoltre una nobile dama di Cartignone è nelle mani di quegli uomini... tornerò perciò in città per avere dei soldati... anche se temo sia ormai troppo tardi per quella ragazza... accetto quindi l'offerta che mi fate... indicatemi dove si trova il vostro cavallo... ma badate che ci ritroveremo molto presto..." Osservò poi Gonzaga ed un ghigno sorse sul suo volto. |
Intanto, nei meandri sconosciuti del bosco, gli Atari si apprestavano al prossimo sacrificio di purificazione.
"Il maestro è dovuto andar via, ma quando tornerà avrà luogo il rituale in cui comincerà il supplizio della dama di Cartignone." Disse uno degli uomini tatuati ai suoi confratelli. "Nel frattempo ha dato ordine di preparare la ragazza." "Cosa dobbiamo fare?" Chiese un altro di loro. "Il maestro vuole che le vengano tagliati i capelli, per poi inviarli alla corte di Cartignone, come monito per ogni altra resistenza verso di noi." A quelle parole, soddisfazione ed esaltazione si diffusero fra quei fanatici. "Presto, due fra voi si rechino nella cella della ragazza per attuare il volere del nostro maestro." "Tagliare i capelli di quella ragazza" cominciò a dire un altro fra loro "sarà un piacere senza pari... vedere il suoi occhi in preda alla paura, mentre la mia lama affonda nei suoi bellissimi capelli chiari, mi manderà in estasi..." "Ben detto, fratello!" Esclamò uno che gli stava accanto. "Adoro quando torturo queste disgraziate... sentire la loro paura e poi il loro dolore... ah, amo questo genere di cose!" "Basta con le chiacchiere, il maestro presto sarà di ritorno e vorrà che tutto sia pronto! Due di voi dunque si rechino dalla ragazza." E scelti, due fra quegli uomini si avviarono nella cella di Talia, per cominciare i loro malvagi rituali. |
mi misi dietro al cespuglio e guardai oltre quello e vidi dei nani poi girandomi verso belven dissi amico mio ma sono dei nani che stanno andando a lavorare che facciamo? usciamo fuori e cerchiamo aiuto da loro ho aspettiamo che vadino via ? aspettai una sua risposta mentre guardavo quegli strani individui
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Non mi piaceva per nulla quello sguardo, non prometteva nulla di buono. " A volte penso ..ma chi me lo ha fatto fare , stavo cosi bene nella mia piccola casetta"" pensai tra me e me cercando una qualsiasi immagine innanzi a me, pur di evitare quel gelido sguardo di questo perfetto sconosciuto. http://digilander.libero.it/TerraVentoFire/sguardi.jpg |
Belven osservò quei nani che allegri attraversavano quelle terre.
"Beh, non mi sembra abbiano un'aria bellicosa..." mormorò il cavliere, guardando Arowhena e Cavaliere25. Si fece allora avanti, abbandonando il cespuglio dietro il quale si era noscosto con i suoi compagni. "Ehi..." attirando l'attenizone di quei nani "... salute a voi, miei piccoli amici..." E i nani, arrestandosi, lo fissarono incuriositi. "Chi siete voi?" Chiese quello che sembrava essere il capogruppo. "Sono un cavaliere ed il mio nome è Belven" si presentò il cavaliere "e questi sono i miei compagni di ventura..." indicando Arowhena e Cavaliere25. "E' raro trovare qualcuno in questo bosco..." disse il capogruppo dei nani "...soprattutto dopo quegli strani..." e si zittì all'improvviso. Belven notò quel tentennamento, ma fece nulla di niente. "Eravamo sulle tracce di alcuni nostri compagni dispersi in questi selvaggi luoghi..." spiegò "... ma i nostri cavalli sono fuggiti ed ora non sappiamo come uscire da questo bosco... si approssima la notte e ci chiedevamo se potevate offrirci ospitalità fino a domattina..." I nani si scambiarono strane occhiate, sorpresi da quella richiesta e comiciarono a discutere tra loro. "Non so se sia il caso di portarli con noi al villaggio..." mormorò il capogruppo. "Del resto non possiamo lasciarli qui, la notte è vicina..." disse un altro nano. E ragionarono fra loro di questa cosa. "E sia..." rispose alla fine il capogruppo ai tre eroi "... verrete con noi al nostro villaggio... lì potrete trascorrervi la notte. Ed i nani condussero Belven, Arowhena e Cavaliere25 al loro villaggio. |
Il buio nella chiesa prendeva sempre più piede, a causa del giorno che andava a spegnersi.
Bumin fissò ciò che restava delle antiche vetrate di quell'edificio e mormorò: "Il giorno sta ormai morendo e non è saggio intraprendere la via per Cartignone da solo... e visto che disponiamo di un riparo e di reciproca compagnia, sarebbe sciocco rifiutare quest'asilo..." e di nuovo quel ghigno sorse sul suo glaciale volto. Poi, fissando Goldblum, aggiunse: "Nano, procurati della legna e accendi un fuocon per la notte!" "Non prendo ordini da voi, cavaliere!" Replicò Goldblum. "Insolente e deforme!" Esclamò con velata insofferenza Bumin. "Sono ferito, ma mi basta un solo braccio per farti comprendere ciò che differenzia un cavaliere da uno scherzo di natura come te!" Goldblum lo guardò con rabbia, portando quasi la mano sulla sua spada. Bumin lo fissò, quasi attendendo una sua mossa falsa. Ma alla fine, osservando Gonzaga impaurita e turbata da quella situazione, decise, suo malgrado, di obbedire. Raccolse così della legna ed accese un fuoco per tutti loro. |
In quello stesso momento, nella cella in cui era tenuta prigioniera Talia, cominciò ad avvertirsi un rumore di passi.
Pochi istanti dopo, due di quegli uomini tatuati entrarono in quell'umida prigione. "Avanti, donna, ora comicia il bello..." disse uno di loro a Talia, mentre l'altro cominciò a ridere in maniera irritante. Uno allora raccolse i lunghi capelli della ragazza in una treccia, sfoderando dalla sua cintura un lungo ed affilato coltello, mentre l'altro teneva ferma la testa di Talia. "Si, è un peccato per la tua bellezza, ma qui nessuno verrà più ad ammirare le tue grazie!" Esclamò divertito l'uomo col coltello, mentre si apprestava a tagliare i lunghi capelli della ragazza. "Ehi, vedo che è già iniziato il divertimento!" Disse all'improvviso Gila entrando nella cella. "Sei giunto appena in tempo, nano!" Escamò l'uomo col coltello. "Ora potrai goderti lo spettacolo insieme a noi!" "Eh, sei stato sfortunato..." intervenne l'altro "... ti hanno affidato l'altro prigioniero, quel bastardo di cavaliere! Tu invece, immagino, avresti voluto accudire a questo bel bocconcino, vero?" E rise forte. "Avete proprio ragione, amici miei!" Rispose il nano. "Ma vi confesso che anche lo spettacolo di quel cavaliere torturato nel Pozzo del Supplizio non era affatto male!" "Diavolo di un nano!" Esclamò l'uomo col coltello. "Sarai pure un mezzo uomo nel fisico, ma in fatto di malvagità non sei secondo a nessuno!" "Beh, detto da voi" rispose il nano "è un gran bel complimento, amici miei!" E i due uomini risero forte. "Ora guarda qua, nano..." indicò l'uomo col coltello "... guarda come taglio i bei capelli di questa nostra ospite!" "Un momento... guardate qui!" Indicò improvvisamente il nano ai due uomini. "Cosa c'è?" "Qui, in basso..." fece segno il nano "... c'è una specie di foro nella pietra... forse qualche prigioniera per la disperazione avrà raschiato la parete..." "Dove? Indicaci il punto che non si vede nulla con questo buio pesto..." E quando i due furono chini verso la parete, qualcuno entrò rapido nella cella e li colpì alle spalle, mentre il nano fece il resto colpendoli nelle parti basse. "Ecco..." disse Guisgard osservando i due eretici a terra senza conoscenza "... non sopportavo più le loro sgradevoli risate..." "Ottimo lavoro, Guis!" Esultò il nano. |
Successe tutto rapidamente... l'arrivo di quegli uomini, le loro intenzioni... tentai di divincolarmi ma tutto era inutile, incatenata com'ero alla parete.
Poi l'ingresso del nano e, infine del cavaliere... riconobbi la voce prima ancora di vederlo in faccia, buio com'era. Sorpresa, mi misi in ginocchio e mi protesi per riuscire a riconoscerlo alla poca luce che entrava dalla porta... "Voi?" mormorai, osservandolo "Buon Dio! Buon Dio, siete vivo! Sia ringraziato il Cielo!" |
"Certo che sono vivo!" Disse Guisgard a Talia accennando il suo solito sorriso scanzonato e irriverente. "Avevate perso forse la speranza di rivedermi? Ah, ragazza di poca fede! Come state?" Chiese poi facendosi serio. "Vi hanno fatto qualcosa?"
"Ah, ma la conosci?" Chiese il nano. "Certo!" Rispose Guisgard. "Anzi, è grazie a lei che ho potuto conoscere questo luogo caldo ed accogliente!" E sorrise sarcastico. Poi, scuotendo le catene, disse al nano: "Credo che abbiamo un altro problema... queste catene... come possiamo forzarle?" "In realtà" rispose il nano estraendo una pesante scure dalla sua borsa "qui di problemi ne avremo sempre in abbondanza. Ma fortunatamente queste catene non saranno uno di quelli irrisolvibili. L'umidità le ha già indebolite abbastanza..." E con un paio di colpi netti e decisi, Gila spezzò le catene. "Ecco, siete libera..." disse Guisgard aiutando Talia ad alzarsi "... ma il vostro viso... chi vi ha fatto questo livido?" Guardando il segno dello schiaffo datole da uno di quegli uomini tatuati. "Sono stati loro! Vi hanno fatto altro? Ditemelo?" Chiese con rabbia il cavaliere. |
Scossi la testa...
"Lasciate perdere quel livido, sto bene!" dissi, appoggiandomi pesanemente al suo braccio per alzarmi "In realtà, le ferite peggiori me le hanno fatte nell'orgoglio, temo! Sapete chi mi ha fatta catturare?" soggiunsi, con la voce tremante di rabbia "Bumin! Bumin di Cartignone! Sta con loro, quel dannato, maledetto, schifoso, sporco doppiogiochista!" Mi chinai e raccolsi il coltello con cui poco prima quell'uomo aveva voluto tagliarmi i capelli... "E comunque..." soggiunsi in fretta, rialzandomi "Grazie! A tutti e due!" |
"Bumin..." ripeté Guisgard respirando forte e masticando amaro "... è dunque una serpe in seno alla corte di Cartignone... Bumin..." ripetè di nuovo "... avrei dovuto ucciderlo quella sera, quando lo incontrai per la prima volta..."
"Ora cosa facciamo?" Chiese Gila. "Dobbiamo cercare se qualche altra ragazza è ancora viva." Rispose Guisgard. "Guis, è quasi un suicidio, lo sai, vero?" "Portaci nelle prigioni, forza..." disse Guisgard. Controllarono allora che non ci fosse nussuno nel corridoio e si diressero verso le prigioni. "Come ha fatto quel cane di Bumin a farvi catturare?" Chiese poi a Talia. "Ricordo che vi avevo vista andar via da quest'Inferno, insieme alla ragazza che trovammo qui dentro. Poi, cosa è accaduto?" |
Camminavo in fretta, vicino al muro, con quel grosso coltello in mano... ero tanto tesa che avrei potuto infilzare chiunque mi si fosse parato di fronte in un istante...
Le parole del cavaliere mi raggiunsero... mi morsi il labbro, a disagio... "Beh... siamo riuscite ad uscire e fuori abbiamo incontrato i cavalieri di Cartignone. Io ero... insomma, ero in pena per voi, così ho mandato la ragazza e Llamrei in città con Ducky e mi sono offerta di accompagnare Bumin quaggiù! Che stupida!" soggiunsi "Non mi è mai piaciuto Bumin... come ho potuto fidarmi? Come?" Per il nervosismo, stinsi l'elsa del coltello tanto forte che il bordo mi entrò nella mano e mi tagliò... "Al diavolo!" sbottai, mentre una goccia di sangue mi scivolava sul polso. |
"Ora calmatevi!" Disse Guisgard a Talia. "E smettete di maneggiare armi come se fossero giocattoli! Ma cosa volete dimostrare ancora?"
Prese poi il suo polso, fece uscire qualche goccia di sangue e lo fasciò con un lembo strappato dalla sua camicia. "Si, siete stata sciocca" continuò mentre stringeva quella fasciatura "a rischiare la vita per me... c'è gente che per essa non pagherebbe nemmeno una moneta falsa..." aggiunse sorridendo "... grazie, comunque..." "Ecco..." intervenne Gila, indicando un bivio davanti a loro "... laggiù tengono rinchiuse quelle sfortunate ragazze..." |
Sorrisi a quelle parole di quel nano che sembrò il capogruppo e dissi grazie mille ve ne siamo molto grati per il vostro aiuto e la vostra ospitalità dissi poi guardando Belven dissi siamo salvi amico mio hai visto ora non dovremo piu cercare aiuto e mentre parlavo guardavo quel gruppo di nani lavoratori sembravano tranquilli e simpatici ma ancora non potevo dirlo con tutta chiarezza dopo quella brutta esperienza che ho avuto pensai dentro di me meglio stare molto attento
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E attraversato quel tratto di bosco in compagnia dei nani, che scandivano il cammino con il loro allegro canto, Belven, Arowhena e Cavaliere25 giunsero al villaggio di quei piccoli abitanti.
Qui furono subito condotti dal capo villaggio, il vecchio e saggio Sausar. "Ultimamente vedo che molti viaggiatori passano per il nostro piccolo villaggio..." esordì il capo dei nani "... quando per anni abbiamo vissuto quasi come se il mondo ci avesse dimenticato... comunque, siate i benvenuti." "Grazie, a nome mio e dei miei compagni." Ringraziò Belven. "Cosa vi spinge fin nel cuore del bosco senza cavalli?" "Siamo stati vittima di una strana e brutta storia..." rispose Belven, che poi raccontò tutte le loro vicissitudini, dalla sparizione dei propri amici, fino all'arrivo nel palazzo della malvagia strega del bosco. "Beh, per ritrovare i vostri amici, temo, noi possiamo fare ben poco..." disse Sausar "... ma vi ospiteremo con gioia, amici miei." "Grazie." Ringraziò Belven con un leggero inchino. |
Nello stesso momento, al palazzo di Cartignone, il Cappellano aveva da poco riportato quanto da lui scoperto sui misteriosi e sanguinari Atari a lord Frigoros ed al suo consigliere Guxio.
Il signore di Cartignone apparve turbato dopo le parole del domenicano. "Quest'incubo mi sembra senza fine..." mormorò avvilito "... più passa il tempo e più sento che siamo impotenti..." "Non avvilitevi, milord..." intervenne Guxio "... i nostri cavalieri riusciranno a trovare quegli uomini e metteranno fine al loro potere." In quel momento fu annunciato sir Dukey. "Milord..." disse entrando nella sala "... sono qui per una grazia..." "Di cosa si tratta?" Chiese il signore di Cartignone. "Chiedo degli uomini per tornare nel bosco e cercare sir Bumin e gli altri dispersi. Prima fra tutti lady Talia." A quel nome, Frigoros chinò il capo. "Prima mia figlia..." mormorò "... poi Talia..." "Credo che sir Dukey abbia ragione, milord." Intervenne Guxio. "Bisogna subito mandare rinforzi nel bosco, sir Bumin e gli altri potrebbero essere nei guai." "Quel bosco sembra maledetto..." disse Frigoros "... ognuno che vi entra non ne fa più ritorno... ma non posso abbandonare chi è rimasto in quel luogo... e poi c'è Talia..." "Allora concedete a sir Dukey quanto chiede!" Lo esortò Guxio. "Si, sono daccordo!" Intervenne il Cappellano. "E chiedo di poter andare con sir Dukey ed i suoi!" "Cosa?" Chiese turbato Dukey. "Voi?" Chiese stupito Guxio. "Perchè?" "Sono stato chiuso qui dentro con le mani in mano per troppo tempo." Rispose il Cappellano. "Correreste solo inutili rischi." Replicò Guxio. "Credete?" Domandò il Cappellano. "Sono abituato a vivere in situazioni drmmatiche, in luoghi in cui dominano carestie, malattie, saccheggi. Conosco purtroppo la morte e non la temo." "E sia, ma fate attenzione." Disse Frigoros. "Sir Dukey..." guardando poi il suo cavaliere "... avrete gli uomini che vi occorrono, ma porterete con voi il nostro Cappellano." E tutti accettarono con un inchino il volere di Frigoros. |
Guardai il capo villaggio dei nani erano molto affettuosi e ospitali si stava bene in loro compagnia poi presi la parola e dissi rivolgendomi al vecchio saggio voi sapreste dirci come ritrovare i nostri amici? noi vorremmo ritrovarli e ritornare da dove siamo arrivati vi ringrazio per la vostra ospitalità poi attesi una sua risposta mentre mi guardavo intorno e scrutavo il villaggio
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Osservai per un istante il cavaliere, sorpresa...
“Davvero?” chiesi “Stento a crederlo! Soprattutto se considerate che, invece, quaggiù c’è gente che pare dare un gran valore alla mia... chissà perché, poi! E comunque non c’è proprio bisogno che mi ringraziate... poiché fu davvero un tentativo inutile il mio. Avventato e infruttuoso.” Lo dissi senza riuscire, probabilmente, del tutto a nascondere quella nota di rammarico e di nostalgia che mi era nata nel cuore al ricordo degli ammonimenti di mio padre circa quella mia presunta avventatezza, che da sempre cercava di combattere. Mi mancava mio padre... mi mancava quella sicurezza che avevo sempre avuto, quella certezza che -qualsiasi cosa fosse successa- lui sarebbe sempre stato lì. Ed ero preoccupata, molto preoccupata... Le parole del nano Gila mi destarono da quei pensieri. “Affrettiamoci allora!” dissi “Quando verranno a prendermi e si accorgeranno che non ci sono più, la situazione qui dentro potrebbe farsi spiacevole!” |
Il muro sul quale scrissero i profeti
Sta crollando alle giunture. Sopra gli strumenti di morte Il sole brilla vivacemente. Quando ogni uomo sarà strappato via dagli incubi e dai sogni, Ci sarà qualcuno che poserà la corona d'alloro mentre il silenzio affogherà le urla? Tra i cancelli di ferro del destino furono piantate le radici del tempo ed annaffiate dalle azioni di coloro che sanno e sono conosciuti La conoscenza è un'amica mortale quando nessuno pone le regole. Io vedo che il destino di tutto il genere umano è nelle mani di pazzi. Confusione sarà il mio epitaffio. Mentre striscerò su di un sentiero infranto.. Da sotto il cappuccio Arowhena sembrava avere lo sguardo sempre fisso in avanti, come se ciò che la circondava le fosse totalmente indifferente... In realtà si trovava in uno stato di trance dal quale non riusciva più ad uscire... una dormiente... Si sentiva in una dimensione parallela in cui tutto ciò in cui credeva si sgretolava... era un inferno, un incubo complesso dal quale non riusciva ad uscir fuori... aveva bisogno di aiuto... l'altra dimensione era parallela... vedeva le strade, gli alberi, il bosco ma non riusciva a vedere nessun altro... solo immagini simboliche, oniriche di distruzione e smarrimento tutte avvolte da una nebbia che rendeva tutto monocromatico, grigio... senza vita alcuna... e non aveva speranza... L'ultima cosa che ricordava era quella donna nel castello, quello sguardo di comprensione, quelle parole bisbigliate subitamente quando Arowhena riuscì a vedere il vero volto della strega, il suo vero sembiante... Non ebbe il tempo di avvertire gli altri, le strega era potente e fu più veloce di lei... E adesso lei vagava in un inferno di immagini strazianti... Confusione sarà il mio epitaffio, continuava a ripetere la sua mente... Aveva bisogno di essere scossa, lo sapeva, ma chi mai avrebbe potuto comprendere il suo stato? Chi mai avrebbe potuto mettere fine a quell'incantesimo, ed essere finalmente liberata per tornare alla sua dimensione... Pensava agli occhi di Belven... così stranamente profondi... e poi di nuovo follia, tortura, violenza... un tavolo di legno con un secchio sopra pieno di fogli che bruciano... La sofferenza della conoscenza che va in frantusmi... "oh! Belven, aiutami!" |
Nel villaggio dei nani, Belven, Arowhena e cavaliere25 erano stati accolti dal capo vilaggio Sausar.
"Si, posso comprendere quanto dite..." disse Belven "... i nostri compagni probabilmente sono molto lontani da qui... e Dio voglia che siano vivi... sappiamo dunque che poco potete fare voi, ma..." Sausar fissò perplesso il cavaliere. "Cosa intendete dire?" Chiese. "Voi vivete da sempre in questo luogo..." rispose Belven "... questo villaggio ha un'architettura molto antica e sconosciuta nell'Occidente Latino... voi nani conoscete questo bosco meglio di qualsiasi altro..." "Dove volete arrivare, cavaliere?" Domandò Sausar. "In questo bosco vi ha messo radici il male assoluto!" Rispose Belven. "Il male nella sua forma più terribile... quello che rinnega l'essenza di ogni cosa... e voi nani non potevate non sapere tutto ciò!" Sausar cominciò a fumare la sua pipa con quelle tipiche e caratteristiche erbe adoperate dai nani. "Non erano affari nostri." Sentenziò il capo dei nani. "Combattere il male è dovere di ogni essere giusto che abiti questo mondo!" "Ho dato ordine" disse Sausar alzandosi dalla sua piccola sedia "che vi venissero preparate due stanze per la notte... una per voi ed il vostro giovane arciere e l'altra per la dama che vi accompagna. Ora scusatemi, ma è tardi e sono stanco." E si ritirò. Belven allora uscì dalla casa e restò a fissare la notte densa di foschia e mistero. E qui incontrò lo sguardo inquieto di Arowhena. La donna era visibilmente turbata. "Cosa avete, milady?" Chiese Belven. |
Morven lanciò uno sguardo intenso e diretto a quell'ombroso cavaliere.
Se non avesse pensato di essere stato già sufficientemente provocatorio, e se non si fosse preoccupato della presenza di Gonzaga in quel luogo, di certo lo avrebbe attaccato. Si limitò invece a lanciargli uno sguardo severo e accigliato, quindi guardò l'amico Goldblum con occhi che imploravano di portare pazienza, quasi volesse scusarsi lui stesso per le aspre parole che Bumin gli aveva rivolto. E fu grato al nano per essere stato in grado di trattenere un pur leggittimo gesto d'ira di fronte alla villania di quell'uomo. Ma l'unica cosa che fu in grado di fare fu quella di aiutare Goldblum ad accendere il fuoco, sperando in cuor suo con quel gesto di alleviare un po' l'offesa subita dall'amico. Non disse nulla, ma cercò di fare del suo meglio per dividere qualla fatica col nano. Quando il fuoco cominciò a crescere e le fiamme si levarono scoppiettanti ad illuminare le pareti oscure e corrose di quel luogo, Morven pensò che fosse giunto finalmente il momento del meritato riposo. Diede a Gonzaga il suo mantello perchè potesse stenderlo sul terreno umido e irregolare della chiesa, poi andò a sedersi vicino alla fiamma, perchè, a dispetto di quel gesto, che la galanteria e la cavalleria gli imponevano, c'era davvero un gran freddo in quella notte, e Morven cominciava a sentirne i morsi, attraverso le giunture della sua armatura. Rimasero in silenzio, per un po'. Erano tutti molto stanchi, e il pungente scambio di battute avvenuto con quello sconosciuto non facilitava di certo la comunicazione. Il suo sguaro era fisso su Bumin. Così fisso che sembrava volerlo attraversare con gli occhi della mente. Ma il volto di quell'uomo sembrava impenetrabile, sembrava volergli rimandare indietro il suo stesso sguardo, come una biglia di vetro lanciata a colpire un'ostacolo inamovibile. Pian piano Morven sembrò stancarsi di quell'esercizio, e, forse complici le traversie del viaggio, socchiuse gli occhi e scivolò accanto al fuoco, alla ricerca di una posizione più comoda che gli consentisse di riposare. "Che silenzio..." mormorò d'un tratto, quando si rese conto che persino la foresta era stranamente, innaturalmente silenziosa in quella notte. Aprì gli occhi un istante, cercò Goldblum che stava seduto dalla parte opposta del fuoco, con lo sguardo intento alle fiamme. "Goldblum, amico mio... perchè non ci narri qualche leggenda, o ci canti qualche ballata del tuo nobile popolo? Sarà di certo di ristoro per le nostre orecchie... e forse," concluse, lanciando un sorriso sarcastico all'indirizzo di Bumin "forse sarà di qualche insegnamento per coloro che ignorano l'antica cultura della razza nanica!" |
Intanto, nel cuore oscuro e maledetto del bosco, Guisgard, Talia e Gila erano vicini alle prigioni dove gli eretici tenevano imprigionate la fanciulle rapite.
"Ce ne sono due di guardia di quei maledetti..." disse Gila scrutando il passaggio che dava alle prigioni "... ma tra un pò si allontaneranno per i loro rituali... ed avremo pochi minuti per entrare nelle prigioni... dobbiamo saper sfruttare quel lasso di tempo..." "Accidenti..." mormorò Guisgard "... quindi dobbiamo attendere che quelle sentinelle vadano via! Stare fermi qui, con il pericolo di essere scoperti da un momento all'altro, non mi piace per niente!" "Stai calmo" disse il nano "e vedrai che entreremo presto in quelle prigioni! E poi di cosa hai puara? La tua buona stella ti ha protetto fino ad ora!" "Affatto..." replicò Guisgard "... non sono mai stato granchè fortunato!" "Allora lo sarai almeno in amore!" Esclamò sarcastico Gila. Il crepuscolo. Un alone purpureo si era adagiato nel cielo, riflettendosi sulla rigogliosa campagna. Il grande palazzo era gremito di persone e quel cavaliere aveva cercato fuori un pò di tranquillità. Stava sulla grande terrazza ad ammirare le barocche e classicheggianti nuvole che navigavano verso Oriente, quando l'ancella gli si avvicinò. "Messere..." "In cosa posso esservi utile?" Chiese Guisgard. "Ecco... io vengo a nome della mia padrona..." Guisgard accennò un sorriso di cortesia, fissandola con uno sguardo incuriosito. "La mia padrona... la marchesa..." "Si, l'ho veduta ieri per la prima volta." "Ecco... lei mi ha chiesto di riferirvi che domani sarà ai giardini del Belvedere... e, se ciò non vi recherà danno o noia, gradirebbe la vostra compagnia..." "La mia compagnia?" Ripetè il cavaliere. "Beh... ne sarei onorato... l'ho veduta una sola volta, appunto ieri, e mi è sembrata una donna incantevole." "In verità la marchesa vuole ringraziarvi" disse l'ancella "per averla aiutata ieri durante la caccia al cervo... se non fosse stato per voi, la mia padrona sarebbe rimasta da sola nella campagna, dato che il suo cavallo aveva una zampa rotta..." "Per me è stato un dolce piacere soccorrere la vostra bellissima padrona." Rispose con galanteria Guisgard. "Allora domani ai giardini, messere..." "Si, domani." Sorrise di nuovo il cavaliere. "Ecco, si allontanano!" Esclamò improvvisamente Gila, destando Guisgard dai suoi ricordi. "Ora possiamo entrare indisturbati nelle prigioni!" |
"Beh, potrei narrarvi della grande migrazione di Eleagons..." disse Goldblum, sollecitato da Morven a raccontare "... o anche del sacrificio dei tassi, che permise ai miei antenati di purificare questi luoghi e fondare il nostro villaggio..."
"Perchè tu non sei con loro, nano?" Chiese Bumin. "Ecco... io..." mormorò a capo chino Goldblum "... io..." "Forse non ti vogliono con loro?" Chiese Bumin. "Ti ha dunque rinnegato la tua stessa gente?" Goldblum non rispose nulla. Ma proprio in quel momento si udirono dei cavalli. Un attimo dopo alcuni cavalieri raggiunsero la chiesa. Erano Dukey e gli uomini inviati da Frigoros. E con loro vi era anche il Cappellano. |
La luna era di una lucentezza meragliosa la guardai intensamente e mi misi a pensare quando saremmo riusciti a tornare a palazzo e a riabbracciare i nostri amici mi prese una tristezza dentro al cuore che neanche io sapevo il perchè sembrava una maledizione sembrava che eravamo rimasti soli e senza aiuto e senza nessuna speranza
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Mi sollevai da quel povero giaciglio , faceva freddo e ormai il fuoco inizia a spegnersi, presi della legna posta accanto e lo aiutai a riprendersi.
Poi in silenzio osservai i miei amici di viaggio ...dormivano esausti e la notte era ormai padrona delle loro anime e menti. Cercando di non far rumore usci dal nostro rifugio , prima di varcare la soglia del portone mi voltai ancora una volta per dare un altro saluto a Goldblum e Ser Morven... Sapevo di non poter andare avanti , non ci sarei riuscita ...io non avevo l'animo guerriero e forte come il loro. GUardai la luna e al di là di quella pianura che stava dinnanzi a me... " Torno a casa mia " dissi..." non correrò pericoli di certo..in fondo io non ho nulla che possa attirare l'attenzione di briganti o altri". Detto questo sali in sella al mio cavallo e ripercossi indietro la strada verso casa ! |
La notte sul villaggio dei nani era coperta da alte e sottili nuvole che sembravano celare una velata malinconia.
La missione dei nostri eroi, Belven, Arowhena e cavaliere25, sembrava senza meta e senza fine. Capace di fiaccare lo spirito ed il corpo. Ed il bosco, come un labirinto, pareva averli imprigionati e condannati a vagare verso qualcosa di irreale. Ad un tratto, mentre Cavaliere25 era assorto a scrutare il cielo, un vecchio nano gli si avvicinò. "La pallida Luna di questa notte di Novembre..." cominciò a dire "... porta con se funesti presagi... i lamenti delle martiri echeggiano in questa notte e nel suo insopportabile ed innaturale silenzio... ed anche il solo ascoltarli sembra condurre al peccato ed alla dannazione..." http://img839.imageshack.us/img839/4351/lunac0.jpg |
Nello stesso momento, nel profondo e oscuro cuore del bosco, Guisgard, Talia e Gila si apprestavano ad entrare nelle prigioni ormai incustodite.
"Ora o mai più!" Esclamò il nano. "Allora facci strada, visto che conosci questo luogo di morte." Disse Guisgard. I tre allora si avvicinarono ad una porta. "Ecco..." mormorò Gila "... ora entreremo... ma preparatevi che non sarà un bello spettacolo..." Un attimo dopo i tre furono nelle prigioni ed un girone dantesco si spalancò ai loro occhi. Un corridoio semibuio tagliava in due l'ambiente, mentre sui suoi lati si aprivano diverse celle scavate nella roccia e chiuse con robuste sbarre fatte di duro legno. La maggior parte delle celle ospitavano corpi senza vita di povere ragazze martoriate da una ferocia inumana. I loro corpi recavano i segni di tremende ferite ed ora erano lasciati a marcire come pasto per i topi. Ad un tratto un gemito richiamò l'attenzione dei tre. "Lì..." indicò Gila ai suoi due compagni "... sembra viva..." In una cella infatti vi era una ragazza che si lamentava con un filo di voce. Sembrava esausta e svuotata per le sofferenze subite. Il suo corpo nudo e denutrito era avvolto da un filo spinato che le lacerava la pelle e le carni. Lividi e segni di scottature coprivano tutto il suo corpo, mentre le mani ed i piedi apparivano orrendamente mutilati. Era in quella cella, sdraiata sulla nuda e fredda pietra, con i topi che le mangiavano brandelli di pelle. "Maledetti topi..." mormorò Guisgard "... è viva... cerchiamo di tirarla fuori di lì..." aggiunse dopo essersi ripreso dal disgusto per aver visto quei topi. "Credo non abbia molte speranze..." disse il nano "... e poi, in quelle condizioni, non potrebbe affrontare una fuga..." "Al diavolo!" Ringhiò Guisgard. "Io non la lascio in questo inferno!" |
Ascoltai le parole di quel nano e poi dissi non so piu se riusciremo a trovare i nostri amici sembra una battaglia persa siamo condannati a rimanere in questo posto rimasi con lo sguardo triste e con il capo chino
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Mentre Goldblum nominava quelle antiche leggende del suo popolo, quasi inavvertitamente Morven socchiuse gli occhi, sentendoli improvvisamente pesanti. Scivolò per un istante in uno strano dormiveglia, in cui la voce acuta del suo amico si intrecciava con quella pungente di Bumin.
La stanchezza del viaggio e delle mille traversie per un attimo prese il sopravvento, strappandolo alla realtà che lo circondava, e piombandolo in uno strano ricordo lontano... ... sempre da solo... si era abituato a viaggiare da solo. Era molto più comodo. Nessuna domanda, nessuna obiezione, e la libertà di cambiare posto a proprio piacimento, non appena l'aria che tirava non era più di suo gradimento. Così si era condotto Morven in tutto quel tempo. Molte conoscenze, ma nessun amico. Cortese con tutti, ma vicino a nessuno. Egli arriva in un villaggio, si metteva al servizio del signore di turno, svolgeva per lui due o tre incarichi, quindi, così com'era arrivato, andava via. Il tempo di guadagnare un po' di soldi, o un cavallo, o un nuovo pezzo della sua armatura. Poi, ottenuto il suo compenso, nottetempo, ripartiva. ... sempre da solo... fino a quel giorno in cui si era imbattuto in quel bizzarro cacciatore. Aveva pensato subito che fosse un uomo facoltoso… forse un ricco mercante, probabilmente un viaggiatore anch’egli... era vestito di tutto punto, con un enorme arco e due spade corte che brillavano appese alla sua cintura, e un grosso cane da caccia che lo seguiva docile... vestito di tutto punto, sì, ma senza avere la minima idea di come si usassero davvero quelle armi! Il loro primo incontro, in una radura poco fuori dal villaggio verso cui viaggiava, fu in verità uno scontro. Morven aveva cominciato ad inveire contro quello sconosciuto che si esercitava a tirare freccie contro un albero, adirato contro la scarsa maestria di quel giovane che con la sua imperizia per poco non lo trafiggeva con uno dei suo maldestri dardi. Era sceso da cavallo deciso a dare una lezione a quello sprovveduto. Cinque minuti dopo ridevano insieme dell'accaduto, e il gioviale cacciatore lo stava accompagnando nella taverna più vicina per offrirgli il pranzo. Avevano parlato a lungo, e Cypher, questo era il nome del cacciatore, era rimasto sempre più affascinato dalle avventure narrate da Morven. Lo sorprendeva sopratutto il fatto che, così giovane com'era, fosse già riuscito a perfezionare tanto l'arte della spada, e non avesse alcun timore di affrontare nemici e battaglie. Quando, sul far della sera, Morven si rimise a cavallo per ripartire, poco dopo aver lasciato il villaggio, udì un lieve canticchiare portato dal vento. Un attimo dopo lo vide. Cavalcava senza apparente fretta sul suo elegante stallone. Aveva il solito sorriso cordiale sul viso, e le labbra sempre pronte ad articolare uno scherzo o una battuta. Aveva con sè l'arco da guerra e i due pugnali che non sapeva brandire. Il suo cane inseparabile lo seguiva baldanzoso, ed emise due o tre versi gioiosi alla vista di Morven. "Pensavate di esservi liberato di me, messere?" esclamò con fare gioviale. Morven sorrise suo malgrado nel vederlo arrivare. "Certo che no... anzi speravo che sareste venuto. Temevo per la vostra vita a lasciarvi da solo in quella locanda!” "Avete ragione... mi occorre qualcuno che mi insegni davvero come usare questi gingilli" affermò il cacciatore, sfiorando le due spade. "E sia... venite con me! E spero siate lesto ad imparare, o moriremo tutti di fame, compreso il vostro Sauron!", rispose Morven additando il cane che saltellava festoso tra le zampe del suo cavallo. L’altro, per tutta risposta, gli allungò una pacca sulla spalla e rise di gusto. Da quella sera divennero inseparabili. Morven attaccava gli avversari frontalmente, mentre Cypher, che col tempo si era rivelato molto più abile di quanto non avesse promesso in principio, teneva a bada i nemici con le sue frecce e con gli attacchi rabbiosi del suo cane. Una sera si erano trovati a scaldarsi davanti ad un bel fuoco scoppiettante, al riparo di un’antica costruzione crollata… proprio come stanotte, gli sovvenne in quel lucido dormiveglia... davanti al fuoco, come tante altre notti. Ma quella volta c’era qualcosa di speciale. Cypher non smetteva di fissarlo. Nonostante il suo fare allegro e la sua fluente parlantina, che tanto contrastava con i modi scostanti di Morven, il cacciatore non aveva mai osato intromettersi nei suoi pensieri. Ma quella sera, forse, era davvero speciale. Dopo aver fatto emesso una sonora risata, Cypher lo fissò con interesse. “E’ strano che dopo tutto questo tempo, e dopo averti così lungamente parlato di me… dopo aver combattuto con te, e averti guardato le spalle… dopo che tu mi hai salvato la vita innumerevoli volte… è strano che dopo tutto questo e tanto altro io non sappia davvero quasi nulla di te, a parte il tuo nome di battesimo… dì, cavaliere… chi è Morven, il più forte spadaccino che io conosca in questo regno?” Morven sobbalzò a quella domanda. Per un attimo, istintivamente, parve desiderare di sfuggire a quello sguardo e a quella richiesta. Ma poi ricordò il patto di lealtà che lo legava al suo compagno, e non potè che ammettere che l’altro aveva ragione. Non erano solo compagni di viaggio. Non dividevano soltanto le ricompense dei ricchi signori. Erano amici. Cypher era il suo primo, vero amico. Quello con cui divideva il freddo e la birra. Quello con cui poteva parlare di tutto… o quasi… povero Cypher, mi dispiace… la tua lealtà non merita questo… la mia disonestà non merita la tua fiducia! “Chi è Morven, vuoi sapere?” Si era disteso accanto al fuoco, aveva intrecciato le braccia dietro la nuca e aveva preso a seguire con lo sguardo le ombre che si disegnavano sul soffitto. “Morven discende dal casato nobile dei Cassis…” “Un nobile… ridacchiò Cypher “ci avrei scommesso! Con quei modi da principino e quell’aria innocente, persino quando affondi la spada nel ventre di un uomo!” Poi parve riflettere un istante, prima di tornare a guardare Morven, stavolta con uno sguardo serio. “De Cassis… ho sentito già questo nome, anche se non ricordo bene quando… De Cassis…” ripetè lentamente “non era quel casato su cui si dice si fossero abbattute fosche sventure?” Morven tacque, continuò a guardare il soffitto ricoperto di umidità. “Non ricordo molto, a dire il vero… ma qualche anno fa mi pare che la giovane erede del casato fu costretta ad un matrimonio con un nobile delle terre vicine… uno strano matrimonio, invero, fatto in tutta fretta per impedire che le terre dei Cassis fossero confiscate, per non so quale sfortunato affare” Cypher fissò Morven per un lungo istante. “Ho forse sbagliato, amico mio?” Morven infine si decise a rispondere. “No, non hai sbagliato…” mormorò infine, con un fil di voce “E’ proprio questa la storia… la triste storia della duchessa Zulora…” “Sì, è proprio questo il nome della giovane di cui si è tanto parlato nel mio villaggio. La duchessa Zulora… si diceva che fosse molto giovane e molto bella” “Sì, lo era…” Cypher lo guardò con uno sguardo attento, curioso, mentre l’altro non poteva vederlo. “Tu… la conoscevi bene, non è così?” Morven si lasciò sfuggire un lungo sospiro. “Sì…” rispose pianissimo. L’amico gli lanciò un’occhiata colma di comprensione. Il suo abituale sorriso e il suo sarcasmo si spensero a quell’affermazione di Morven, e Cypher lo guardò con la simpatia con cui si guarda un compagno di cui si intuiscono i dolori, pur non conoscendoli… “Devi averla amata molto…” azzardò, dopo un lungo silenzio. Morven strinse gli occhi per non lasciarsi sfuggire le parole che non voleva pronunciare. “Non abbastanza…” disse soltanto, con una voce distante, carica di rimpianto “non abbastanza…” Un brivido lo scosse. Si mosse agitato da un sordo dolore, da un oscuro pensiero. “Zulora…” mormorò nel silenzio che si era creato attorno a quel fuoco, e subito spalancò gli occhi nella semioscurità. Si sollevò sul gomito, si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse potuto udire quell’esclamazione sommessa del suo sogno. Goldblum dormiva sopra la sua spada, Bumin si era ritirato in un angolo, nascosto dalla sua pesante cappa, e Lady Gonzaga… gli ci volle un attimo per realizzare. Strizzò gli occhi, per convincersi di essere sveglio. Gonzaga non c’era più. Comprenderlo e levarsi in piedi fu un solo gesto. Si precipitò verso l’ingresso della cappella. “Milady!” gridò al silenzio della notte, afferrandosi con forza ai battenti malandati e affacciandosi all’esterno “Milady, dove…” Ma le parole gli morirono sulle labbra, e il suo corpo, già lanciato nel gesto di correre all’aperto dovette bruscamente fermarsi su quella soglia. Il rumore degli zoccoli gli colpì le orecchie, poi l’ordine sommesso dei cavalieri e i nitriti bassi dei cavalli cui venivano tirate le redini, come dopo una lunga galoppata. Morven si trovò di fronte uno stuolo di cavalieri, scuri come la notte. L’unico che riconobbe immediatamente fu quello che stava ritto di fronte a lui. “Ed ecco che è arrivato il degno compare…” pensò tra sé e sé, con enorme fastidio “Di male in peggio…” |
Varcai quella soglia dietro ai miei compagni e lentamente feci qualche passo nel buio corridoio che ci trovammo di fronte...
Credevo di essere pronta a tutto, quando avevo lasciato Cartignone ero convinta che l’immane sofferenza che avevo provato e il senso di colpa che mi logorava dentro mi avrebbero resa impermeabile a qualsiasi altra emozione, pensavo che niente più avrebbe potuto ferirmi o spaventarmi, pensavo che mai più il mio cuore avrebbe provato pena o rammarico... ma in quell’istante, in quel corridoio, mi resi conto di essermi sbagliata. E vacillai. Quel debole gemito ci sorprese tutti... a malincuore mi voltai e vidi la ragazza in quelle orribili condizioni. Fu un attimo: la testa mi girò forte e dovetti aggrapparmi alle sbarre di una delle celle per non cadere, mentre il mio pensiero -contro ogni mia volontà- volava lontano da lì... Era ormai il crepuscolo quando il carro, scortato da sei cavalieri, varcò le porte della città. Lo vidi entrare nella piazza antistante il palazzo, fare un piccolo giro e fermarsi giusto di fronte alla scala... una parte di me sapeva che cosa portava, avevo udito delle voci in proposito, ma non ci credevo. Non ci volevo credere. I soldati stavano smontando da cavallo ma io non badai loro, mi precipitai verso il carro... dovevo vedere... dovevo accertarmi che... Due mani mi afferrarono prima che potessi avvicinarmi al candido lenzuolo che lo copriva... “Milady, che cosa fate fuori a quest’ora?” disse l’uomo. “Lasciatemi!” risposi “Lasciatemi, io...” “Tornate a casa, Talia!” mi interruppe lui. Una voce si sovrappose alle nostre: “Sir Dukey... finalmente siete tornati!” Guxio era comparso sulla soglia del palazzo e se ne stava immobile a guardarci. “Eccellenza!” si inchinò il cavaliere, senza tuttavia mollare il mio braccio, sebbene io stessi ancora cercando di liberarmi. “Avete fatto quanto vi fu chiesto dal principe?” “Sì, Eccellenza. Abbiamo seguito le indicazioni e ritrovato i corpi esattamente dove quei soldati avevano indicato di averli scoperti...” Lo stomaco mi si stava annodando ad ogni parola, la testa sembrava volermi esplodere e non ero certa per quanto tempo ancora le ginocchia mi avrebbero tenuta; tirai con forza il braccio indietro e riuscii, finalmente, a sottrarmi dalla presa dell’uomo. Un istante dopo ero di fianco al carro, afferrai il lembo della copertura e, con un rapido gesto, la tirai via... Tre corpi erano stati adagiati là sopra, tutti e tre erano coperti da orribili piaghe, tutti e tre avevano subito terribili ingiurie, e tuttavia uno in particolare attrasse tutta la mia attenzione: quello più vicino a me, anche se appena riconoscibile, era il corpo senza vita di Eileen. Non avrei saputo dire cos’era avvenuto dopo... ricordavo a fatica due braccia che mi avevano afferrata e portata via, ricordavo dolore e senso di colpa, ricordavo incubi e notti insonni, ricordavo rabbia incontrollata e immensa afflizione... Inspirai profondamente e mi costrinsi a tornare in quella prigione, mi costrinsi a riaprire gli occhi e a rimettermi in piedi... “Apriamo quella cella!” mormorai, accorgendomi di non avere ancora la voce molto ferma “Quella scure con cui avete rotto le mie catene... credo che ci servirà di nuovo!” |
Arowhena non riusciva ad intuire il trascorrere nel tempo, poiché come nei sogni, non esistevano le dimensioni di spazio e tempo...
Vedeva la luna di giorno e un sole rosso la notte... vedeva le costellazioni cadere e il cielo diventare nero e senza stelle.. voltando il suo sguardo verso la terra, questa era coperta di mani che si muovevano e comunicavano come se cercassero qualcosa sul terreno.. prendevano pugni di terra e la lasciavano cadere... Fare un passo in quegli spazi era difficilissimo... Il pane era duro ed immangiabile e spesso ciò che toccava diventava piccolo ed inutile fino a sgretolarsi... Leggere i libri che trovava sotto gli alberi era impossibile perché la vista le si appannava ogni volta che si concentrava nel leggere le parole e parlare era quasi impossibile... le costava uno sforzo sovraumano... Accendere una candela non dava nessuna luce in più... Per lei, strega veggente che interpretava sogni, quel mondo rischiava di farle esplodere la testa... c'erano troppe informazioni, c'era davvero troppa confusione... probabilmente erano i sogni e gli incubi che tutte le anime fuori, nella dimensione reale, dovevano avere mentre dormivano. Essere bloccata nella dimensione onirica, lontana dalla realtà, rendeva inutile ed ininterpretabile anche il sogno medesimo... tutto diventava senza senso e Arowhena iniziava a cedere e stancarsi... e non credere più a nulla, non poteva poiché senza la dimensione reale, il sogno stesso perde il suo significato... Da quanto non dormiva lei stessa?... Quanto avrebbe voluto almeno incontrare una persona vicina dentro quel mondo di confusione... il sogno stesso sembrava il suo epitaffio... la lapide era là, doveva solo scavare la marba bianca con l'unghio dell'indice e scrivere le parole della sua fine... ma non era ancora la fine, non ancora... Che sonno... che stanchezza fisica insopportabile... ma non stava dormendo, lo sapeva... |
La notte.
Come un manto copriva ogni cosa, lasciando ovunque il suo alone spettrale. La chiesa sconsacrata sembrava scricchiolare sotto il vento che cominciava ad alzarsi. Goldblum dormiva e Bumin aveva lo sguardo perso nell'infinita oscurità della notte. Morven invece sembrava inquieto, mentre cercava Gonzaga, svanita improvvisamente. "E' andata via." Disse Bumin fissandolo. "L'ho veduta io stesso prendere la via che conduce dall'altra parte del bosco." In quel momento giunsero i cavalieri da Cartignone. "Che io sia dannato!" Esclamò Dukey. "Giungiamo dunque in tempo! Siete tutti salvi!" "Giungete con imperdonabile ritardo!" Rispose Bumin, senza tradire nessuna emozione. "Che posto sinistro è questo..." mormorò il Cappellano fissando la chiesa sconsacrata. Poi, rivolgendosi a Morven, chiese: "Notizie dei dispersi, milord?" |
La notte avvolgeva anche il villaggio dei nani.
E la notte portava con se confusione, paura, malinconia ed inquietudini. E proprio queste ultime sembravano affollare il cuore e l'animo di Arowhena. Visioni, segni, immagini, figure, frutto forse di stati d'animo o sensazioni, che sembravano materializzarsi davanti agli occhi della donna. Il sogno e la realtà. Era definibile quel confine? E dove finiva il sogno e cominciava l'incubo che attanagliava quel luogo? Nessuno poteva saperlo. Come nessuno poteva comprendere le inquietudini di Arowhena. Belven forse avrebbe voluto. Le aveva parlato, ma lei sembrava assente, come rapita. Restò allora a fissarla. Era bella, ma il cavaliere non solo dalla sua bellezza sembrava preso. I suoi pensieri. Belven avrebbe pagato chissà cosa per conoscere i pensieri di Arowhena. |
Nel frattempo, nel ventre rinnegato del bosco, dove gli Atari avevano gettato le colonne del loro regno di morte, Guisgard, Talia e Gila erano penetrati nelle prigioni.
E la vista di quella ragazza li aveva pietrificati per l'orrore. A quelle parole di Talia, Gila fissò Guisgard che rispose annuendo. Il nano allora ruppe il legno di quella cella con la sua possente scure. Entrò e scacciò i topi agitando la sua arma. "Grazie, amico mio..." mormorò Guisgard. "Ed ora?" Chiese Gila, mentre il corpo martoriato di quella ragazza era davanti a loro. "Dobbiamo per prima cosa tagliare questo filo spinato..." disse il cavaliere "... ne sei capace?" "Si, certo..." annuì il nano. Estrasse allora un piccolo coltello dalla sua borsa insieme ad una tenaglia. "Non sarà bello da vedere..." disse Guisgard a Talia. Il nano allora cominciò a sollevare dalla carne della ragazza quel filo spinato, per poi tagliarlo e tirarlo via. La martire restò immobile, nonostante la dolorosa operazione, lamentandosi solo lievemente. "Ecco... il filo è tolto..." mormorò il nano. Guisgard allora si tolse la giubba ed avvolse adagio la ragazza. "Solleviamola." Indicò Gila. "Sentirà un dolore insopportabile..." disse Guisgard "... con tutte queste piaghe..." "Non credo sia più in grado di avvertire molto dolore..." rispose il nano "... avrà i nervi quasi tutti recisi... è praticamente solo carne macellata, appena attraversata da un lieve soffio di vita..." "Un buon motivo allora per portarla via!" E detto questo, Guisgard la prese in braccio, indicando al nano di condurli fuori da quell'Inferno. |
Arowhena era così stanca... decise di sedersi su una coperta rossa poggiata sulla terra arida e spaccata per la mancanza di acqua... adesso vedeva gente passarle accanto e lei si sentiva una mendicante invisibile agli sguardi della gente... anzi... quella gente non aveva occhi, le facce avevano grandi bocche per parlare, orecchie piccolissime per non ascoltare e non avevano occhi per vedere... e la coperta era adesso cenciosa... un topolino dagli occhietti neri e rotondi le si era soffermato dinnanzi e sembrava l'unica creatura che potesse vederla... ma cade, cade dentro una crepa tra una zolla e l'altra della terra e sparisce... Arowhena, che fino a quel momento era rimasta salda e forte, cede in un pianto disperato per aver perso il topolino, l'unica creatura che le avesse rivolto uno sguardo interessato...
Singhiozzi, singhizzi, lacrime asciutte non bagnano il terreno, la terra è arida... Qua non c’è acqua ma solo roccia roccia e niente acqua e la strada sabbiosa la strada che si dipana su tra le montagne che sono montagne di roccia senz’acqua se l’acqua ci fosse ci fermeremmo a bere tra la roccia non ti puoi fermare o pensare il sudore è asciutto, i piedi nella sabbia se solo ci fosse acqua tra la roccia bocca di montagna morta dai denti cariati che non può sputare qui non si può sostare né sdraiarsi né sedere non c’è neppure silenzio tra le montagne solo un asciutto sterile tuono senza pioggia non c’è neppure solitudine tra le montagne solo scontrose facce rosse che ringhiano e digrignano dalle porte di case fatte di fango screpolato se ci fosse acqua e niente roccia se ci fosse roccia e pure acqua e acqua una sorgente una pozza tra la roccia se ci fosse il suono dell’acqua soltanto non la cicala ed erba asciutta che canta ma il suono dell’acqua sulla roccia dove il tordo eremita canta tra i pini drip drop drip drop drop drop drop ma non c’è acqua |
Morven fissò per un attimo la scena come sospeso, incapace di riordinare i pensieri in una forma definita. Tutto si confondeva... il suo sogno... le parole di Bumin... Gonzaga... il silenzio della notte... il rumore dei cavalli... che accade? Cypher, mio buon amico... guidami tu in questa notte... che accade?
Poi una voce lo riscosse, e lo riportò di colpo alla realtà, come una violenta scossa che gli traversò il corpo e gli schiarì la mente. Guardò l'uomo che lo aveva interrogato. Era un religioso... lo conosceva... gli scrutò meglio il viso, nella penombra della notte. Era quel cappellano che aveva conosciuto nel bosco, in compagnia di Guisgard, tanti... ma quanti in realtà?... giorni fa... giorni che sembravano anni, nel tempo alterato che possedeva quella foresta... e Guisgard... chissà che fine aveva fatto, quel cavaliere! Ogni tanto gli era accaduto di ripensare al suono malinconico dell'ocarina, a quel motivo triste e bello che tanto lo aveva colpito nella notte... Si riscosse, fissò il Cappellano, e il suo volto gli parve finalmente l'unico baluardo di salvezza tra quegli uomini che non gli ispiravano alcuna fiducia. Così non degnò Duckey nemmeno di uno sguardo, e subito si rivolse al religioso: "Dispersi, mio buon cappellano? Che dispersi? Qui non ci siamo che io e il mio compagno, e quel tale sir Bumin di Cartignone, spuntato qui da chissà dove. I miei compagni, il capitano Belven e i gli altri uomini li abbiamo persi di vista già da giorni, dopo essere stati attaccati vilmente a sorpresa in una radura... di loro, ahimè, non so più nulla!" |
"Perchè vi trovate in questo luogo maledetto?" Chiese il Cappellano a Morven. "Avete forse trovato qualche traccia da seguire, o qualcosa che vi ha condotto qui?"
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"Incontrammo uno strano uomo nel bosco... con abiti da mendicante e fare piuttosto villano... egli tuttavia, dietro compenso, ci disse che qui avremmo trovato traccia dei nostri compagni e risposta alle nostre domande. Così giungemmo a questo luogo, alla ricerca di qualche segno che ci indicasse la strada..." quindi abbassò il tono di voce e si fece da presso all'orecchio dell'altro "... quando quel cavaliere comparve dall'ombra a sbarrarci il cammino e a distoglierci dalla nostra ricerca!"
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