Cittadino di Camelot
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Le luci della Britannia
Artù non conobbe re Lot prima della battaglia, nonostante lo desiderasse. Era curioso di come fosse il marito della sorella Morgause nonché un altro re oltre ad Uther.
"E' una serpe," gli aveva spiegato Bedivere, "l'unico motivo per cui è qui è perché spera di poter prendere le redini della guerra e di vedere re Uther morire."
Artù aveva sobbalzato, ma non aveva detto nulla e dimenticò l'ammonimento del capitano fino a quando, sul campo di battaglia, si accorse di averlo perso di vista.
E Lot li abbandonò.
Artù si trovava nel battaglione di Uther, al suo fianco e sotto il suo comando con la cavalleria dell'esercito mentre Bedivere aveva con sé la maggior parte delle truppe tra cavalieri e soldati appiedati. Lot avrebbe dovuto unirsi a Bedivere, ed attaccare Cerdic su un fianco per permettere alla cavalleria di Uther si cogliere i sassoni di sorpresa.
Ed il re, il marito della sua sorellastra, li tradì. Invece di attaccare Cerdic, ritirò le truppe portandole direttamente verso i cavalieri di Uther ed Artù mostrando così la via verso di loro e conducendo i sassoni a sorpresa contro la cavalleria.
Artù vide Cerdic (Cerdic era l'uomo più alto che Artù avesse mai visto, ma i suoi capelli erano scuri, nerissimi, come quelli di un Britannico), vide i sassoni ed una macchia del viola dello stemma di Lot e poi fu tutto confusione.
Bedivere fece il possibile, ma non fu abbastanza.
Uther venne colpito ed Artù non poté rimanere accanto a lui perché il sogno di Uther, i suoi ordini, dovevano essere portati avanti. Prese il comando dell'esercito, sapendo che questo era ciò che tutti si aspettavano da lui e sapendo di poterlo fare. Di poterci riuscire.
La battaglia, la guerra, venne vinta.
Contro tutte le aspettative dei re britannici, Uther ed Artù vinsero. Cerdic venne sconfitto e fu costretto a ritirarsi, lasciando ai britanni la promessa di rimanere nei confini dati loro da Vortingern, ma nulla di firmato, nulla di certo ed Artù fu sicuro che un giorno si sarebbero incontrati nuovamente.
Il campo era pieno di soldati morti, sangue, gemiti. Sia sassoni che celti e romani. Nessuna differenza in quella mescolanza.
Per una volta, Artù non badò a loro. Le urla del proprio esercito che lo acclamava erano più forti dei singhiozzi di dolore dei moribondi.
Il sangue sul fianco di Uther sembrò più brillante del colore sparso sulla terra.
"Mio padre!" gridò Artù, la spada ancora in mano, barcollando verso Bedivere.
"Artù, calmatevi, è ferito, ma ancora vivo. Dovete calmarvi," lo tranquillizzò il capitano, prendendolo per le spalle.
Bedivere non lo lasciò subito andare da Uther. Lo fece sedere, lo obbligò a bere un bicchiere di vino e con voce soave e tranquilla gli spiegò cosa esattamente fosse accaduto.
Abbiamo vinto. Lot è fuggito, ci ha pugnalato alle spalle, ma ora è fuggito. Voce del suo tradimento già vaga per la Britannia, di sicuro. E quello che è più importante è che la vostra vittoria viene acclamata ovunque.
Quando Artù si accorse di aver smesso di piangere (e nemmeno si ricordava di aver iniziato) Bedivere lo fece alzare e lo portò alla tenda di Uther.
Suo padre era steso su un giaciglio insanguinato, occhi chiusi, viso pallido e Merlino era chino su di lui con una brocca tra le mani e le sopracciglia aggrottate.
"Artù, vieni a sederti qui," lo chiamò e quando il principe ubbidì, Bedivere li lasciò soli.
"Si riprenderà?"
"Sai già la risposta a questa domanda. Uther stava già morendo."
"No, no, era forte, ha combattuto- io non lo conosco. Non lo conosco abbastanza."
Aveva avuto troppo poco tempo per conoscerlo, troppi pochi attimi fra armi e battaglie.
"Era forte, ma stava morendo da tempo."
Artù rimase accanto al padre tutta la notte e tutto il giorno successivo, senza mangiare e bevendo solo ciò che Merlino gli costringeva a prendere.
La sera successiva Uther morì senza mai essersi svegliato dal suo sonno ed aver permesso al figlio di dirgli addio. Ed Artù divenne il Grande Re dopo di lui.
Lot fuggì e tornò alle Orcadi con il proprio esercito.
Dopo aver bruciato il corpo di Uther, Artù decise di riportare l'esercito alla villa di Ector, l'unico luogo sicuro a cui poteva pensare.
Bedivere gli sconsigliò di fare marcia su Camelot.
"Ora che avete vinto e Lot ha dimostrato di non volervi appoggiare dubito che Camelot sia un luogo sicuro. Lot ha molti amici e noi siamo ancora soli. Siete di diritto il re successore di Uther ed avete il suo esercito dalla vostra parte, ma Cerdic ci ha causato delle gravi perdite," spiegò Bedivere, due settimane dopo, sulla strada verso la villa.
"Non conosco i re, non voglio essere un re," sussurrò Artù. "Mi basta essere un comandante."
"Artù, non essere sciocco," intervenne Merlino, "sei un ingenuo se pensi che lasciando il tuo ruolo Lot possa divenire re e poi tutto sisistemi per il meglio. Se tu non sarai il grande re, tutti i duchi ed i re della Britannia vorranno avere quel titolo ed il lavoro fatto da Uther in questi anni sarà stato inutile."
"Vi aiuteremo noi, sire," sussurrò Bedivere, usando per la prima volta quella delicata parola.
Da quel giorno Artù non parlò più di ciò che voleva davvero. Non poteva tradire il sogno del suo defunto padre.
Artù dovette ammettere che una parte di lui fu felice di tornare alla villa.
Sei mesi, quasi sei mesi.
Molte cose accadevano in sei mesi. Molte cose erano accadute a lui in sei mesi. Aveva combattuto, aveva perso un padre ed era diventato re.
Ma la villa era sempre la sua casa. Il luogo in cui aveva dormito con la sua prima donna, aveva catturato la sua prima rana ed aveva preso per la prima volta una spada in mano.
La villa era come la ricordava.
Luminosa, tranquilla. Nulla di simile agli affollati accampamenti in cui aveva vagato per quegli ultimi mesi. Artù si era quasi dimenticato dell'odore che la villa aveva sempre avuto i primi giorni d'inverno.
L'esercito si accampò poco fuori, accanto alla foresta e solo Bedivere, Dinadan e Merlino accompagnarono Artù a casa.
Con il cuore in gola e le mani che sudavano e tremavano, Artù entrò nella villa accolto da un inaspettato abbraccio di Ector.
Quando Targo si inchinò davanti a lui, Artù scoppiò in lacrime, confuso, spaventato per il proprio futuro e più stanco di quanto fosse mai stato.
"Artù, sire!" esclamò Ector, lasciandolo andare.
"Sire!" ripeté uno dei servitori.
"Mi siete mancati molto," rispose il re, guardandosi attorno, passandosi un braccio sugli occhi per cancellare i residui di quella debolezza. Non c'era traccia di Gallia e Julanna. Frith, la vecchia cuoca, era seduta sul pavimento con un neonato fra le braccia ed accanto a lei una sconosciuta.
Kai era a pochi passi da loro.
"Sire," sorrise Kai quando lo sguardo del re cadde su di lui.
Kai sembrava diverso, ma fu solo dopo che Artù scoprì cosa era accaduto alla villa di Ector. Della piccola Rhelemon, della morte di Julanna e dell'esilio di Severinus.
"Julanna è morta," annunciò Ector quella sera dopo i racconti di Merlino ed Artù su ciò che era accaduto a Londinium e ciò che sarebbe potuto accadere.
"Come è successo?" chiese Artù incrociando lo sguardo di Kai. Non avevano ancora avuto il tempo di parlare da soli.
"E' morta di parto. Era già incinta quando siete partiti ed ancora nessuno lo sapeva, la povera Julanna non è sopravvissuta. Ma fortunatamente la piccola Rhelemon è viva e forte," aggiunse Ector, lanciando un'occhiata alla bambina in braccio a quella che pareva essere una balia.
Rhelemon era una bambina silenziosissima con due enormi occhi verdi sempre pronti a bere tutto ciò che era attorno a loro.
"Ed il nostro Kai ora è un padre," intervenne Merlino, chinandosi sulla bambina.
Kai gli lanciò uno sguardo irritato, ma Artù non capì se fosse per l'affermazione o per la vicinanza a sua figlia.
"Mi dispiace per il vostro lutto," disse Artù, sinceramente.
Ector annuì e passò la successiva ora a raccontare gli ultimi avvenimenti della città e della villa. Nascite di cavalli, furti, servitori assunti da poco-
"-e dopo la fuga di Severinus-"
"La fuga di Severinus?" ripeté Artù, non più distratto dalla conversazione. Kai evitò il suo sguardo, immergendosi in un bicchiere.
"E' stata una faccenda che ci ha colpiti molto."
Artù scambiò uno sguardo confuso con Merlin ed intercettò un cenno di Bedivere. Gli stava indicando Kai.
Per un attimo il re si chiese del perché non fosse pazzamente innamorato di sir Bedivere. Era un uomo che chiunque avrebbe voluto avere al proprio fianco.
"Sono stanco," annunciò Artù, alzandosi ed il suo capitano sorrise.
"Kai, mostra al nostro re dove potrà riposarsi," ordinò Ector ed Artù ringraziò la propria buona sorte. Si sarebbe sentito mortalmente in imbarazzo all'idea di far chiamare Kai nelle proprie stanze.
L'altro lo seguì in silenzio fuori dalla sala e lo accompagnò fino alla stanza da letto che era appartenuta un tempo ad Ector stesso.
"Mi dispiace per Julanna," mormorò Artù, con voce lieve, nel tentativo di introdurre delicatamente l'argomento che lo stava tormentando.
"Dispiace più a Rhelemon. Ma non penso che tu voglia parlare di questo."
C'era qualcosa di diverso in Kai. Sembrava avere meno ombre, ma più sfumature.
"Cosa è successo con Severinus?"
"Nulla. Se ne è andato."
"E' stato esiliato?"
"Mio padre sarà felice di farti sapere i dettagli."
Artù sospirò. Avrebbe voluto sentirsi irritato o arrabbiato, ma in realtà ciò che provava era sollievo. Era con Kai. Severinus non c'era più. (E con una punta di senso di colpa pensò che anche Julanna era morta).
"Non li voglio sapere da Ector."
"Bene."
Quando il re non rispose nulla, Kai si arrotolò le maniche della tunica e porse le proprie mani al suo sovrano.
"Cosa-" la confusione scomparve subito quando guardò ciò che Kai gli stava davvero mostrando.
Artù prese il polsi di Kai fra le proprie mani e li girò. C'erano dei cerchi bianchi e rosati attorno, sfrangiati e poco nitidi. Cicatrici. E sul polso sinistro c'era un lungo segno lasciato da una lama.
Artù deglutì. Una, due volte.
"Ti ha legato?" domandò, sentendosi la voce estranea e le orecchie tappate. Credeva di aver provato rabbia al tradimento di Lot. O di essere stato furioso nel vedere Severinus con Kai, ma mai aveva sentito un simile tremore di furia rossa e terribile al vedere quei segni.
"E mi sono liberato con il tuo coltello," spiegò Kai, indicando la cicatrice più lunga e nitida.
"Spiegami, ti prego."
"Artù, re o no rimani sempre una ragazzina," rise il rosso, districandosi dalla sua presa. "Non eri stanco?"
Non servì a nulla chiedere cosa fosse accaduto perché Kai tenne la bocca sigillata e cambiò argomento in continuazione. (Ma in compenso Artù ricevette una lunga descrizione sulle ore impossibili alle quali Rhelemon piangeva.)
"Sono felice di essere tornato," sorrise infine Artù, rinunciando per il momento alle sue domande.
"Non sei tornato per restare. Sei un re. Sei il re."
"Dovrò combattere contro Lot. Quando avrò vinto sarò il re, non prima."
Kai fece spallucce, ma si irrigidì quando Artù gli passò le braccia dietro al collo come lui aveva fatto sei mesi prima.
"No, è sbagliato. Non sono più il catamita di nessuno, ora."
"Non sei mai stato un catamita," replicò Artù, lasciandolo. "E diversamente da ciò che dice Ector, non è sbagliato. Nell'esercito, tra i celti, non è sbagliato."
Si aspettò quasi che Kai se ne uscisse con una tipica frase alla Ector sulle note di 'Io sono un romano', ma invece si ritrovò uno sguardo cupo ed allarmato. "Sei andato con qualcuno mentre eri con i soldati?"
Se Artù l'avesse conosciuto meno probabilmente l'avrebbe creduto geloso. Ma c'era qualcosa di più simile all'ansia nei suoi occhi verdi.
"Sì, uno dei cavalieri-"
"Chi? Che cosa ti ha fatto?"
Sorpreso, Artù si lasciò sfuggire una risata stupita da tanta veemenza. "Pensavo che sapessi ciò che fanno due uomini. Non hai mai tenuto Severinus un segreto."
"Ma tu stai bene," continuò Kai, osservandolo attentamente. Il re se ne stette immobile sotto il suo sguardo, lasciando che l'altro si rassicurasse sulla sua salute.
Certo che stava bene, ovvio che-
Con un senso di gelo nella bocca, Artù inclinò leggermente la testa per poter abbassarsi al livello degli occhi di Kai. Dopotutto era ancora più alto di lui.
"Sir Griflet, si chiama così, non mi ha fatto male. Mi è piaciuto, è piaciuto ad entrambi. Quello che facevate tu e Severinus- ti piaceva?" domandò il re, chiedendosi forse se quel codardo non l'avesse davvero deviato e se Kai non fosse in realtà attratto dalle donne.
"Sì. No. Non mi ricordo"
Il figlio di Ector doveva vivere la stessa atmosfera da sogno, la stessa bolla di nebbia che sentiva Artù. Uno di quei momenti incantati in cui tutte le parole escono dalla bocca, ma al minimo rumore il mondo si ferma di nuovo.
Quindi ti piacciono gli uomini? avrebbe voluto chiedere il re, quando uno strano pensiero gli sorse prepotente tra la confusione degli eventi passati. Kai lo aveva baciato, due volte.
Ed era stato Kai ad avvicinarsi per primo a Severinus, a seguirlo quando questi veniva alla villa ospite di Ector. Quindi probabilmente la risposta era sì, a Kai piacevano gli uomini.
Perché quell'apprensione, allora?
Ma tu stai bene. Aveva detto Kai. Questo Kai, che sembrava molto più stanco e provato di quanto Artù lo avesse mai vista.
E mentre la sua mente ripeteva litanie e negazioni (no, no, non può essere successo, non a Kai, non a Kai, queste cose capitano alle donne, non a Kai, non a Kai che è sempre irritato e ride troppo, non a Kai) Artù si ritrovò a lanciarsi in avanti ed ad afferrare l'uomo con cui era cresciuto e colui di cui probabilmente era innamorato.
"Che cosa stai facendo?" esclamò Kai, ritrovandosi abbracciato da Artù.
"Lo uccido, giuro sugli dei di romani e dei celti che lo uccido."
Artù non uccise nessuno quella sera e Kai se ne andò dicendogli che non c'era bisogno di mettersi a mietere i loro ora che non poteva più tagliare teste ai sassoni.
Quella notte non sognò i sassoni o i cavalli della villa e grazie al cielo riuscì a dormire in una lunga e buia notte esente da incubi.
Quando si svegliò si ritrovò più stanco di prima e leggermente nauseato. E Bedivere lo stava aspettando alla soglia.
"Bedivere, sembra che non abbiate dormito." Ed era vero, il viso solitamente rilassato del capitano aveva due profonde occhiaie scure.
"Ho dovuto scrivere alcuni messaggi ai re che mi avete chiesto di contattare. Sono certo che Pellinore verrà in nostro aiuto. Sono meno sicuro su Leondegrance, ma potrei sbagliarvi."
"Potevate risposarvi," replicò Artù, evitando però di lasciarsi sfuggire un 'mi dispiace'.
"Mi riposerò quando le cose torneranno a girare per il meglio. Ho anche fatto delle ricerche per voi."
"Che genere di ricerche?"
"Spero di non offendervi. Ho chiesto in città di Severinus."
Le poche tracce del sonno che prima vagavano sul volto del re scomparvero immediatamente e per un attimo volle quasi abbracciare Bedivere e chiedergli di governare al suo posto la Britannia. Sicuramente sarebbe stato migliore di lui.
"Merlino mi ha detto che vi avrebbe fatto piacere saperne di più."
"Sì, grazie Bedivere."
I due uomini rientrarono nella stanza di Artù ed il re si fece portare dell'acqua e della frutta. Non aveva fame, ma il suo capitano meritava un po' di ristoro.
"Mi è parso di capire che Kai e Severinus fossero... intimi?"
"Uh, forse?"
"Sì," sorrise Bedivere, "sembra che Kai abbia smesso di visitare la casa di Severinus nei primi due mesi dalla vostra partenza. In città hanno detto che comunque Severinus non ha smesso di fare feste o di chiedere a Kai di presentarsi finché questi, due mesi dopo, non è tornato a fargli visita come sempre."
"Perché? Cosa è successo?"
"Un bambino," rispose Bedivere, chiaramente a disagio con la storia da narrare. "pare che il figlio dell'aiutante del fabbro avesse accusato Severinus di aver avuto con lui dei - rapporti sconveniente."
Artù poté quasi fisicamente sentire il sangue che svaniva dal proprio volto, lasciandolo pallido come un lenzuolo. Non dovette chiedere all'altro delle spiegazioni perché aveva già intuito cosa fossero quei rapporti sconvenienti.
"La madre di Severinus ha pagato il padre del ragazzino un bel po' di soldi per fargli lasciare la città con il bambino."
"Capisco," gracchiò il re, schiarendosi la gola. "E poi Kai è tornato a- a fargli visita."
"Sì. Finché un mese fa un altro bambino è scomparso e qui ognuno ha racconti contrastanti. Il fabbro mi ha detto che quando il piccolo Simmil è sparito, Kai era da Severinus la sera stessa ed è uscito di notte con il bambino, praticamente indenne. Alcuni invece dicono che Kai era d'accordo con Severinus e che il bambino è riuscito a fuggire dopo averli pugnalati."
"Quale credi che sia la verità?"
"La madre di Simmil sembrava sul punto di creare un culto in onore di del vostro amico, quindi propendo per la prima."
"Grazie, Bedivere."
Il capitano annuì, ma non si mosse. "Avete bisogno di altro?" Potete parlare, dicevano i suoi occhi.
"No, grazie è- è solo che avrei dovuto saperlo prima. Sapevo combattere, avrei dovuto intuire che c'era qualcosa di sbagliato in Severinus."
"Esistono molti mostri tra di noi e non tutti hanno una bandiera sassone da sfoggiare."
Merlino gli occupò tutti i pomeriggi successivi. Artù non ebbe occasione di parlare nuovamente con Kai (e davvero, non sapeva cosa dire) e l'unica volta in cui si trovò da solo con lui, Kai aveva in braccio Rhelemon e le stava dicendo qualcosa sulle farfalle.
Pareva che la tenerezza che non aveva mai mostrato a Julanna si fosse riversata tutta sulla sua piccola figlia ed Artù non riuscì a decidersi di spezzare quel piccolo momento di tranquillità con altre domande su Severinus.
Passarono tre giorni prima che qualcosa cambiasse.
Un messaggero di Merlino giunse alla villa troppo affannato per riposarsi e troppo emozionato per mangiare prima di aver visto il suo padrone ed il re.
"Che notizie ci porti?"
"Re Pellinore del Listenoise, re Pellas e re Leondegrance di Carmelide sono ad un solo giorno di marcia da qui con i loro eserciti. Lasceranno le truppe e si avvicineranno con un'ambasciata di pace per giurare fedeltà a re Artù Pendragon figlio dell'Orso."
"Ottime notizie dunque!" sorrise Merlino grattandosi la barba che si era fatto crescere in quei mesi.
"Pellinore è un amico," aggiunse Bedivere, appoggiando una mano sulla spalla di Artù, troppo nervoso per parlare. Più il tempo passava più tutto si faceva sempre più reale e vero.
Il messaggero sbagliò di poco la data dell'arrivo dei re perché questi giunsero quella sera stessa con venti cavalieri di scorta ciascuno, mossi dalla fretta.
I tre uomini non potevano essere più diversi.
Pellas era un vecchio dalla barba scura, sicuramente più anziano di Merlino. Sorrideva in continuazione e pareva aver deciso di voler adottare Artù sotto la sua ala protettiva. Pellinore era di poco più giovane di lui e ricordava Bedivere nei suoi modi pacati e gentili.
Londegrance invece aveva l'aspetto che Artù aveva sempre pensato dovesse avere un re. Era austero con un naso aquilino ed occhi indagatori.
I tre re si inchinarono formalmente davanti ad Artù ed accettarono l'ospitalità nella villa di Ector.
Artù riuscì a dar loro il benvenuto senza balbettare, ma arrossì fino alla punta dei capelli quando Pellas lo strinse in un abbraccio sussurrandogli: "Vostro padre era un re giusto."
Fortunatamente Merlino e Bedivere gli erano accanto, pronti a guidarlo in quel nuovo terreno.
Il maestro chiese ad ogni re notizie della Britannia e dei suoi tumulti.
"Re Lot ha convinto re Mark di Cornovaglia dalla sua. Non so esattamente il numero dei duchi," li informò Pellinore, bevendo dell'acqua. Aveva espressamente rifiutato il vino.
"Lot promette la divisione equa delle terre, tenendo per sé la città di Camelot come dono al condottiero della ribellione," aggiunse Pellinore. "Uther era un grande generale ed anche se non lo conoscevo bene personalmente mi fido di un soldato e lui era un soldato."
"Lot è solo un vecchio gallo," continuò Pellas, "e parlando di soldati, il vostro esercito e tutta la Britannia vi acclamano come lo sterminatore di sassoni!"
Artù scosse la testa e venne fortunatamente salvato da Merlino.
"E voi, re Ledondegrance?"
"Non ho mai amato particolarmente Uther. Ma credo che sia necessario rimanere uniti finché la minaccia sassone grava su di noi."
"Cerdic è un ottimo generale," parlò Artù, per la prima volta ed i tre re lo osservarono curiosi. La voce non gli uscì così spezzata come temeva. "Non possiamo- non posso permettere di avere eserciti divisi. Se Lot vincerà, dividerà la Britannia. Se io vincerò la terrò unita ed è la nostra unica speranza."
"Non posso uscire da questa guerra a mani vuote," replicò Leondegrance, con una nota di freddezza. Bedivere gli lanciò un'occhiata ostile, ma non si mosse né disse nulla. "Offro denaro, cavalli e uomini. Li dono completamente a voi. Ed avrete anche il mio esercito al vostro servizio durante questa guerra."
"Ed in cambio?" chiese Artù, muovendosi a disagio sulla sedia.
"Unirmi alla casa reale. Ho una figlia all'accampamento con le sue dame. Ha quindici anni ed è in età da marito."
Prima che Artù potesse aprire la bocca per protestare, perché a volte era un uomo impulsivo, Bedivere gli afferrò il polso, stringendoglielo.
"Prenderemo in considerazione la vostra offerta," sorrise Merlino.
"Ginevra sarà qui in mattinata," rispose Leondegrance, mimando il suo sorriso e sapendo di aver vinto.
Non c'era dubbio che avrebbe ottenuto ciò che voleva e sia Merlino che Bedivere lo sapevano. Quando i re si ritirano per risposarsi, tentarono di mostrare ad Artù il loro sensato punto di vista.
"No."
"Artù, immaginavo che crescere in questa topaia di romani di avesse danneggiato il cervello, ma non credevo che la cosa si sarebbe aggravata così tanto!" esclamò Merlino, seduto per terra, davanti alla porta della stanza del re, per impedire che questi uscisse e sfuggisse alla conversazione.
"Non la amo."
"Con tutto il rispetto, sire," intervenne Bedivere, "in un matrimonio l'amore nasce e cresce con il tempo."
"Io amo un'altra persona. Ne sono certo."
"Artù, per quel che mi riguarda potresti anche essere innamorato di una fata dei boschi vendicativa, ma qui non stiamo parlando di quello. Stiamo parlando di matrimonio. Dovrai comunque sposarti un giorno ed avere degli eredi e non credo che tu possa farlo con Kai."
"Merlino!" arrossì Artù, occhieggiando Bedivere che lo stava osservando impassibile.
"Leondegrance ci serve, ragazzo mio. E sai perché? Perché il nord ama Leondegrance. Con lui nelle nostre file i piccoli duchi saranno sempre più certi della tua vittoria e preferiranno scommettere su di te piuttosto che su Lot."
Artù sapeva che avevano ragione, non era così ingenuo, ma il pensiero di doversi sposare lo terrorizzava.
Nemmeno un anno prima era il servo di una vecchia villa romana e non sperava altro che diventarne il siniscalco per poter rimanere accanto a Kai.
Ed ora era il Grande Re, aveva un esercito e doveva sposare una sconosciuta. E sarebbe comunque potuto morire lasciandola vedova nel giro di qualche mese.
"D'accordo, so che mi state consigliando giustamente. Lo so. La sposerò, ma prima voglio parlarle in privato."
Artù non riuscì a parlare in privato con Ginevra, ma vi andò molto vicino. La donna giunse alla villa il giorno successivo, accompagnata da quattro anziane dame da compagnia ed all'incontro con re Artù, lady Marianne, la sua vecchia balia, rimase con lei.
La balia andò a sedersi alla finestra, lasciando ai due giovani una parvenza di privatezza ed Artù si ritrovò faccia a faccia con la sua futura moglie.
Ginevra era bella. E particolare.
Non era più bella della serva Gylywn, che aveva incontrato a sedici anni mentre portava i cani a correre nel bosco, e non era nemmeno più bella della morbida Anna, ma aveva un fascino particolare.
Il naso era leggermente arcuato e le dava l'aspetto di un piccolo furetto pallido sotto una cascata di capelli biondo ramati. Gli occhi castani non lasciavano trasparire nulla e spesso rifuggivano sul pavimento, evitando lo sguardo del promesso marito.
"Lady Ginevra, è un piacere per me incontrarvi e dovete sapere che sarei onorato di essere il vostro sposo, ma prima vorrei che mi diceste se voi volete essere la mia sposa."
"Mio padre l'ha ordinato ed io ubbidisco," rispose Ginevra, con gli occhi che si spostavano dal pavimento al volto di Artù in una danza veloce.
"Se io diventerò vostro marito, non potrò mai amarvi." Era una cosa orrenda da dire, ma non voleva deludere le sue aspettative. Era meglio mettere tutte le carte in tavola ed accettare subito le conseguenze.
"Io potrò amare voi," rispose Ginevra. "E vi servono quegli uomini," aggiunse, in un picco di coraggio.
"Non posso negarlo," annuì Artù.
"Voi- sire- siete già impegnato con un'altra amante?"
Artù annuì. Anche se non era sicuro che Kai potesse definirsi il suo amante.
"Molti uomini hanno delle amanti," spiegò Ginevra, guardandolo finalmente negli occhi. "Ma io vi darò dei figli legittimi."
"Sì, se accetterete di essere mia moglie. E non vi mento se vi dico che sarete la donna che amerò di più fra tutte."
La ragazza aggrottò la fronte, confusa, ma poi annuì. "Vi credo. E mio padre ha fatto una proposta ufficiale, se mi rifiutate mi disonorerete. E Lot guadagnerà i suoi uomini."
"Quindi, volete sposarmi?"
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