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Vecchio 05-08-2010, 20.10.47   #30
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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IL CAVALIERE DI SEMIFONTE

VII

La nave aveva da poco preso il mare e le vele erano ormai ben tese sotto il vigore dei venti.
Nella stiva faceva caldo.
Tanto caldo.
Un caldo opprimente, ossessivo, sporco.
Il cattivo odore ed i topi rendevano quella prigione simile ad un riflesso dell’Ade.
Alcuni di quei prigionieri erano feriti, a causa degli scontri che li avevano condotti in quella situazione, e la cancrena o altre infezioni cominciavano già a mietere le prime vittime.
Forse non sarebbero giunti vivi in Spagna, cominciò a pensare qualcuno di quei condannati.
I cadaveri in decomposizione avrebbero appestato tutto quell’ingrato ambiente, rendendo ancora più insopportabili le sue pene.
Come un grottesco ed assurdo girone infernale, la stiva di quella nave li aveva accolti tutti, infliggendo loro supplizi e tormenti, come un’anticipazione di quell’Inferno a cui i loro simili li avevano condannati.
L’odore del sangue e della carne putrida attirava insetti e topi, dando a quello scenario l’immagine di una grande tomba galleggiante.
Vi era una piccola apertura, grande quanto il volto di un uomo, che dava la possibilità di guardare fuori.
Icaro da lì si affacciava e guardare la terra scomparire, pian piano, alle loro spalle.
Lo faceva continuamente.
Di tanto in tanto vi infilava la mano, come a voler saggiare l’aria libera che soffiava da fuori.
Ed a quell’avvilente situazione, si aggiunse anche una crisi di disperazione, quando il giovane vide un insetto poggiato sul bordo di quell’apertura.
Lo fissò con gli occhi spalancati e quando lo vide volare via libero, lanciò un grido lacerante, come se avesse voluto squartarsi il petto e lasciare la propria anima libera di andare via.
Ma nessuno colse quel grido.
Vi era già troppo dolore, troppa paura e troppo pianto in quella Babele, per raccogliere la disperazione di Icaro.
Ed intanto, da quell’apertura, la terra si allontanava sempre più, fino a sparire come un miraggio dissolto nel deserto della vita.
Era il suo mondo che svaniva.
I suoi sogni, i suoi desideri, le sue ambizioni, la sua felicità.
Tutto sembrava sfocare, come la foschia all’alba.
In un attimo qualcosa l’aveva scaraventato via dalla sua vita.
Tutto questo gli appariva come un incubo.
Un immenso incubo che sembrava non avere mai fine.
Ogni notte sognava la sua casa, la sua nonna, i suoi amici.
E sopratutto lei, Gaia, la gioia della sua vita.
I suoi occhi, il suo sorriso, il battito del suo cuore, era tutto ciò che lui aveva chiesto alla vita.
Non aveva neppure potuto dirle addio.
Guardarla un’ultima volta.
Quando ripensava a quel pomeriggio trascorso con lei, alla cappella di San Michele, allora sentiva di impazzire.
Quel pomeriggio, avvolto nell’eco di Semifonte, era stata l’ultima gioia che la vita gli aveva regalato.
Aveva salutato Gaia come ogni giorno ed invece quello erra stato li loro ultimo giorno.
Si, perché ormai Icaro sentiva la morte vicina.
Quella morte tanto invocata, quella liberazione tanto sognata.
“Almeno questo” pensava “la sorte non potrà negarmelo.”
E quando all’improvviso un boato si diffuse nell’aria, annunciando una forte tempesta, allora ad Icaro sembrò davvero che finalmente quella morte si stesse facendo annunciare.
Tutti cominciarono a gridare, sia l’equipaggio che i prigionieri.
Il mare in un momento si gonfiò e cominciò a scuotere con violenza la nave.
Il vento arrivò a soffiare così forte da spezzare uno degli alberi.
L’acqua picchiava con vigore sullo scafo, penetrando in ogni falla ed appesantendone l’interno.
In brevissimo tempo l’intero equipaggio fu costretto a gettare in mare l’acqua che si riversava continuamente sulla nave, trascurando ogni altra mansione in quella drammatica situazione.
La stiva dove si trovavano i prigionieri era ormai quasi tutta ricolma d’acqua.
“Moriremo tutti se non ci aiutano!” Gridò Icaro mentre cercava di dare una mano ai feriti. “Presto, lassù!” Gridava poi a chi era sul ponte. “Non potete farci morire qui sotto! Siamo uomini, non animali!”
Ma proprio in quel momento, una colossale onda si abbatté sulla nave, capovolgendola.
Allora la furia del mare riuscì finalmente a rompere il già danneggiato scheletro dell’imbarcazione, spezzando praticamente in due nave.
Un attimo dopo l’acqua giunse ovunque, portandosi via ogni cosa.
E mentre questa cieca furia del mare, come un castigo divino, si abbatteva su quegli sciagurati, in lontananza apparve una piccola isola.
E dal suo punto più alto, una misteriosa figura osservava quella drammatica scena, mentre il vento gonfiava il suo lungo ed austero mantello.
“Il Signore Dio disse ad Abramo…” cominciò a recitare quella figura con la sua anziana voce “… se ci fosse anche un solo giusto a Sodoma, Io la risparmierò…”
E la sua voce sembrò echeggiare nella furia del vento, come se volesse ammansirne l’ardore.


(Continua...)
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AMICO TI SARO' E SOLO QUELLO... E' UN SACRO PATTO DA FRATELLO A FRATELLO

Ultima modifica di Guisgard : 06-08-2010 alle ore 02.11.29.
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