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Vecchio 14-04-2018, 02.35.21   #388
Clio
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Clio sarà presto famosoClio sarà presto famoso
Rigirai quel foglietto ingiallito tra le mani.
Lo avevo tenuto tra le dita ogni giorno negli ultimi vent'anni.
Avevo provato di tutto, ormai era come un rituale, iniziare una nuova sessione di ricerche da quel vecchissimo foglio.
Mi ricordava perchè lo facevo, perchè non potevo lasciar perdere, uscire, godermi la vita come tutte le altre ragazze.
Mi ricordava quel giorno... il giorno che cambiò la mia vita per sempre.

Corsi via, corsi a perdifiato per nascondere le lacrime.
Era ingiusto, ingiusto, ingiusto.
Perché diavolo mio fratello poteva imparare a combattere e io invece no?
Ero più brava di lui, e anche di tutti i ragazzini che venivano il pomeriggio a giocare.
Dicevano che ero una femmina, e le femmine non possono ai cavalieri, ma io li ho battuti tutti.
E sono stata punita!
Eppure li ho sentiti, li ho sentiti prendersela con mio fratello perchè aveva perso la settimana prima.
Lui doveva vincere, io no, io se vincevo venivo punita.
Basta, basta!
Me ne sarei andata, sarei andata così lontano che non mi avrebbero mai trovato, mai mai mai.
Piangevo e correvo via, verso il bosco, non mi importava di niente e di nessuno.
Non sarei mai stata a ricamare tutto il giorno come Marta, mi annoiava, ero imprecisa, incapace e la maestra Mina mi rimproverava sempre.
No, no, no... io volevo combattere, diventare un cavaliere e andare a caccia di avventure come Lancillotto.
Non sapevo nemmeno dove stavo andando, correvo e correvo.
Solo quando ormai il fiatone era insopportabile, le gambe cominciavano a cedere mi resi conto di non avere la più pallida idea di dove fossi. Eppure c'ero stata tante volte, nel bosco ma... mi guardavo a destra, a sinistra, cercando un punto familiare, un albero particolare, qualcosa che potessi riconoscere.
Ma niente, niente di niente.
Ero spaventata, non volevo tornare a casa, volevo andarmene via ma... da che parte era il villaggio? E da lì, dove sarei andata?
Sentii le lacrime affiorare di nuovo, mi sedetti a terra, con la schiena contro un albero, le ginocchia al petto e piansi, piansi senza sosta per ore, finchè la calda luce del giorno non lasciò il posto a un caldo crepuscolo di fine estate.
Fu allora che arrivò, una carrozza, trainata da cavalli neri, che sembrava appartenere a qualche nobile, o a qualche facoltoso borghese. Magari loro sapevano la strada per il villaggio, mi alzai titubante e mi avvicinai alla carrozza.
Immediatamente, questa si fermò, avevo addosso abiti degni del mio rango, dunque non mi avrebbero preso di certo per una mendicante. Le tendine si aprirono e vidi un uomo distinto sorridermi, e poi aprire la porta della carrozza.
"Ti sei persa, piccola?" mi chiese, con un tono di voce suadente e un accento straniero che mi fece venire la pelle d'oca.
"Io.." arrossendo lievemente per l'imbarazzo di essermi fatta vedere conciata in quel modo da uno sconosciuto.
"Abiti da queste parti?"
Annuii.
"Sali, ti portiamo a casa!"
Scossi la testa: "non voglio tornare a casa..." alzando gli occhietti su di lui.
Sorrise, guardandomi tutta, uno sguardo cos' intenso che mi fece quesi rabbrividire.
"Lascia almeno che ti portiamo in paese, c'è un albergo adatto a una ragazza per bene come te.." sorridendo.
Arrossii ancora di più. Evidentemente mi lesse nel pensiero, perchè sembrò capire al volo il motivo del mio imbarazzo.
"Sarà mia premura occuparmi di ogni costo, non dovete preoccuparvi di niente madamigella, non potete certo passare la notte alla mercè dei lupi e dei cinghiali..." sorrise, affabile, porgendomi la mano.
Dopotutto.. era stato gentile con me, e io non volevo essere mangiata dai lupi. Così presi la sua mano e salii in carrozza.
"Vi ringrazio..." guardandolo timidamente.
"È un piacere e un onore poter aiutare una ragazzina tanto a modo come voi.." porgendomi un fazzoletto ricamato.
"Posso chiedervi perchè piangete?" sempre guardandomi con quegli occhi enigmatici tra il grigio e l'azzurro.
"Ecco.." abbassando lo sguardo.
"A me potete dire ogni cosa, non uscirà da questa carrozza, avete la mia parola.." con un tono rassicurante.
Io lo guardai titubante, ma poi mi lasciai andare, a volte confidarsi con uno sconosciuto è più facile che con qualcuno della propria famiglia.
"I miei genitori non vogliono che io combatta.." iniziai, sbirciando timida la sua reazione, magari anche lui la pensava come loro.
"Dicono che non è una cosa da ragazze, che devo imparare a ricamare, cose così.." tirando su col naso "...ma io non voglio!".
E ripresi a piangere.
"Ehi.. ehi.." lui mi alzò il viso che avevo abbassato con un gesto della mano, un gesto delicato e leggero "..posso farti un regalo?".
Io lo guardo titubante.
Lui sorride, e prende dalla sua borsa da viaggio una scatolina, la apre e dentro c'è una boccetta.
"Questo è un filtro magico..." guardandomi negli occhi "...bevilo, e tutti i tuoi desideri si avvereranno" con un sorriso enigmatico.
"Ma io.." rigirandolo tra le mani, titubante.
"Fidati di me, bambina mia..." fissandomi negli occhi "..tutti i tuoi sogni!".


Alla fine, l'avevo bevuta.
La mattina dopo, nel lussuoso albergo dove mi aveva lasciato era arrivata una carrozza. Un terribile incendio aveva ucciso tutta la mia famiglia e io, ero di diritto l'unica erede. Il mio desiderio era stato esaudito. Ora nessuno mi avrebbe impedito di imparare a combattere. Già, ora ero padrona della mia vita.
E sola, completamente sola.
Persi il conto di quanti giorni passai chiusa nella mia camera a piangere, a giurare vendetta per quell'uomo che mi aveva portato via tutto, con la promessa di darmi ogni cosa.
Ma sapevo che la colpa non era sua, ma mia.
Eppure, ancora non lo sapevo ma il peggio doveva ancora arrivare.
Perché poi, nella scatolina trovai anche quel biglietto che ora avevo tra le mani, parole che subito non compresi ma che ben presto assunsero un significato decisamente inquietante, ma terribilmente inevitabile.
Dapprima erano sogni, sogni inquietanti, in cui vedevo cose assurde, in cui ero crudele, spietata, lussuriosa, sogni che mi accaldavano, facendomi vergognare terribilmente.
E poi un giorno, quella parte di me che relegata nei sogni, nelle fantasie più segrete della mia anima, al canto di una civetta prese vita, una vita vera, al posto della mia.
Come la luna e il sole... finché la vista di un amamelide non mi fece tornare in me.
E così ogni giorno da allora, senza pace, senza tregua, senza perdono.
Sospirai.
Non era il momento di pensare al passato.
Dovevo andare avanti con le mie ricerche, e cercare di scoprire il pezzo mancante dell'incantesimo. Solo così potevo fare ammenda del mio peccato e sperare in una redenzione.

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