Risi piano a quelle parole di Icarius.
"Mi piace.." sorridendo, iniziando ad immaginare.
Pensai a Solaria, al mio palazzo, quella dorata solitudine che mi accompagnava millennio dopo millennio, quando i giorni sembrano ore, e le ore brevi istanti sempre uguali.
Immaginai i miei appartamenti, nella torre più alta del palazzo, la vista da lì era mozzafiato, se uscivo sul terrazzo potevo abbracciare con lo sguardo i monti e persino il Grande Lago d'Oro.
Pensai poi a quella finestra, la finestra che dava sul giardino, più intima e nascosta.
Lo immaginai lì, che mi spiava con quello sguardo che sarebbe stato capace di mandare a fuoco le montagne innevate.
Mi piaceva, l'idea di immaginare Icarius nel mio mondo, ero sicura che gli sarebbe piaciuto.
Era bello il mio mondo, era incredibilmente bello, forse molto più della terra, qualunque umano sarebbe rimasto estasiato nel vedere i nostri monti, i ruscelli incantati, quella luce soffusa di un perenne tramonto.
Sì, Solaria era forse il posto più bello nell'universo.
Eppure millenni di vita lì non mi avevano emozionato come un solo giorno sulla terra.
Ma sapevo che non era casuale, che non mi sarei mai emozionata tanto come vedendo quella meravigliosa creatura che mi guardava.
Quello sguardo.
Avevo davvero avuto paura di perdere quello sguardo.
Di perdere quel sorriso, di non poter più ammirare quel viso perfetto.
Ora invece era lì, immerso nella sua arte, a guardarmi.
Era uno sguardo nuovo, diverso, eppure ancora una volta bellissimo.
Oh, come avrei voluto conoscere i suoi pensieri di quel momento, mentre continuavo ad osservarlo, immobile, e il suo sguardo correva da me alla tela.
Com'era bello poter restare a guardarlo senza mai smettere, vederlo portare la mano alla tela, ancora e ancora, e trovarsi ad immaginare di essere quella tela dapprima bianca, diventare viva sotto il suo tocco leggero eppure intenso, come lo sguardo che aveva su di me, come creta modellata dalle sue mani d'artista.
Il cuore batteva sempre più forte, sempre più intensamente, mentre sensazioni nuove si facevano strada dentro di me.
Era come se un fremito caldo continuo attraversasse il mio corpo, un brivido capace di lasciare il segno.
Più lo guardavo, e più tutto quello aumentava.
Più lo guardavo, e più avrei voluto alzarmi e raggiungerlo.
Non potevo, sapevo di non poterlo fare, ma ogni volta che posava il suo sguardo su di me, quella sensazione, quel desiderio recondito di averlo vicino cresceva.
Eppure sapevo che vicino non mi sarebbe bastato.
Continuavo a pensare al modo in cui mi guardava in albergo, alla sua mano leggera che sfiorava piano la stoffa del vestito, e alla mia mano che lo accarezzava, mentre un brivido caldo mi attraversava.
Quell'attesa fatta di sguardi rendeva tutto più rovente, più intenso.
Oh, se solo avessi saputo come facevano gli umani a passare oltre.
Dovevo dirgli quello che sentivo?
Dovevo fare qualcosa, come in codice per fargli capire le sensazioni che mi provocava?
Non lo sapevo, sapevo solo che più il tempo passava, più quelle sensazioni intense aumentavano dentro di me.
Chissà se lui aveva notato il cambiamento graduale del mio sguardo diventato da limpido e chiaro sempre più intenso, caldo, rovente come se avessimo cominciato a mezzogiorno, con il cielo di un azzurro chiarissimo, quasi trasparente, e ora fosse il tramonto, con l'orizzonte screziato di un rosso velato d'oro e di rosa e di arancio, un cielo sfaccettato come lo erano le mie emozioni, ma anche intenso e caldo, messaggero nella notte che verrà.
Chissà se guardandomi riusciva a comprendere quanto il posare per lui mi stesse accendendo di un fuoco sconosciuto e intenso, che si era diffuso piano in ogni fibra del mio essere, e ora mi faceva vibrare come una corda di violino.
"Non ti sei ancora stufato di guardarmi?" gli dissi infine, cercando disperatamente di distrarmi da quei pensieri che mi consumavano ogni secondo di più.