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Vecchio 28-02-2010, 10.51.16   #8
Mordred Inlè
Cittadino di Camelot
 
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Mordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella rocciaMordred Inlè è un gioiello nella roccia
05. Affetto materno

Morgause corse verso i cavalieri appena giunti. Era una donna di mezza età ma le rughe quasi non si vedevano sul suo volto.
"Madre," sussurrò Mordred, sorridendo. Scese da cavallo con un balzo e lasciò che Morgause lo raggiungesse e gli aprisse l'elmo per poterlo osservare.
"Figlio mio, mi sei mancato così tanto. Sono felice che tuo zio ti abbia lasciato venire qui," esclamò, accarezzandogli le guance e baciandogli la fronte. "Ora presentami i tuoi amici."
"Madre, loro sono sir Lamorak figlio di Pellinore e sir Galahad figlio di sir Lancillotto."
I due cavalieri scesero da cavallo e Morgause li squadrò con attenzione.
"Abbiamo degli ospiti ben nobili, vedo. Mi chiedo come faccia Artù a prendersi sempre i cavalieri più affascinanti." Il suo sorriso era contagioso.
"Mia signora, se la gente sapesse della vostra bellezza temo che tutti i cavalieri si trasferirebbero qui," la lodò Lamorak, con sincerità.
"Mia signora, vi ringraziamo per l'ospitalità."
La donna li accolse in casa e prese appuntamento con loro per la cena, lasciando che prima si svestissero e si rinfrescassero.
Mentre Mordred, nelle proprie stanze, meditava sullo sguardo ammaliato di Lamorak, Morgause bussò alla sua porta.
"Figlio mio," lo salutò di nuovo, abbracciandolo ora che era senza armatura, ripulito e vestito in modo decoroso.
"Madre, sono felice di rivedervi." Mordred poteva sentire il profumo della donna, dolce, di miele.
"Caro, piccolo mio, anch'io sono felice di vederti," lo rassicurò Morgause prendendogli il volto fra le mani. "Diventi ogni giorno più bello," commentò, vedendolo arrossire.
"Anche voi."
"Oh, menti," rise lei, deliziata, "divento ogni giorno più vecchia e sola. Fa sempre più freddo anche qui a Carleon."
"Madre-"
Morgause gli strinse le mano e lo fece sedere su un divanetto, accanto a sé. "Sono così felice. Mi mancate tutti e a volte... dopo tutto ciò che è passato. Temo di aver sbagliato molte cose."
Mordred tenne lo sguardo fisso sulla propria mano libera. Pensa ad Artù, si disse, al perché ti ha mandato qui.
"Vorrei poter vivere di nuovo con voi tutti. Ma, non me lo dire, Artù mi odia, vero?"
"No, Artù non vi odia, ve lo assicuro. Vi vuole molto bene."
"Eppure mi lascia rinchiusa qui a patire. Lontana da tutti. Mordred, sono stanca. Molto stanca."
"Madre, mi dispiace, non posso fare nulla," sussurrò il figlio.
"Oh, non è colpa tua, caro," rispose Morgause, accarezzandogli una guancia e poi alzandosi subito. Si avvicinò velocemente alla porta ma il figlio la trattenne.
"Aspettate, dove andate?"
"A rinfrescarmi, caro," replicò la madre, con voce rotta.
"State piangendo. Madre, vi prego, non piangete," la supplicò Mordred, facendola voltare ed osservando gli occhi arrossati dal pianto e le labbra livide. La abbracciò teneramente e lei lo lasciò fare, singhiozzando leggermente.
"Mordred, fammi uscire da qui. Portami a vedere Camelot."
"Non posso, perdonatemi. Artù mi ha detto di-"
"Artù!" urlò Morgause, staccandosi violentemente dal figlio.
"Lui è il re ed io non posso- non voglio-"
"Non vuoi, non puoi. Sei diventato anche tu un fantoccio nelle sue mani?" replicò irata la madre, ogni traccia di pianto e dolore scomparsa dal suo volto. "Preferisci lui a me. Ingrato bastardo."
Mordred sussultò, il volto prima aperto all'affetto materno ora chiuso come una statua di marmo.
"E' forse lui che ti ha portato in grembo? Che ti ha allevato? Che ti ha curato quando stavi male?"
"No."
"No. Infatti! Io ti ho cresciuto, Mordred. Io."
"Sì, madre. Ma dovete ammettere che le vostre intenzioni di visitare Camelot non sono innocenti."
"Innocenti," rise Morgause, "cosa ne sai tu dell'innocenza? Come sta tuo padre? Dimmi, Mordred."
"Bene, madre."
"Bene, ne sono felice. Ti evita ancora come la peste, immagino. Piccolo mio, non riesce a vedere quanto tu sia speciale. Come puoi stare solo in un simile posto? Non vorresti avere accanto tua madre?"
Sì, avrebbe voluto rispondere Mordred, sì, ti prego.
"No."
"Parla in mio favore ad Artù. Digli che sono-"
"No, non farò nulla. Sono venuto perché volevate vedermi e tornerò a Camelot da solo."
Morgause gli prese nuovamente la mano e strinse. Strinse con forza ma nessuna espressione di dolore solcò il volto del figlio, non era più un debole bambino.
"D'accordo, caro, vedo che l'ingratitudine dei miei figli si diffonde come una malattia disgustosa."
"Vi vedrò questa sera a cena," replicò Mordred, osservandola lasciare la stanza con un vortice di gonne lussuose.

La cena fu frugale. Poche cose, porzioni misere e cibo povero.
Galahad mangiò senza lamentarsi, abituato alle mense dei monasteri, lanciando qualche occhiata preoccupata a Mordred che, davanti a lui, tentava di sorridere con delle smorfie orribili ogni volta che Lamorak apriva bocca.
"Mi devo scusare per la povertà di questo cibo," ripeté Morgause, sorridendo malinconicamente.
Era vestita con una veste verde cupo, semplice, senza gioielli.
"Purtroppo la vita qui a Carleon è così," continuò alzando le mani in un gesto infantile ed affascinante.
"Mia signora, sareste bella anche in un sacco di saio." E Lamorak sembrò totalmente sincero nella sua affermazione.
Morgause strinse leggermente la mano dell'uomo, per ringraziarlo, ed arrossì leggermente.
"Oh, caro, siete galante come tutti i cavalieri del mio amato fratello vedo."
"Sono sincero come tutti i cavalieri di vostro fratello, lady Morgause."
La risata cristallina di Morgause risuonò nella sala. "Ditemi come è andato il viaggio."
"E' andato tutto perfettamente."
"Mordred, caro, mangia qualcosa. So che a Camelot il vitto è notevolmente migliore, figlio mio, e mi dispiace offrirti una così magra ospitalità," sussurrò Morgause, sporgendosi alla destra verso il figlio. Il tono era abbastanza basso da farlo apparire come un commento confidenziale.
"Non mi sento molto bene, madre."
"Sarai stanco per il viaggio, tesoro."
Galahad venne sorpreso egli stesso da uno strano rossore colmo di gelosia che lo colpì in pieno. Una gelosia che, razionalmente, non aveva alcun senso.
"Forse," rispose Mordred.
"Sir Galahad, ho sentito grandi cose di vostro padre." L'attenzione di Morgause si concentrò completamente sul giovane biondo che la osservò imbarazzato. Lamorak lo fulminò con lo sguardo.
"Sì, mia signora, si narrano grandi cose su di lui."
"Ed anche su di voi, ve lo assicuro. Come non potrei tenermi informata sui cavalieri preferiti di Artù: Lamorak, Galahad e Lancillotto."
"Sir Mordred è molto amato dal nostro sovrano, mia signora," si sentì in dovere di aggiungere il giovane figlio di Lancillotto.
Mordred graffiò un coltello sul piatto, producendo un rumore orribile e Galahad temette di aver detto qualcosa di sbagliato.
"Dite davvero, mio giovane ospite? Lo vedo così dimagrito che ho quasi dimore che a Camelot non gli diano da mangiare. Sono felice di sentire che tuo zio ti tratta bene." Le ultime parole furono rivolte al figlio.
Nonostante l'atmosfera bizzarra, quasi magica, che aleggiava nella sala, la serata trascorse tranquilla e senza particolari scossoni. Morgause era l'esempio della padrona di casa perfetta: piacevole, divertente, sensuale.
Brindarono a Camelot ed al re. Brindarono alla famiglia ed infine ognuno ritornò nelle proprie stanze anche se la servitù, segretamente e sussurrando, raccontò di come Morgause fosse passata ad augurare la buona notte a Lamorak. Un augurio durato più di un'ora.
La mattina successiva li rivide ancora nella sala dove avevano pranzato. Più riposati, chi più e chi meno.
Fecero una frugale colazione e Morgause propose di andare a caccia.
"Non amo molto la caccia, mia signora, mi dispiace," si scusò Galahad. La caccia sembrava essere un'attività d'obbligo a corte ma lui era sempre riuscito ad evitarla. L'idea di uccidere creature innocenti non gli sorrideva.
"Oh, mi dispiace, caro amico, volete che scegliamo un'altra attività da fare assieme?"
"No, non vi preoccupate, ho ancora bisogno di tempo per riposare, voi andate pure."
Lamorak, Mordred e Morgause partirono quindi per cacciare e Galahad si aspettava di non vederli tornare per almeno altre sei ore. Si meravigliò molto quando, a mezzodì, una delle serve arrivò ad avvertirlo che Lamorak voleva vederlo.
"Galahad!" lo abbracciò l'uomo quando lo vide arrivare.
"Siete tornati così presto?"
"Sì, e Morgause è con Mordred, fatemi compagnia."
"Cosa è successo?"
"Mordred ha avuto un malore subito dopo la colazione. Sembra che abbia un po' di febbre. Non temete," aggiunse Lamorak, confuso, quando vide Galahad impallidire violentemente, "Morgause è esperta di erbe quanto la sorella. Lo curerà lei."
"Sì, avete ragione. Posso vederlo?"
"Ma siete appena arrivato qui con me! Vi devo assolutamente parlare di una cosa."
"Un'altra volta, sir Lamorak, vi prego," lo fermò Galahad, meravigliandosi lui stesso della propria scortesia.
Lamorak brontolò che se il ragazzo preferiva assistere un ammalato piuttosto che ascoltare le sue gesta amorose non aveva da che perderci. Lo accompagnò alla stanza di Mordred e lì lo lasciò.
Galahad bussò con energia e la voce di Morgause gli ordinò di entrare.
"Metti il panno qui," ordinò la donna, duramente, ma quando non ricevette risposta si voltò ad guardare il nuovo arrivato. "Oh, scusatemi sir, pensavo si trattasse di uno dei miei paggi."
"Non temete, mia signora."
"Galahad," mormorò Mordred. Il figlio di Artù era vestito con una tunica leggera, madida di sudore e steso sul letto. Il rumore del suo respiro affaticato sembrava possedere la stanza.
"Mordred, come state?" domandò Galahad, portandosi al suo fianco.
"E' solo un po' di febbre," lo rassicurò Morgause, alzando la testa del figlio e facendogli bere da un bicchiere.
"Artù," ripeté Mordred. Aveva gli occhi chiusi e Galahad non capì se fosse sveglio o immerso nel proprio male.
"Le febbri non compaiono così velocemente."
"Lo so, caro, sono stupita anch'io," sospirò la madre, "vado a riposarmi un attimo, potete rimanere voi?"
Galahad annuì e Morgause gli porse il bicchiere che teneva in mano. "Per abbassare la febbre," spiegò.
Il figlio di Lancillotto rimase e la madre di Mordred lasciò la stanza.
Ogni tanto il giovane malato sussurrava qualcosa e quando apriva gli occhi, Galaha gli faceva bere la medicina o dell'acqua e gli passava la fronte con un panno bagnato.
Arrivò sera e finalmente Mordred sembrò addormentarsi tranquillamente.

Il giorno successivo Morgause scusò l'assenza del figlio a colazione.
"Si sente ancora male, mi dispiace."
Lamorak le strinse la mano, compassionevole e ricevette in cambio un sorriso grato.
"Quando dovete partire?"
"Domani," la informò Lamorak, premuroso. "Ma possiamo aspettare Mordred, non temere, mia signora."
"Oh, non voglio che facciate arrabbiare Artù per causa nostra. Andate pure, Mordred vi raggiungere quando si sentirà meglio."
Galahad passò a trovare l'altro cavaliere anche quel giorno.
Una giovane serva delle cucina gli stava rimboccando le coperte.
"Mio signore," lo salutò quando il cavaliere entrò.
"Non è migliorato. Rimango io, vai pure."
"Sì, mio signore."
La ragazza si inchinò e scappò fuori. Galahad ebbe la netta impressione che dovesse andare a riferire a qualcuno o che fosse spaventata di lui.
"Artù, Artù."
"Non sono Artù, sono Galahad."
Mordred, pallido come le lenzuola, tentò di sollevare la testa per guardarlo e Galahad fu subito al suo fianco. Prese il bicchiere sul comodino e si premurò di far bere il giovane disidratato.
"Galahad."
"Sì, sono io. Bevete ancora."
"No, no."
"Va tutto bene."
"No, vi prego."
"D'accordo, niente," lo rassicurò Galahad, appoggiando il bicchiere. Trascinò vicino a sé la bacinella colma d'acqua e vi immerse un panno.
"Galahad," ripeté Mordred. Gli occhi scuri ora spalancati.
"Sono qui."
Galahad appoggiò il panno umido sulla fronte dell'altro e Mordred gli afferrò la mano, stringendola con forza. Si addormentò dopo qualche secondo.
Morgause giunse qualche minuto dopo, assicurandogli che poteva andare a riposare e che avrebbe badato lei al figlio.
Galahad uscì a malincuore dalla stanza, sentendosi il cuore di piombo.
Tutto era accaduto così in fretta.
Si chiese se quello non fosse un segno di Dio. Ma Dio voleva che l'uomo che aveva tentato di corromperlo soffrisse? No, Dio non agiva così. Dio perdonava, Dio aiutava e mostrava la giusta via. Il dio dei pagani faceva soffrire, vendicava e torturava ma non il suo.
E Mordred non aveva colpe. Che si fosse mostrato gentile o che avesse davvero voluto sedurlo, era lui, Galahad, che aveva ceduto, anche solo nel cuore, e quindi era lui ad essere colpevole.
Quella notte pregò.
Non pregò per il perdono delle proprie colpe, come aveva spesso fatto nei giorni scorsi, ma perché potesse di nuovo parlare a Mordred.
La mattina successiva Lamorak gli mandò a dire che sarebbero partiti per Camelot nel pomeriggio.
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