IL CAVALIERE DI SEMIFONTE
XIV
“Mio caro giovane…” disse Raleria battendo le mani e chiamando le sue ancelle “… questa non è una prigione, né un limbo che vi tiene imprigionato… per quanto mi riguarda potete ripartire oggi stesso. Non mi dovete niente.”
“Vi devo la vita, invece.”
“Affatto.” Rispose lei, alzandosi ed uscendo in terrazza.
“Perdonatemi se vi ho offesa, mia signora.” Disse Icaro raggiungendola.
Lei chinò leggermente il capo, abbandonandosi per un momento al fresco e mite soffio del vento.
“Siete infelice qui… lo sento…” sospirò lei.
“Non ho più nulla da sognare o verso il quale sentire nostalgia, mia signora…”
“Mi chiamate continuamente mia signora…” disse lei malinconica “… eppure non credo che la nostra età sia troppo diversa…”
“Nulla io so di voi.”
“Conoscete il mio nome ed abitate la mia casa.”
“Basta un nome forse per comprendere l’animo di una persona?”
“Si… in un nome c’è scritto anche questo…”
“Raleria…” sussurrò Icaro “… chi siete veramente?”
“Potrei essere tante cose… ma soprattutto una donna…”
“Come può una donna vivere qui, da sola, come se fosse la regina di un mondo incantato?”
“Una regina è tale se non ha accanto un re?” Chiese lei.
“Non credo esista al mondo qualcuno che non brami esservi accanto.”
“L’amore è un’arma a doppio taglio… me l’ha insegnato la vita…”
“Io non conosco nulla della vostra vita.”
“Mio padre era un gran signore e la mia stirpe discendeva dall’antico Esarcato bizantino che resse gran parte di questo paese dopo la guerra greca gotica.” Cominciò a dire Raleria.
Icaro ascoltava con attenzione quella ragazza che sembrava, forse per la prima volta, abbandonare quella sua maschera eterea ed incantata.
“Da secoli i miei discendenti abitano queste terre. Io sono l’ultima della mia dinastia… e vivo rinchiusa in questa prigione a causa di un antico voto…”
“Che voto?” Chiese Icaro.
“Domani potrete partire per Vivara.” Disse all’improvviso lei, cambiando repentinamente discorso. “Ho già dato ordine di preparare per voi una barca. Ora scusatemi, ho da fare.”
E si ritirò.
Icaro allora restò da solo in terrazza a fissare l’isolotto di Vivara, con una strana ansia nel cuore.
La notte trascorse lunga e vagamente inquieta.
Icaro nel letto era preda di una strana ansia.
Continuava a pensare alle parole di Raleria, ai suoi occhi, al tremore della sua voce.
Poco dopo l’alba, si alzò ed attese sulla terrazza che Raleria giungesse, come ogni mattina, per fare colazione insieme.
Ma la donna non arrivò.
Lo raggiunse invece un’ancella.
“La vostra barca è pronta, mio signore.” Disse questa.
“Dov’è milady?” chiese lui.
“E’ uscita presto stamani.”
Icaro allora raggiunse il piccolo molo del palazzo posto ai piedi del monte Miseno e prese posto sulla barca.
“Salute, mio signore!” Si presentò un buffo ometto di mezz’età. “Sono Gastone, il barcaiolo. Al vostro servizio!”
“Bene, Gastone… partiamo verso Vivara.” Ordinò Icaro.
“Per mille fulmini!” Esclamò il barcaiolo. “Cosa ci andate a fare su quello scoglio abbandonato, se è lecito chiederlo, mio signore?”
“Voglio vederne il territorio.”
“Ah, capisco…” disse Gastone “… siete uno studioso, o uno di quei filosofi. E sia, partiamo.”
Così la piccola imbarcazione prese il mare.
Dolcemente il tenero ondeggiare dell’acqua, quasi cullandola, spinse verso Vivara la barca di Gastone.
Grandi nuvole scure però solcavano lontane l’orizzonte, sospinte da un vento che pian piano, da mite alito divenne sempre più intenso.
“Sembra voglia minacciare burrasca.” Disse Icaro fissando l’orizzonte.
“Si, ma è ancora lontana.” Rispose Gastone. “E poi è sempre così…”
“Sempre così cosa?” Chiese Icaro.
“E’ sempre così quando qualcuno accenna ad avvicinarsi a quel posto.”
“Vivara?”
“Si, quello strano isolotto dimenticato da tutti.” Rispose Gastone. “Anche se talvolta, come voi ora, qualcuno sembra ricordarsi della sua esistenza.”
E pian piano la barca si avvicinò alle coste di Vivara.
Come un grande scoglio ricoperto da una lussureggiante e selvaggia vegetazione, l’isolotto cominciò a mostrare sempre più nitidamente le sue forme.
Le nuvole intanto avevano coperto quasi tutto il cielo, mentre un inquieto vento soffiava tra le austere rocce di quello sperduto isolotto, generando un sibilo simile ad un sordo lamento.
(Continua...)