Cittadino di Camelot
Registrazione: 02-08-2009
Residenza: A casa mia, spesso
Messaggi: 904
|
Ahimè XD le mosse mi sono sfuggite un po' di mano ma sotto sotto ci sono tutte ed i capitoli sono effettivamente dieci : D
6. Dama Nimue
"Partiremo questa mattina, Galahad."
Morgause annuì prendendo amorevolmente la mano che Lamorak le tendeva, prima di lasciare i due cavalieri alla preparazione. L'uomo aveva ovviamente subito il fascino della donna, dall'aria così dura e nobile ma in realtà dolce e sensibile ai suoi occhi. Nonostante gli dispiacesse lasciare Mordred, Morgause aveva ragione: Artù si sarebbe preoccupato se non li avesse visti tornare nei tempi previsti.
Galahad gli aveva proposto di mandare una lettera ma Lamorak, segretamente, credeva che la donna avesse bisogno di stare assieme al proprio figlio di più. Morgause aveva pianto fra le sue braccia, la notte scorsa, raccontando storie emozionanti sulla piccola famiglia delle Orcadi. Il giovane Gawain che si arrampicava sugli alberi per raccogliere uova abbandonate, Gaheris che la seguiva ovunque come un'ombra, Agravaine che provava a costruirsi da solo una nave da battaglia e Gareth che passava il tempo nella cucina a tagliare frutta per i fratelli.
"E Mordred aveva questo cagnolino," raccontò Lamorak all'amico, "e lo vestiva come una fanciullina e lo chiamava Gwingwin." Il cavaliere rise fragorosamente e Galahad si lasciò sfuggire un sorriso.
Il cavaliere si dilungò poi in una lunga e colorata descrizione della beltà di Morgause e della sua sensibilità.
Galahad portò fuori il proprio cavallo, gli diede da mangiare e legò dietro la bella cavallina Joan con sopra i viveri necessari per il viaggio ed alcune vesti regalate dalla madre di Mordred.
Fecero colazione con la padrona di casa, intrattenendo una deliziosa conversazione sul tempo.
Il sole era particolarmente brillante quella mattina e la primavera stava lentamente passando verso l'estate.
"Un tempo perfetto per il viaggio," commentò Morgause, guardando con grazia fuori dalla finestra della sala da pranzo.
"Sì, avete ragione, mia signora, è una vera fortuna."
Parlare del tempo era delle cose che più irritavano il figlio di Lancillotto.
Cacciare, parlare del tempo- attività che non servivano ad altro che evitare argomenti più precisi ed interessanti. Squadrò severamente Morgause.
Ogni gesto della donna ed ogni suo movimento era un chiaro invito alla seduzione, persino l'inesperto Galahad riusciva a capirlo. Ed ogni sua parola sembrava portata a spingerli via, cacciarli da lì.
Ma negli occhi scuri come pozzi c'era qualcosa di terribile, velato dalla giocosità del suo atteggiamento, ma il giovane riuscì a scorgerlo e ne ebbe timore. L'attimo durò solo qualche secondo e l'abisso di rabbia negli occhi della donna scomparve.
"D'accordo," mormorò Galahad, "vado a salutare Mordred e partiremo."
Lamorak annuì, soddisfatto. Sapeva di dover partire ma prima sarebbe partito e prima sarebbe tornato da Morgause con il benvolere di Artù.
"È sempre il don che vien da mano amica."
Galahad entrò nella stanza di Mordred e si chinò sul malato.
"Ad un fuoco andò vicino."
"E le zanne si bruciò," continuò il figlio di Lancillotto, con un sorriso, riconoscendo le poesie di Teocrito.
Con tutto ciò che era accaduto con Gwendolyn, Galahad non credeva che l'altro avesse davvero apprezzato il suo regalo.
Le tende sulla finestra erano chiuse ed un raggio di luce da uno spiraglio dava un aspetto spettrale all'ambiente.
Il cavaliere le raggiunse e le aprì, lasciando entrare il sole del mattino. Raccolse una veste abbandonata per terra. Appoggiandola sulla scrivania vide un il fagotto con il quale Mordred era giunto. L'altro non l'aveva disfatto e così per la borsa di cuoio che conteneva la cotta di maglia. Era tutto intatto.
"Sir Mordred, stiamo per partire."
Non ricevette risposta e si sedette accanto a lui, sul letto.
"Voi potete partire quando starete meglio."
"Artù. Padre."
Galahad arrossì. Si sentiva di troppo ad ascoltarlo ed era sicuro che Mordred gli avrebbe tagliato le orecchie piuttosto che anche solo pensare di aver detto una simile cosa davanti a lui.
Mordred allungò una mano fuori dal letto, verso il comodino e Galahad, tentando di interpretare il gesto, prese il bicchiere che vi era appoggiato e glielo porse.
Il malato chiuse ermeticamente la bocca, girando il volto.
"Morgause. No," sussurrò il giovane quando Galahad provò nuovamente a fargli bere dal bicchiere.
Il biondo si irrigidì, con il bicchiere a mezz'aria.
"Mordred, guardatemi. Guardami, Mordred."
Mordred aprì gli occhi, come ordinato, ed osservò Galahad.
"Ti ha fatto qualcosa? Morgause, ti ha dato qualcosa?"
"Galahad," singhiozzò Mordred allungando una mano verso di lui. L'altro cavaliere lo aiutò a mettersi a sedere e lasciò che Mordred si appoggiasse alla sua spalla e gli cingesse il collo con un braccio.
La fronte del giovane, nell'incavo del suo collo, bruciava.
"Non posso bere, basta, Morgause" mormorò e continuò a mormorare il figlio di Artù.
"Ti ha dato qualcosa."
"Basta."
"Basta, Mordred, non ti preoccupare, non dovrai bere più nulla," lo rassicurò Galahad, stringendolo a sé. Impietrito portò il bicchiere accanto al proprio volto e lo annusò. Non sembrava sapere di nulla ma non si fidava, non si poteva fidare. Lo lanciò a terra e Mordred sussultò.
"Ti porto via da qui." Lo avvolse come poté nelle coperte, sentendo le proprie mani tremare, assalito dai dubbi. Stava facendo la cosa giusta? Forse Mordred delirava solamente, forse era un malinteso. Dopotutto non vi era senso in tutto ciò e Morgause, sua madre!, non aveva alcun motivo per avvelenare il figlio.
"Galahad." E l'altro prese la sua decisione. Lo sollevò tra le braccia e ringraziò suo padre e dio per avergli dato la forza che aveva.
Mordred rimase fermo, aggrappato al suo collo.
"Ce ne andiamo." Il figlio di Lancillotto raggiunse velocemente la porta. Procedette nei corridoi indisturbato, sentendo le braccia tremare per lo sforzo e la rabbia. Mordred aveva chiuso gli occhi ed ora la sua testa era appoggiata senza vita contro il proprio petto.
"Galahad! Che cosa state facendo!" urlò Morgause quando lo vide uscire nel cortile principale. "Dove state portando il mio bambino!"
Lamorak era assieme a lei e le stava mostrando le bardature dorate del proprio cavallo. L'uomo si bloccò a metà frase e guardò sorpreso il compagno di viaggio.
"Mordred viene via con noi," sbottò Galahad, senza alcuna gentilezza.
"Siete pazzo? Lui è malato!"
"E sapete anche perché, mia signora." La freddezza di Galahad sembrò impietrire Morgause.
"Che cosa intendete insinuare?"
"Galahad, vi prego, ragionare," provò ad intromettersi Lamorak ma venne fermato da un gesto imperioso della donna. Nel frattempo l'altro cavaliere aveva raggiunto il proprio cavallo.
"Lo sta avvelenando, sir Lamorak, so che non mi crederete mai ma è così."
"Come potete pensare una cosa così orribile," sussurrò la donna, quasi senza voce. "E' mio figlio," aggiunse supplicando e sembrò avere un mancamento che costrinse Lamorak a correre in suo aiuto.
L'uomo la sostenne nella sua delicatezza.
L'altro li ignorò ed ignorò anche il paggio che tentò di portare via il suo cavallo. Lucius, il cavallo con cui era giunto a Carleon, era una bestiola testarda e robusta. Si impuntò sulle zampe, impedendo al vecchio paggio affaticato di spostarlo dalla sua posizione. Nitrì irritato, scotendo la criniera castana.
Morgause urlò qualcosa al paggio che, sconfitto, alzò le braccia al cielo e chiese perdono alla propria signora.
Galahad sollevò Mordred in sella e si issò dietro di lui, lasciando che il cavaliere si appoggiasse senza sensi sul proprio petto. Pregò Dio di proteggerlo e di far tornare la ragione a Lamorak. Non avrebbe mai potuto combattere contro pitti e banditi da solo e con un ferito con sé.
"Sir Galahad, ora state esagerando. Siete un cavaliere di Artù e sapete cosa significa questo? Che volete rapire mio figlio per suo conto."
"Meglio lui di voi, mia signora, con tutto il rispetto."
"Come osate, piccolo maledetto cane, vostro padre non si sarebbe mai comportato in questo modo insensato!"
"Galahad, lady Morgause ha ragione. State facendo una pazzia, lo ucciderete."
Il biondo afferrò le redini e strinse le labbra in una linea severa. Sua madre Elaine diceva sempre che quella espressione corrucciata lo faceva sembrare suo padre.
"Lamorak," singhiozzò la donna, stringendo a sé il cavaliere, "non posso vedere una cosa simile. Rimanete con me."
Galahad scosse la testa, incredulo. Morgause non aveva alcuna intenzione di far andar via tutti e tre assieme. Voleva qualcuno che rimanesse a Carleon, una carta sicura perché Artù non la ignorasse e non si dimenticasse di lei.
"L'avete avvelenato per tenerlo qui. Io lo porto via."
La donna lo ignorò ma cominciò a piangere e Lamorak lo maledì in un impeto di amore e passione.
Senza voltarsi, il biondo cavaliere ordinò a Lucius di partire e Joan lo seguì docilmente. Due stallieri del castello, confusi e (a quanto pareva) leggermente divertiti, gli aprirono le porte e lo lasciarono andare.
Viaggiò tutto il giorno, aspettandosi da un momento all'altro di vedere alcuni cavalieri di Morgause (o lei stessa) raggiungerlo sulla strada. E temendo, ad ogni sussulto di Mordred, di sentirlo smettere di respirare.
Verso sera si fermò per far riposare il cavallo e, con fatica, portò Mordred a terra. Stese sull'erba fresca la coperta con cui era avvolto l'altro cavaliere e si maledisse per non aver fatto le cose con più calma.
Avrebbe dovuto prendere almeno altri vestiti per Mordred e un altro mantello.
"Orcadi."
"No, stiamo tornando a Camelot."
Sapeva bene che era inutile rispondere ai deliri dell'altro.
Si sdraiò accanto a lui e Mordred aprì gli occhi.
Il freddo della sera li colpì duramente e Galahad (ovviamente, c'era troppo freddo!) non poté fare a meno di stringersi contro l'altro.
Ho già passato qualsiasi limite di decenza in ogni caso, pensò con aria desolata.
"Sei sveglio?" chiese poi vedendo che Mordred continuava a fissarlo.
"Gawain è qui?"
"No, ci sono solo io."
Mordred sussultò. "Morgause."
"E' a Carleon."
Mordred alzò il volto verso il cielo, lasciandosi trascinare più vicino a Galahad, troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
"Starai meglio?" domandò il figlio di Lancillotto.
"Sì, penso di sì. Dov'è Gawain?"
"Non c'è Gawain. Mi dispiace."
"Non è colpa sua," mormorò Mordred, improvvisamente, chiudendo gli occhi.
"Di Gawain?"
Ma il figlio delle Orcadi si era già riaddormentato.
Il giorno successivo Galahad non riuscì a svegliarlo ma sentì, con gioia, che la febbre era calata di molto.
Ripartirono su Joan, lasciando che Lucius si riposasse e si fermarono con il buio, accanto al famoso lago della dama magica Nimue.
Ancora una volta, Galahad si sdraiò a terra, con Mordred, pregando Dio di non far avvicinare a loro alcun bandito o sassone o mal intenzionato. Perché non si sentiva in forze abbastanza da poter rimanere sveglio a fare la guardia tutta la notte.
Il giovane biondo rimase ad osservare la luce della sera sul lago, tenendo Mordred accanto a sé, ascoltandolo respirare ora tranquillamente. Aspettando il sonno.
Ed in quel momento capitò.
Un attimo prima la luna veniva riflessa sulle acque scure e limpide del lago. Il tempo di un battito di ciglia e la scena mutò radicalmente. Al posto del riflesso della luna vi era una fanciulla, sospesa sull'acqua come una del mondo magico.
Galahad sussultò, chiuse gli occhi e li riaprì. Questa volta la ragazza era seduta sulla riva del lago, a qualche metro da lui, immobile come una statua.
La sua pelle era scura, liscia, e le pupille nere così larghe da sembrar occupare tutto l'occhio. La testa, avvolta da veli bianchi ed argentati, non lasciava scorgere nemmeno una ciocca di capelli.
"Chi siete?"
"Mi chiamano Nimue, a volte."
Galahad singhiozzò, sorpreso, trattenendo il fiato. "Lady Nimue."
"Anche. Mi dispiace aver interrotto." Nimue si alzò per raggiungere il cavaliere e si inginocchiò davanti a lui. Non aveva alcun odore. Non sapeva di nulla. "Ma non ho potuto fare a meno di sentire."
"Noi- noi non stavamo parlando, mia signora."
La maga, o strega che fosse, lo osservò divertita e portò una mano fra i suoi capelli biondi. Galahad rabbrividì, sentendosi gelare.
"Stavate pensando con forza. Entrambi."
Nimue portò una mano a toccare la fronte di Mordred ma Galahad lo coprì con il proprio mantello per impedirglielo. "Cosa volete?"
"Non avete paura di me come gli altri." La frase venne detta senza malizia o crudeltà. "Siete strano. Avete un accento strano e dei capelli chiari, chiarissimi. Posso vederlo?" indicò il ragazzo steso a terra.
Titubante, il cavaliere scostò il manto.
"I suoi pensieri sono confusi."
"Sta male."
"Credete che Morgause lo abbia avvelenato."
"Ed è vero?" domandò Galahad, ansioso.
"Io non lo so. Io sento ciò che pensate voi, non lei. Ma anche Mordred lo crede. Lui pensa molte cose. Pensa a delle poesie."
Galahad annuì, rassicurato. Se Mordred credeva che la madre lo stesse avvelenando per trattenerlo a Carleon doveva essere vero.
"Pensa a voi. Pensa alla spiaggia delle Orcadi ed alle navi. Anch'io penso molte cose."
"Ne sono certo," sorrise debolmente il cavaliere.
"Penso di avere quello che vi serve."
Prima che l'uomo dei Camelot potesse chiederle cosa, Nimue si alzò in piedi e starnutì. Sembrò poi annusare l'aria e mormorò delle parole incomprensibili al giovane.
Scostò il velo dalla testa e lo lasciò cadere a terra, permettendo ai capelli scuri e corti di rimanere liberi in tutte le direzioni. Raggiunse il lago, senza alcuna fretta, vi immerse le mani e si pulì il volto.
Con un fluido movimento, veloce come un delfino, Nimue si tuffò nell'acqua.
|