Discussione: Enigmi a Camelot
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Vecchio 02-11-2017, 18.12.50   #3645
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Nell'alta Nolhiana, sede di antichi castelli e remote leggende, lo scrittore Ennius Monter prese in affitto un palazzo nobiliare risalente al XVIII secolo per potersi ritirare e lavorare così al nuovo libro che aveva in mente.
Il palazzo, che sorgeva sulle basse pendici di un monte in gran parte brullo, era passato da proprietario a proprietario, fino a finire nei possedimenti di un noto albergatore del posto che ne aveva fatto una residenza per convention aziendali.
Ennius vi arrivò tra la fine dell'Autunno e l'inizio dell'Inverno, quando cioè la domanda clientelare toccava il periodo meno florido.
In questo modo lo scrittore avrebbe trovato quella solitudine e quell'isolamento che riteneva essenziali per la riuscita del suo libro.
Tuttavia i primi mesi furono tutt'altro che generosi in fatto di ispirazione ed Ennius non riuscì praticamente a finire nemmeno il primo capitolo.
Più passavano i giorni, più lo scrittore avvertiva quel vuoto, quell'oblio di spunti, di estro, di passione, così vitali per generare una qualsiasi opera umana.
Una notte di Luna calante gli sembrò di impazzire.
Si rigirava nel letto senza trovare né sonno, né tanto meno pace.
Allora si alzò e cominciò a passeggiare per i lunghi corridoi del palazzo, tra le ampie scalinate di quella nobile magione, fino a vagare senza meta nell'ampio giardino che circondava l'aristocratica tenuta.
Tuttavia i suoi fantasmi, i suoi demoni non cessavano di tormentarlo.
Verso il cuore della notte si sentì perduto, aveva smarrito ogni ispirazione e quando prima le 2 e poi le 3 temette di perdere anche il senno.
Si convinse così che fosse tutta colpa di quel palazzo.
Si, qualcosa di oscuro si celava fra quelle mura, qualcosa di irrazionale, di illogico che sembrava volesse farlo ammattire.
Erano giorni infatti che i ritratti degli antichi padroni del palazzo parevano fissarlo, seguirlo con i loro sguardi fantasmi, quasi deriderlo dell'impotenza letteraria che l'aveva colto.
Quella notte stessa allora, con un coltello, cominciò a lacerare ognuna di quelle tele, sfigurando tutti quei nobili volti ed accecando per sempre i loro sguardi austeri e maledetti.
Ma ciò non gli portò né pace, né sollievo.
Angoscia e paura, del tutto irrazionali, lo presero.
Pensò di avere una crisi di panico, ma non riuscì a calmarsi, a far ricorso alla sua razionalità.
Ed allora cominciò a sentire quei rumori.
Scricchiolii, cigolii, stridore e persino calpestio.
C'era quindi qualcuno oltre lui nel palazzo?
Erano forse i fantasmi di quei nobili proprietari?
O era già diventato matto.
Per giorni interi e per intere notti dovette convivere con quei rumori.
Forse il palazzo essendo vecchio generava quei rumori, pensava.
Così decisi di ignorarli.
Ma quelli non cessarono.
Dopo qualche giorno poi mutarono in qualcosa di diverso.
Voci.
Voci di oranti e di uditore, di misteriose litanie ed astruse enunciazioni.
Non poteva sbagliarsi, non poteva confondersi, erano davvero voci.
Voci in qualche lingua sconosciuta, forse persino morta.
Provenivano dalle cantine del palazzo.
Una paura atavica lo prese.
Chiuse tutte le porte che conducevano di sotto, con spranghe, pali di ferro e bloccandole con grossi bauli e pesanti mobili.
Ma le voci erano sempre là.
Allora, forse diventato davvero folle, Ennius una sera decise di scendere nelle cantine.
Si armò di un coltello, lo stesso con cui aveva lacerato i ritratti ed una pistola.
Aprì le porte chiuse e scese nelle cantine.
Sui gradini che portavano giù si autoconvinse che le voci altro non fossero che i fantasmi di quegli antichi proprietari, forse destati dal loro sonno di morte dal modo in cui aveva distrutto i loro ritratti.
Ma ormai stava scendendo e non poteva fermarsi e tornare indietro.
Arrivò così nelle cantine.
Accese una torcia e si guardò intorno.
Le voci non erano cessate ed ora si potevano sentire in maniera più chiara.
La lingua era davvero sconosciuta, almeno fino a quando non cominciò poi a riconoscere alcune parole.
Pian piano quell'ignoto idioma stava diventando più comprensibile.
Ad un certo puntò iniziò a comprendere ogni frase.
Era la verità.
Più di quanto avesse mai ascoltato, o anche solo concepito.
Seguì allora quelle voci.
Dopo circa sei mesi fu pubblicato finalmente il suo ultimo libro, dal titolo L'archetipo di Ateon.
Sembrava essere un romanzo fantastico, di stampo archeologico-investigativo, con vari misteri che si intrecciavano attraverso la storia, l'archeologia e l'arte.
Parlava di una razza si superuomini generata millenni prima da creature extraterrestri giunte sulla Terra per clonare una nuova e migliore tipologia di individui, destinati a governare gli inferiori, ossia gli uomini legati a qualunque Credo Religioso, per poi dominare l'intero pianeta.
I discendenti di questi superuomini avevano generato una sorta di congrega, di setta chiamata Priorato di Uaar.
Ad ogni intervista rilasciata Ennius parlava del suo libro come frutto della sua fantasia e senza nessun ricorso a cose reali e verosimili.
Tuttavia l'accuratezza storica, il rigore con cui trattava i temi dell'opera sembravano invece davvero presi da situazioni reali.
La cosa più straordinaria ed inquietante era il centro del romanzo, simboleggiato da un tesoro che rendeva il Priorato di Uaar una potenza economica mondiale: l'Aureo di Uaarania.
Ennius affermò di aver preso spunto per il leggendario Aureo di Uaarania da una misteriosa lapide incise trovata nella cantina del palazzo nobiliare in cui si era ritirato per scrivere.
La lapide, in lapislazzuli ed onice nera, recava incise diverse parole di senso compiuto legate l'una con l'altra da un enigmatico elemento.
Molti si recarono nel palazzo per vederla e tanti cercarono di decifrarla, senza però successo.
Quell'arcano sembrava impenetrabile.
Cosa quindi avevano in comune quelle parole?
I moltissimi che giunsero nel palazzo videro che la lapide recava impresse queste parole:

Randa-Turare-Limo-Riga-Alzare-Ala-Rocca-Aitante-Ricco-Celere-Arca

E voi, dame e cavalieri di Camelot, riuscite a risolvere questo nuovo e forse autentico Aureo di Uaarania?
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO
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