"Si, mia cara cognata..." disse lui fissando Altea e rimescolando le carte, per poi metterle vie "... le carte non mentono mai, si dice... nella divinazione e nel gioco a quanto pare..." con un tono indefinito ed uno sguardo che il chiarore delle lampade rendeva vago, quasi ipnotico.
Per un attimo lei ebbe la sensazione che quello sguardo mutasse.
Mutasse in un impeto di fantasie, di passioni, di tabù e di paure morali.
Uno sguardo selvaggio, inquieto.
Uno sguardo che parve spogliarla tutta, liberandola non solo dei vestiti, ma di ogni freno, di ogni timore, di ogni limite, di ogni incertezza.
Si sentì per un attimo nuda e libera.
Come se quell'uomo potesse farla sua con impeto e virilità, possederla, fare l'amore con lei senza abbandonare mai suoi occhi, senza lasciare mai le sue mani, raggiungendo insieme, con lo stesso sguardo ed il medesimo respiro, il picere più forte e folle, quello unisce e che porta alla dannazione, come i grandi amanti adulteri della letteratura.
Fu un attimo, un istante rubato, sussurrato in quel frammento di fantasia, di illusione.
Forse era solo suggestione, forse solo un desiderio beffardo, forse l'ombra della felicità orchestrata da un Destino lontano ed ignoto.
Si destò da quel momento lungo un secolo, trovando il suo affascinante cognato a fissarla, con gli occhi del medesimo colore di quei crepuscoli lontani di orizzonti perduti.