Discussione: Le luci della Villa
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Vecchio 08-09-2010, 00.30.46   #9
Mordred Inlè
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Le luci del futuro

Artù non provò nemmeno ad evitare Merlino.
Il maestro gli disse che Bedivere si era personalmente scusato con Morgause per il comportamento del re e con Urien per non averlo accolto al suo arrivo, dicendo che il re era momentaneamente occupato con un importante consiglio di guerra per il futuro della Britannia.
Artù non era occupato con nulla di simile.
"Non puoi continuare ad evitare tua sorella per sempre," lo rimproverò Merlino, trovandolo nella biblioteca del castello. Era il luogo più amato da Kai ed Artù iniziava a capire cosa vi trovasse il siniscalco in quell'umido antro silenzioso.
"Non posso presentarmi da lei e dirle che so di averle dato un figlio."
"Come ti ho già detto, Mordred potrebbe non essere tuo figlio."
"Morgause è una donna astuta. Se non fosse sicura della sua paternità non sarebbe venuta qui a dirmelo."
Merlino portò gli occhi al cielo. "Lei non è venuta a dirti nulla. L'hai solo presupposto."
Artù si portò le mani alle tempie. Non era riuscito a dormire quella notte e la visita di Ginevra non l'aveva aiutato affatto. La regina sapeva che c'era qualcosa che turbava Artù, ma pareva troppo timida per chiedere e si limitava a fissare suo marito con uno sguardo preoccupato che rendeva il re leggermente nauseato.
"Ho un figlio."
"Non ne sei sicuro. Ma se tu avessi un figlio da Morgause sarebbe un problema. Persino uno stolto sentirebbe l'odore di vendetta attorno a quella donna."
"Potrei portare Mordred a Camelot."
Merlin scosse il capo e tentò di far capire al re quanto una simile idea fosse sciocca. Gawain era un cavaliere amato, era giovane ed aveva tradito il suo stesso padre per Artù. Rubare a Morgause un bambino sarebbe stata una pazzia (perché la donna non avrebbe mai lasciato andare Mordred volontariamente) e Merlino aveva visto quanto Gawain fosse stato pronto a difendere la madre, ad offendersi per lei alla minima parola.
"Lo crescerà per odiarmi. Mio figlio."
Lo crescerà per portare il caos a Camelot ed uccidere i futuri figli di Ginevra.
"E' piccolo. Molti bambini muoiono giovani."
Artù sollevò lentamente il capo dalle mani sudate ed osservò Merlino con occhi grigi e gelidi. Tutti dicevano che erano gli occhi di Uther Pendragon ed Artù sperò che contenessero la stessa forza che il padre aveva avuto. "Che cosa intendi dire?"
"Nulla, sire."
"Se provi anche solo-"
"Artù, era solo un pensiero, un ragionamento sulla realtà. Non farei mai del male ad un bambino."
Ciò a cui Artù stava pensando però era il desiderio di Merlino di farlo diventare un re ed un guerriero. Tutti gli anni della sua vita che aveva speso su Artù, per Artù. Per il suo sogno di Britannia.
Merlino rise, come divertito da una simile idea, e lasciò il re ai suoi libri.
Artù si sarebbe pentito per sempre di quel momento, quell'attimo in cui aveva deciso di non insistere, non chiedere, non ordinare.
E quando, quasi un anno dopo, giunse la notizia che qualcuno aveva attentato alla vita del piccolo nuovo nato di Morgause, Artù capì di non essere stato abbastanza. Ma sarebbe stato ormai troppo tardi per rimediare al danno, alle crepe (e Gawain avrebbe iniziato a guardarlo con sospetto, mentre le suppliche della madre crescevano nel cuore del suo figlio cavaliere come le radici di un albero velenoso).
Ma ancora nulla di quello era accaduto ed Artù, ancora un altro giorno, si nascose nella biblioteca.

"Dovreste uscire, sire," gli disse il giorno dopo, la regina con una brocca di acqua in mano ed i capelli sciolti in un modo quasi confidenziale.
"Ginevra, non dovete preoccuparvi per me."
"Siete mio marito. Kai mi ha chiesto di portarvi dell'acqua." La richiesta del siniscalco scaldò il cuore del re che accettò con gioia il dono nonostante il senso di colpa per non aver provato gli stessi sentimenti alle preoccupazioni della moglie. Avrebbe voluto poter odiare Ginevra o farsi odiare da lei, ma la regina lo adorava, insisteva nel non voler nulla da lui, ma i suoi occhi lo supplicavano di amarla, di volerle bene anche solo un poco.
"Come sta?"
"Sembra scosso. Chiede spesso di voi, ma teme di disturbarvi."
"Che stupido," sussurrò Artù, sorridendo.
La biblioteca era silenziosa, ma piena di parole da narrare ed libri consolavano l'animo del re con racconti di dolori più grandi dei suoi e di lieto fine inaspettati.
"Questa sera ci sarà il banchetto in onore delle vostre sorelle."
"Sì. Immagino di non poter mancare."
Ginevra scosse il capo, arrossendo nell'idea di dovergli dare una spiacevole notizia.
"Cosa ne pensate delle mie sorellastre?"
La regina balbettò qualche scusa prima di costringersi a rispondere con un: "Sono delle bellissime donne. Delle nobili dame."
"E' davvero questo ciò che pensate di loro?"
"Sono- particolari."
"Immaginavo," sorrise il re, alzandosi e raggiungendo la sua sposa. Le passò un braccio attorno alle spalle.
Ginevra era così minuta da parer scomparire fra le braccia del re.
"Si chiederanno tutti che cosa mi sia preso."
"Allora dovrete dare ai vostri ospiti altro su cui pensare."

Ginevra solitamente non era a proprio agio nell'esprimere idee ed opinioni, soprattutto se davanti a uomini anche se vivere con Artù le aveva permesso di trovarsi spesso in simili situazioni. Il re non la lasciava fuggire facilmente e quando i due erano assieme, Artù le chiedeva spesso cosa lei ne pensasse su questo o su quello.
Questa volta fu la regina a parlare spontaneamente, senza bisogno di essere spronata.
La Tavola Rotonda.
Ed Artù pensò che fosse un'ottima idea, cosciente che una parte di lui stava accettando per soffocare il senso di colpa che sembrava avvolgerlo di recente ogni volta che guardava la bella moglie.
Ginevra aveva proposto al re che questi concedesse qualcosa ai suoi cavalieri più fedeli, coloro che volevano distinguersi dalle masse di codardi (non erano state le sue esatte parole) che aveva scelto di schierarsi con Lot o rimanere inermi durante la guerra. Un gruppo di cavalieri con alcuni privilegi, onori.
Cavalieri che potessero avere l'invidia degli esclusi e per questo il loro desiderio di far parte di quella comunità vicino al re.
Un modo per rabbonire Gawain ed una scusa per i giorni in cui Artù si era nascosto nella biblioteca, ovviamente.
Ed è a questo che ho pensato, a come unirci tutti sotto il segno del drago, avrebbe detto il re al banchetto quella sera. E dopo aver annunciato la decisione di creare l'ordine della Tavola Rotonda ogni cavaliere avrebbe voluto farne parte.
Ogni uomo avrebbe voluto farne parte. E forse all'inizio sarebbe stato solo perché era un'idea del re e come tale doveva essere amata, ma Artù era sicuro che le cose si sarebbero evolute.
Un giorno i cavalieri avrebbero voluto far parte della Tavola Rotonda solo perché sarebbe stato l'ordine dei più rispettati uomini del regno.
Artù non si rese conto dell'arma a doppio taglio che stava creando, ma mai si sarebbe pentito di questa sua decisione.

Il banchetto per il festeggiamento andò meglio del previsto.
Artù si ritrovò seduto accanto Ginevra da un lato e Kai dall'altro e la mano del siniscalco finiva spesso appoggiata quasi inaspettatamente sulla sua.
Merlino pareva scomparso ed anche di questo Artù era grato. Solo il suo maestro ed il suo siniscalco erano a conoscenza del terribile segreto di Mordred, ma Merlino era l'unico che continuava a riportare a galla l'argomento, chiedendogli di agire, fare, pensare.
Elaine era incantevole. Aveva una bellezza gelida ed il marito sembrava perfettamente consapevole degli occhi dei cavalieri su di lei. La portò ad inginocchiarsi davanti al fratellastro come facendola sfilare e mostrandola al mondo, orgoglioso di lei, bevendo dalla sua luce.
Anche Morgana giunse ad inginocchiarsi davanti ad Artù prima di prendere il suo posto vicino ad Elaine. Non era molto diversa dalla prima volta in cui Artù l'aveva vista. L'incantevole abito dorato non fece nulla per renderla più bella o meno rude. Sorrise, perfettamente a suo agio nel proprio corpo, torreggiando sul piccolo marito Urien che la osservava come un uomo perdutamente innamorato.
"Regina," disse solamente la donna, quasi ignorando il fratellastro, "siete incantevole."
Il complimento sembrò sorprendere Ginevra perché questa non riuscì nemmeno a balbettare un gentile "Anche voi", prima che Morgana ed Urien raggiungessero il loro posto nelle due ale di tavole ai fianchi del posto del re.
Morgause, invece, entrò nella stanza come se la possedesse. Gawain la seguì al fianco, sostituendo il marito defunto, e dietro di lei i suoi cuccioli ubbidienti.
La donna vestiva completamente di nero, ricordando con poca grazia il recente lutto. I capelli raccolti strettamente in una rete di maglia dorata la parevano rendere vecchia, anziana di molti anni e stanca.
"Sire, sono lieta di vedere che vi sentite meglio. Ed anche voi, nobile siniscalco."
Artù si limitò ad annuire. Non si fidava della propria voce.
Sei la madre di mio figlio.
"I miei figli vi porgono i loro omaggi."
"Vi ringrazio, Morgause, per il vostro dono," intervenne Kai, inaspettatamente. Aveva il volto pallido e la mano su quella di Artù era leggermente sudata, ma la sua voce non tremò.
"Sono felice," sorrise la donna e sembrò davvero sincera.
Era la sua sorellastra. Sua sorella. Quelle tre donne erano le sorelle alle quali tanto Artù aveva pensato e sperato ed ora che erano entrate nella sua vita, il re voleva solo vederle scomparire. Non voleva scoprire cosa c'era dietro lo sguardo di disprezzo di Elaine. Non voleva cadere nuovamente nel sorriso di Morgause, così dolce e così bruciante. E benché per Morgana provasse sentimenti contrastanti, era sicuro che la sorellastra non lo avrebbe mai rispettato o considerato altro che un usurpatore ed Artù si sarebbe anche per lei ritrovato vittima di un'invidia fatta di pregiudizi.
Gli dei ascoltarono le sue preghiere nel modo più crudele e beffardo possibile.
Elaine morì di parto pochi anni dopo, lasciando al giovane figlio futuro cavaliere un'eredità di nostalgia e tristezza. Morgana si chiuse nel proprio castello, dopo la morte di Urien, e tentò in tutti i modi di attirare a sé nuovi cavalieri, rubarli al fratello, creare un proprio esercito, un sogno che non si sarebbe mai realizzato. In molti narravano che dentro il corpo della strega Morgana si celasse un condottiero mancato, un condottiero di altri mondo condannato a vivere in lei.
Anche Morgause scomparve, rannicchiata nel suo castello delle Orcadi, crescendo piccole erbacce e lasciandole andare quando più pronte a distruggere il mondo attorno a loro. Ed Artù avrebbe dovuto desiderare che la donna non morisse mai perché fu proprio la sua morte, quasi vent'anni dopo, che svelò al re il mistero dei sui figli: Morgause era sempre stata l'unica persona in grado di controllarli.

Rhelemon singhiozzò scoppiando a ridere in un turbinio di bolle di saliva. Artù fu costretto ad allontanarla leggermente da sé, tenendola alta e la bambina non fece altro che scalciare ancora più divertita.
"Oh, Rhelemon, stai sputando saliva ovunque," sorrise Artù.
La bimba sputacchiò ancora un poco, sempre più emozionata, come se il re le avesse appena rivelato il segreto più divertente del regno.
"Guarda là, Rhelemon, c'è tuo padre, il nobile siniscalco di Camelot," esclamò il re, voltando la bimba verso l'entrata della stanza. Kai aveva tra le mani una pergamena arrotolata e sul volto delle profonde occhiaie, ma erano quattro giorni che non aveva incubi (e quattro giorni che Artù non visitava Ginevra).
"Noi amiamo Kai," rise il re, nascondendosi dietro la schiena della bambina.
"E Kai ama voi," rispose il siniscalco, riprendendosi la figlia.
Era la cosa più vicina ad un ti amo che Kai gli avesse mai detto ed Artù gliene fu grato.
L'aria di Camelot sembrava essere tornata serena. Tesa e serena, perché Cerdic pareva radunare sassoni come un'ape regina, ma non più gelida e piena di disagio come nel periodo in cui le sorellastre del re avevano dimorato al castello.
"Devo riportarla dalla balia," lo informò Kai ed Artù sorrise, sapendo cosa l'altro stesse davvero chiedendo.
"Ti aspetto qui."
Kai uscì con la bambina mentre Rhelemon iniziava già ad intraprendere il nobile tentativo di mangiargli i capelli rossi.
Oh, Artù la capiva. Anche lui adorava i capelli di Kai.
Ci vollero pochi minuti d'attesa per rivedere il suo siniscalco ricomparire nella propria stanza. Minuti nei quali Artù evitò fermamente di pensare al mondo al di fuori delle mura di quel piccolo santuario. Voleva dormire, voleva la Villa, voleva tornare indietro.
"Stavo pensando che anche a me piacciono i tuoi capelli," sorrise Artù, quando Kai lo raggiunse e si sedette sul letto, accanto a lui.
Dormivano spesso assieme, si addormentavano l'uno accanto all'altro, anche in orari improponibili dopo nottate passate a firmare carte, ascoltare consigli e preparare il futuro del regno. La stanza del siniscalco aveva assunto ormai una luce quasi accogliente agli occhi di Artù ed il re era sicuro che gli sarebbe stato difficile riuscire a dormire senza l'odore di Kai tra le coperte.
E Kai, a volte, lo baciava. Quando Artù meno se lo aspettava, l'altro uomo si voltava verso di lui e gli lasciava un bacio sul collo, sulla guancia o sulle labbra. Altre volte dormiva steso completamente sul fianco del re ed Artù non si lamentava mai dei nervi del suo povero braccio schiacciato perché non avrebbe mai avuto cuore di sposarlo.
"Notizie da Mark?" chiese il siniscalco lasciando che il re rigirasse fra le proprie dita alcune ciocche di capelli rossi.
"Nulla. Dicono che Tristano abbia lasciato la Cornovaglia e si sia finalmente dimenticato Isotta."
"Credi che verrà qui?"
"Forse. E' un amico di Lancillotto e potrebbe decidere di rifugiarsi a Camelot. Mark non si metterebbe un'altra volta contro di me."
Kai prese le mani di Artù fra le sue, passando le proprie dita in quelle dell'altro.
"Lancillotto è molto amato."
Il re annuì. Era vero. Lancillotto era probabilmente il cavaliere più amato della Tavola Rotonda. Artù aveva organizzato dei tornei, per tenere sveglia l'attenzione dei suoi cavalieri nell'attesa di Cerdic, ed il figlio di Ban li aveva vinti tutti.
Gli uomini lo acclamavano come il cavaliere più forte del regno e le donne inviavano richieste a Lancillotto perché questi potesse scegliere una di loro come moglie e lui le rifiutava tutte.
"Dicono che sia innamorato della regina," aggiunse Kai, con cautela.
"Dicono che io sia innamorato del mio siniscalco," sorrise Artù, chinandosi su di lui e strofinando il proprio naso contro la sua guancia.
"Non è vero, nessuno dice nulla di simile." Nonostante ciò che avevano temuto, Morgause non aveva reso noto niente di ciò che era accaduto in passato con Severinus. "Ed è diverso. Ciò che dicono su Ginevra e Lancillotto è pericoloso."
"Sono solo voci. Passeranno e poi si metteranno a parlare di Lancillotto e Gawain o di Palomede e Isotta."
Kai aprì la bocca per esclamare ancora una volta, testardamente, la sua preoccupazione, ma il re pareva particolarmente di buon umore e non si offese più di tanto quando Artù gli impedì di parlare leccandogli le labbra.
"Non voglio palare di Gawain ora," continuò Artù, stendendosi nel letto del siniscalco ed osservando l'altro uomo che si sdraiava accanto a lui.
Avrebbe voluto vivere per sempre in quel letto.
E non pensare a Gawain. Alla amicizia piena di rivalità tra Gawain e Lancillotto, ai cavalieri che, desiderosi di far parte di un gruppo, si schieravano con l'uno o con l'altro.
Alla voce di Gawain che gli diceva: Mio fratello Mordred vorrebbe diventare un cavaliere.


Biografia del silenzio: Prologo

Fu Morgause ad impedire a Mordred di smettere di parlare quando il mondo divenne silenzio.
Morgause era sempre stata una donna testarda, una donna che sapeva perfettamente ciò che voleva e che mutava il mondo a suo piacimento, plasmandolo come creta. Una donna che si era sempre creduta una sorta di giusta dea vendicativa.
Quindi fu per merito suo se Mordred divenne ciò che poi tutti conobbero, nel male o nel bene.
Ed anche se non fu lei ad accudire il figlio colto da quella terribile febbre, perché non sopportava di vedere i suoi figli stare male, fu però Morgause a rimanere accanto a Mordred quando questi si rintanò tra le coperte del piccolo letto, nascosto dal mondo privo delle urla dei gabbiani.
Era a lei che le preghiere di Mordred andavano. Ed anche le sue maledizioni.
"Ho fatto tutto questo per una ragione e non sarai tu a rovinare i miei progetti," gli aveva detto Morgause, dopo aver scoperto che la febbre aveva rubato al figlio la capacità di sentire.
Fortunatamente Mordred non aveva sentito, ma l'espressione della madre non lasciava spazio all'immaginazione.
Fin da quando era bambino, Morgause gli aveva parlato del crudele Artù, del falso Artù che aveva mandato nel suo palazzo un terribile uomo di nome Severinus per fare del male ai suoi figli. Del sanguinario Artù che mandava cavalieri su cavalieri in battaglie disperate contro i Sassoni, perché incapace di ammettere la propria incapacità.
La prima parola che Morgause gli aveva insegnato fu Giustizia ed anche se Gawain un giorno urlò che la giustizia delle Orcadi sapeva di vendetta, Mordred non poteva fare a meno di ritornare ai suoi giochi di fanciullo in cui la Giustizia calava dal cielo a salvare la madre dal freddo destino del nord e cacciare il falso re da Camelot.
La seconda parola che imparò fu Merlino, subito seguita da Rapimento. Tutti alle Orcadi conoscevano la storia di come re Artù avesse mandato il suo fidato Merlino a rapire Mordred per poterlo affogare.
I racconti di Morgause non risparmiavano sui particolari, descrivendo i dettagli del ritrovamento del bambino, irrigidito dal freddo e con i polmoni piedi d'acqua.
Fu uno dei motivi per cui Mordred non imparò mai a nuotare. Temeva che l'acqua capisse di aver fatto uno sbaglio a lasciarlo vivo e lo volesse nuovamente portare via con sé.
Giustizia fu anche la prima parola che Mordred disse quando smise di sentire.
Fu difficile dirne altre perché non gli ci volle molto per uscire da quella terribile febbre che aveva rischiato di ucciderlo all'età di dieci anni e scoprire che sua madre gli stava parlando, ma lui non riusciva a sentirne la voce.
Parlare è difficile quando non si sente ciò che si dice. Come lo sto dicendo? Troppo alto? Troppo basso? Ma Morgause non si lasciò intimidire. Gli parlò tutti i giorni e l'unica opzione fu imparare a leggere le labbra veloci della madre o venire colpiti dalla sua mano. Imparò a risponderle a voce, sempre un po' troppo piano per paura di urlare, e scoprì che il trucco stava nel togliere dalle parole qualsiasi emozione. Le parole emozionate erano sempre stata difficili, con lettere troppo arrotolate o tremolanti.
Agravaine non perse mai tempo a fargli notare queste parole e fu sempre con un rabbioso rossore che Mordred imparò a correggersi.
Morgause non gli permise mai di smettere di parlare e di questo Mordred le fu grato.
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❒ Single ❒ Taken ✔ In a relationship with arthurian legends
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