ARDEA DE' TADDEI
“Genìe umane mandava in rovina
spadroneggiando a Treto, ad
Apesanto, e a Nemea, il mostruoso
leone: ma dall’erculea forza fu abbattuto.”
(Esiodo, Teogonia, 525)
Una luce irregolare e inquietante, frutto delle torce, danzava e si contorceva lungo le ruvide pareti della grotta annerite dal fumo.
I contorni e le forme di quel luogo assumevano così, a causa di questi ambigui giochi di luci e ombre, un aspetto grottesco e deforme.
“Che... che luogo è mai questo?” Chiese Biago profondamente turbato.
Ardea non rispose.
E dopo aver scrutato ogni angolo di quel luogo e accortosi che nessun altro, oltre loro e la belva addormentata, vi fosse decise di uscire allo scoperto.
“Dove vai?” Gli disse Biago. “Sei forse impazzito?”
Ardea però non si curò del richiamo del suo fedele scudiero e continuò ad avanzare.
Giunse così a pochi passi dalla gabbia della belva, mentre questa continuava ad essere immersa nel suo profondo sonno.
Così, a pochi passi da quell’animale, Ardea poté riconoscerne la forma e la stazza.
Si voltò verso Biago, che era rimasto dietro le rocce, fissandolo con uno strano sguardo.
Fece poi cenno al suo scudiero di avvicinarsi.
E nonostante la viva paura Biago obbedì.
“Questo è il molosso che ci ha aggrediti nella brughiera.” Disse Ardea.
“Ne sei sicuro?” Chiese Biago.
“Si, ne sono certo.”
“E’ un grosso cane...” disse Biago “... forse il più grosso che io abbia mai visto.”
“Si, potrebbe mettere in fuga anche un lupo.” Rispose Ardea.
“Ma è nero.” Disse Biago. “Nero come la pece dell’Inferno. Mentre noi invece cerchiamo una belva coperta da un pelo spettrale…”
Ardea guardò con attenzione la belva e rispose:
“Si, ma tu stesso mi avevi detto che il suo pelo era tinto…”
La fissò ancora ed aggiunse:
“Guarda il suo ventre... c’è una vistosa benda che lo avvolge.”
“Deve essere il punto in cui l’hai ferito!” Esclamò Biago.
“Già.”
Ad un tratto si udirono dei passi in lontananza.
In un attimo i due ritornarono nel loro nascondiglio e pochi istanti dopo qualcuno giunse in quel luogo.
Era un uomo con la testa coperta da un nero cappuccio.
Aveva la giubba di pelle ed i calzoni stretti che terminavano in consumati stivali di cuoio.
Uno stretto cinturone borchiato, che pendeva sul lato destro, recava diversi foderi con dei pugnali al loro interno.
Sembrava in tutto e per tutto abbigliato alla maniera dei bracconieri normanni.
Il misterioso figuro si avvicinò alla gabbia e cominciò ad accarezzare quella belva addormentata.
Questa si destò dal suo sonno e, riconosciuto il suo padrone, si abbandonò alle carezze di quella mano amica.
“Tranquillo, amico mio…” cominciò a dire l’uomo incappucciato “... presto la tua ferita guarirà e termineremo quello che abbiamo cominciato.”
Si allontanò allora dalla gabbia e prese una grossa ciotola con dentro della carne mista a legumi.
La introdusse nella gabbia e lasciò quella grottesca belva a divorare il suo pasto.
“Questa volta, amico mio... ” aggiunse l’uomo incappucciato “... ti ho offerto io il tuo pasto, ma la prossima volta sarai tu stesso a procurartelo... e banchetterai con le carni di quel maledetto cavaliere e di tutti i Mussoni che mi hanno fatto del male!”
A quelle parole, Ardea e Biago si scambiarono una rapida occhiata.
Dopo qualche istante passato ad osservare il molosso mentre consumava il suo passo, il misterioso uomo scomparve in un’apertura naturale della grotta.
“Ora cosa facciamo?” Chiese Biago totalmente turbato dalla scena appena vista.
“Chi sarà quell’uomo incappucciato?” Si domandò ad alta voce Ardea. “E perché odia tanto i Mussoni?”
“E da quel che ha detto” intervenne Biago “anche tu sei nella sua lista nera!”
Ad un tratto, per qualche motivo inspiegabile, il molosso emise un sordo ululato che sembrò scuotere l’intera caverna.
Biago ebbe un sussulto e arretrò di scatto, colpendo con una gamba un secchio che si rovesciò a terra.
Al suo interno vi era un liquido denso e vischioso, di un forte giallo fosforescente.
“Accidenti!” Disse Biago.
“Fai attenzione!” Gli intimò Ardea.
“Hai visto? Deve essere la tintura usata per coprire il molosso!” Esclamò Biago.
Ma un attimo dopo, senza che se ne fossero accorti, un’ombra si proiettò su di loro.
L’uomo incappucciato li fissò.
Portò uno strano oggetto alla bocca e cominciò a soffiarci dentro.
Il suono rese subito nervoso e inferocito il molosso.
A quel punto l’uomo incappucciato tirò via la spranga che teneva chiusa la gabbia e liberò la sua innaturale belva.
(Continua...)