IL CAVALIERE DI SEMIFONTE
VI
I disperati, come un gregge ormai disperso dagli scossoni della vita, senza più un pastore a guidarli, furono condotti nel palazzo di giustizia.
La grande Sala del Consiglio, luogo del fatale e temuto giudizio, era pronta ad accoglierli.
In catene e fiaccati nella sola forza che poteva ormai sorreggerli, la speranza, quegli uomini attendevano l’innaturale sorte decisa dai loro simili.
Il giudice allora cominciò a chiamare, uno per uno, quei condannati.
E ad ogni nome pronunciato da quel miserevole Minosse, seguiva poi l’inesorabile domanda:
“Come vi ritenete davanti a questa corte?”
E tutti, avviliti, stanchi e disillusi, rispondevano sempre allo stesso modo:
“Reo.”
Come una litania che sembrava scandire un fatale conto alla rovescia verso la fine, il giudice pose quella domanda a ciascuno dei prigionieri, ricevendo sempre la medesima risposta.
E presto giunse anche il turno di Icaro.
“Come vi ritenete davanti a questa corte?”
“Non reo, eccellenza!” Rispose di getto il giovane.
Subito nella sala si diffuse uno stupito mormorio.
“Per l’Amor del Cielo, chi è costui?” Chiese infastidito il giudice.
“Sono un uomo ingiustamente accusato” rispose Icaro “e condotto qui con la forza, eccellenza.”
“Se siete qui” replicò il giudice con indifferenza “è perché vi siete macchiato di un crimine gravissimo.”
“Non ho mai partecipato a faide o scontri e la politica non mi interessa.”
“Molti traditori” rispose il giudice osservando con attenzione quel giovane “si definiscono innocenti ed estranei ai fatti. Muoversi nel buio e nella menzogna è la loro indole. Questa corte quindi non si fa impressionare dai vostri proclami.”
“Ma eccellenza…” ribatté Icaro “… un uomo è innocente fino a quando non si macchia di un crimine ed io chiedo a questa corte di dimostrare la mia colpevolezza! Se così avvenisse, allora accetterei di buon grado qualsiasi condanna!”
“Per voi quindi” chiese il giudice con insofferenza “la vostra condotta non merita punizione?”
“Se essa ha violato le leggi merita la condanna del Cielo e degli uomini” rispose Icaro “ma in caso contrario nessuno può muovermi accuse!”
“Quindi ritenete nulle le prove che smascherano la vostra condotta?”
“Quali prove, eccellenza?” Chiese Icaro. “Non sono stato sottoposto a nessun processo.”
“Siete stato scoperto a tramare contro il vostro imperatore!”
“Affatto, eccellenza!” Rispose Icaro. “Sfido chiunque a provarlo!”
“Voi non siete più in grado di sfidare nessuno” urlò il giudice “e tanto meno a rubare altro tempo a questa corte!”
“Siete un giudice” rispose Icaro fissando l’uomo che gli stava davanti “non un boia. Eppure ne avete le sembianze…”
“Presto scoprirete” disse il giudice “la differenza che corre tra un giudice ed un boia, non temete!”
Si alzò in piedi ed aggiunse:
“Ma prima farò fino in fondo il mio compito e vi mostrerò le prove che vi condannano davanti alla vostra città… siete stato trovato a prestare aiuto ad un traditore della causa imperiale. Siete quindi suo complice e ne condividerete la sorte!”
“Il mio Dio” rispose con un filo di voce Icaro “mi ha insegnato ad avere compassione dei miei simili… ad amarli come amo me stesso… a dare la vita per loro, se necessario… sono un cristiano e non lascerei morire mai un uomo in mezzo ad una strada…”
“Parlate di Dio…” disse il giudice ritornando al suo posto “… ingrato compito è quello di un giudice… condannare altri uomini, in nome di un valore ed un ideale più grandi… questo impone il mio ruolo… e lo assolverò, per ingrato che possa essere…”
“A quale triste destino è destinata questa nostra città” rispose amaramente Icaro abbassando il capo “se permette a uomini come voi di amministrare la sua giustizia… che Dio possa avere pietà della sua sorte…”
“Studiati i fatti e le prove portate in questo processo…” cominciò a parlare a tutti il giudice “… questa corte condanna i prigionieri all’esilio perenne da questa città. I condannati sconteranno i tristi giorni che restano loro come schiavi presso le miniere di Re Giacomo d’Aragona. Possa Iddio Onnipotente avere pietà e misericordia delle vostre anime.”
A quelle parole, Icaro pianse amaramente, maledicendo se stesso e la sorte che l’aveva abbandonato.
Il terzo giorno da quella condanna, una nave partì dalle coste toscane alla volta della Spagna, portando con sé quel triste carico di miseria e dolore.
(Continua...)