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Icarius ascoltò con attenzione Sayla.
“Non puoi…” disse con un filo di voce “… non puoi accettare tutto questo… nessuno può imporre un simile destino ad un essere umano… nessuno che non sia un demone…” chinò il capo e sfiorò il Crocifisso che aveva al collo “… ho letto che al mondo vi sono infiniti credi, rivelati agli uomini da altrettanti profeti… una volta un saggio mussulmano narrò di un padre che aveva molti figli. Siccome sua moglie era venuta a mancare, prima di partire per la guerra decise di affidare ogni figlio ad uno dei suoi vassalli, posti in terre diverse dei suoi possedimenti. Al ritorno dalla guerra, l’uomo riprese con sé ognuno dei suoi figli, cresciuto ciascuno in una terra differente. Così ognuno di essi chiamava suo padre con un diverso nome, eppure egli rispondeva a ciascuno secondo le loro richieste.” Tornò a fissare Sayla. “Qualsiasi sia il nostro Dio e qualsiasi sia il nome con cui lo invochiamo, Egli ci risponderà sempre. Sai perché, Sayla? Perché non vi è legame più forte ed indissolubile tra il Creatore e la sua creatura. Non è stato un Dio ad imporre quel tributo di sangue in te, amica mia, ma un demone. E chiunque esso sia, io riscatterò dalle sua mani la tua vita.” “Milord, vi prego.” Avvicinandosi Lho. “Abbiamo già troppi nemici per attirarci contro anche le ire di qualche oscuro demonio.” “Amico mio, tu conoscesti meglio di chiunque altro lord Rauger, vero?” Fece Icarius. “E dovresti rammentare una delle sue frasi che fece incidere nel bianco marmo dell’Ara dei Taddei…<< Per quanti nemici io possa avere, dopo ogni battaglia e vittoria sarò sempre pronto a morire per ciascuno dei miei amici>>… e se posseggo almeno la metà del suo valore, farò di tutto per liberare Sayla dal suo triste destino…” |
Spalancai gli occhi per la sorpresa, mentre le mani mi scivolavano lungo i fianchi, come se mi fossi scottata al contatto con quell'uomo tanto empio.
"Voi? Siete sempre stato qui... attaccato al potere come una sanguisuga e pronto a vendere la città al Gufo!" I miei occhi scintillarono d'odio. "Voi... siete voi l'unico Demonio che ho incontrato nella mia vita! Quante persone mi avete fatto uccidere? Quante ne avete uccise voi stesso?" Uscì prima che potessi avventarmi contro di lui. "Brucerete all'inferno molto prima che arrivi il mio turno! Mi avete sentito?!" Ero furente, ma non potevo fare altro che agitarmi come una belva in gabbia. Non potevo uscire di lì. Era una prigione di pietra, lì nessuno dei miei poteri poteva essermi utile. E probabilmente i miei carcerieri erano stati messi in guardia dall'evitare il mio tocco e le mie parole. Armeggiai intorno alla serratura e alle sbarre, ma inutilmente. Dovevo uscire da lì. Dovevo salvare Uriel. Chissà dove si trovava in quel momento, chissà che pena... Asciugai le lacrime di frustrazione che scendevano sulle mie guance. |
Shezan si era parato davanti alla porta, impedendomi di uscire.
“Spostati!” avevo ordinato, con un tono tanto freddo che quasi stentai a riconoscere la mia voce... ma lui non mi aveva permesso di andarmene... al contrario, ad un cenno di Layla, mi aveva afferrata con entrambe le braccia e mi aveva stretta con una forza tale da farmi male. Era stato allora che Layla, con gesto rapido e stizzito, mi aveva strappato dal collo la sottile e raffinata catenella d’oro e il medaglione che la adornava... mi fece male quel gesto, mi fece male persino più profondamente delle braccia di Shezan che mi stringevano senza riguardo, mi fece male all’anima. Poi fui portata via. Shezan, senza dire una parola, mi portò dall’altro lato del palazzo... io gridavo e protestavo, mi divincolavo e mi dibattevo con tutta la forza che avevo, ma tutto fu inutile: lui mi portava in braccio con assoluta noncuranza, come avrebbe portato un oggetto inanimato e di nessun peso. Senza riguardo mi getto dentro quella stanzetta, facendomi finire sul freddo pavimento di pietra, e richiuse il pesante battente dietro di sé. Mi alzai di scatto e tornai alla porta, tentando di aprirla, bussai e chiamai ma non ottenni risposta alcuna. Corsi, quindi, presso l’unica finestra che si apriva sulle spesse e lisce mura di pietra e guardai in basso... era inutile: mi trovavo tanto in alto che nessuno mi avrebbe mai potuta udire da lassù. Vedevo il cortile sotto di me, vedevo il verziere... lo scorsi con lo sguardo per un momento, tentando di trovare un soluzione, una via d’uscita, e invece qualcos’altro attrasse il mio sguardo: una lunga fila di lance ed elmi ammaccati che scintillavano al sole... il respiro mi divenne affannoso, tentai di reprimere quell’angoscia e lo spavento ma presto ne fui sopraffatta... Le ginocchia mi cedettero e io mi accasciai sul pavimento, in preda a cieco terrore... “Icarius...” mormorai “Oh, Icarius... se solo potessi vederti... anche solo per un istante...” |
"Voi vi ostentate a non capire! Questo per me non è un triste destino! E' la mia vita e non voglio che Voi o chiunque altro la cambi! Io amo la mia vita e il mio Signore e se lui ha deciso me come sua Prescelta, io ne sono onorata! Non importa se a causa sua sono diventata un demone. Quello che Voi non avete capito, caro duca, è che a me piace uccidere! Per me è come respirare!" gridai con furia. Avevo oltrepassato il limite, ma non era stato Theenar a farmi uscire di senno. Lui non centrava.
Perdonate quest'uomo, mio Signore, ancora non piò comprendere la Vostra reale grandezza. Guardai Luna e lei mi si avvcinò e mi calmò, come spesso faceva. "Ti ringrazio, amica mia." la ringraziai io. Nella sala era piombato improvvisamente il silenzio e non fu difficile per me, grazie al mio fine udito, sentire delle urla provenire dal piano di sopra. "Le avete sentite anche voi, vero? Quelle grida... Sembrava la voce di..." non riuscii a finire la frase per paura di far preoccupare inutilmente Icarius, ma ero quasi sicura che fosse stata Lei ad urlare. Lady Talia... Cosa vi stanno facendo? "Milord, volete veramente aiutare qualcuno? Ho sentito delle grida di donna provenire dal piano superiore." dissi rivolta ad Icarius. "Voi fate come volete, ma io vado a controllare!" detto ciò, aprii la porta, salii le scale e mi diressi verso una porta. Ascoltai e sentii dei singhiozzi venire dall'interno della stanza. Tentai di aprirla, ma inutilmente. Ed ora? Oh, Lady Talia, resistete ancora per un poco! |
La notizia della condanna fu comunicata alla cittadanza.
Non ci sarebbe stato processo pubblico, in quanto era stata estorta con l’inganno una confessione a Melisendra. Le leggi di Capomazda, come tutte quelle del regno, erano formalmente legate alla Chiesa, che, per un antico giuramento, riteneva queste terre feudi della Santa Sede romana. La condanna di Melisendra sarebbe stata eseguita dunque secondo l’antico modo: la ragazza sarebbe stata condotta in pubblica piazza, vestita solo di nudo sacco ed arsa viva come strega. Monteguard aveva tentato di salvare la ragazza, intervenendo presso Izar e Ravus, ma fu tutto inutile. L’indomani la sentenza avrebbe avuto corso. E quella sera qualcuno fece visita a Melisendra. Era il capitano Monteguard. “Milady…” disse appena la sentinella lo lasciò solo con la ragazza “… non c’è molto da dire… la vostra sorte è segnata e nessuno può fare più nulla ormai… ci fosse stata lady Talia probabilmente avremmo avuto una possibilità… sono certo che il suo intervento avrebbe spinto sua signoria a ricorrere al vescovo… ma tutto è inutile ora… però vi do la mia parola che cercherò quel cavaliere e lo costringerò a consegnarsi al Gufo… farò di tutto per salvare vostro figlio… ve lo giuro sul mio onore, milady…” |
Quando la porta della cella si era aperta ero pronta ad avventarmi sulla persona che mi si sarebbe mostrata innanzi e a servirmene per fuggire.
Quando vidi il Capitano Monteguard, però, i miei propositi si incenerirono di fronte alla realtà. Non potevo servirmi di lui. Era un bravuomo. Ascoltai le sue parole, che sfiorarono la corda delle mie preoccupazioni per mio figlio. "Capitano, vorrei tanto poter sperare nel buon esito delle vostre promesse e vi ringrazio per avermi fatto dono di questo barlume di speranza per la sorte di mio figlio... " sospirai "Temo, però, che vi siano nemici troppo potenti a cui far fronte." Guardai con insofferenza la mia prigione e contemplai la mia sorte, per la prima volta cercando la rassegnazione, ma questo era un sentimento troppo contrario alla mia natura per trovarvi conforto. "So bene cosa succederà..." mormorai tristemente. Guardai il Capitano negli occhi e subito distolsi lo sguardo. Non volevo pensasse che cercavo di incantarlo. Puntai gli occhi sul pavimento di pietra e gli sussurrai: "Guardatevi da Izar. Non avete idea... non potete nemmeno immaginare quanto siano grandi i suoi poteri e la sua malvagità." Mi voltai e mi avvicinai a una grata che dava sull'esterno della prigione. In lontananza vedevo uomini impegnati a spostare grandi fasci di saggina e legna. "Quelle come te non vivono a lungo..." dissi tra me e me. Mi domandai tra quanto sarebbero venuti a prendermi. Aveva ancora senso lottare? Ero una sciocca farfalla che si era avvicinata troppo alla fiamma. Questa volta sarei bruciata. "Vi ringrazio per la vostra visita e vi auguro fortuna per i vostri intenti... Addio, Capitano", lo salutai, cercando di preservare un barlume di dignità. Rimasi a osservare il trambusto fuori dalla mia cella, cercando di mantenere la calma nel mio animo. |
“Izar…” disse Monteguard “… cosa intendete dire? Cosa significano queste vostre parole? Izar è il consigliere dell’Arciduca, come lo era stato di lord Rauger in passato.” Si avvicinò alla ragazza. “Cosa volevate dire su Izar? E’ forse un modo disperato per salvarvi? O volete solo vendicarvi perché è stato lui ad emettere la vostra sentenza? Rispondetemi!” Gridò Monteguard a Melisendra.
"Capitano, mi rincresce, ma il tempo è scaduto..." avvicinandosi una sentinella alle sbarre della cella "... dovete uscire... la condannata non può ricevere altre visite, oltre al confessore..." "Si, un momento ed uscirò..." senza voltarsi verso le sbarre Monteguard "... allora? Attendo una risposta, milady..." rivolgendosi di nuovo a Melisendra. |
Mi voltai verso Monteguard.
"Vi ricordate che vi avevo parlato del mio padrone? L'uomo che non avevo mai visto in volto... Ho scoperto quanto possa essere rassicurante il volto del Male." Lo guardai, dubbiosa. Non mi avrebbe creduto e io non avevo altre parole da gettare al vento, dunque andai dritta al punto. "Izar non desidera altro che vedere i Taddei estinti... e io l'ho tradito. Ucciderà me, mio figlio, consegnerà la città al Cavaliere del Gufo... e quanto qui non ci sarà altro che cenere, si disferà anche di lui. A che pro mettervi contro a un nemico tanto potente da usarci tutti come marionette? Salvate quanta più gente potete e lasciate questa città..." Non avevo altro da dire. Lo guardai con compassione, attraverso le sbarre. Poi mi voltai e tornai a guardare là fuori. |
Monteguard non rispose nulla.
Il suo sguardo, turbato, era su di lei. La fissò per un momento che sembrò infinito. “Che Iddio abbia pietà di voi, milady.” Disse chinando il capo. Raggiunse poi le sbarre ed uscì. In quel momento Melisendra udì delle voci provenienti dalla strada. Erano dei ragazzini che la insultavano e la sbeffeggiavano. “Strega, muori!” Gridavano. “E’ colpa tua se ci hanno assediato! Ma ora morirai e il Signore ci libererà! Muori, strega!” Lanciando sassi e frutta marcia contro le sbarre della finestra. Passarono poi alcune ore, trascorse tra pensieri inquietanti e paure irrazionali che tormentavano l’animo di Melisendra. Immagini, suoni, sensazioni attraversarono il suo cuore. Vide scorrere davanti a sé i momenti trascorsi con Gouf, i pochi passati con Uriel e qualche lontano ricordo d’infanzia. Ma vide anche tutti i suoi sogni che aveva osato fare su una nuova vita. Raramente aveva ceduto a queste speranze di felicità, ma, com’è natura dell’uomo, esse sono fatte per albergare in noi e nulla può davvero renderci immuni dai loro effetti. Ma, all’improvviso, tutto questo fu interrotto bruscamente da un rumore di passi. Un’esile e scarna figura, coperta da un umile saio, era giunta davanti alle sbarre. “Solo pochi minuti, padre.” Mormorò la sentinella al frate. Questi annuì ed entrò nella cella. “Che Dio ti risparmi, figliola…” esordì con tono austero “… sono venuto per ascoltare i tuoi peccati… in questo memento di sconforto e disperazione, abbandonati alla Sua Misericordia e come Lazzaro Egli ti libererà dalla morte…” |
Quell'intrusione tra le mie meditazioni non era affatto gradevole.
Non potevano lasciare che mi preparassi all'inevitabile senza che uno di quei preti si infilasse nella mia cella con la convinzione che mi avrebbe fatto pentire dei miei peccati? "Non ho nessun peccato da confessare, padre... andate a occupare il vostro tempo in un'altra cella." Risposi con un moto di orgoglio. Fuori le risate e le ingiurie continuavano. Mi appiattii contro il muro e mi sedetti sulla panca ad esso appoggiato. |
“Sapete, figliola, possiamo ingannare tutti, ma non l’Onnipotente…” disse il monaco a Melisendra “… tutti possiamo ingannare… anche la morte…” mostrando alla ragazza una piccola ampolla.
Scostò allora il cappuccio e mostrò a Melisendra il suo volto. “Presto,, milady, non c’è tempo…” mormorò il vecchio Diacono “… bevete il contenuto di questa ampolla… presto, altrimenti sarà troppo tardi…” Si schiarì la voce e tornò a parlare a voce alta, per farsi udire dalle sentinelle appostate poco più avanti la cella: “Possa Colui che perdonò il buon ladrone sulla Croce, accogliere il tuo pentimento, figlia mia, affinché tu possa godere della Luce della Sua Grazia e della Sua Gloria… io ti assolvo dai tuoi peccati… nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo… amen!” Ed uscì dalla cella recitando i Misteri del Santo Rosario. |
"Troppo tardi? Ma..."
Non feci in tempo a replicare, che mi ritrovai da sola, con l'ampollina in mano. Osservai l'ampolla e la aprii. Ne annusai con sospetto il contenuto e non riuscii a identificare i profumi che da essa fuoriuscivano. La richiusi e riflettei. Perchè mai quel diacono era venuto a consegnarmi quella fiala? Non avevo niente da perdere: sarei morta comunque. Tutto sommato se evitavo la lunga agonia di un rogo sarebbe stata una benedizione. Oppure... La speranza si riaccese, ma non volli darle credito. Sperare in un aiuto, nella possibilità di riuscire a sopravvivere, a un passo dalla morte? Non ci pensai oltre: stappai nuovamente l'ampolla e la vuotai. Poi gettai la fiala fuori di lì. Quella rotolò fuori dalla mia cella, tra la paglia sporca che se ne stava addossata ad una parete. Feci in tempo a sedermi nuovamente e tutto si fece d'ombra. |
“Che io sia dannato!” Disse una delle sentinelle. “E’ morta, c’è poco da fare!”
“Ma com’è stato possibile? Chiese l’altra sentinella. “Cosa vuoi che ne sappia! Era una strega ed avrà usato qualcuno dei suoi poteri per morire! Del resto, le fiamme del rogo fanno paura a chiunque!” “Ora cosa facciamo?” “Beh, quel che facciamo sempre in casi come questo! La chiudiamo in un sacco e la bruciamo in un luogo appartato e sconsacrato. La legge non vuole che un cadavere sia arso pubblicamente. Sarebbe peccato mortale.” “Faccio chiamare qualcuno per portarsi via il cadavere, allora.” Poco dopo giunsero due uomini che caricarono il sacco col cadavere su un carro. “Dove la brucerete?” Chiese una delle sentinelle. “Non possiamo uscire perché c’è l’assedio… le daremo fuoco e la butteremo allora dalle mura e chissà che il corpo di questa strega non maledica il Gufo ed i suoi tirapiedi!” Rispose uno degli uomini sul carro. “Ben detto!” Ridendo la sentinella. “Io intanto avvertirò monsignor Ravus. Addio!” Più tardi, in una zona isolata della cittadella, due figure stavano sotto una quercia ad attendere. “Mamma, mamma!” Chiamava Uriel mentre correva verso la casa. Melisendra uscì e raggiunse la staccionata. Guardava il suo bambino mentre le correva incontro. “Guarda!” Esclamò il piccolo mostrandole un coniglietto. “L’ho trovato nel bosco… credo abbia smarrito la mamma… posso tenerlo? Ti prego, mamma...” Ad un tratto però la ragazza udì dei passi dietro di sé. “Melisendra…” disse Gouf avvicinandosi. “Melisendra…” chiamò Guisgard “… Melisendra, mi sentite?” “Forse non si sveglierà, mio signore…” mormorò Diacono guardando la ragazza “… dopotutto è pur sempre un veleno quello che le abbiamo dato…” “Sta zitto, vecchia cornacchia del malaugurio!” Lo riprese Guisgard. “Non vedi che si sta svegliando! Si, grazie al Cielo! Si sta svegliando… Melisendra, mi riconoscete?” |
Il sogno si confuse con la realtà, quando improvvisamente le tenebre si aprirono davanti ai miei occhi. Sentii una voce chiamare il mio nome.
Ero ancora angosciata da quel sogno e dalla minacciosa presenza di Gouf. Mi svegliai sentendo le lacrime scivolarmi lungo le guance. Mi agitai, cercando di riemergere da quel sonno drogato. "No, non fargli del male..." sussurrai, cercando di allontanare da me quell'immagine. Aprii lentamente gli occhi. C'erano due persone chine su di me, che mi guardavano con preoccupazione. Presi fiato diverse volte. Il petto mi bruciava. "Dove..." cercai di alzarmi, poi guardai meglio quei visi e capii. "Guisgard?" domandai, con sorpresa. "Sono viva?" mormorai scioccamente. Poi qualcosa si ruppe dentro di me, come una diga che crolla, e scoppiai a piangere. |
“Certo che siete viva…” disse Guisgard “… volevate forse essere morta?” Scherzando. “Su, ora riprendete fiato… è tutto passato… come un brutto sogno… ecco, prendete…” porgendole un fazzoletto ricamato “… immagino non ne abbiate uno, vero? Beh, del resto è la prima volta che vi vedo piangere! Ah, comunque, dopo dovete rendermelo quel fazzoletto, mi raccomando! Mi è stato dato da una dama come pegno d’amore e, capirete, se lo smarrisco lei non mi aprirà più le porte del suo cuore!” Sorridendo. “Ditemi…” tornando serio “… riuscite ad alzarvi? Provate a fare qualche passo… il veleno probabilmente sta già cessando ogni suo effetto, ma potreste avere ancora le braccia e la gambe intorpidite… provate a sgranchirle…”
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Feci ancora un paio di respiri profondi e mi asciugai le lacrime con il fazzoletto che il cavaliere mi porgeva.
Lasciai che quei respiri profondi lavassero via tutte le ansie. Cercai di alzarmi e con un po' di fatica ci riuscii. "Sto bene... ora sto bene... per un attimo ho pensato di essere veramente..." non completai la frase e mossi qualche passo. Accennai a un sorriso. "Come ci siete riuscito? E io che pensavo che ormai foste lontano da questa città..." poi pensai a tutto ciò che stava accadendo e che sarebbe successo. Mi sedetti nuovamente e guardai Guisgard con autentico terrore nei miei occhi. "Non c'è tempo... mio figlio! Gouf l'ha preso! Devo andare da lui..." poi la mente mi si schiarì del tutto. "Vuole voi... vi stanno cercando tutti: le guardie e il mio padrone... è stato lui a decretare la mia condanna: Izar. Ci farà uccidere tutti..." Frettolosamente rimisi in mano a Guisgard quel fazzoletto di pizzo e cercai nuovamente di alzarmi. |
“Già, adoro essere al centro dell’attenzione.” Disse spavaldo Guisgard. “Che volete farci, sono fatto così! Mi sento lusingato nel sapere che la mia pelle sta a cuore a tante gente!” E rise di gusto.
Poi quel nome pronunciato da Melisendra. “Izar? Avete detto Izar? Non capisco…” mormorò Guisgard “… cosa centra Izar? Siete ancora sotto l’effetto del veleno? Ora calmatevi e raccontatemi tutto dal principio.” Fissò poi il fazzoletto. “E comunque potete tenerlo quello, tranquilla. Saprò guadagnarmi ugualmente le grazie di quella dama. Avanti…” tornando serio “… raccontatemi cosa è accaduto, del perché vi hanno arrestata, di vostro figlio e cosa centra Izar in tutto questo.” |
Icarius restò in silenzio davanti alle parole di Sayla.
“Non badateci, milord…” disse Lho avvicinandosi “… questa terra non è stata ancora tutta convertita al Vero Credo e molti, soprattutto nelle regioni interne, sono ancora legati agli antichi culti delle primitive popolazioni galliche… purtroppo non possiamo cambiare il mondo, mio signore… lasciamo dunque che questi pagani seguano le loro tradizioni…” “Non capite?” Fissandolo Icarius. “Questa ragazzina è come posseduta! Nessuna fede religiosa può trasformarci in assassini! E’ ovvio che è il male ad istigare la sua voglia di sangue!” Poi Sayla, all’improvviso corse via. Icarius e Lho la inseguirono. Giunsero tutti davanti ad una porta chiusa. “Cosa cercate qui?” Chiese loro Shezan. “Questi sono gli appartamenti privati di lady Layla e sono costretto a chiedervi di tornare giù.” “Andiamo, Sayla…” fece Icarius prendendo per mano la ragazzina e fissando Shezan. Scesero tutti nel cortile e restarono all’ombra di un grosso albero. Icarius si lavò il viso in una delle fontane, come a voler rinfrescare i pensieri, scossi dagli ultimi eventi. “Perché sei corsa via così, Sayla?” Domandò alla ragazzina. “Cosa hai sentito che ti ha fatto reagire così?” Da una delle finestre del palazzo, intanto, Layla fissava adirata il suo verziere. Aprì la mano nella quale teneva il ciondolo strappato a Talia e guardò nuovamente quel volto. “Ti odio!” Disse con rabbia. “Ti odio per tutto il male che tu e la tua gente mi avete fatto! E ti giuro sul mio stesso dolore che non riavrai mai più la tua bella moglie! Mai più! Perché presto condividerai la stessa sorte dei tuoi avi, maledetto!” E lanciò il ciondolo nel verziere. |
Pasuan sorrise e baciò con dolcezza Dafne.
Prese allora la sua mano e chiese alla ragazza di condurlo di nuovo in quel luogo infernale. I due scesero nel ventre di quella tomba, mentre un irreale silenzio avvolgeva ogni cosa. Le pietre sembrano sudare umidità, mentre le ombre generate dalle torce sulla nuda pietra parevano danzare in un macabro sabba, in attesa di qualche oscuro sacrificio. Pasuan e Dafne avevano ripercorso la medesima strada, eppure quel luogo sembrava diverso. Dafne non ricordava e non riconosceva quella strada, sebbene il loro cammino fosse pressoché obbligato. Ad un tratto, finalmente, la ragazza vide in lontananza una luce. Con prudenza i due cominciarono ad avvicinarsi a quella luce. Proveniva da una piccola stanza semivuota ed illuminata da un grosso cero per gran parte consumato. Ma fu il suo contenuto a turbare Dafne. In un angolo, voltato di spalle, vi era un uomo seminudo, col corpo tutto ricoperto da tagli e ferite. Tremava come in preda a chissà quale crisi di paura e farfugliava qualcosa di incomprensibile. All’improvviso cominciarono ad udirsi degli strani rumori, provenienti da una stanza vicina. Si sentiva un fuoco che bruciava e qualcuno che si lamentava. E a quella voce l’uomo girato di spalle cominciò a tremare ancora di più, per poi scoppiare a piangere. Un pianto straziante e disperato. Ad un tratto si udì un gemito provenire dall’altra stanza e quel lamentò cessò di colpo. L’uomo che dava le spalle a Pasuan e Dafne ebbe come un capogiro. Improvvisamente si udì un grido e qualcuno corse nella stanza. Era il grottesco bambino che Dafne aveva visto in braccio a quella misteriosa donna. Il bambino non aveva abiti e mostrava il suo corpo completamente deforme. Si lanciò ai piedi dell’uomo voltato di spalle e cominciò a strappargli la carne a morsi. L’uomo gridava per quel terribile dolore, mentre il mostruoso bambino si cibava dei suoi piedi e dei suoi polpacci. “Dafne!” Disse Pasuan, mentre le grida di dolore di quell’uomo riempivano la stanza. “Dafne, cosa sta succedendo?” Ad un tratto il cero che illuminava la stanza si consumò ed un buio profondo avvolse ogni cosa. |
“La Luna…” disse Talia quasi in un sospiro “... com’è bella stasera... mi ricorda quando uscivo a notte fonda dal mio balcone a fissarla… sai, dal palazzo reale di Sygma il Cielo sembra più vicino e certe notti speciali puoi quasi arrivare a toccarlo...”
“Ti manca Sygma?” Domandò Icarius avvicinandosi. “Certe volte si, mi manca tanto…” “Allora devo trovare una soluzione per questa tua malinconia, gioia mia…” disse lui abbracciandola da dietro e cingendole i fianchi con le sue braccia. “E cosa potresti mai fare, milord?” Chiese lei sorridendo e voltandosi a guardarlo. “Beh, potrei imitare l’antico re di Babilonia che pure si ritrovò ad affrontare un problema simile.” “Davvero?” “Certo.” Annuì Icarius. “Pare che anche sua moglie soffrisse di nostalgia. Lei proveniva da terre lussureggianti, mentre invece Babilonia era nel bel mezzo del deserto.” “Già, davvero un bel problema.” Divertita lei. “Ed io potrei allora agire proprio come fece il re di Babilonia...” “E come, mio ingegnoso marito? Costruendo nel bel mezzo del nostro verziere i leggendari Giardini Pensili?” “Giardini Pensili?” Ripeté lui stupito. “E cosa centrano i Giardini Pensili ora? Caso mai le Colline Pensili!” “Sei matto!” Ridendo lei. “Ed io che ti prendo pure sul serio!” “Sei bellissima quando sorridi, Talia…” sussurrò lui “... non dovresti mai essere triste o malinconia... è quasi un peccato non vederti sorridere...” “Ora non sono più malinconica...” sorridendo lei. “Dai, dimmi cosa posso regalarti stanotte! La Luna? Si, prima parlavi della Luna!” Fissò allora il pallido astro notturno. “Potrei prenderla al laccio per te. Ti piace l’idea, amore mio?” Lei lo ascoltava divertita. “Così potrei decidere anche a che distanza lasciarla… va bene com’è ora?” Continuò Icarius. “O la vuoi più vicina? Ehi, madonna Luna, mi sentire? Parlando alla Luna. “Potreste venire un po’ più vicino? Fareste felice mia moglie e lei, poi, farà felice me stanotte!” “Ma che scemo che sei!” Fingendo di dargli un buffetto lei. “Beh, cercavo solo l’aiuto della Luna per conquistare la mia bellissima moglie.” “Mi hai già conquista…” sospirò lei. Ed un dolce, infinito bacio unì i due nell’incanto di quella notte sotto la pallida Luna di Capomazda. Talia si svegliò di colpo, quasi destata da quel bacio avuto in sogno. Si voltò intorno e in un attimo rammentò ogni cosa. Era prigioniera in quella stanza posta su una torre tanto alta da renderla più vicino al Cielo che alla terra. E segregata lì dentro, la tristezza e lo sconforto le attanagliarono il cuore. http://www.teenidols4you.com/blink/A...1179592233.jpg |
Talia era prigioniera, da qualche parte nel castello, ne ero sicura. Ma Schezan ci mandò via, dicendo che quelle erano le stanze di Lady Layla.
Una volta giunti nel verziere, Icarius mi domandò perchè ero fuggita via. "Ma come, Voi non avete sentito? Sono sicura di aver udito le grida di una donna e quando poi mi sono appoggiata alla porta ho sentito dei singhiozzi provenire da dietro di essa. Non vorrei farvi preoccupare inutilmente, ma credo che quella donna fosse la Granduchessa..." improvvisamente Lady Layla si sporse dalla finestra che dava sul verziere e gridò parole d'odio contro Icarius. La Strega lanciò un ciondolo verso di noi. Quando questo toccò terra, lo presi e lo osservai. Mi pareva familiare. Lo aprii. Oh... Icarius? Ma certo! E' il ciondolo di Lady Talia! Allora avevo ragione, l'hanno rinchiusa in una stanza del castello. Portai il ciondolo ad Icarius che o guardò preoccupato; Lady Layla nel frattempo era rimasta alla finestra e guardava l'Arciduca con aria minacciosa. |
Aprii gli occhi di scatto e li ruotai intorno...
Quel sogno... O forse era un ricordo... Richiusi gli occhi e tentai di scavare nella memoria. Sentivo che la densa nebbia che l’avvolgeva si stava diradando, ma era comunque difficile distinguere tra sogni e ricordi... era difficile dare un nome solo a quel tumulto di sensazioni ed emozioni... quello che sapevo era che, qualsiasi fosse il nome con cui volevo chiamare quel sentimento, esso aveva un solo volto e una sola voce: quelli di Icarius. Tutto il resto non era importante. Sospirai e riaprii gli occhi. La stanza era piccola e circolare, totalmente vuota ad eccezione del rigido pagliericcio su cui ero seduta. La luce proveniva da una sola finestra, alta stretta e fortemente strombata, che gettava sulla parete di fronte una vivida e sottile lama luminosa... Mi spostai presso la finestra e sbirciai il cielo... era terso e arioso, di un azzurro purissimo... un azzurro simile a quello degli occhi di Icarius. |
"Come avete detto voi: non mi avete mai visto piangere. Spero di non prenderci l'abitudine. Prendete." Gli restituii il fazzoletto. Poi, continuando a sgranchirmi le gambe, gli lanciai un'occhiata preoccupata e iniziai a raccontare.
"E' Izar... il consigliere dei Taddei è il mio signore. Capite? E' sempre stato lì, sul suo piedistallo a decidere le sorti di questa città." Mi doleva un po' la testa. Mi accarezzai le tempie, cercando di non pensare al veleno. Che cosa diavolo mi avevano dato? "La lettera del messaggero che dovevo incontrare conteneva alcune informazioni di cui sono andata a rendere edotto il Capitano Monteguard, l'unica persona di cui mi sia potuta fidare, ma Izar mi ha scoperta... e vista la sua posizione non è stato difficile per lui provare un modo per liberarsi di me... definitivamente, se non fosse stato per voi. Ho scoperto la sua identità quando ero ormai nella mia cella. Quell'uomo è riuscito a ingannare tutti!" Poi mi rattristai, ma in uno scatto d'ira strinsi così forte i pugni da far sbiancare le nocche. "Nella lettera del Gufo c'era scritto che hanno avvelenato i canali che riforniscono d'acqua la città. Ma non è tutto: ha dato un ultimatum. Tre giorni di tempo per consegnargli voi... o ucciderà il bambino che ha in ostaggio." Per un attimo mi mancò nuovamente l'aria. Mi voltai verso Guisgard e lo guardai negli occhi. Dai miei traspariva un'enorme angoscia. "Ha preso Uriel... ha preso mio figlio! Non posso perdere altro tempo... devo andare via di qui! Devo andare da lui!" Sentii gli spiriti darmi coraggio. Se ne stavano grevi a mezz'aria, in attesa di disposizioni. "Portate Pandemonio da me." Sussurrai. Poi, quasi imbarazzata, mi rivolsi a Guisgard: "So che non vi piacciono le mie stregonerie... ma non c'è tempo. Devo andare... e anche voi. Se vi trovano vi consegneranno senza pensarci due volte." |
Icarius fissò quasi incredulo quel ciondolo.
Era quello di Talia. Ma perché non era al collo di sua moglie? E senza attendere un momento di più, corse verso il palazzo. “Presto, seguiamolo!” Disse Lho a Sayla, Nishuru e Luna. Ma quando Icarius tentò di entrare nel palazzo, si ritrovò Shezan davanti. “Da qui non si passa.” “Togliti di mezzo, o me la pagherai!” Ringhiò Icarius. “Non aspetto altro, milord.” “Ci sono io, Shezan.” Giungendo Layla. “Voglio vedere subito mia moglie.” Disse Icarius. “Altrimenti la cercherò io, per poi dar fuoco a questo luogo! Neanche i vostri molossi si salveranno!” Layla sorrise con astio. “Lady Yelia sta bene.” “Non chiamatela così!” Urlò l’Arciduca. “Potrete vederla quando e se supererete la prova.” “Sono stanco di aspettare!” “Oh, ma tranquillo, milord… domani, se Dio vorrà, affronterete la Dolorosa Costumanza.” Mormorò Layla, mentre un lampo d’odio si accese nei suoi occhi. |
Guisgard restò un momento a fissare Melisendra, dopo averla ascoltata con attenzione.
“Beh, per voi andrebbe proprio bene…” disse “… la mia cattura porterebbe alla liberazione di vostro figlio, no?” Continuò a fissarla con uno sguardo di ghiaccio. “Milord, quell’uomo… Izar…” balbettò Diacono “… Parusia è in suo possesso… voi dovete riprendere quella spada… lo dovete al vostro sangue…” “Io non devo nulla a nessuno, vecchio! Capito? Nulla a nessuno!” “Milord…” fece il vecchio “… nessuno può scegliere il proprio destino… voi dovete riprendere la spada dei vostri padri…” “Perchè?” “Perché nessun altro può…” rispose Diacono “… se finisse nelle mani del Gufo sarebbe la fine per il nostro mondo… egli non è solo un uomo malvagio, ma è anche un eretico… tutti i vostri avi hanno combattuto contro i nemici della Fede e della Chiesa…” “Maledetto!” Prendendolo per il bavero Guisgard. “Se tu non fossi un povero vecchio ti avrei già fracassato la testa!” “Si, picchiatemi!” Con orgoglio Diacono. “Picchiatemi fino ad uccidermi! Ma niente cambierà ciò che siete, milord! Siete il figlio di sua signoria lord Ardross! Ed il vostro sangue vi chiede di combattere!” Guisgard lanciò un urlo, tentando di interrompere il vecchio, ma fu inutile. “Dovete riprendere Parusia, milord…” Guisgard chinò il capo ansimando per la rabbia. Si voltò poi verso Melisendra. “Voi sapete entrare nel covo di quel maledetto…” mormorò “… dovete accompagnarmi almeno fino all’ingresso…” |
"Come sarebbe a dire? Siete uno dei Taddei?" Lo guardai sempre più diffidente.
"E questo piccolo insignificante dettaglio vi siete dimenticato di dirmelo?" Arretrai di qualche passo. Ascoltai gli spiriti. Sembravano tranquilli e ben disposti. Ero dubbiosa. "Ma come è possibile? No, non fa niente, credo di immaginarlo... Tenetevi pure i vostri segreti. E sia... vi accompagnerò a riprendere la spada, tuttavia non so dove l'abbia nascosta." Un nitrito distolse la mia attenzione da quell'uomo. Vidi Pandemonio avanzare verso di me. Il suo manto grigio rifletteva la luce del giorno morente. "Ma... c'è un ma... ora mi aspetterete qui. Dato che non ho nulla da nascondere, vi dirò che aspetterete che faccia uno spuntino e poi andremo alla Cappella del Cristo Redentore." Era una necessità. Non mi sentivo in forze e avrei avuto bisogno di tutte le mie energie. Senza aspettare una risposta saltai in groppa a Pandemonio e mi coprii col mantello. Per la prima volta dopo tanto tempo cacciai con un'ostinazione che non ricordavo. Mi spostai tra i vicoli della città, nutrendomi ora di uno ora di un altro. Non uccisi nessuno, ma mi godetti ogni singola goccia di energia. Non mi sarei fermata se non fosse stato per il sole che calava sempre di più e per il caro Pandemonio, che picchiettò col muso sulla mia spalla, come per dirmi che era abbastanza. Fermai la mia avidità e lasciai che Pandemonio mi riportasse dove avevo lasciato Guisgard. Non ero stata via a lungo. "Eccomi, sono pronta... possiamo andare. Intendo attraversare la palude all'alba, quindi dobbiamo sbrigarci." Pandemonio si agitò inquieto e io lo accarezzai. Ignorai le occhiatacce del diacono e ripensai con determinazione ai miei propositi. Avrei ucciso chiunque avesse cercato di torcere un capello a Uriel. Avrei fatto qualunque cosa per salvarlo. |
Quando Icarius si ritrovò tra le mani il ciondolo della moglie, lo riconobbe subito e tentò di entrare nel palazzo; ma sulla porta c'era Schezan che gli sbarrava il passo.
Oramai ho deciso: se questa notte dovrò uccidere qualcuno, ucciderò Schezan! Fissai Schezan con sdegno. Dietro di lui comparve poi Lady Layla che disse ad Icarius di non crucciarsi perchè Yelia stava bene e che il duca avrebbe potuto vederla solo dopo aver vinto la Dolorosa Costumanza. E' infine arrivato il momento: domani Icarius affronterà questa misteriosa tradizione, la Dolorosa Costumanza... Presi Icarius per un braccio e lo allontanai da Layla, così che lei non sentisse. "Siete sicuro, nobile Taddei, che dobbiate fare ciò per riavere vostra moglie? Come fate ad essere certi che Lady Layla manterrà la sua promessa? Io non mi fiderei di quella donna, ma siete voi a dover decidere, non io..." Stavo male solo a pensarci, ma dovevo dirglielo, dovevo. "Questa notte non so se riuscirò a resistere alla sete. Mi addentrerò nel bosco al chiaro di luna e cercherò una preda. Credo che del sangue animale per ora mi possa bastare, almeno per ingannare per un poco Theenar..." quelle parole mi uscirono tremanti dalla bocca e subito mi scusai, silenziosamente, con il mio Signore, per l'offesa recatagli. Mi riavvicinai a Lady Layla. "Mia Signora, il sole è alto nel cielo e credo che noi tutti, compresi i bambini che stanno ancora giocando nel cortile, saremo felici di poter mangiare alla vostra tavola, se possibile." Carne... Devo mangiare della carne, per riuscire a resistere fino a stasera. |
“Beh…” disse Guisgard a Melisendra “… perché quello sguardo? Il fatto che io sia nobile cambia qualcosa per voi? Ognuno di noi ha i suoi scheletri nell’armadio…” la fissò col stessa diffidenza che la donna mostrava per lui “… e poi, se ricordo bene, voi stessa avete detto che ognuno di noi è quel che è…”
Giunse Pandemonio e Melisendra disse loro di attenderla là. Al suo ritorno trovò Guisgard e Diacono ad aspettarla. “Andiamo.” Fece il cavaliere. “A me interessa solo raggiungere l’ingresso di quel posto. Poi, per quanto mi riguarda, potete andare dove più vi aggrada. Anche al diavolo! Ah, non siete obbligata di certo a riferirci i vostri spostamenti riguardo ai vostri… banchetti.” Scosse il capo. Lasciarono Diacono e raggiunsero la Cappella del Cristo Redentore. |
"Ad essere sinceri... quello che sta andando al diavolo siete voi... proprio a casa sua..." gli risposi senza scompormi.
"E comunque bella facciatosta! Tutti quei rimproveri sull'onestà, quando non è che voi siate stato l'apoteosi della sincerità... ora tutto ha un senso. O almeno... ha più senso di prima." Una volta alla cappella mi fermai. "Come intendete entrare?" Pandemonio scalpitò nuovamente. Era ansioso di correre via. "Se vedete Izar ditegli che Melisendra gli deve un bacio... e che sarà indimenticabile." Feci per girare il cavallo, ma esitai. Infine domandai: "Dove avete lasciato Gavron? Sta bene?" |
“Sincerità? Già, sincerità…” disse Guisgard “… ne avete avuta forse voi per me? E poi cosa intendete dire con quelle parole? Perché dite che tutto ora ha un senso?”
Fissò la cappellina col Cristo Redentore e si segnò tre volte. “Si, Gavron sta bene.” Mormorò. “Io e Diacono l’abbiamo lasciato nel convento dei frati Della Preghiera Perpetua… è solo al mondo… spero che quei monaci possano tenerlo con loro e dargli un’istruzione per il futuro… ammesso che questa città abbia ancora un futuro… ah, ha chiesto di voi… nonostante facciate di tutto per sembrare quella che siete, riuscite comunque a strappare affetto in quel bambino…” cominciò ad osservare la cappellina “… se tornerete dal Gufo, lui vi ucciderà!” Esclamò quasi con freddezza. “E forse lo farà davanti a vostro figlio, mostrando poi il vostro cadavere come monito ai capomazdesi… se un po’ conoscete davvero quell’uomo, allora desistete dai vostri sciocchi propositi… a meno che non intendiate farvi uccidere…” si voltò a fissarla “… come fate ad ignorare ancora la malvagità di quell’uomo? Quando andavate a letto con lui non vi siete mai fermata a guardarlo negli occhi?” Chiese con disprezzo e rabbia. “Beh, avreste dovuto farlo… così da evitare di commettere la sciocchezza che state per fare ora…” |
"State cercando di spaventarmi? Pensate che non sappia chi è il Gufo? E' proprio perchè l'ho amato che non posso vedere cosa è diventato..." abbassai gli occhi. "Non mi pento di niente. Ma ora la cosa più importante è Uriel... non posso lasciarlo a lui. Lo ucciderà... o ancora peggio! Se non lo ucciderà, temo ancor di più che possa plasmarlo a sua immagine!" E quello era ciò che mi atterriva. C'erano troppe maledizioni che si trasmettevano come colpe ataviche, col sangue.
"Sono sempre stata sincera con voi e con Gavron. Non c'era ragione per non esserlo. Sapete bene quali sono i miei talenti... o maledizioni, come preferite..." alzai gli occhi al cielo ormai scuro. "Ora si spiega quella malinconia che avevo visto dentro di voi... sapete, ancor più dei miei banchetti, la lettura delle sfumature dell'animo umano è una maledizione maggiore... perchè grazie ad essa avevo trovato del buono perfino del Gufo." Smontai da cavallo e sbirciai verso la cappellina. "D'accordo... ora cercate di farvi venire in mente un piano per prendere quella maledetta spada. Se posso essere d'aiuto nel mandare all'aria i piani di Izar, non vedo perchè non dovrei farlo!" |
“Beh, se avete visto del buono nel Gufo, allora dovreste rivedere un po’ la vostra capacità di leggere nell’animo umano.” Disse con sarcasmo Guisgard. “Ammesso che quel maledetto abbia davvero qualcosa di umano nel suo animo.”
Tornò a fissare la cappellina. “Comunque, la malinconia che dite di vedere dentro di me” continuò “non dipende certo dai Taddei… il sangue non conta niente… è il cuore che anima i sentimenti di un uomo… ed io non sarò mai come loro… anche se il cuore, talvolta, fa brutti scherzi…” restò un attimo in silenzio dopo quelle sue ultime parole. “Un piano? Beh, c’è poco da fare…” riprese “… credo che la spada sia custodita qui sotto, in questo suo dannato covo… ora che conosciamo la sua identità ne sono ancora più certo… infatti non avrebbe potuto nasconderla nel palazzo… lì ci sono troppi occhi indiscreti… quindi non ho molta scelta… devo scendere di nuovo in quest’Inferno a cercare come Orfeo…” sorrise come spesso faceva, con quella sua velata irriverenza “… sperando che anche Orfeo non vi stia antipatico come il buon Paride!” Cominciò a toccare la cappellina, in cerca del meccanismo che avrebbe aperto il passaggio. “Il vostro aiuto potrebbe essere prezioso, visto che conoscete meglio di me i meandri di questo luogo… ma vi avverto… laggiù dovrete essere davvero una novella Euridice e parlare il meno possibile!” Si voltò e le fece l’occhiolino. “Ma come si aziona l’apertura di questo passaggio?” Esclamò poi spazientito. |
“Si, Sayla, non ho altra scelta.” Disse Icarius. “Devo affrontare quella prova. E’ l’unico modo per riavere Talia…” fissò allora Layla “… stanotte…” tornando a guardare la ragazzina “… sangue animale…” ripeté chinando il capo.
In realtà Icarius era in pena per Sayla. Aveva paura di questa natura oscura celata in lei. Sayla allora si rivolse proprio alla padrona di casa e questa annuì alle parole della ragazzina e diede ordine di servire la cena. Tutti loro si sedettero a tavola, ma Icarius non toccò nulla. Fissava continuamente il posto vuoto di Talia. “Milord…” disse all’improvviso Layla “… non è forse di vostro gradimento la cena? O forse è la compagnia che vi infastidisce?” “Non ho molto appetito stasera, milady.” Rispose Icarius. “Quanto alla compagnia, fortunatamente, a questa tavola ci sono anche i miei compagni e questo mi rincuora da altre forzate presenze con le quali sono costretto a condividere questa cena.” Layla sorrise. “Rallegratevi, domani lascerete questo mondo ed i suoi mali.” “Siete tanto certa che perirò affrontando la vostra prova?” “Oh, ma io faccio il tifo per voi, milord.” Rispose Layla. “Rammentate? Siete il mio campione ed entrambi abbiamo da guadagnare dalla vostra vittoria.” Il suo tono era beffardo e tradiva un profondo disprezzo. “Chiedo scusa a tutti voi, ma voglio restare da solo…” disse Icarius alzandosi in piedi. “Non è molto cortese, nobile Taddei, ma prego… nessuno vi imporrà la nostra compagnia.” Con un sorriso Layla. Uscito fuori nel cortile, Icarius cominciò a camminare nervosamente davanti al palazzo. Fissava il Cielo, con le sue stelle scintillanti e la sua enigmatica Luna. “Dove sarai?” Si domandava. “Chissà se mi starai pensando… io non posso fare altro che pensarti…” tormentandosi il signore di Capomazda “… Talia… domani finalmente… domani tutto finirà… qualsiasi sia il verdetto di quella prova…” “Avete paura, milord?” Chiese all’improvviso qualcuno emerso dal buio di quella notte. “Nishuru, siete voi…” “Si, milord.” Annuendo l’amico di Sayla. “Mi sono sempre chiesto, quando recitavo le ballate degli antichi eroi, se anche loro avessero mai avuto paura alla vigilia delle loro imprese.” “Ah, loro non so, ma io credo di averne tanta di paura.” Sospirò Icarius. “Siete diverso dagli altri nobili che ho conosciuto.” Sorridendo Nishuru. “Il vostro portamento, i vostri modi, non sono diversi, ma nei vostri occhi non vi è superbia, né orgoglio.” “Immagino che gli eroi di cui cantavate fossero molto più degni di me.” “Milord, io credo che l’eroe sia un uomo particolare…” rispose Nishuru “… è il coraggio che li distingue dagli altri loro simili… ed essere coraggiosi non vuol dire non aver paura… ma vincerla.” “Grazie, amico mio.” Sorridendo Icarius. “Forse dovreste andare a dormire, mio signore.” Fece Nishuru. “Domani vi attende un’impresa non da poco.” “Grazie, ma resterò ancora un po’ qui…” fissando il Cielo Icarius “… non so perché, ma ho la sensazione che anche mia moglie stia guardando ora questo magnifico Cielo…” |
Ad un tratto la porta si aprì e Shezan entrò nella stanza.
Talia era ancora seduta sul pagliericcio e fissava il Cielo dalla finestra. “Vi ho portato la cena, milady.” Disse l’eunuco. “Mangiate e cercate di dormire.” Posò allora accanto alla ragazza il vassoio con il cibo e l’acqua. In quel momento, alle spalle di Shezan, Talia notò un’ombra sull’uscio della porta. L'uomo si avvicinò alla finestra e controllò che tutto fosse in ordine. "Se vi occorre qualcosa" fece Shezan "chiedete pure a me, milady. Se desiderate confessarvi o ricevire il Corpo di Cristo, vostra sorella condurrà qui il suo confessore." Accennò allora un lieve inchino. Un attimo dopo l’eunuco uscì dalla stanza e chiuse a chiave la serratura. Dopo qualche istante Talia udì dei passi che provenivano da fuori, verso il corridoio. Qualcuno si avvicinò alla porta e restò immobile senza dire nulla. |
Fissavo il cielo da non sapevo più quanto tempo ormai... avevo visto il sole alzarsi e compiere il suo giro per poi calare all’orizzonte, oltre il giardino e la selva che circondava il castello. Avevo osservato il tramonto, ogni minuscolo spostamento, ogni bagliore, ogni nuova sfumatura di colore, poi il buio, la luna e le stelle... migliaia di stelle... proprio come quella sera con Icarius...
Icarius... Sospirai e mi mossi leggermente, in modo da poter vedere uno spicchio più ampio di firmamento, chiedendomi dove fosse lui e se anche lui lo stesse guardando... E ben presto, immobile e con la mente lontana da lì, completamente legata ad un cavaliere dagli occhi quasi trasparenti, persi la cognizione del tempo. Non sapevo per quanto tempo ero rimasta in quella posizione, ma doveva comunque essere molto tardi quando la porta si aprì di nuovo e Shezan entrò nella stanzetta. Entrò con un vassoio tra le mani e lo poggiò di fronte a me, io non mossi un muscolo e non parlai, non ringraziai né mutai espressione del volto... mi limitai a fissarlo con lo sguardo più gelido e inclemente che avevo, puntai i miei occhi freddi su di lui e non lo lasciai neanche per un istante finché non uscì di nuovo, gettandogli silenziosamente addosso tutto il mio disprezzo e il mio altero contegno. Shezan richiuse la porta a chiave dietro di sé ma io continuai a non muovermi, quasi non respiravo... tesi le orecchie e udii distintamente i suoi passi pesanti allontanarsi lungo il corridoio, poi scendere le scale... e fu allora che udii un altro rumore: avevo visto un’ombra muoversi vicino alla porta quando Shezan l’aveva aperta, ma non le avevo prestato attenzione, per non richiamare l’attenzione dell’eunuco in quella direzione... in quel momento però udii dei passi provenire da appena fuori la mia porta chiusa, erano passi più leggeri e rapidi di quelli di Shezan ed ero abbastanza certa appartenessero a quella stessa ombra che avevo veduto. Esitai un istante poi mi alzai, aggirai il vassoio senza degnarlo di uno sguardo e mi accostai alla porta con passo leggero. Qui mi inginocchiai, avvicinai l’orecchio al legno malsano e rimasi in ascolto per un momento... ero certa che vi fosse qualcuno lì, ne percepivo la silenziosa presenza... così, dopo appena un istante, mi feci coraggio e portai la bocca vicinissima al battente... “Chi c'è?” mormorai “Che cosa vi porta quassù?” |
Nessuno, in un primo momento, rispose alle parole di Talia.
Poi di nuovo quel rumore di passi proveniente da dietro la porta. “Stai… stai bene?” Chiese all’improvviso qualcuno dal corridoio. Un altro indefinito istante di silenzio e poi di nuovo quella voce incerta: “Sei sola… hai paura? Vuoi che resti qui a farti compagnia? Anche io ho paura, quando resto da solo nella mia stanza la notte…” Talia riconobbe finalmente quella voce: era quella del piccolo Morgan. |
Lo guardai e scrollai le spalle.
"Di qua... siamo fortunati che non ci siano guardie in superficie, ma probabilmente le troveremo all'ingresso sotterraneo." Armeggiai con una statua e dietro a una cascata di foglie rampicanti trovammo l'ingresso. Scrutai nel buio. "Luce..." gli spiriti mi ubbidirono prontamente e si illuminarono come già avevano fatto nella palude, lanciando bagliori come bizzarri fuochi verdazzurri. "Euridice, dite? Avete intenzione di lasciarmi qui... Orfeo?" Gli lanciai un'occhiata scettica e iniziai a scendere l'ampia scalinata. |
Morgan!
La sua voce mi giunse sommessa e alterata ma riconoscibilissima. Chiusi gli occhi e richiamai l’immagine di Morgan alla mente... i suoi occhi luminosi e vivaci, i capelli scurissimi e quella infinita e ingenua gentilezza un po' sfacciata tipica dei bambini. Eppure adesso la voce di Morgan suonava diversa da come la ricordavo, adesso la sua voce era triste e spaventata, era esitante e tremula... non potevo vederlo, ma avrei giurato che stesse tremando. “Morgan...” mormorai, tentando di infondere nella mia voce quanta più dolcezza e calore potevo “Morgan... sì, certo che sto bene! Non preoccuparti, piccolo, non succederà nulla di male...” Sorrisi. Lui non poteva vedermi, ma ero certa che mi percepisse esattamente come io percepivo lui... “Sei molto gentile a farmi compagnia, sai? Mi fa molto piacere che tu sia qui con me. Sono felice ora!” Esitai un attimo poi, più piano, chiesi: “Morgan... non vuoi dirmi che cos’è che ti fa paura? Sai... se vuoi possiamo affrontarla insieme quella paura. E vedrai che insieme riusciremo a cacciarla via!” |
Fortunatamente per cena c'era molta carne animale e mi tranquillizzai un poco; bevvi anche molto vino.
Icarius non toccò cibo e Lady Layla si indispettì, ma quando egli gli chiese di potersene andare, la strega acconsentì. Poco dopo anche Nishuru abbandonò il banchetto. Quando la cena finì andai nelle mie stanze per cambiarmi prima di andare a "caccia". Indossai la tunica nera dei sicari ed uscii da palazzo. Mentre attraversavo il giardino vidi Icarius e Nishuru parlare fra di loro; probabilmente di Lady Talia e della prova che Icarius avrebbe dovuto affrontare l'indomani. Varcai il cancello senza farmi notare dalle sonnecchianti guardie e mi inoltrai nel folto del bosco. Mi arrampicai su di un albero, mi appollaiai su di un ramo e tesi le orecchie nel tentativo di sentire un qualsiasi rumore nelle vicinanze. Passò ben mezz'ora prima che udissi un lieve rumore di zoccoli sui ciottoli vicino al fiume. Scesi dall'albero e mi avvicinai al fiumiciattolo. Sulla riva opposta a quella ove ero io, un bellissimo cervo si stava abbeverando. Con un salto passai all'altra sponda del fiumiciattolo, senza che l'animale se ne accorgesse; in poco tempo fui dietro al maestoso cervo e lo assalii. Mi buttai su di lui e, tenendolo inchiodato a terra con le gambe, lo afferrai dalle corna e gli torsi il collo finchè non sentii un forte schiocco. Era morto. Sfilai il pugnale dal suo fodero e, mentre sgozzavo il povero cervo, recitai la solita litania. "Theenar, Signore del Sangue e Mio Signore. E' vostra figlia, Verdammt la maledetta che vi parla. Come vostra Prescelta vi dono il Corpo e il Sangue di questo Cervo." dicendo ciò presi il Calice Sacro, lo riempii del sangue del cervo e bevvi avidamente. Il sangue dell'animale mi calmò, ma non come avrebbe fatto del sangue umano. Per ora mi dovrò accontentare. Dopo aver prosciugato il cervo di gran parte del suo sangue, tornai a palazzo. Non doveva essere passato molto tempo da quando ero uscita, perchè Icarius e Nishuru stavano ancora discutendo. Salii le scale per andare nelle mie stanze e vidi, seduto davanti ad una piccola porta, Morgan. "Ciao, Morgan! Cosa ci fai qui? E' tardi, so che gli altri bambini sono già andati a dormire..." Morgan mi fissò sorpreso ed impaurito. Mi inginocchiai vicino a lui per tranquillizzarlo. "Sta tranquillo, Morgan. Non voglio farti nulla." Ma che cos'ha? Dovrebbe già essere a letto... Poi sentii un rumore al di là della porta e una voce familiare chiamare piano il piccolo Morgan. Non può essere... |
“Beh, se parlerete troppo, finirà davvero che vi lascerò in questo posto, mia cara Euridice.” Disse Guisgard con sarcasmo a Melisendra, per poi affiancarla nello scendere in quei meandri abbandonati.
I due raggiunsero così il covo dei traditori, che appariva avvolto nel più assoluto dei silenzi. Guisgard sbirciò da una delle pareti di pietra, assicurandosi che avessero via libera. “Sembra che la strada sia libera…” mormorò “… rammentate come si arriva alla stanza in cui c’era quel maledetto Izar? Quella in cui mi ha fatto prendere a calci dai suoi tirapiedi? Bene, se si, allora indicate la strada… ma mi raccomando, con prudenza…” |
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