Veloce, velocissimo percorreva i prati, le radure, scavalcando crostoni rocciosi, selve di alberi e cespugli di bacche selvatiche.
Rapido, silenzioso scavalcava dossi e fossati, quasi volando tra i rami fitti e frondosi, sguazzando nelle paludi e risalendo la boscaglia.
Il predatore conosceva quei luoghi come nessun altro.
Li conosceva da sempre, era il suo territorio e noi eravamo le sue prede.
Il bambino correva, affannando, inciampando ma alzandosi sempre.
I vestiti lacerati tra i rivi, gli sterpi, le ginocchia sbucciate, le mani sanguinanti.
Correva con tutto il fiato che aveva in gola.
Ad un tratto gli mancò la terra sotto i piedi e scivolò in un fossato, fino alle acque fangose di un fiumiciattolo.
Rapido si alzò ancora, per riprendere la corsa, ma ad un tratto un rumore metallico e in quel clangore il ragazzino gridò, cadendo in acqua.
Il piede era stretto in quella morsa dai denti di ferro, strappando la carne e segando l'osso.
Intanto al palazzo presbiterale Guisgard ascoltò le parole di Destresya, senza smettere di lavorare al suo schizzo.
“Grazie, milady...” disse infine alla dama “... mi spiace avervi fatto rivivere quei momenti.”
Ad un tratto un soldato arrivò.
“Eminenza...” fissando il presbitero “... la bestia ha colpito ancora... un ragazzo...”
Guisgard mostrò il suo schizzo.