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A quella risposta di Gwen, il padrone tornò a mangiare.
“Oggi se vuoi” disse quando ebbe finito “ti porterò in quel posto che ti avevo promesso. Ci si arriva a cavallo. Se vuoi, naturalmente.” |
Alla mia risposta tornò a mangiare, cambiando discorso.
"Certo, volentieri." |
I due monaci uscirono dalla locanda e subito Clio e Kostor li seguirono.
I religiosi galopparono fino ad arrivare presso una secolare quercia che sorgeva in un irregolare pianoro. Scesero dai loro cavalli ed attesero. Ormai il Sole era sorto. Dopo un po' apparvero tra la vegetazione due figure, che subito Clio riconobbe. Erano infatti Pepino e Lignas. E le loro cavalcature sembravo trasportare un pesante carico. I due chierici li salutarono e lo scudiero ed il contadino li raggiunsero. Naturalmente erano seguiti a debita distanza da Dimos e da Tussor. |
“Josephine...” disse il padrone “... fa preparare due cavalli.”
“Subito, signore.” Annuì la nana. “Partiremo subito.” Il padrone a Gwen. “Appena avrai finito di fare colazione.” |
"Bene" annuendo.
Continuai a mangiare tranquilla, finchè non finii. Ero impaziente e curiosa di sapere dove mi avrebbe portata. |
Gwen finì la sua colazione e poco dopo lei ed il padrone lasciarono il castello in sella a due cavalli.
Galopparono lungo un sentiero del bosco, attraversando una ridente vallata racchiusa da poggi tutti incoronati da slanciati e dritti cipressi ed ammantati da stuole di ameni girasoli che parevano volteggiare al richiamo dei dorati raggi del Sole. Infine arrivarono presso un antico ed arrugginito cancello che dava su un piccolo sterrato tra rovi e sterpaglia. “Eccoci arrivati.” Disse il padrone. |
Quando finii, lasciammo il castello.
Galoppammo nel bosco e mi sentii libera; erano anni che non lo facevo e quella sensazione mi fece sentire rinata, così come la stupenda vallata che attraversammo. Ad un certo punto ci trovammo davanti ad un cancello, oltre il quale si intravedevano rovi e sterpaglia e il padrone disse che eravamo arrivati, così smontai da cavallo. |
Gwen ed il suo padrone si trovarono davanti a quel malmesso cancello, quasi fosse la porta per un mondo diverso, sconosciuto, addirittura magico.
L'umo con un coltello tagliò la sterpaglia tra le grate ed il cancello si aprì cigolando. “Vieni...” disse porgendo la mano alla giovane. |
Ci avvicinammo al cancello, che sembrava quasi l'ingresso per un'altra dimensione, per un altro mondo.
Poi il padrone tagliò con un coltello i rovi che bloccavano la grata e aprì il cancello cigolante. Poi mi porse la mano ed io la presi, accingendomi ad entrare. |
Il padrone strinse la mano di Gwen ed insieme varcarono quel cancello, ritrovandosi ad attraversare quell'irregolare sterrato.
Il mattino si era levato in un terso splendore, con i raggi del Sole che filtravano tra i rami folti delle due file di cipressi che racchiudevano quel passaggio, fungendo quasi da galleria a quell'accesso. Attraversando quel varco la luce del giorno generava vivaci e dorati giochi di chiaroscuro, che danzavano con bagliori e riflessi sul viso e tra i rossi capelli di Gwen. Alla fine i due giunsero ai piedi di un'alta e diroccata torre quadrangolare, le cui murature apparivano consumate e segnate da crepe, mentre la merlatura ormai non era quasi più visibile. “Qui ci venivo spesso da piccolo...” disse il padrone fissando la vecchia torre “... ci ho sotterrato il mio tesoro da ragazzino che sognante si apprestava a conoscere il mondo...” |
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