Visualizza messaggio singolo
Vecchio 20-06-2010, 20.22.25   #2
Fragolalidia
Viandante
 
L'avatar di Fragolalidia
Registrazione: 28-03-2010
Residenza: Bergamo per lo stato, in via Durando a Milano nella vita reale
Messaggi: 25
Fragolalidia sarà presto famoso
Il ritorno a Camelot, ritorno che sarebbe dovuto essere pieno di glorie e onori e che invece…
Invece…
Invece quando entrò a Corte tutti lo guardavano come fosse un fantasma.
Invece alcuni cortigiani risero divertiti nel vederlo camminare tranquillo e sereno.
Invece Ginevra lo guardò con orrore.
<< Sei vivo… >> disse.
Fu allora che Artù capì.
Come capì vedendo il figlio che, con amore, toccava la mano di Ginevra.
Come capì che lo sguardo di Mordred che, felice la presenza di suo padre, era colmo di disperazione per la perdita della sua felicità e per aver tradito, senza volerlo, l’unico a cui era sempre voluto essere fedele.
Lo scandalo dilagò e il regno assistette morboso alla crisi della famiglia reale.
Ginevra si era chiuda nelle sue stanze, pronta ad aprire solo ai giudici che l’avrebbero giudicata colpevole.
Mordred era stato allontanato da palazzo da ignoti cavalieri.
Artù si era estraniato nel suo studio tentando di capire cosa stava succedendo ma le informazioni che gli venivano date erano troppo discordanti.
Chi diceva che Ginevra, fedifraga strega, avesse sedotto Mordred, povero diavolo, per non dover finire in convento.
Chi diceva che era Ginevra la vittima, costretta a giacere con Mordred contro la sua volontà; intenzionato a diventare re di Camelot e portare il regno alla distruzione.
Chi diceva che i due erano divenuti amanti per opportunismo e smania di potere.
Chi diceva che il re sarebbe dovuto morire e lasciare a Mordred regno e consorte.
Ma poi Melou e Llacheu andarono da lui. La loro difesa dei loro genitori fu dolce e straziante. gli raccontavano di come si era stata virtuosa Ginevra, impeccabile fino all’ultimo, di come Mordred stesse preparando Llacheu a divenire re di Camelot e di come per tutta la corte, Artù Pendragon era davvero morto al fronte e che i due sfortunati amanti si erano comportati nel pieno dell’innocenza.
Fu allora che Artù si convinse, non che ne avesse particolare bisogno, e richiamò Mordred a palazzo.
Ma il cavaliere aveva altre intenzioni.
Non voleva il perdono del re.
Non voleva il perdono del padre.
Voleva solo andare via.
Chiese l’esilio, Mordred.
Artù protestò e fu allora che tutto gli fu più chiaro.
<< Padre, come vi siete sentito, la prima volta che hai amato mia madre? Vi siete innamorato di lei nel primo momento che l’avete vista, là, al castello di mio nonno, Merlino, il giorno in cui lei si era recata a trovare suo padre. Avevi tredici anni e già sapevi di amarla. Per due anni l’hai desiderata e quando è successo… ditemi, padre… avreste mai accettato che qualcun altro vi sostituisse? >>
Inizialmente Artù non comprese, ma poi Mordred continuò, con lo sguardo vacuo e la ferma intenzione di togliersi un peso che teneva nel cuore da troppo tempo.
<< Amo Ginevra, come voi amate mia madre. Sapevo che non sarebbe mai stata mia, ma questo non ha mai fermato il mio cuore. Amo la sua risata, amo la sua stizza, l’amo quando urla e quando piange in silenzio. Avrei sempre voluto stingerla tra le braccia, riempirla di baci e parole suadenti. Ma non potevo. Era la vostra sposa, padre, ed io non potevo avvicinarmi a lei. Non potevo sperare. Ma l’ho fatto. Per anni ho amato Ginevra e ho sognato fosse mia. Di poterlo urlare al mondo. Ho invidiato Ser Owein che urlava ai quatto venti il suo amore per quell’insulsa damigella. O Ser Tristano, che, stimato dalla corte più di quanto non lo sia mai stato io, poteva professare l’amore per la sua regina senza che questa subisse l’onta della vergogna. Ma io non sono amato come Tristano e Isotta non sedeva sul trono di Camelot. O Gawain… o Gereth. Tutti i cavalieri che sospiravano il nome della donna amata. Come potevo non invidiarli? Io la vedevo ogni giorno seduta dietro di voi, padre, nella sala della tavola rotonda. Ascoltava i nostri discorsi a testa bassa, con un ciuffo ribelle che le cadeva davanti agli occhi. Passavo giornate intere a studiare ogni angolo del suo viso, il suo profilo perfetto, la curva del collo… i suoi occhi quando scrutavano. Mi chiedevo come fosse possibile che voi non vi accorgiate della fortuna di avere al fianco una creatura tanto perfetta. Lo sai? Il giorno delle vostre nozze ti ho odiato, ti ho odiato davvero. Pensavi alla mamma. Ginevra aveva quindici anni, stava per sposare un uomo che aveva il doppio della sua età che neanche conosceva e voi, padre, invece di cercare di rassicurarla, non facevate altro di chiedere se erano giunte notizie su mia madre. E sapevo che se fossi rimasto a Camelot un giorno di più avrei seriamente pensato alla morte. Ma Ginevra mi sorrideva. Come potevo pensare alla morte, quando una cosa così bella mi veniva regalata con tanta naturalezza? E poi non era colpa vostra: voi eravate il re e quello era il vostro dovere, ma vi giuro, padre, che avrei dato tutto l’oro del mondo perché voi non foste il re, o il mio amato padre: lo so che non sarebbe stato onorevole, ma avrei insidiato Ginevra fino a farla capitolare. Ma voi siete mio padre. E siete il re. Ed io sono partito. Mi siete mancato molto nei miei anni lontano da Camelot. Ma mi è mancata di più la regina. La sognavo ogni notte, pensavo a lei ogni giorno. Volevo tornare a Camelot e riempirla di regali e parole d’amore. E più pensavo a quelle cose, più mi allontanavo dalla corte. Ero a Tintagel quando sentii un viandante parlare per la prima volta di Ginevra e Lancillotto, di come quell’insulso cavaliere fosse entrato nel cuore della regina, di come lei non avesse occhi che per lui. All’inizio non ci volli credere, ma le dicerie si facevano sempre più frequenti. Potevo accettare tutto, padre. Ma non che s’innamorasse. Se doveva amare qualcuno doveva amare me. Scoprire coi miei occhi che erano tutte fandonie, che lei lo guardasse con cortese sopportazione, che lei fosse fedele… oh, padre! Io ero così felice… Però non potevo continuare così e quando mi avete dato in sposa Gwenhwyvach, in un certo senso, ve ne fui grato: era la brutta copia di Ginevra. La notte, potevo illudermi fosse lei che stringevo tra le braccia, a cui sussurravo dolci frasi d’amore. Potevo illudermi di non tradirvi, amando la regina. E quando avete avuto degli eredi, sono stato felice. Morivo di gelosia nel sapere che voi due… ma ero felice, padre. Credetemi. Non fate quella faccia padre, so che amare in questo modo Ginevra era sbagliato, ma è l’unica cosa che potevo fare. Mi dispiace, padre. Potrai mai perdonarmi? Quando, due anni fa, hanno annunciato la vostra morte al fronte, nessuno di noi due voleva crederci. Abbiamo pregato che fosse un errore: che eri vivo e che quel messaggero si era sbagliato. Ma poi non è arrivata nessun’altra missiva dal fronte. Sarei voluto partire, ma ci sono state delle ribellioni di alcuni vassalli che volevano espandersi sui regni dei cavalieri al fronte, poi il consiglio dei principi ha richiesto una stabilità: volevano sapere chi era il successore. E allora io e Ginevra abbiamo deciso: sarei rimasto come reggente, fino a quando vostro figlio non fosse stato abbastanza grande da poter regnare. Fu allora che mi dichiarai e che le chiesi di sposarmi. Fu un atto dettato dalla passione e che, forse, non avrei dovuto fare, ma lei sorrise, dolce e calda come sempre. E pianse. La mia amata Ginevra ha pianto, in silenzio e composta come sempre. So perché mi ha sposato. Non per opportunismo, padre, ma perché io le davo la sicurezza di cui lei aveva bisogno. Perché sapeva che quello che le offrivo era una spalla su cui appoggiasi e una spada che l’avrebbe difesa da tutto. Che lei mi corrispondesse o no. Ma aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto: con me. Per suo figlio. Si sentiva sola, ma poi ha capito di non esserlo. Ne aveva bisogno. Ed io avevo bisogno di lei. Padre… >> disse in fine lasciandosi cadere in finocchio davanti ad Artù e guardandolo in lacrime << Per favore… per favore, padre. Lei non ha alcuna colpa. Perdonatela e difendetela. Io non ci sono riuscito, ma se voi esiliate me come unico responsabile, lei verrà compatita per un po’, ma la corte non la condannerà. Il popolo non la condannerà. >>
Artù, piangendo, aveva provato a fargli cambiare idea ma Mordred non l’aveva lasciato continuare.
<< Per favore, padre. Non vi ho mai chiesto nulla, in vita mia. Ma lo faccio ora, da figlio a padre. Per favore: state vicino alla donna che amo. Difendetela come difendereste mia madre. Mandatemi in esilio. >>


Fu allora che Artù acconsentì. Maledicendosi per la sua inettitudine.


Ginevra era rimasta nelle sue stanza fino a quando, dalla finestra, intravide Mordred preparare le sue cose. Era sempre stata una donna intelligente e non ci mise molto a capire cosa fosse successo.
Artù non avrebbe mai scordato o sguardo carico d’odio di Ginevra.
Nessuno l’aveva mai guardato con tanto rancore.
Nemmeno un nemico sul campo di battaglia.
Ginevra aveva urlato, gli aveva imposto, poi supplicato, di non esiliare Mordred a Camelot. Ma all’ennesimo rifiuto delle sue preghiere era corsa fuori, incurante dei capelli che si liberavano dalla severa acconciatura, incurante delle vesti che si strappavano e sporcavano, l’unica cosa importante era raggiungere Mordred e implorarlo di non abbandonarla. Artù l’aveva seguita e aveva visto la scena più straziante della sua lunga vita: Mordred aveva abbracciato la donna amata, con una disperazione e un trasporto che non aveva mia visto. Stavano piangendo entrambi, Ginevra lo guardava come se potesse morire da un momento all’altro e lo supplicava di non abbandonarla e Mordred, di rimando, continuava a chiederle di perdonarlo e le diceva di amarla, baciandole i capelli chiari rigati da qualche filo bianco.
In quel momento, mentre Artù si avvicinava ai due e afferrava Ginevra per permettere a Mordred di staccarsi da lei, comprese una cosa: era un mostro e non si sarebbe mai perdonato per la sofferenza che stava infliggendo a suo figlio. Ma era suo figlio e tutto, tutto, era superfluo, tranne lui.
Ginevra aveva strepitato, scalciando disperata fino a quando Artù non era riuscito a portarla nelle sue stanze. Lì le ingiurie di Ginevra si erano fatte taglienti e crudeli. Era sempre stata una donna intelligente e dalla lingua pungente, ma non era mai stata la vittima dei suoi scherni.
Gli aveva dato del pavido, dell’insulso omuncolo buono solo come soprammobile, senza spessore, senza acume, senza nulla di interessante.
<< Come hai osato sopravvivere? >> chiese infine Ginevra.
E Artù sapeva quanto fosse sincera.
<< Lo sai da quanto tempo amo Mordred? Lo sai?! Trentasei anni. TRENTASEI. L’età che avevi tu quando ci siamo sposati. Ma ho tradito i miei voti di regina? No! Mai! Ho fatto la brava, mi sono comportata bene. Non ho neanche sperato che tu morissi perché altrimenti Mordred ne avrebbe sofferto. Ed guardavo qualcun’altra assumere il ruolo che volevo io. Sai cosa significa essere la regina di Camelot? Qualsiasi cosa faccia, sbaglio. Qualsiasi decisione prenda è criticata. Qualsiasi cavaliere saluto, si vocifera sia mio amante. Ma io non ho mai avuto altro uomo che mio marito, nel mio talamo, come non ho avuto altri uomini che Mordred nel mio cuore. E mentre Isotta veniva compianta e compresa dalle dame di corte, io ero la sgualdrina del regno! E Mordred era sempre lontano… Dio solo sa quanto mi è mancato… >> Ginevra tornò a guardarlo, indecifrabile << Perché lo hai esiliato, Artù? Perché? Lui ti ama più di qualunque cosa al mondo… Mordred vuole solo che tu sia orgoglioso di lui… L’unica cosa che io volevo era stargli accanto. Ha pianto così tanto quando ha saputo della vostra morte. Molte dame avrebbero voluto consolarlo, ma io sono stata più veloce, avvantaggiata dal mio legame con lui. E ora… proprio ora che… >> e Ginevra tacque, portandosi le mani al grembo.
E allora Artù capì. Il suo ventre… il suo ventre ospitava una vita. Artù si sentì palpitare dalla gioia. Questa era l’ennesima conferma. Nessuno l’avrebbe più fermato. L’idea che nelle ultime ore si era fatta strada nella sua mente era diventato una volontà solida come la sua spada.
<< Shhh… Piccola mia… >> disse infine Artù prendendole le mano tra le sue << Io non credo di essere la persona più cara a Mordred. Ed è per questo che, guardami Ginevra, è per questo che voglio aiutarti. >>
Nei giorni successivi, Ginevra aveva guardato Artù con innocente affetto. Artù si era sentito orgoglioso dell’aiuto che stava dando al figlio e lusingato dalla fiducia che gli dava la regina.
La fuga era stata ben congeniata.
Lui, il re, sarebbe andato nelle camere della regina, quella notte. Nessuno può disturbare i coniugi reali, in quei momenti. Ma non ci sarebbe stato nulla di romantico, se non la fuitina di Ginevra. L’avrebbe aiutata a uscire dalle mura dove, ad attenderla tra la fitta vegetazione attorno a Camelot c’era parte della sua scorte personale che, divisa in piccoli gruppi, si era stanziata lungo il percorso che l’avrebbe condotta da Mordred.
Al suo passaggio l’avrebbero scambiata per una matrona di basso lignaggio, passando indisturbato.
Ancora ricordava l’ultima volta in cui aveva parlato con la regina di Camelot: sorrideva come un bambina il giorno del suo compleanno. L’aveva salutato con affetto, scusandosi con lui per le ingiurie lanciate qualche settimana prima e ammettendo che sì, anche lei aveva sofferto quando avevano annunciato la sua dipartita.
Ma questo Artù l’aveva sempre saputo.
Il fato era però contrario al loro amore e Artù nel suo piano non aveva tenuto conto di tutto.


E Artù di maledì anche per questo errore.


Avrebbe dovuto considerare più eventualità.


Non aveva tenuto conto che Ginevra era inconfondibile, per grazia e bellezza.


Avrebbe dovuto considerare il fattore umano, ma non l’aveva fatto.


Non aveva tenuto conto di Lancillotto.


E non si sarebbe mai perdonato per questo.


Ancora ricordava quella sera quando, a cena, era arrivata la notizia. Cosa stava facendo? Ah, sì! Conversava divertito con l’unica sua complice di quel piano: sua figlia Niniane.
Era stato Ser Breunor che, precipitandosi a corte, aveva fatto irruzione nel salone dei banchetti e, senza cerimonie ma la disperazione negli occhi e le vesti imbrattate si sangue, aveva urlato:
<< Sire, presto! L’ha uccisa. Ha ucciso la regina! Mordred è impazzito! >>
Lo sgomento generale fu immediato. Artù sentì il suo cuore stringersi dolorosamente in una morsa.
Niniane aveva prontamente chiesto spiegazioni e Ser Breunor aveva parlato: non erano molto lontani da Glastonbury che erano stati raggiunti da un battaglione composto da una ventina di giovani cavalieri capeggiati da Lancillotto. Il primo cavaliere si era posso per recuperare la regina e riportarla a Camelot. Ma Ginevra era di un altro avviso: gli aveva imposto di andarsene e di non farsi più vedere. I due avevano discusso, c’erano state suppliche e insulti. Ser Breunor non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma era stato un momento e Lancillotto aveva sfoderato la spada. La testa della regina era saltata in un solo colpo e lui era stato troppo lontano per farle da scudo.
Niniane ringhiò come una fiera. Era una donna di Avalon e quello significava solo una cosa per lei guerra contro Lancillotto. E mentre Niniane usciva dal salone dei banchetti, su cui ormai era sceso il più agghiacciante dei silenzi, Ser Breunor continuò il suo racconto.
Mordred, poco distante da quel luogo, aveva scorto alcuni dei giovani cavalieri scappare e si era mosso dalla sua posizione per scoprire cosa stesse succedendo, ma mai avrebbe immaginato di vedere il corpo esamine della regina, circondato dai cadaveri di alcuni dei cavalieri di Camelot che si erano sacrificati per permettere la fuga di Lancillotto, mentre altri ancora combattevano con la scorta della regina, per perire poi sotto la furia disperata del figlio del re.
A quel ricordo Artù pianse copiosamente.


Come erano arrivati a quel punto?!


Come mai non si era mai accorto della pazzia latente di Lancillotto?! Un uomo normale non avrebbe mai gatto nulla di simile!


Non l’avrebbe mai perdonato per questo!


Come aveva potuto sottovalutare la sua passione per Ginevra?


Come si può uccidere la persona che si ama?


Perché era stato così cieco?!


E Mordred…
Mordred!
Artù non aveva mai visto un uomo in quelle condizioni. Lo sguardo era trasfigurato, di un pazzo!, mentre aspettava immobile davanti al monastero dove Lancillotto si era rifugiato, attendendo che il cavaliere uscisse per affrontarlo.
Mordred era fermo, a cavallo, con lo sguardo fisso di un lupo diretto alla sua preda.
Quando l’aveva raggiunto, aveva trovato Borre e Loholt già sul posto per placare il fratello. Al suo arrivo lo avevano informato che quella posizione da quando erano arrivati, che aveva intimato Lancillotto di uscire e che era pronto a distruggere quel luogo sacro se non l’avesse fatto. Un monaco li aveva raggiunti, dichiarando che Lancillotto si era dichiarato pentito e che, per espiare la sua terribile colpa, si era rinchiuso in quel luogo così lontano dalla sua natura guerriera ed errabonda.
Artù sospirò sconfortato.
Aveva chiesto a Mordred di ritrarsi, di trovare pace e perdonare l’insano gesto di Lancillotto.
Non avesse mai fatto quell’errore.
Mordred l’aveva guardato per un lungo istante. I suoi occhi si riempirono di una luce che sapeva di morte.
<< Come osi chiedermelo? >>
Già… come osava? Artù non lo sapeva, ma era cosciente del fatto che suo figlio non avrebbe mai trovato pace con la morte di Lancillotto.
Alla fine Mordred se n’era andato, ma lasciando una certezza: che avrebbe trovato e avrebbe distrutto tutto. Come loro avevano distrutto il suo, di tutto. Non avrebbe mai perdonato nessuno.


E la guerra fratricida era iniziata.


E la guerra parricida stava per finire.


Artù si alzò dal seggio di Mordred sentendosi addosso, per la rima volta della sua vita, tutto il peso dei suoi anni.
Qualcuno bussò al portone dietro di lui.
Si guardò attorno: la sala della tavola rotonda non era mai stata così silenziosa e vuota.
Ormai quel luogo rappresentava solo il ricordo di un passato che non aveva più senso, era il simbolo di qualcosa che ormai era morto.
Era giunto il momento d andare.
Lui era il re di Camelot e avrebbe messo fine a quella guerra.
Avrebbe messo fine alla vita del figlio.
Avrebbe messo fine alla sua stessa vita.


Sperando, ma con poca convinzione, di essere perdonato per questo.



FINE

------------------------------





SPAZIO AUTRICE:Scusate: ho dovuto dividere il racconto in due parti perchè troppo lungo...

Ultima modifica di Fragolalidia : 20-06-2010 alle ore 23.56.40.
Fragolalidia non è connesso   Rispondi citando