IL RITRATTO DEL BACIO
VI
Il pittore restò molto sorpreso.
Lei non era mai mancata ai loro incontri quotidiani.
Sia con il luminoso Sole, che con l’umida pioggia, la ragazza era stata sempre lì ad aspettarlo.
Quel giorno invece, senza preavviso o altro segno, lei non si era fatta trovare.
Passeggiò allora per un po’ in quello spiazzo verdeggiante, che segnava la fine del perimetro urbano e l’inizio della campagna, assalito da incertezze e dubbi.
Restò lì fino al crepuscolo, quando l’oscurità della sera si accingeva a coprire ogni cosa.
Il giorno successivo, alla stessa ora, ritornò in quel luogo, ma la ragazza non c’era.
Fece così per i successivi giorni, ma la fanciulla sembrava essere svanita nel nulla.
Il ritratto era ad un discreto punto e già mostrava, sebbene poco più che abbozzate, le figure principali.
Decise allora di completarlo senza aver più la ragazza come modella.
Ma ben presto si accorse che ciò era solo un’utopia.
L’immagine sembrava mutare e sfiorire ogni qualvolta l’artista cercava di apportarvi aggiunte o modifiche.
L’essenza del ritratto, che tanto soddisfava il pittore, pareva ora svanire, diventare altro.
Come se quel ritratto non fosse più lo stesso.
Allora l’artista ben comprese che non avrebbe potuto completarlo senza poter ancora una volta vedere quella ragazza.
Se avesse continuato, guidato solo dai suoi sensi, dal suo estro e dai suoi ricordi, avrebbe finito per odiare e poi distruggere quel ritratto.
In quel momento si ricordò del monastero.
Ella infatti era solita apparire solo davanti a quel luogo e li restando per tutta la durata dei loro incontri.
Mai, ricordò ora il pittore, l’aveva veduta per la città, neanche durante le feste religiose, quando in massa accorreva tutta la popolazione.
Quel luogo quindi, realizzò il pittore, era in qualche modo indissolubilmente legato a quella ragazza.
E forse il mistero della sua scomparsa si celava proprio in quel posto.
Così, decise di recarsi a quel santo ed austero luogo e chiedere notizie di lei.
Giuntovi e avendo riconosciuto la fama del suo nome, a causa della commissione ducale, fu subito ricevuto dalla madre superiora.
“Reverenda madre…” cominciò a dire “… perdonate se giungo a destare e turbare la solenne tranquillità di quest’eremo, ma ho bisogno di chiedervi un’informazione…”
“Chiedete pure, messere.” Rispose cortese la pia donna.
“Ecco, capitò che” continuò l’artista “mi imbattei in una delicata e gentile fanciulla, tre mesi or sono, proprio davanti a questo convento e da giorni stranamente non ne ho più notizie.”
“Perdonatemi, messere” rispose la donna “ma non vedo come potrei esservi utile in questo. La vita oltre le mura di questo monastero non influenza in alcun modo la nostra esistenza ed ogni cosa accada oltre questo austero recinto è a noi assolutamente ignota.”
“Comprendo e conosco le regole del vostro santo e reverendo ufficio” disse il pittore “ma ella mi rivelò un giorno, di essere una novizia di questo convento. Ecco perché mi sono permesso di disturbarvi dalle vostre pie funzioni.”
“Una novizia?” Ripeté la madre superiora. “Impossibile, vi sbagliate di certo. Le fanciulle destinate a questo luogo non possono mai uscire da sole. E’ impossibile che voi abbiate incontrato una nostra novizia ogni giorno, da sola, fuori da questo convento.”
“Eppure ella mi disse proprio questo.”
“Perdonatemi, messere” ribatté la donna “ma forse vi imbatteste in una donna di sicura altra natura, che nulla aveva a che fare con questo luogo e le sue secolari regole.”
“No, reverenda madre.” Rispose l’artista. “Ella, posso giurarvi, era incapace anche solo di concepire menzogne. Sono certo che mi disse il vero.”
“Vi ripeto, messere, che ciò è impossibile.” Sentenziò la donna. “Sarebbe totalmente in rotta con la nostra regola.”
“Eppure ciò è assurdo…”
“Sapreste dirmi il nome di questa fanciulla?” Chiese la donna, intenerita dallo stato d’animo dell’uomo che aveva davanti.
“No, reverenda madre.” Rispose lui. “Non lo conosco.”
“Frequentaste quella fanciulla per mesi” chiese meravigliata la donna “e non vi rivelò mai il suo nome?”
“E’ così.” Rispose il pittore.
“Potreste allora descrivermela?”
“Era una ragazza di delicatissima bellezza.” Cominciò a dire lui. “Con modi aggraziati e soavi, degni di una figura fatata, estranea a questo mondo. I capelli di un colore quasi unico e particolare, i tratti teneri e morbidissimi, adagiati alla perfezione su una pelle che sembrava preziosa come la ceramica.”
“Messere…” lo interruppe la donna “… questa vostra sentita descrizione ben si addice per un artista, ma non al nostro caso.”
“Perdonate…”
“Dovreste essere più preciso e meno vago.”
“Potrei mostrarvi il ritratto in cui ella compare!” Esclamò all’improvviso il pittore. “Si, così che potreste vederla!”
Così, il giorno successivo, il pittore ritornò al monastero e come detto mostrò il ritratto alla madre superiora.
Questa, nel vederlo, sbiancò e resto visibilmente turbata.
“Dove diceste di aver visto questa ragazza?” Chiese lei, destatasi a stento da quella viva inquietudine che l’aveva raggiunta.
“Proprio fuori le mura di questo monastero.” Rispose l’artista. “Ditemi, la riconoscete?”
La donna fissò ancora quel ritratto, come rapita da quell’immagine.
“E quando la vedeste l’ultima volta?” Chiese ancora.
“Pochi giorni fa.” Rispose lui, cominciando a percepire l’ansia della donna.
“La ragazza di cui parlate è la stessa del ritratto?” Chiese lei. “Ne siete proprio sicuro?”
“Certo, l’ho dipinta io stesso.”
“Ebbene…” disse la donna con gli occhi visibilmente inumiditi e rossi “… la ragazza di quel dipinto è morta 30 anni fa…”
Un sordo silenzio avvolse allora i due, mentre un leggero vento cominciò a soffiare tra le alte mura del monastero, diffondendosi ovunque come un lento e straziante lamento.
(Continua...)