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Tutti si affacciarono dalle loro tende, compreso Elv che intimò però a Gwen di restare dentro.
La scena che videro era agghiacciante. Il cadavere macellato del caporale circondato da stranissimi volatili che starnazzavano e gracchiavano con versi mai sentiti prima mentre gli spolpavano le carni. "Presto..." disse il capitano "... tutti dentro le tende!" Ordinò. https://media3.giphy.com/media/94DEaLsOq2yYw/source.gif |
Sbuffai quando mi disse di restare dentro.
Ma dico, sul serio? Ad un certo punto, sbirciando, capii da dove veniva quello strano verso. Erano uccelli, a centinaia e centinaia, che facevano scempio del corpo del caporale. Tirai dentro Elv all'ordine perentorio del capitano e ancora non credevo ai miei occhi. "Come possono degli uccelli fare una cosa simile?" dissi inquieta. Inviato dal mio Redmi Note 5 utilizzando Tapatalk |
"Non credo siano uccelli..." disse Elv rientrando nella tenda e intimando a Gwen di stare lontana dall'uscita "... non sono uccelli... nessun uccello si comporta così..." mentre quelle strane creature finivano di spolpare le carni dalle ossa del povero caporale.
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"Beh è quello che sembrano, però! Folli uccelli indemoniati!" dissi, terrorizzata ed esasperata.
"È impossibile rimanere qui in queste condizioni, finiranno per decimarci se stiamo in questo posto oltre l'alba di domani...." Inviato dal mio Redmi Note 5 utilizzando Tapatalk |
Prima che Elv potesse rispondere a Gwen si udì la voce del sergente che ordinava di far fuori ciascuno dalla propria tenda.
Tutti allora, compreso Elv, imbracciarono i loro fucili ed aprirono il fuoco, trivellando di colpi l'aria, scaricando interi caricatori verso quei volatili usciti da un incubo, riempiendo l'aria della sera piena di polvere da sparo e colpendo tutto ciò che avevano davanti. Naturalmente quelle creature alate si dispersero velocemente nel buio e alcuni colpi finirono per raggiungere il cigolato, causando danni profondi. "Basta così..." disse il sergente "... basta così!" Ordinò. Allora si accorsero di aver mancato i volatli, ma di aver centrato in peno il loro carro. |
Beh certo, la missione omicida e suicida per sparare a migliaia di uccelli impazziti era veramente il colmo!
L'aria fu satira dei versi assordanti degli uccelli e il rumore ancor più assordante degli spari. Alla fine, smisero di sparare, uscii la testa fuori dalla tenda e ciò che vidi non mi piacque proprio. "Sul serio? Sul serio il carro è ridotto in quel modo?!" esclamai sconvolta "Come si torna ora indietro?" sospirando senza più parole. Inviato dal mio Redmi Note 5 utilizzando Tapatalk |
"Cavolo..." disse Elv guardando il carro danneggiato "... cavolo! Dannazione!" Gridò. "Non si torna a casa, ecco cosa!" A Gwen.
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Affondai il viso fra le mani.
Come avevano potuto essere così incoscienti?! Sparare così, praticamente alla cieca, erano impazziti?! "È un incubo senza fine, questo..." mormorai, scuotendo la testa. L'idea di casa mia, di mio padre, mio fratello, la mia vecchia vita, era sempre più lontana, un ricordo che diveniva sempre più appannato, offuscato, che rischiava di svanire del tutto. Inviato dal mio Redmi Note 5 utilizzando Tapatalk |
Attesero.
Attesero che la notte passasse e con essa tutti i suoi incubi. Il silenzio pian piano svanì, le stelle tornarono a brillare ed i dinghi ad ululare ora più lontani. Attesero. La notte trascorse lenta, insopportabile, carica di paura e di orrore, di disperazione e sconforto. Poi cominciò ad albeggiare e lentamente la luce del nuovo giorno scacciò le ombre del canyon. Gwen, Elv e tutti gli altri uscirono dalle loro tende e constatarono che il carro era seriamente danneggiato e pezzi di ricambio non ne avevano lì. |
Tentare la sorte.
Prendere in mano le redini del proprio destino. Cercare un futuro migliore. Queste e altre simili frasi fatte erano state alla base delle motivazioni che avevano portato mio padre a prendere una decisione drastica. Abbandonare la nostra casa, la nostra campagna, la nostra nazione per emigrare in un posto lontano, ancora poco conosciuto e dalla nomea ostile. New Texafra rappresentava un nuovo inizio, certo ma era pieno di incognite e rischi. La mattina della partenza, radunati i bagagli, ricordo come avevo dato un'ultima occhiata, rassegnata, alle stanze della casa, al cortile che la attorniava, per poi dirle addio. Per sempre. Ricordo come le mie trecce incorniciavano il mio viso di fanciulla, ancora troppo ingenua per comprendere appieno la durezza di quel nuovo mondo a cui presto mi sarei dovuta abituare. L'arrivo a New Texafra era stato a dir poco traumatico. Nulla era come avevo immaginato. Nulla era come avevo sperato. Nulla era facile. Non vi era un mondo accogliente e ordinato come quello che avevo lasciato. Ben presto dovetti apprendere l'arte dell'adattarsi e il significato della parola sacrificio. Un piccolo appezzamento di terra arida si tramutò in una tenuta, rigogliosa e proficua. La fame si trasformò in ricchezza. Il lavoro, quello vi era sempre, dava però i suoi frutti in abbondanza. Il ranch ormai aveva preso forma, vita. Era animato da animali, pascoli e braccianti. Era divenuto la mia vita. Ed io, da ragazzina inesperta di una dolce campagna addormentata, ero divenuta adulta sotto il sole di New Texafra. Il successo della nostra attività andava comunque riconosciuto a mio padre, un uomo che fin dal primo momento si era rimboccato le maniche e a capo chino aveva lavorato sodo per ottenere ciò che voleva. Non senza intoppi, dissapori e disperazione. Vi erano stati dei contrasti, creati da altri coloni, senza contare le tensioni che si avvertivano in ogni dove per gli scontri contro i nativi del posto. Nativi con cui mio padre aveva sempre cercato di mantenere la pace, donando loro qualche cosa dal ranch per evitare che decidessero di attaccarci all'improvviso. Fino a quel maledetto giorno di due mesi fa. Il morso di un serpente mentre conduceva una mandria. Da solo. Come nella mia mente è vivo il ricordo del suono di zoccoli che raggiunge la casa. Mio padre accasciato sul suo fedele cavallo che ha saputo ritrovare la via da solo ( così avevo creduto inizialmente...) Lo sconcerto da prima seguito dalla disperazione quando realizzai che non sarebbe sopravvisuto il tempo necessario a me per raggiungere la città e cercare aiuto. L'impotenza, lo sconforto, il pianto al suo ultimo respiro. E la solitudine, che talvolta può essere letale quasi quanto il veleno di un serpente. Oltre la casa, a sinistra del pozzo, in quel pezzo di terra che era stato il nostro primissimo possedimento ho deciso di seppellire mio padre. L'ho fatto da sola, piangendo, sfogando il dolore nello sforzo fisico di scavare la terra. E il mio pianto è stato udito, chissà da quanto lontano, tanto che al termine della sepoltura non ero più sola. Oltre i cancelli vi erano delle figure dagli abiti variopinti, la pelle che pareva rossa... Mi osservarono, portando rispetto per il mio lutto per poi allontanarsi. Il mattino successivo rividi quegli uomini, dinanzi al cancello e si, tremai. Tremai perché mi sapevano ora sola e indifesa. Ma non avanzarono di un passo. Attesero che fossi io ad avvicinarmi e solo allora uno di loro allungò una mano porgendomi quello che compresi poi essere un talismano di protezione contro i serpenti. Un bracciale fatto di pietre incise che porto tutt'ora. Anche adesso, lo sto accarezzando distrattamente con le dita, in attesa che il sole cali e porti a conclusione una ennesima giornata di lavoro. Una ennesima giornata in cui lotto per mantenere ciò che mio padre ha costruito, un premio ambito da molti. Inviato dal mio Redmi Note 7 utilizzando Tapatalk |
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