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Icarius sorrise a Sayla e con una carezza le sfiorò i capelli.
“Io credo che tutto ruoti attorno a quella misteriosa prova…” disse “… non so perché, ma sento che è così… e non mi resta che affrontarla…” Fissò tutti i suoi compagni negli occhi e sorrise loro. Forse per l’ultima volta. “Grazie, amici miei…” mormorò, mentre i suoi occhi azzurri erano diventati vermigli per le velate lacrime che li stavano bagnando. Seguì allora Shezan ed entrambi uscirono dalla stanza. Nishuru li seguì fino al cortile, recitando una vecchia canzone, mentre Icarius montava a cavallo. Poi ritornò dagli altri. Sayla aveva diviso le varie zone del palazzo da esplorare tra lei, Lho, Nishuru e Luna. Si erano dunque divisi per cercare meglio. Sayla, poco dopo, giunse in un grande salone. Vi erano teste di animali sulle pareti e scudi con simboli nobiliari ovunque. Corazze ed armi facevano bella mostra in quel luogo, conferendo all’ambiente un’atmosfera solenne. All’improvviso qualcosa le gelò il sangue. Una risata grottesca ed innaturale echeggiò nell’aria. Una risata disperata, delirante, inquietante. Una risata che sembrava celare follia e dolore. Una risata che fece precipitare il cuore di Sayla in un abisso di angoscia e pena senza fine. Un attimo dopo, superato un primo momento di smarrimento e paura, la ragazzina comprese che quella voce apparteneva ad una donna e proveniva dal piano di sopra. Proprio sul salone nel quale lei ora si trovava. |
Gouf la fissò ed una sadica espressione comparve sul suo volto.
“Ho sempre ammirato il tuo coraggio…” disse “… soprattutto ora che tutto è perduto per te…” rise “… ma io non sono come il tuo malvagio padrone… oh, no… io sono riconoscente… e tu, in passato, mi hai donato più di un momento di piacere… cosa rende davvero grande un imperatore, sir Ivan?” Chiese all’improvviso. “Ecco…” mormorò sorpreso Ivan per quella singolare domanda, ma anche, soprattutto, turbato per quella violenta e cruda scena “… secondo Traiano, Marco Aurelio, Costantino il Grande e Teodosio era la misericordia che distingueva gli imperatori dai comuni mortali…” “Ed allora io sarò degno di quei grandi uomini…” fece Gouf fissando Melisendra “… sarò misericordioso con te… non ti costringerò a sopravvivere a tuo figlio… domani morirete entrambi.” Prese allora la ragazza e la legò ad un pesante baule di ferro. “Ecco, è sotto la vostra responsabilità, sir Ivan.” Rivolgendosi al barone. “Fate attenzione… è come un serpente...” Un attimo dopo uscì dalla tenda, lasciando Ivan a guardia della ragazza. |
Mi sedetti accanto al baule a cui ero legata.
Non tentai nemmeno di liberarmi. Acquietai le fiamme, anche se l'idea di dare fuoco all'accampamento era allettante, dovevo prima scoprire dove si trovava mio figlio. Sospirai spazientita. Mi voltai verso Ivan de Saint Roche, pensieroso e incupito dall'accaduto. "Non potevamo rincontrarci in un momento migliore..." mormorai senza celare il sarcasmo. "Da quando eseguite i suoi ordini?" Ora che la tempesta era passata e iniziavo ad abbassare le mie difese, sentivo la guancia pulsare e un sapore metallico di sangue in bocca. "Potete anche liberarmi, non vedo dove potrei fuggire... e poi non abbandonerei mai mio figlio." Ero terribilmente seria. E infastidita. |
“Già, ci saremmo dovuti incontrare in un altro momento, milady…” disse Ivan “… magari senza questa guerra di mezzo...”
In quel momento entrarono due soldati per portare via i cadaveri dei due uccisi poco prima da Gouf. “Non seguo gli ordini di nessuno…” mormorò appena i soldati lasciarono la tenda “… quando cadrà Capomazda ci sarà la mia parte di oro… e solo a quello obbedisco io.” Si alzò e versò del vino in una coppa. “E poi avete visto di cosa è capace quell’uomo? Non ha esitato ad uccidere due dei suoi uomini… è pazzo… irrimediabilmente pazzo…” le si avvicinò “… volete del vino, milady? Vi farò bere io da questa coppa se volete…” disse con fare lascivo “… lì abbiamo anche del cibo…” indicando un piccolo tavolino “… naturalmente dovrei imboccarvi io, milady…” aggiunse con tono ambiguo. |
"So del piano per uccidere Sir Gouf... e ora, senza Lord CImarow come farete a sbarazzarvi di lui? E a evitare che il vostro alleato a Capomazda, il rispettabile Izar, si liberi anche di voi?" Sorrisi. "Oh sì, so molte cose..."
Mi sistemai meglio e cercai di pulirmi il sangue all'angolo della bocca, ma legata in quella scomoda posizione faticai non poco. "Penso che dovreste seriamente considerare di liberarmi, Sir de Saint Roche..." Sbattei innocentemente le ciglia. "Vi assicuro... meglio per voi che non abbia appetito..." |
Ivan fissò turbato Melisendra.
“Come sapete tutte queste cose?” Domandò visibilmente agitato. “Siete davvero una strega, dunque!” Si allontanò e fissò l’entrata della tenda. “Ma Gouf non vi crederebbe mai! No, mai!” Rise quasi disperato. “Vi manda forse Izar?” Chiese sempre più confuso. “Avanti, parlate o vi strapperò io stesso la lingua, dannata strega!” Fissò il vuoto della stanza pensieroso. “Parlate, vi dico!” Urlò, per poi portarsi una mano sulla bocca. “Potrebbe entrare qualcuno e per voi sarebbe la fine… si, potrei uccidervi e poi slegarvi, così da dire che avete tentato la fuga, costringendomi ad uccidervi!” Rise compiaciuto. “Vedete? Sono molto più furbo di voi! Si, vi tengo in trappola!” Ma in realtà il timore di attirare i sospetti di Gouf sembrava averlo reso folle per la paura. “Avanti, parlate! Ditemi se vi manda Izar!” |
Sorrisi ulteriormente, per nulla agitata.
"Oh in un certo senso mi manda lui... considerato che è stato lui a crescermi..." Lo guardai un po' divertita. "Ma questo non ha più importanza... soprattutto ora che sia io che voi rischiamo il collo." Accennai ai miei polsi imprigionati. "Non sono una strega e Izar mi ha messa al corrente dei suoi piani... e voi non ci siete tra essi. Almeno... bè, fino a un certo punto... poi pouf! Scomparite..." Feci timidamente spallucce. "Vi prego, calmatevi... tutto ciò è inopportuno e imbarazzante! Avete così tanta paura della furia di quel pazzo? Bene... una ragione in più per decidervi a fare qualcosa per toglierlo dalla vostra strada..." Modulai la mia voce in modo suadente, sapevo che si sarebbe insinuata dentro di lui, solleticandolo. "Pensateci... ormai Capmazda è presa, cadrà tra pochi giorni... a cosa vi serve il Gufo? Perchè non eliminarlo e confermare a Izar la vostra fedeltà... nonché abilita... prendere il vostro oro e i vostri uomini e andarvene senza attirare su di voi la sua malevolenza? Io potrei aiutarvi... sarebbe sciocco uccidermi, quando avete tra le mani me e i miei poteri... e voglio solo il bambino che tiene prigioniero..." Mi ritrassi, come intimidita. Poi lo guardai con un sorriso angelico, che stonava con le mie parole, ma mi faceva apparire nient'altro che un'innocua ragazza. "Penso che possiate essere molto più furbo di Gouf... in fondo lui non è che Achille, mentre voi... voi aspirate a seguire le orme del saggio Ulisse..." Lo guardai, in attesa. "Dunque?" |
Ivan la fissava mentre parlava.
La voce di Melisendra sembrava seguire gli sbalzi di umore di Ivan, ormai del tutto alla mercè della propria paura. L’uomo allora cominciò a camminare nervosamente nella tenda. Riempì una coppa di vino e la scolò tutta d’un fiato. La sua fronte era rigata dal sudore e la sua espressione grottescamente contratta. “Gouf è praticamente invincibile…” mormorò “… molto più di un Achille, o di un Sigfrido… non ha punti deboli… ho assistito ad alcuni suoi duelli… non l’ho mai visto neanche ferirsi… come si potrebbe fare per ucciderlo? Come?" |
"Vedo che sapete cogliere un'occasione quando ne vedete una..." sorrisi in modo invitante e suggerii alla sua mente ben altri pensieri.
"Togliete a un condottiero la sua armatura e rimarrà solo un uomo... a quel punto non sarà difficile per me usare le mie magie e per voi ucciderlo in un regolare duello... di fronte a tutti... e il suo esercito diverrà vostro..." Accennai ai miei polsi incatenati. "Non vi alletta l'idea?" Sentivo le sue paure sciogliersi come ghiaccio al sole alla prospettiva di tanto potere e nuove ricchezze. Forse avevo trovato le giuste corde da sfiorare. Abbassai modestamente gli occhi al suolo e rimasi inginocchiata docilmente. |
Un sorriso sorse sul volto di Ivan, quasi a sciogliere quella sua espressione contratta di un attimo prima.
“Già, la sua corazza…”mormorò “… beh, quella avete molte più possibilità di togliergliela voi…” avvicinandosi alla ragazza “… sono certo che non rifiuterà la vostra compagnia… anche se dovesse avervi come schiava, anziché come amante…basterà solo essere un po’ accondiscendente da parte vostra…” le accarezzò i capelli e poi il volto “… e poi, a vedervi, è quasi un peccato pensare di liberarvi… siete così docile, indifesa…” sorrise con ambiguità “… Izar da questa storia ci guadagnerà la morte di Gouf… voi vostro figlio… ed io? Suvvia, non meriterò, alla fine, un po’ della vostra riconoscenza, milady?” In quel momento entrò un soldato. “Tutto in ordine, signore?” “Cosa vuoi?” Chiese con rabbia Ivan. “Ero venuto a controllare che tutto andasse bene, milord.” “Si, tutto in ordine.” Annuendo Ivan. “Sto interrogando la prigioniera. Puoi andare.” “Si, milord.” Ed uscì dalla tenda. |
Talia rammentò ogni cosa.
L’ingresso improvviso di Shezan ed il suo risveglio in quella stanza. Questa era più piccola di quella dove era stata chiusa poco prima. Era una sorta di mansarda costruita sopra la precedente stanza, attraverso un tetto a cassettoni. Non presentava porte o altri accessi visibili ed era più spoglia e scomoda dell’altra e come quella anche questa aveva un’unica finestra che dava sul cortile. Talia sentì allora delle voci ed un nitrito. Era quello di Matys. Si affacciò alla finestra e vide Icarius pronto per affrontare la misteriosa prova. “Senza amore si vive invano e io ce l’ho scritto sulla mano. Un cavaliere vero per l’amore si fa spaccare pur anche il core. Eppure se, gioia mia, t’amo tanto devo andare senza aver rimpianto. Chiedo perdono dei sospiri delle pene, amor mio, Dio sa che sei il mio solo bene. Col pianto nel cuor mi devo ora rassegnare a farti solo una carezza perché devo andare.” Recitò Nishuru mentre l’Arciduca si avviava a partire. Un attimo dopo il cantore tornò dagli altri suoi compagni. Talia, nel vedere Icarius, avrebbe voluto gridare e chiamarlo. E forse gridò davvero. Forse con tutto il fiato che aveva in corpo. Ma era troppo in alto per essere udita. Eppure il vento sembrò portare con se l’eco della sua voce fino a sfiorare il volto di Icarius. L’Arciduca allora alzò lo sguardo verso l’alto, ma tutto sembrava tacere. Anche la Luna. Layla gli si avvicinò dicendogli qualcosa. Poco dopo finalmente Icarius entrò nel verziere e svanì in quella lussureggiante vegetazione. Ma un istante dopo Talia udì dei rumori provenire da sotto il pavimento. |
"Non vi basta l'oro? Oh, siete insaziabile..." Ridacchiai sommessamente.
"Sapete, ho i miei dubbi che Gouf accetterebbe una mia resa... soprattutto perchè conosce i miei poteri... Ma forse voi potreste escogitare un modo per suggerirglielo. Farebbe qualunque cosa se sfidato." Cercai una posizione più comoda, ma era irrimediabilmente complicato trovarne una. Pensai a mio figlio, chiuso chissà dove e spaventato. "Penserò a mostrarvi la mia riconoscenza quando ci saremo lasciati il Gufo e Izar alle spalle..." Sorrisi. |
Ivan restò pensieroso dopo le ultime parole di Melisendra.
“Si, in effetti vi è del buono in quel che dite…” mormorò “… Gouf non sa resistere ad una sfida… troveremo il modo di farlo abboccare…” si avvicinò ed allentò le corde “… ora ascoltatemi… io mi allontanerò e manderò una guardia al mio posto… voi vi libererete delle corde ed eliminerete poi il vostro carceriere… così facendo voi sarete libera ed immune da ogni sospetto… ci ritroveremo in seguito per discutere di cosa fare…” Allora Ivan uscì dalla tenda ed un attimo dopo una guardia giunse a prendere il suo posto nel sorvegliare Melisendra. |
Mi schiarii la gola.
Guardai il soldato che era stato mandato a sorvegliarmi. "Dovresti avvicinarti..." mormorai guardandolo e concentrandomi. "Avvicinati... non aver paura..." sorrisi rassicurante. "Vieni..." Nonostante l'incertezza quell'uomo non riuscì a ignorare i miei comandi. "Più vicino..." mormorai, quando fu accanto a me. Gli feci segno di abbassarsi. Non appena fu sopra di me io mi alzai e mi attaccai a lui. Il suo respiro fu mio. Bevvi a lungo, ma lo lasciai solo addormentato. "Dimentica..." gli sussurrai nell'orecchio prima che scivolasse nel sonno. Quindi uscii dalla tenda e iniziai a cercare mio figlio, sbirciando nelle tende. Non sapevo dove andare. "Portatemi da lui..." mormorai agli spiriti. Quelle nuove forze che avevo acquisito mi avrebbero aiutato a tirarci fuori da quella situazione. Poi sentii una voce familiare... |
Gli spiriti guidarono Melisendra, attraverso l’accampamento.
La donna, coperta dagli spiriti, si muoveva nel campo come se fosse sospinta dal vento, mentre i cavalieri si preparavano al nuovo giorno. Il Sole aveva già lasciato i monti che sorgevano ad Est e sulla palude i suoi raggi cominciavano a dissolvere la velata foschia che ricopriva quel luogo. Le grida dei soldati, indaffarati in diverse attività, sembravano quasi coprire i passi di Melisendra. Ad un tratto, giunta presso una tenda, udì qualcuno piangere. Era la voce di Uriel. Ma non era solo. |
Mi precipitai verso la tenda e mi acquattai tra i suoi drappeggi.
Intravidi la zazzera scomposta di mio figlio. Lo avevo trovato. Non riconobbi il profilo della persona che era con lui. Mi appiattii nel mio nascondiglio e rimasi in attesa che mio figlio rimanesse solo. Quando tutto fu silenzioso, ad eccezione dei singhiozzi di Uriel uscii allo scoperto e corsi a stringerlo tra le mie braccia. "Amore mio... sono qui... non temere! Ti porterò via di qui!" Lo strinsi forte contro di me e poi gli asciugai il visino. Controllai che stesse bene. Non era deperito, ma era stanco e scosso. Chissà cosa gli avevano fatto per terrorizzarlo così. Chissà cosa gli aveva fatto quel mostro! "Sssh... Uriel, devi ascoltarmi, devi essere forte... ancora un poco, tesoro mio..." Sentii il nitrito di Pandemonio. Era lì fuori, vicino. Gli spiriti erano straordinariamente efficienti. Strinsi ancora una volta mio figlio, desiderando di non lasciarlo mai più. Gli infusi il coraggio che gli sarebbe servito e placai le sue paure. Nel contempo mi accorsi che qualcosa si era sbloccato dentro di lui. Quei poteri, i suoi poteri, sembravano in tempesta. Era stata l'ira, la paura e l'odio per quegli uomini che lo avevano preso a svegliarli anzitempo. "Amore..." ero quasi timorosa di domandarlo "Puoi leggere l'animo delle persone?" Lo guardia nei suoi occhi profondi e stentai a credere che fosse successo. "Non fa niente, Uriel, ma devo saperlo... così presto ce ne andremo via da qui e troveremo un posto sicuro dove andare." Gli accarezzai la fronte. |
Icarius ascoltò Nishuru ed un senso di malinconia s’impossessò di lui.
Ad un tratto sembrò avvertire un eco nel vento. Come se fosse la voce di Talia. Cercò con lo sguardo, ma tutto tacque. “Sono qui per augurarvi buona fortuna, milord.” Disse Layla avvicinandosi a lui. “Del resto siete pur sempre il mio campione.” E rise. “Io tornerò…” fece il taddeide “… e mi riprenderò mia moglie… ricordatelo… io tornerò…” “Si, nei ritratti e nei poemi di qualche bardo, milord.” Replicò compiaciuta Layla. “Qualcuno vi dedicherà una statua come è accaduto a tutti i vostri nobili antenati. Tutti morti, raffigurati in quel freddo e decadente marmo.” Sorridendo ma tradendo astio. “Addio, nobile Taddei.” Icarius la fissò senza dire nulla. Montò in sella a Matys e guardò un’ultima volta la grande torre del palazzo. Aveva con sé, oltre alla sua spada, la bellissima rosa Mia Amata. “Entrate nel verziere e tenetevi sempre sul sentiero, milord.” Indicò un valletto. Un attimo dopo l’Arciduca partì. Icarius entrò nel verziere e, seguendo l’indicazione del valletto, imboccò il sentiero. Ai lati di questo vi erano querce, salici, olmi ed aceri frondosi. L’Estate dominava attraverso il verdeggiare delle foglie animate dalla lieve brezza pomeridiana e dal canto soave degli uccelli. Ai margini del sentiero, come a racchiuderlo, correvano roseti dai vivaci colori e dagli intensi profumi, cinti da bassi muretti di laterizi lucidi e levigatissimi. Altre specie di fiori, dall’aspetto esotico e dai colori vivaci, crescevano tra le siepi, quasi snodandosi da quel fogliame e seguendo la luce del Sole che si muoveva verso Ovest. Quel lussureggiante verziere sembrava essere l’ideale scenario di una favola e fissandone le meraviglie l’Arciduca non faceva fatica ad immaginarne la magia che assumeva la sera, sotto la luce stregata della Luna e delle stelle, ed all’albeggiare dove quei boccioli scintillavano nell’argentato alone della rugiada mattutina. Icarius percorse quell’angolo di mondo che sembrava incantato, mentre le luci del giorno, man mano che il meriggio annunciava il suo arrivo, cambiavano in tonalità e luminosità. Ad un certo punto tutto sembrò divenire più incolto e selvatico. Il verziere sembrò mutarsi in un bosco e la concezione dello spazio avvertita sino a quel momento, da limitata e circoscritta, divenne di colpo diversa e indefinita. L’Arciduca continuò a seguire il sentiero tracciato che serpeggiava tra i folti cespugli e i grossi alberi che parevano voler proteggere il canto degli uccelli ed impedire alla luce del Sole pomeridiano di raggiungere il terreno. Ad un tratto Icarius avvertì dei rumori, come se qualcuno stesse lavorando ad una pietra o a qualcosa del genere. Un attimo dopo ai margini del sentiero apparve una piccola edicola di gusto classico. Accanto vi era un vecchio impegnato a scolpire qualcosa nell’edicoletta. “Salute a voi, buon uomo.” Salutò Icarius. “A voi, amico mio.” Rispose il vecchio. Era costui di corporatura piccola, dai capelli folti e bianchissimi ed il viso pulito da barba o baffi. Nel voltarsi verso l’Arciduca, Icarius si accorse della sua cecità. Il vecchio stava scolpendo un bassorilievo raffigurante la Santa Vergine Maria. Ma, fissando quell’opera, Icarius si accorse che alla Vergine mancava il Bambino. Vi era anche un incavo all’altezza del petto della Madonna, ma nonostante questo non c’era traccia del Bambino. “A cosa lavorate?” Domandò Icarius. “Oh, io sono il Maestro delle Imprese della Fede, mio buon messere” rispose presentandosi il vecchio “ e questo rilievo è dedicato a Nostra Signora del Rosario col suo Bambino.” “Il Bambino lo aggiungerete in un secondo momento?” “No, non vedete che è già in braccio alla Vergine?” “Non c’è alcun Bambino tra le braccia di Maria.” Fece Icarius. “Bontà Divina!” Esclamò il vecchio. “Si è staccato!” Toccando con le mani il rilievo. Disperato allora si chinò a terra e cominciò a cercare con le mani. Icarius allora smontò da Matys e si unì alle ricerche del vecchio. “Eccolo!” Disse Icarius. “L’ho trovato!” “Sia lodato il Cielo!” Esclamò il Vecchio. Icarius si segnò, baciò il Santo Bambino e lo consegnò al vecchio. “Vi prego…” fece il vecchio “… adagiatelo nell’incavo. C’è un perno incastonato nel marmo, vedete?” “Si, ho visto.” “Ecco, fatelo combaciare col foro alle spalle del Bambino.” Spiegò il vecchio. “Così resterà ben saldo al rilevo.” Icarius seguì le indicazioni del vecchio e sistemò il Bambino fra le braccia della Vergine. E nel farlo recitò una preghiera. “Madre di Dio e madre mia… ecco tuo Figlio… ti prego, ridammi mia moglie…” e si segnò tre volte. “Grazie, amico mio.” Disse il vecchio. “Sapreste indicarmi dove avviene la prova chiamata Dolorosa Costumanza?” “Non credo di averla mai udita…” pensieroso il vecchio “… sentendone il nome mi fa pensare ad una triste consuetudine… forse riguarda il passato…” “Il passato?” Ripeté Icarius. “Si, il passato che spesso rimpiangiamo.” Rispose il vecchio. “Rimpiangere il passato è una dolorosa e inutile consuetudine… la vita è davanti a noi, non dietro.” Icarius sorrise. “Seguite il sentiero, comunque…” indicò il vecchio “… di qualsiasi cosa si tratti, si trova sicuramente alla fine di questo cammino.” “Grazie.” Disse Icarius. “E che Dio vi benedica.” “E che vi assista, amico mio.” E salutato il vecchio artista, Icarius riprese il suo cammino in sella a Matys. |
Uriel tremava, ma fra le braccia di sua madre, dopo un po’, sembrò ritrovare una velata serenità.
Strinse forte Melisendra, quasi a non volersene separare più. Poi staccò la testolina dal petto di lei ed annuì. “Si…” mormorò “… si, posso vedere nelle persone… posso sapere quello che pensano… ma non in tutte… nel cavaliere nero non posso…” In quel momento Melisendra si accorse che Uriel aveva una catena alla caviglia che lo teneva imprigionato ad un palo fissato nel terreno. Ad un tratto si udirono dei passi: qualcuno stava ritornando nella tenda del bambino. |
Gridavo... gridavo con tutta la forza che avevo, con tutta la voce che riuscii a tirar fuori.
Gridai e gridai ancora... lo chiamai, lo invocai... ma era distante, troppo distante perché la mia voce lo raggiungesse. Un attimo prima, solo per un momento, avevo creduto di esser riuscita a raggiungerlo... si era voltato alle mie grida, si era voltato ed aveva guardato verso il castello... lo avevo chiamato di nuovo, gridando il suo nome... ma era stato un attimo, poi Layla gli si era avvicinata e un istante dopo si stava già addentrando nella vegetazione in sella a Matys. Mi accasciai contro il davanzale, mentre un profondo senso di disperazione mi pervadeva... Rimasi per qualche minuto in silenzio, con gli occhi chiusi e la fronte contro il muro, pregando ferventemente che non gli accadesse nulla di male... Poi all’improvviso sentii dei rumori... Alzai la testa di scatto e rimasi in ascolto... Rumori provenienti da sotto il pavimento... Mi scostai dalla finestra e mi appiattii a terra, schiacciando l’orecchio contro il pavimento... rumori che non riuscivo a distinguere bene... “Aiuto!” gridai allora, senza pensarci neanche per un istante, prendendo a battere con la mano a terra “C’è qualcuno? Sono quassù! Tiratemi fuori di qui! Per favore, fatemi uscire!” |
Per un attimo fu come una coltellata. Era così piccolo... così innocente!
Mi domandai quali sarebbero state le conseguenze di quell'esperienza. Andava protetto dall'odio che ci circondava. Non avrei permesso che sviluppasse lo stesso gusto crudele di Gouf. Cercai invano di aprire quelle catene. Strinsi mio figlio prima di posare un dito sulle sue labbra per suggerirgli silenzio. Un rumore di passi indicava che qualcuno si stava avvicinando. Mi nascosi dietro una tenda e attesi. |
"Mio Dio Pasuan, questo è l'inferno" dissi esprimendo con la voce tutto lo schifo e lo sdegno che provavo. "c'è un uomo laggiù, è tutto ricoperto di sangue e... e... il bambino che la strega aveva in braccio gli sta cavando la pelle a morsi, oddio..." mi voltai e vomitai... degluttii più volte e poi mi ripresi. Mi guardai intorno e ripresi a parlare "non siamo mai stati in questo posto, Pasuan, non è la stanza nella quale eravamo stati rinchiusi e non ricordo nemmeno di averla vista prima. Temo che questo posto cambi forma di volta in volta".
Ero molto spaventata e tremavo vistosamente. D'un tratto la luce mancò e ci ritrovammo immersi nel buio. Fui sul punto di gridare quando sentii la mano di Pasuan tapparmi la bocca. |
Melisendra si nascose appena in tempo per non farsi scorgere dalla sagoma che un attimo dopo entrò nella tenda.
Era una donna di età avanzata e di robusta corporatura. Gettò uno sguardo sul bambino e poi posò distrattamente davanti lui due ciotole, una con dell’acqua, l’altra con un pugno di minestra di verdure e pane. “Non hai fame?” Chiese dopo qualche istante ad Uriel. Il piccolo scosse il capo. “Devi mangiare o ti ammalerai.” Fece la donna. Si avvicinò al bambino ed un velo di compassione rese opaco il suo sguardo. Fissò quella catena che teneva il piccolo legato a quel palo e scosse lievemente il capo. Si chinò allora davanti a lui e gli accomodò il ciuffetto di capelli che scendeva ribelle sulla sua fronte. “Facciamo così…” disse accennando un sorriso “… se mangi tutto quel che ti ho portato, io dopo ti racconto una storia… ma una storia vera, dico, non una favola! Eh, cosa dici?” Il piccolo scosse nuovamente il capo. “E’ la storia di un grande cavaliere.” Continuò la donna. “Forse il più forte che sia mai nato. Un cavaliere che è vissuto proprio in queste terre.” Prese allora la ciotola con la minestra e cominciò ad imboccare lei il bambino. “C’era una volta un bambino come te…” cominciò a raccontare, mentre imboccava Uriel “… che un giorno trovò presso un vecchio cimitero un cavaliere ferito… ecco, bravo, mangia. Visto che è buono!” Uriel annuì lievemente. “Allora, dicevamo…” sorridendo la donna “… quel bambino si chiamava Ardea…” In quel momento qualcuno entrò nella tenda. “Tutto bene qui dentro?” Chiese Gouf alla donna. “Si, milord.” Uriel, nel vedere il cavaliere vestito di nero, smise di mangiare. “Cosa fa, i capricci?” “E’ un bambino, mio signore…” rispose la donna “… è spaventato ed è normale che gli manchi l’appetito. Ma pian piano qualcosina comincia a mangiarla.” “Spaventato?” Ripeté Gouf. “Dovrebbe sapere che altri bambini come lui stanno morendo di fame e sete a Capomazda. Un po’ di disciplina e gli tornerà l’appetito.” Scalciò allora la ciotola con l’acqua e con un altro calcio fece volar via quella con la minestra dalle mani della donna. Uriel allora cominciò a piangere per la paura. “Se ti vedo piangere ti prenderò a frustate.” Minacciò Gouf. “No, milord.” Disse la donna, asciugando il viso di Uriel. “Lui è bravo e non piangerà più. Su, dai…” sorridendo al bambino “… sei un ometto e gli ometti come te sono forti e coraggiosi.” |
Il buio.
In un attimo avvolse ogni cosa. Dafne sentì mancare il contatto con Pasuan ed un senso di profonda paura la raggiunse. Poi il rumore di lotta, di scontro. Grida, gemiti. Poi una risata delirante ed angosciante. Poi il silenzio. Il campo era gremito di gente. Le dame erano tutte sulle tribune sotto il palco ducale, mentre il popolo riempiva i bordi dello spiazzo in cui si sarebbe tenuta la giostra. Ovunque vi erano sorrisi, grida gioiose e sguardi innamorati. Ogni dama sognava il proprio cavaliere vincere tutti gli altri e portare in trionfo il proprio colore. Dafne era tra quelle dame. Stringeva in mano il suo velo rosato, mentre il vento sembrava volerglielo strappare e portare via. Fissava le fila degli sfidanti, ma non vedeva il suo cavaliere. Ogni dama riconosceva tra i pretendenti alla vittoria il proprio campione, chiamandolo per nome e salutandolo con il proprio velo colorato. Ma non Dafne. Fissava la folla, i paggi, gli scudieri, i marescialli di campo, ma non vedeva quel volto a lei tanto caro. Il Cielo era terso ed azzurrissimo e grandi nuvole, sospinte dal fresco vento, navigavano verso Est. Il Sole disegnava su di esse riflessi di varie tonalità, dal vermiglio, al dorato, al purpureo e sagome di città lontane sembravano prendere forma su quelle sterminate nuvole. E nel vedere quelle città galleggianti nel Cielo, Dafne immaginava viaggi ed avventure in quei mondi sospesi tra la terra e l’infinito. Ed in ogni viaggio ed avventura il suo cavaliere giungeva a salvarla ed a portarla via da tutto e tutti. Lo squillo delle trombe destò Dafne da quei sogni. La giostra iniziò ed ogni cavaliere si contese la vittoria da dedicare alla propria dama. Alla fine vinse uno sconosciuto messere che raccolse i colori della sua amata e li portò in trionfo su tutto il campo. La giostra si sciolse e tutti andarono via. Dafne tornava a casa sempre col suo velo tra le mani. Era triste ed una lacrima accarezzò il suo bellissimo volto. Ad un tratto tre ragazzi le si avvicinarono. “Ehi, damigella, sei tutta sola?” Fece uno di loro. “Perchè non vieni a divertirti con noi?” Dafne cercò, quasi istintivamente, di nascondere il suo velo rosato. “Cosa c’è?” Il tuo cavaliere ti ha lasciata da sola? Dai, scegli chi fra noi tre ti piace di più e premialo col tuo velo!” “Si, dai!” Gli fece eco il suo compare. “Siete troppo brutti voi tre!” Disse all’improvviso qualcuno appena giunto. “Nessuna dama vi sceglierebbe come campioni! Ora tagliate la corda o vi taglio quei brutti musi che vi ritrovate!” Minacciò Pasuan. I tre gli furono subito addosso, ma il cavaliere li sistemò in un momento, mettendoli in fuga. “Stai bene, piccola?” Chiese poi avvicinandosi a Dafne. “Mi sa che quella giostra non era poi tutto questo granché!” Esclamò sorridendo. “Se il vincitore non ha scelto i colori della più bella fra le dame presenti!” Dafne fissò il suo velo rosato. “Sono ancora in tempo per guadagnarmi quel velo, damigella?” “Ti ho atteso fino all’ultimo…” sussurrò Dafne. “Perdonami, amore mio, ma il capitano mi ha spostato il turno di guardia.” Rispose Pasuan. “Ma ora fino a domani nessuno ci disturberà! Allora, cosa devo fare per poter ambire a quel velo? Forse sfidare madonna Avventura?” Sorrise. “Allora andiamo!” La fece salire in sella al suo cavallo ed insieme raggiunsero il lago vicino. Qui sognarono di grandi avventure, fatte di duelli impossibili e viaggi ai confini del mondo. Quel lago divenne lo scenario incantato per ogni loro sogno. E sulle sponde di quelle acque dorate danzarono fino al tramonto, quando poi la scia della Luna nascente rese quelle stesse acque magiche ed argentate. Pasuan allora vinse l’ambito velo di Dafne, divenendone il solo campione del suo cuore. E quando giunse la notte trovò i due giovani amanti uniti in unico abbraccio fatto di quei sospiri che solo l’amore sa donare. http://xa.yimg.com/kq/groups/3188433...358041?type=sn Dafne si svegliò, ritrovandosi in una stanza illuminata da un’apertura sul soffitto a volta. Attorno a lei vi erano brandelli di vesti e mobili fracassati. Il forno era acceso e dentro vi bruciava qualcosa che produceva, a tratti, intense fiammate. |
Talia cercò di capire da dove giungeva quel rumore.
Proveniva dal piano sottostante, dove si trovava la stanza in cui l’avevano imprigionata precedentemente. Cominciò allora a chiamare e con la mano a battere a terra. La sua voce era disperata. Inizialmente nessuno rispose a quelle drammatiche invocazioni, ma poi, all’improvviso, qualcuno parlò. “Non gridare, o Shezan tornerà e ti punirà…” disse il piccolo Morgan “… quando si arrabbia fa paura… sai, quel cavaliere che è arrivato pochi giorni fa… è partito per la prova… ha salutato i suoi compagni ed è entrato nel verziere… ogni volta che un cavaliere parte per quella prova, lady Layla non si vede in giro… si chiude in camera sua fino a quando non è tutto finito… forse passa il tempo a pregare…” aggiunse il bambino “… la sua stanza è la più bella del palazzo… nessuno può entrare… solo una volta l’ha fatta vedere a noi bambini… dentro ci sono dei candelieri sempre accessi e immagini della Madonna col Bambino, degli Angeli e dei Santi… e poi, vicino al letto, c’è il ritratto del cavaliere che somiglia tanto a quello arrivato qui con i suoi compagni…” |
Le ombre del crepuscolo si addensavano intorno al cavaliere ed al suo cavallo.
Il vento con un gemito accarezzava le cime degli alberi e destava appena quella lussureggiante macchia verde dagli incanti che la sera portava con se. Pian piano l’imbrunire copriva quel bosco, mentre il bagliore lontano, oltre le nuvole che si raccoglievano lungo l’orizzonte, del Sole morente illuminava ogni cosa intorno ad Icarius e Matys. Ad un tratto l’Arciduca giunse in una radura irregolare, nella quale il sentiero si allargava sensibilmente. E ad osservare quel dorato tramonto vi era una donna. Era bionda e pallida, con occhi vispi e languidi ed indossava una lunga tunica stretta in vita di un tenero rosato. Aveva fra le mani una piccola tela su cui stava raffigurando un pastorale scenario nel quale prendevano forma due giovani amanti. “Salute a voi, milady” Salutò Icarius. La donna sorrise e rispose con un cenno del capo. “Potreste indicarmi dove…” “Un momento, cavaliere.” Fece lei, interrompendolo. “Risponderò a quanto chiedete, ma prima devo domandarvi una grazia.” “Ditemi, milady.” “Devo terminare questo quadro e sono giunta ad un punto morto.” Spiegò la donna. “Il paesaggio mi è ispirato da questo splendido crepuscolo, ma non riesco a dare un volto ai due amanti della mia tela.” “Siete un’artista, mia signora?” “Si… sono La Maestra delle Imprese di Amore e devo terminare questo quadro prima della festività dell’Assunta.” “Come posso esservi utile?” Chiese Icarius. “Siete giovane e sicuramente avete amato.” Si, mia signora.” Annuendo Icarius. “In verità amo tutt’ora e amerò per sempre.” “E chi è la fortunata, messere?” Domandò sorridendo la donna. “In realtà sono io ad essere fortunato.” Rispose Icarius. “La donna che amo è mia moglie.” “L’amate molto, vedo.” “L’anteporrei a qualsiasi altra donna.” “Allora un cuore come il vostro non avrà difficoltà a suggerirvi il volto di una bella fanciulla.” Disse la donna. “Descrivetemelo ed io lo riporterò sulla mia tela.” “Non sono un artista, milady.” “Credete? Ogni innamorato è un artista.” Icarius allora chiuse gli occhi e cominciò a descrivere il volto per lui più amato. “La vedo… ha lungi capelli di un castano chiaro simile al colore che il grano maturo assume all’imbrunire, quando le ombre della sera avvolgono la campagna, mettendo in risalto gli ultimi bagliori lasciati dal Sole morente.” Sussurrò l’Arciduca. “I suoi occhi sono simili a quelle gocce d’ambra che i marinai di Ceylon utilizzano come dono votivo alla sposa prediletta di Krishna e dalla quale ricevono straordinarie grazie. Il suo volto invece… non è facilmente descrivibile, sebbene è impresso così bene nei miei occhi… ogni volta che lo vedo assume un’espressione diversa, nuova… come la campagna di Provenza, tra il verde delle viti e il profumo di lavanda, o come quei giardini d’agrumi delle isole del Sud, dove i colori della terra sembrano unirsi alla luminosità del mare e ai riflessi del Cielo… si crede di aver visto ogni meraviglia di questo mondo, eppure si resta poi incantati dalle alte e levigate scogliere della Magna Grecia, dove spumose onde disegnano la roccia da millenni con il loro impeto… così è il volto di lei… di una bellezza indefinita e mutevole… come i sogni, sempre nuovi, che si fanno ogni notte…” “Parlatemi del suo sorriso…” disse la donna “… sorride ella?” “Oh, si…” rispose Icarius “… ella sorride sempre… ed in quel sorriso vi è la felicità di tutto il mio mondo, la mia più grande Gioia… un sorriso che sa illuminare il cuore come solo il Sole può fare con la terra…” “Siete un poeta, milord?” “Io? Oh, no… no, mia signora… sono solo un uomo innamorato…” “Ed io allora vi affiancherò nel mio quadro con la bellissima donna che mi avete descritto…” Icarius sorrise. “E nessuno potrà dividervi.” E a quelle ultime parole dell’artista, l’Arciduca sentì una profonda tristezza. “Si…” mormorò “… almeno saremo uniti in quel quadro…” “Cosa volevate chiedermi poco fa?” “Si.” Fece Icarius. “Devo raggiungere il luogo dove si terrà la Dolorosa Costumanza. Potete aiutarmi a trovarlo?” “La Dolorosa Costumanza…” ripeté la donna “… non credo di conoscere quella prova, ma non si dovrebbe preservare ciò che porta un nome tanto triste… vi consiglierei di desistere dal volerla risolvere, mio signore. Siete un uomo fortunato. Tornate da vostra moglie.” “E’ per lei che devo affrontare quella prova.” “Allora seguite il sentiero.” Indicò la donna. “Alla fine di esso troverete ciò che cercate.” Icarius ringraziò, salutò poi la donna e riprese il suo cammino. |
Salutai tristemente Icarius che si allontanava per affrontare la Dolorosa Costumanza; poi io, Luna, Nishuru e Lho entrammo a palazzo e ci mettemmo a cercare Lady Talia.
Camminai per i larghi e lunghi corridoi, finchè non trovai davanti a me un'enorme porta. L'aprii e mi ritrovai in una grande sala. La sala era davvero molto bella e mi soffermai a guardarne i dettagli. C'erano molte armature e stendardi appesi alle pareti. Poi la sentii. Veniva dal soffitto, probabilmente da una stanza che si trovava proprio sopra di me. Una risata agghiacciante e malefica. Improvvisamente l'aria divenne gelida e mi strinsi nella tunica. Quella risata... Che cos'era? Da dove veniva? Sembrava provenisse dal soffitto... Ma chi può avere una risata simile? Devo andare a vedere. Attraversai il salone a passo svelto e vidi che c'era una piccola porta. Girai il pomello ed essa si aprii cigolando. Dietro la porta c'era una scala, con stretti e ripidi gradini. Era buio. Richiamai un po' di potere e sul palmo della mia mano prese forma una sfera luminosa, di un azzurro intenso. Proseguii piano finchè non mi trovai davanti ad un'altra porta. L'aprii ed entrai nella piccola stanzetta. Era un posto lurido e mi portai una mano alla bocca reprimendo un conato di vomito. L'aria era stantia e notai che non c'erano finestre. Una figura esile stava rannicchiata in un angolo della stanza. I capelli grigi ed unti le coprivano il viso. Era una vecchia. Quando si accorse della mia presenza, smise improvvisamente di ridere e mi sorrise. Un sorriso enigmatico. Feci per parlare, volevo chiederle chi fosse e perchè se ne stava rinchiusa in quella topaia. Ma la vecchia si pose un dito sulle labbra, facendomi segno di tacere. Chi è questa vecchia? E perchè mai rideva in quel modo? Decisi che non era prudente starmene lì da sola e chiamai Luna. Luna... Luna! Devi sbrigarti! Segui la scia del mio potere e raggiungimi. Credo che mi possa servire aiuto. Vieni il prima possibile, ti prego. Il Segno Maledetto cominciò a pulsare mandandomi fitte lancinanti al braccio. Non sono abbastanza forte! Come potevo pensare di poter parlare con Luna e tenere la sfera luminosa, dopo che ho bevuto solo poco sangue animale? Mi accasciai a terra; la testa mi girava, ma resistetti. Non potevo svenire, non con quella vecchia inquietante che mi fissava. |
La durezza delle parole di Gouf mi fece trasalire.
Attesi di sentire i suoi passi allontanarsi e poi, lentamente, scostai la tenda. La donna era ancora lì. Uriel mi vide ma non disse niente, si limitò a guardarmi. Attesi fino a quando la donna non uscì a prendere un'altra ciotola di zuppa. Appena fu fuori dalla tenda mi avvicinai a Uriel e iniziai ad armeggiare con la catena. Presi lo spillone che mi fermava i capelli e cercai di forzare la serratura. "Sii forte, piccolo mio!" Mi guardava con i suoi grandi occhi e tirava su col naso. |
Morgan!
La sua voce mi giunse attutita dal legno del pavimento che ci divideva... eppure la riconobbi subito. “Morgan, mio piccolo amico...” dissi “Sei tornato!” Lo dissi d’impulso, provando quasi sollievo nell’udire la sua voce ormai a me tanto cara e familiare. Le sue parole, tuttavia, spensero subito in me ogni sollievo e mi lasciarono perplessa... Rimasi in silenzio per qualche momento... pensando a ciò che Morgan mi aveva detto e a ciò che avevo appreso da quando ero lì... c’erano tante, troppe cose strane in quella storia, c’erano troppe coincidenze... “Morgan, non preoccuparti...” iniziai a dire “Non preoccuparti per lord Icarius... vedrai che andrà tutto bene! Se c’è anche una sola possibilità di riuscire in quell’impresa, lui ci riuscirà! Vedrai che tornerà presto, vedrai che starà bene...” Lo dissi con voce fervente, tentando di incutere coraggio nel bambino e di infonderne in me allo stesso tempo... sarebbe tornato Icarius... sarebbe tornato e saremmo stati felici... ci credevo, mi sforzai di crederci con tutta me stessa... E intanto, mentre parlavo, iniziai a muovere le mani e a scorrere lentamente le dita sul pavimento... doveva esserci una botola lì da qualche parte, doveva esserci un’apertura che aveva permesso a Shezan di mettermi lassù, doveva pure avermi fatta passare da qualche parte... Il pavimento era liscio e non si vedevano aperture, ma non mi detti per vinta... dovevo uscire di lì e scoprire che cosa stava succedendo... dovevo raggiungere Morgan e prendermi cura di lui... dovevo vedere il ritratto nella stanza di Layla e scovare le misteriose figure che, secondo il bambino, si aggiravano per il castello... Improvvisamente le mie dita incontrarono un solco tra le assi di legno... era praticamente invisibile e tanto sottile da non poter essere afferrato. Spinsi allora quella che credevo essere una botola, cercai una maniglia... ma tutto fu vano. “Va tutto bene, Morgan!” dissi, tentando di far presa con le unghie sul leggerissimo bordo “Tra un minuto sarò da te... e non dovrai più avere paura di Shezan, tesoro. Mai più!” |
Sayla era a terra, quasi senza più forze.
Ad un tratto di nuovo quella delirante risata si diffuse nell’aria. La vecchia rideva come se la ragione l’avesse abbandonata da tempo. Emise poi un gemito, nel quale affogò quella sua angosciante risata. “Andate via da questa casa!” Gridò a Sayla. “Andate via! O anche voi perderete il senno e poi la vita!” E di nuovo si abbandonò a quella sua terrificante risata. E nel fissarla meglio, Sayla si accorse che quella vecchia aveva le caviglie incatenate alla sedia. Chiunque l’aveva segregata in quella stanza, si era assicurato anche che non sarebbe più uscita da lì. |
Melisendra cercava di forzare la catena che teneva Uriel legato al palo.
Il bambino la fissava senza dire nulla e di tanto in tanto gettava lo sguardo verso l’entrata della tenda. In quel momento la donna rientrò. “E tu chi sei? Come sei arrivata qui?” Urlò la donna a Melisendra. “Lascia subito quel bambino! Lascialo ti dico!” E si lanciò su Melisendra. La sua stazza robusta fece si che la ragazza cadesse subito al suolo, per poi restare bloccata nella forte morsa di quella donna. “Come sei entrata?” Chiese di nuovo a Melisendra. “Sei una zingara, vero? Volervi rapire il bambino? Ma ora avrai ciò che ti meriti!” |
Non riuscivo a rialzarmi e Luna tardava ad arrivare.
Ero lì, insieme a quella vecchia che ricominciò a ridere e mi mise in guardia. "Ma voi chi siete? E perchè siete stata incatenata?" anche se avevo paura di quella vecchia, m'irritai pensando che qualcuno avesse potuto incatenarla! Non mi stupirebbe scoprire che l'ha incatenata Lady Layla stessa! "E' stata Lady Layla a farvi questo, non è vero?" dissi indicando le grosse catene. "Avete ragione, signora. Se non me ne andrò al più presto verrò sicuramente uccisa da Schezan. Ma per ora sono qui, quindi... Voi sapreste dirmi perchè Lady Layla ha rapito la moglie del Nobile Taddei?" era una domanda che mi assillava da moltissimo. Era oramai ovvio che a Lady Layla non importava nulla della Granduchessa; era invece molto interessata all'Arciduca. Ma perchè? Non me lo so spiegare... Forse Nishuru aveva ragione e la Dolorosa Costumanza a qualcosa a che fare con la Gioia dei Taddei. Dopo tutto era stato con questo pretesto che Lady Layla rapì Talia. Fissai la vecchia ed ella, a sua volta, fissò me. La sfera luminosa che risplendeva ancora sulla mia mano, pian piano perse potenza e la luce che emanava si affievolì. Improvvisamente fu di nuovo buio. E la risata agghiacciante della vecchia risuonò nell'aria. |
Quella risata, vaneggiante, allucinante, sconvolgente, sembrava come prendere fuoco nella testa di Sayla.
La vecchia ebbe un sussulto, quasi a volersi alzare da quella sedia alla quale era stata incatenata. “Anche lei è incatenata!” Urlò all’improvviso. “Anche Layla è vittima di questa tragedia! Questa tragedia che lei stessa ha evocato dal più profondo e desolato dei gironi infernali!” Emanò un grido stridulo e grottesco, ma capace di far gelare il sangue nelle vene di Sayla. “Quella donna vuole portarvi tutti con lei!” Continuò. “Dovete partire da questo posto, prima del suo ritorno! Ella non trova pace e vuole tormentare anche l’ultimo dei Taddei! E’ pazza! Ha perduto il senno in quell’attesa che l’ha trasformata in ciò che è oggi! Ha rapito la moglie dell'Arciduca perchè solo così avrebbe potuto costringerlo ad affrontare quella mortale prova! Eccoli…” mormorò, cambiando tono all’improvviso “… li sento… anche tu puoi sentirli…” fissando Sayla “… sono qui e non se ne andranno senza portarsi via un’anima… quella di Layla, o quella dell’Arciduca…” e cominciò a piangere, mentre nei corridoi si sentivano rumori di passi agitati e diverse ombre cominciavano ad allungarsi tra le stanze, le scale e le pareti del palazzo. All’improvviso giunsero Luna e Nishuru. Questi accese una candela, mentre Luna corse ad aiutare Sayla. E nell’illuminare il folle volto di quella vecchia, Nishuru lesse nei suoi occhi bagliori di follia e di dolore. |
Per il Cielo ormai spento nel crepuscolo, sospinte da un fresco ed asciutto vento, correvano sulle cime dei monti lontani, mescolandosi e confondendosi, eteree masse nuvolose che lasciavano cadere cupe e lunghe ombre indefinite lungo l’orizzonte.
Chi mai poteva vegliare in quell’ora sconsacrata nel verziere? Quali ombre si celavano fra quella vegetazione sempre più opprimente che dominava incontrastata in quel luogo incantato? Queste cose si domandava Icarius, mentre, seguendo il sentiero, penetrava sempre più in profondità in quel lussureggiante scenario. Ad un tratto scorse una sagoma sul sentiero. Era un ragazzino scarno e vestito con abiti consumati e malandati. Stava accanto ad un piccolo carretto trainato da un asinello. “Salute, mio giovane amico.” Salutò l’Arciduca. “Salute a voi, cavaliere.” Il ragazzino stava riparando alcune marionette ammassate in un baule sul carretto. “Sei un burattinaio?” domandò Icarius. “No, mio signore.” Quasi risentito il ragazzino. “Io sono il Maestro delle imprese di Amicizia.” “ Oh, chiedo a te scusa per il malinteso.” Sorridendo Icarius. “Queste marionette sono molto belle.” Osservò il taddeide. “Le hai fatte tu?” “Si, milord.” Annuì il ragazzino. “Sono per lo spettacolo che celebrerà la fine dell’Estate.” “Che spettacolo metterai in scena con queste tue marionette?” “Una tenzone poetica fra i paladini di re Carlo, signore dei Franchi.” “Davvero notevole!” Esclamò Icarius. “Ma sono nei guai…” “Perché?” “Perché ho finito la stoffa e devo ancora cucire le vesti dell’ultima marionetta.” Rispose il ragazzino. “Ma non ho più denaro.” “Quale marionetta ti è rimasta da vestire?” Chiese Icarius. “Quella di Oliviero, l’amico di Rolando, milord.” Icarius allora, mosso a compassione, si slacciò il mantello. “Usa questo e vedrai che saprà essere adatto al tuo lavoro.” Porgendogli il mantello. “Ma è preziosissimo, mio signore!” Esclamò il ragazzino. “E’ sprecato per una marionetta!” “Servirà a vestire uno dei paladini di Francia.” Facendogli l’occhiolino Icarius. “Quale uso migliore potrebbe avere, dunque.” Il ragazzino ringraziò e baciò le mani del taddeide. “Dai, smettila.” Fece Icarius. “Piuttosto, se vuoi aiutarmi, indicami dove si terrà la Dolorosa Costumanza.” “E cosa sarebbe?” “Possibile che nessuno la conosca!” Esclamò turbato l’ardeide. “Si tratta di una prova, di una sorta di sfida.” “E vi hanno indirizzato qui, milord?” “Si, dicendomi di seguire sempre il sentiero.” “Allora percorretelo tutto, non manca molto.” Indicò il ragazzino. “Probabilmente alla fine troverete ciò che state cercando.” Icarius ringraziò il ragazzino e dopo avergli augurato buona fortuna per il suo spettacolo riprese il cammino. Percorse un folto tratto del verziere, sempre più simile ad un incolto bosco, per poi ritrovarsi finalmente alla fine del sentiero. Questo terminava in una piccola conca tra due collinette. L’eroe capomazdese si guardò intorno, ma non vide nessuno. Ma proprio in quel momento si accorse, sulla sommità della collinetta posta a Nord, di un’antica tomba di marmo. http://nd01.jxs.cz/951/063/c48e349140_30627022_o2.jpg |
"Sssshhh! Fai silenzio o arriveranno tutti!" Feci in tempo a dire solo questo che la donna mi fu addosso.
A malapena riuscii a liberarmi abbastanza da dire: "Non mi toccare! Questo è mio figlio e tu non mi impedirai di portarlo lontano da qui!" Il fuoco del braciere vicino a noi crepitava in modo sospetto, capii subito che erano lì, che se glielo avessi chiesto avrebbero fatto qualcosa. Rovesciai il braciere con un calcio e il fuoco riuscì a distrarre la donna, mentre io tornavo a occuparmi del chiavistello. Con un movimento deciso riuscii a far scattare il meccanismo e liberai Uriel. Lo presi in braccio e mi voltai verso la donna. Ero pronta a usare i miei poteri per uscire da lì con mio figlio. |
Citazione:
"Pasuan" urlai. Non ricevetti che un mugugno per risposta. "Pasuan, stai meglio?" ancora solo mugugni. Il fuoco scoppiettò, la stanza si illuminò maggiormente. Riuscii a vederlo meglio: era nudo anche lui, legato con le catene alle mani, ai piedi e aveva un pesante collare attorno al collo. Sul suo corpo vi erano spruzzi di sangue, non era stato spalmato come nel mio. Le sue mani in particolare erano tutte vermiglie. Capii all'istante che cosa doveva essere successo poco prima: il mostro o la strega, o entrambi, dovevano aver fatto dei tagli sulle mani di Pasuan e dovevano averlo costretto a ricoprirmi con esso. Chissà per quale motivo e chissà per quale strano e orribile rituale. Mi resi conto in quel momento che eravamo spacciati. Lì saremo morti e nessuno l'avrebbe mai scoperto. Scoppiai a piangere pensando a com'eravamo stati stupidi a ridiscendere in quella cavità mortale. E nella mia testa mi arrabbiai con Pasuan: per il suo ideale cavalleresco ci aveva condannati a morte. Noi che avremmo dovuto crescere il nostro bambino. Invece morivamo così, prima dei trent'anni, quando Hubert era troppo piccolo anche solo per ricordare i nostri volti. |
La donna si alzò abbastanza rapidamente, nonostante la sua stazza non indifferente.
Fissò allora Melisendra con uno sguardo indiavolato. “Tu menti!” Disse. “Quel bambino non è tuo! Ci ho visto giusto, sei una zingara e vuoi portarlo via con te! Quel bambino non ha più nessuno al mondo, i suoi familiari sono morti tutti nel massacro di Poggio del Sole!” A quelle parole della donna, Uriel si strinse con forza a sua madre. Il bambino, infatti, aveva rivisto gli orrori che avevano preceduto la sua cattura. “Avanti, lascia quel bambino o darò l’allarme e per te sarà la fine!” Intimò la donna a Melisendra. Intanto, il fuoco del braciere stava già prendendo vigore nella tenda ed in breve buona parte di essa fu avvolta da alte fiamme. Un attimo dopo tre cavalieri entrarono nella tenda. |
"E tu chi saresti? La sua carceriera, immagino... non mi sfidare..." con una mano riuscii a invitare le fiamme ad avvicinarsi a lei, frapponendosi tra noi. Strinsi Uriel. Lo coprii col mio velo. Non volevo vedesse.
"Lasciai mio figlio alle cure di un cavaliere e di sua moglie a Poggio del sole... appena ho saputo cosa era successo, sono venuta qui. Non pensare nemmeno per un momento di potermi impedire di portarlo lontano da questo luogo, vecchia!" Il fuoco si era arrestato, gli spiriti non avrebbero fatto nient'altro che rimanere in guardia, finchè non avessi dato loro il segnale di attaccare. La tentazione di appiccare un incendio nell'accampamento era tanta, ma mi domandavo se Uriel non avesse già visto abbastanza orrori. Era mio dovere risparmiargli altri incubi. Lo sentii stringersi a me, mi teneva le braccia al collo e si teneva stretto. |
Gli spiriti avevano ammansito e poi spento quel principio d’incendio, ma il fumo aveva già attirato qualcuno.
I tre cavalieri giunti nella tenda subito bloccarono l’uscita e circondarono Melisendra. “Come hai fatto ad entrare qui dentro?” Chiese alla ragazza uno di loro. “Poco male…” fece un altro “… sicuramente non ne uscirà viva…” “Prendetele il bambino!” Gridò la donna ai tre. “Zitta tu!” Le intimò uno dei cavalieri. Si avvicinò poi a Melisendra e tentò di strapparle il bambino. Uriel cercò di resistere, aggrappandosi prima ai vestiti e poi ai capelli di sua madre, ma alla fine dovette cedere. Madre e figlio furono separati. Melisendra fu immobilizzata e schiaffeggiata dal cavaliere, che poi le puntò la spada alla gola. “Sai che ho una gran voglia di sfigurare il tuo bel viso?” Mormorò il cavaliere, sfiorandole il volto con la lama della sua spada. “Va bene così.” Disse Gouf entrando nella tenda. “Lasciatela a me.” “Si, milord.” Risposero in coro i tre. |
Lottai contro l'istinto che mi suggeriva di dare fuoco a ogni cosa e ucciderli, nutrirmi di loro e andarmene con Uriel. Non potevo fare una cosa del genere davanti ai suoi occhi, ma cercai di trattenerlo tra le mie braccia con tutte le mie forze.
Quando entrò Gouf la mia rabbia esplose. "Tu! Come puoi fare una cosa simile! Puoi fare una cosa del genere a me, ma non puoi farla a tuo figlio, miserabile verme!" Liberai un braccio con uno strattone e continuai a dibattermi e a inveire contro di lui. "Non ti avvicinare!" evocai nuovamente il fuoco. |
Gouf fissò Melisendra senza tradire emozioni.
I suoi occhi neri, il suo spettrale pallore ed il suo viso erano una maschera di enigmatica impenetrabilità. Alle minacce di Melisendra prese un tizzone dal braciere e lo strofinò contro il suo stesso volto. “Credi davvero che il fuoco o il dolore possano spaventarmi?” Fissandola come se non avvertisse alcun dolore. Fissò per un istante Uriel e poi tornò a Guardare Melisendra. Si avvicinò e con un gesto improvviso quanto fulmineo l’avvolse nel suo mantello nero. “Non siete una donna, né tanto meno una madre…” disse Guisgard fissandola “... cosa farete quando dovrete nuovamente nutrirvi? Ucciderete davanti a vostro figlio?” “Siete come la mia mamma…” mormorò Gavron addormentato sulla spalla di Melisendra. “Avanti, Melisendra…” fece l’oscuro signore “... diglielo che verrai con me di tua spontanea volontà...” “Il fuoco non mi spaventa…” disse Gouf avvicinandosi alla ragazza “… e nemmeno il dolore...” In quel momento Melisendra aprì gli occhi. Avvertiva un lieve capogiro, ma un attimo dopo riuscì a ricordare ogni cosa. Si guardò allora attorno, cercando suo figlio. Era accanto a lei, addormentato. Ma erano entrambi incatenati ad un palo conficcato nel terreno. E non erano soli nella tenda. Seduto su un seggio a pochi passi da loro vi era Gouf. |
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