Era stata una giornata abbastanza pesante.
Ero arrivata in ufficio prima del previsto, incrociando perfino Marla, la donna portoricana delle pulizie, che non aveva ancora finito di lavare i pavimenti nella struttura e mi ero chiusa nell'ufficio, accompagnando l'ingresso dell'alba e del nuovo giorno.
Avevo sbrigato tutte le maledette pratiche che giacevano incompiute nel mio hard disk da almeno due settimane e ne avevo approfittato della solitudine per mettermi in pari.
Poi, la giornata di lavoro era iniziata.
Il mio compito, nella Aesthetica Corp., oltre quello di esserne socia, era quello di provare a sviluppare un senso estetico ed emotivo nel cervello elettronico degli androidi che i nostri ingegneri realizzavano.
Ero sempre stata curiosa di sapere se una macchina potesse imparare a provare le nostre emozioni e i nostri stessi sentimenti e dunque organizzavo delle sessioni individuali con gli androidi, mostrando loro opere d'arte di diverse epoche, stili ed autori, studiando e comparando poi i risultati ottenuti.
Ero stata subito presa per pazza, quando all'università avevo espresso il desiderio di mandare avanti un simile progetto e svilupparlo, sviscerarlo.
Fatto stava che la nostra azienda era fra le più rinomate, nonché quotate in borsa e sebbene il mio lavoro fosse destinato ad evolversi, come la tecnologia da noi usata, era un piccolo obiettivo soddisfacente.
Mi trovavo ora insieme ad un androide di nome Jon, intenta a mostrargli il Crono intento divorare il figlio, dipinto da Goya, curiosa di sapere la risposta.
"Dimmi, Jon, cosa pensi di questo quadro? Ti suscita qualche emozione, qualche sensazione?" gli chiesi, con tono pacato ed aria curiosa.
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