Capitolo IV: Caccia allo scorpione
“La folla è una bestia e con le bestie non si ragiona.
La massa, come gregge, attende solo di essere condotta.”
(Seneca)
L'ebbrezza di quella notte di Carnevale saliva sempre più nelle strade del villaggio.
Manciate di coriandoli dagli infiniti colori piovevano intense da ogni dove, poi uova, sacchetti d'acqua e persino di schiuma fredda in una folle lotta tra maschere e costumi.
Dai balconi e dalle finestre donne abbigliate per l'occasione si sporgevano e partecipavano così a quell'accanita battaglia di colori e frastuono con grandine di coriandoli e nastri colorati, secchi d'acqua fredda con petali di fiori e trombette impazzite.
Tutti lottavano, subivano e si divertivano.
Tutti intorno a loro.
Ma Icarius e Clio erano ben distanti da tutto ciò.
Appartati e soli, nella notte e dietro un muro tra piante ed alberi, mentre il resto del mondo impazziva per il Carnevale.
Loro invece erano ben più folli, ma per altro.
Lui alzò i suoi occhi azzurri su quelli chiari di lei, leggendone il piacere, l'eccitazione, il desiderio.
“Lo so...” disse in un gemito lui.
Un attimo dopo, però, si udì un grido che inizialmente sembrò perdersi nel festante casino generale.
Ma poi quel grido tornò ed echeggiò ancora, senza avere nulla di allegro, matto e spensierato.
Un grido che urlò qualcosa.
Qualcuno era morto.