La periferia Ovest di Afragopolis, tra giganteschi agglomerati di cemento e vetro, strade sporche ed affollate di gente senza volto e forma, di mendicanti, extracomunitari e piccoli delinquenti perduti in cupe e desolate piazzette, con giostre fatiscenti e campetti giochi invasi da erba ed asfalto reso incandescente dal Sole.
In uno squallido locale tra due strade ed un vicoletto maleodorante, un artista si esibiva tra i miseri tavolini di una sala in stile retrò anni'70 e cameriere che ancheggiavano succinte tra i pochi ed eccitati clienti.
Con i suoi occhi azzurri e furbi, volto allungato e sbiancato, capelli scuri ed impomatati, movenze sgraziate e voce stridula con un vago accento di borgata, cercava di accalappiarsi sguardi, sorrisi ed interesse di qualcuno di quei miserabili che bevevano indifferenti ed annoiati, fatta eccezione nel destarsi al passaggio delle belle e disinibite cameriere dai modi avvenenti ma volgari.
“Allora, la Fede...” disse lui aggrappato al suo microfono, con l'aria un po' impacciata ed un ghigno indefinito sul pallido viso dai tratti superbi “... parliamone... ma è bene premettere per i credenti in sala... qui si scherza, si fa ironia, sarcasmo...in chiesa invece la Domenica davvero vi prendono per il sedere...” ridendo e sperando che altri in sala potessero seguirlo “... un uomo va nel Confessionale... Padre, ho molto peccato... il prete gli chiede cosa mai abbia commesso... ieri ho violentato un bambino... e poi ho anche bestemmiato...” trattenendo una risata “... ed il prete guardandolo... eh, come ti capisco, figliolo... non stanno mai fermi!”
Qualcuno in sala risa ed applaudì.
“Grazie, siete meravigliosi!” Lui al pubblico.
“Un applauso al nostro amico Fabbrus, detto il Satiro!” Entrando il padrone del locale ed applaudendo il comico che mostrava lievi inchini verso i tavoli.
Un attimo dopo era nel suo camerino, in compagnia di altri volti poco raccomandabili.
“Possibile” uno di quelli “che ancora oggi non abbiamo i soldi per i Libici? L'avevo detto che il passo era troppo lungo per le nostre gambe!”
“Ah oh, stai calmo...” il Satiro a quello “... non capisci? Stiamo pensando in grande... io sono un artista, mica un tagliagole da strada... sono un genio... la vita è arte... non voglio solo arricchirmi... no, voglio meravigliare, ammaliare, sbalordire... voglio che tutti mi acclamino, voglio l'Oscar, l'Orso d'Oro di Berlino e pure il David di Donatello. Voglio il mio viso sui biglietti da un Taddeo. Voglio tutto!”
“Insomma, dove hai nascosto il plutonio?” Un altro di quelli.
“L'ho scritto...” ridendo il Satiro “... ai Libici... l'ho detto tramite un proverbio... bisogna rispettare la saggezza popolare degli antichi, ragà...”
“Che indovinello?” Quello a lui.
Ed il Satiro mormorò:
“Agiilp il been adnoqu eeinv de il aelm adnoqu ceeinnov”
“E cosa vuol dire?” Uno dei suoi compari.
“E' un proverbio...” divertito il Satiro “... l'ho scomposto... vedrai quanto tempo ci metteranno i Libici a ricavarne il significato...”
E voi, dame e cavalieri, di Camelot sapete risolvere l'enigma del Satiro.