ARDEA DE' TADDEI
XXXVIII
“Desolata ed infelice terra,
vergine di eroismi e generosità,
solo quando il tempo frantumerà
queste tue mura, per mano dei
liberatori, i tuoi figli torneranno
a cantare alla luce del Sole.”
(Le Geometriche, libro V)
Biago, accortosi di una fontana proprio al centro di una piazzetta, preso dal senso di sete, si avvicinò per bere e pulirsi la bocca che il fetido dell’aria sembrava aver reso amara e vischiosa.
L’acqua però era opaca, densa e aveva un odore disgustoso.
“Anche l’acqua è marcia in questo infelice luogo!” Gridò ad Ardea.
Ardea si avvicinò per controllare quell’acqua. Infatti nemmeno i cavalli osavano berla.
Ad un tratto si udirono delle grida.
Un momento dopo un uomo, grassoccio e di bassa statura, giunse correndo ed ansimando nella piazzetta.
Appena arrivato a pochi passi dalla fetida fontana, cadde a terra, rotolandosi nella polvere e nel terreno.
Subito da una delle abitazioni che si affacciavano sulla piazzetta uscì disperata e fuori di sé una donna.
“Giuspo! Giuspo!” Gridò la donna. “Figlio mio, come stai?”
Lo raggiunse e lo abbracciò forte. Dopo alcuni istanti, come tante pecore, uno dopo l’altro, iniziarono ad uscire dalle loro case gli altri abitanti della contrada.
La donna stringeva a se quell’ometto ancora steso nella polvere.
“Giuspo! Come stai?” Chiedeva in lacrime la donna.
Tutti gli altri restavano muti e quasi assenti davanti a quella scena.
Giuspo affannava e non riusciva a parlare, mentre quella donna lo scuoteva e lo chiamava per nome, come a volerlo destare da un grande spavento.
“Sto…sto bene, madre…” Rispose con un fil di voce all’ennesima invocazione della donna.
Questa guardò la fontana e disse:
“Aspetta, ti prendo dell’acqua.”
“Quell’acqua è marcia.” Intervenne Ardea che aveva osservato da vicino quella confusa scena. “Prendete questa che è invece pura e limpida.”
La donna ringrazio con un cenno del capo per quel nobile gesto e passò la borraccia del cavaliere al suo malridotto figliolo.
In quel momento uno dei presenti chiese:
“Allora, come è andata, Giuspo?”
L’ometto buttò giù, avidamente, diversi sorsi di quell’acqua pura, fino a prosciugare l’intera borraccia.
Bevve tanto velocemente da essere colto da una profonda tosse quando finalmente staccò la bocca dalla borraccia.
“Dicci Giuspo, come è andata?” Chiese ancora quell’uomo.
Giuspo lo fissò, con la bocca bagnata dall’acqua appena bevuta e gli occhi rossi, fuori dalle orbite, come se stessero per esplodere.
“Come vuoi che sia andata?” Rispose scuotendo la testa. “Ero a circa cento passi da una delle pecore, quando quel suo mostruoso cane mi ha visto, cominciando ad abbagliare e ad inseguirmi!”
“Perché ti sei avvicinato tanto, figlio mio?” Chiese sua madre.
“Madre…” rispose Giuspo “eravamo io e Plino. Ormai Caivania è ridotta alla fame e quest’aria infestata finirà per ucciderci tutti. Non potevamo restare a guardare…”
“Plino?” L’interruppe una delle donne presenti. “C’era anche lui? Dov’è ora? Non l’ho vedo da stamani!”
Giuspo la guardò per qualche istante. Poi, senza dir nulla abbassò il capo.
“Dov’è Plino?” Chiese ancora la donna. “E’ mio marito! Dovete dirmi dove sta! Ditemelo, maledetti! Maledetti!”
“Era con me…” iniziò a dire Giuspo “…quando quel cane infernale ci ha inseguiti…fuggivamo ma poi Plino è caduto…non ho avuto il coraggio di fermarmi… mi sono salvato perché…perché quella belva si è fermata a fare scempio del corpo di Plino...”
La donna gridò ed inveì contro tutti e tutto. Si strappò i vestiti ed iniziò a graffiarsi. Ci vollero quattro persone per evitare che si strappasse lei stessa le carni per la disperazione.
Sentendo quel racconto, la madre di Giuspo strinse ancor più forte il proprio figlio a sé.
Pian piano poi, tutti rientrarono nelle proprie case.
La madre di Giuspo, fermatasi sulla soglia della porta, si voltò verso Ardea e Biago dicendo:
“Non restate all’aperto, miei signori, o quest’aria imputridita vi avvelenerà i polmoni. Vi prego, entrate dentro.”
Ardea e Biago accettarono senza nessuna esitazione quel cortese invito, bramosi com’erano di trovare riparo da quel fetido infernale che dominava ovunque nell’aria.
(Continua...)