Cittadino di Camelot
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Quelle parole rincuorarono Morven. Egli distese i muscoli delle spalle e delle braccia, si lasciò sfuggire un sospiro che mescolava sollievo, gioia e liberazione, e finalmente abbassò l'arma, ormai non più teso nello sforzo di dimostrare che poteva sollevarla, ma piuttosto alla ricerca del modo più comodo e naturale per impugnarla.
In quello stesso istante Louis si fece appena da parte, e con il gesto della mano gli indicò il fondo delle piccola stanza, a stento illuminato dal rosso ombroso del fuoco della fucina. Morven fissò con meraviglia una fila di robusti scaffali di legno, pieni di attrezzi e di ampolle di diverso colore e misura.
Invitato da quel gesto e dalle parole del cavaliere, il giovane, senza mai abbandonare Samsagra che restava stretta nel suo pugno, si avvicinò a quei contenitori e iniziò a leggerne le grandi etichette che recavano ordinatamente scritto il nome del contenuto. E lì vi trovò infine proprio quell'olio che aveva nominato. Con quell'unguento intinse una pelle di daino che aveva scorto abbandonata vicino all'incudine, e, appoggiando Samsagra su quella superficie, con un gesto vigoroso cominciò a passare il panno sulla lama.
Non appena Morven ebbe compiuto quel gesto, la spada sembrò di colpo illuminarsi. Il giovane, sorpreso, ritrasse la mano. Di nuovo aveva avvertito quel calore sorprendente che già lo aveva colpito in precedenza. La spada sembrava emanare calore come se fosse stata appena estratta dalla fiamma della forgia. Ma il lucore che accese la lama non era di fuoco, come quello del metallo arroventato. Samsagra prese a splendere di un sorprendente colore di smeraldo.
Morven la fissò stupito per qualche secondo, ma poi sorrise, dolcemente a quella vista. La spada rispondeva al suo tocco, come una donna alla carezza del suo amato. Questo pensiero lo innamorò ancor più di quell'oggetto, e diede forza e impazienza al suo gesto. Il giovane cavaliere riprese a lucidare la spada, e d'un tratto, dopo appena una o due semplici passate, i suoi occhi videro qualcosa di meraviglioso. Di colpo l'opacità del tempo sembrò staccarsi dalla lama e scivolare via come se non fosse mai esistita. Lo splendore della lama si espanse nello spazio intorno, illuminando in un bagliore di smeraldo la penombra della stanza. Il filo brillò scintillante, attraversato da un brivido, un palpito vitale che dall'elsa si irradiò fino alla punta.
Morven, sempre più stupito, si fermò, lasciò cadere il panno e sollevò nuovamente la spada e si avvicinò alla fucina per poterla osservare meglio alla luce della fiamma.
La base della lama che confluiva nell'elaborata impugnatura non era ancora stata ripulita del tutto, ma non sembrava più rovinata. Sembrava piuttosto incrostata da un sottile strato di cristalli lucenti, come schegge di smeraldo e d'agata, che si fondevano poi nello strano disegno che si allargava sull'elsa, dando vita al corpo sinuoso della creatura fantastica che Morven aveva scorto qualche minuto prima, quando aveva avuto l'impressione forte e pressante che quella spada stesse prendendo vita, si stesse risvegliando.
La lama, però, per tutta la sua lunghezza fino alla punta, era lucida e splendente, come se fosse stata appena forgiata e lucidata.
Morven sorrise, e in preda a quella mistica emozione, passò il dorso della mano su quella superficie. In quel momento la luce di smeraldo si fece più intensa, come se la spada avesse voluto rispondere a quella carezza.
"Samsagra..." mormorò il giovane, con voce bassa e rotta dall'emozione di essere finalmente così vicino a quel possesso inaspettato.
Fu a quel punto che una luce esplose, avvolgendo il cavaliere come in un abbraccio, e dall'anima stessa della spada si levò un grido. Morven per un istante atterrì. Un grido, un grido di donna gli ferì le orecchie. Cercò di muoversi ma si accorse di non poterlo fare, stretto com'era in quei fasci di luce verde che lo trattenevano come due braccia. Spalancò gli occhi, fissò Samsagra che risplendeva, sorgeva splendida dalle sue mani e si tendeva con un grido verso il cielo. Il grido si fece canto, e Morven smise di avere paura e tese l'orecchio a quella musica... quella voce di donna l'aveva già udita nel suo sogno.
Si lascià vincere dalla dolcezza di quella melodia, chiuse gli occhi, si abbandonò a quel momento di comunione. Percepì la luce che lo accarezzava, e il grido di donna che infine liberato dalla sua prigione si tramutava infine in un canto di gioia...
"Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema!"... così cantava Samsagra, mentre Morven affondava nell'incanto di quel momento, ormai incapace di distinguere il sogno dalla realtà.
"Samsagra..." mormorò di nuovo, sorridendo "... al re piacerà la tua bellezza..."
E nel momento in cui pronunciò quelle parole, la voce di donna si interruppe, si sciolse in una leggera, dolcissima risata, quindi scomparve lasciando dietro di sè una lieve scia. La luce lo strinse con nuovo vigore, quindi si contrasse come in uno spasimo, e parve rientrare con un movimento rapido e violento nel cuore stesso dell'arma.
Morven aprì gli occhi. Intorno a lui tutto sembrava immutato. La spada era immobile e lucida tra le sue mani. La lama, ripulita, risplendeva della luce del fuoco, e Louis era ancora accanto a lui, poco discosto dall'incudine, esattamente nello stesso atteggiamento in cui l'aveva lasciato.
Morven lo studiò con curiosità e quasi con timore, interrogandosi...
"Avete visto anche voi la luce avvolgente?" Chiese il giovane cavaliere.
"E soprattutto, avete udito anche voi quel grido, e la voce di donna, e quelle parole?
Avete assistito anche voi a questo prodigio, o forse io sto diventando pazzo?"
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?"
"Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!"
Ultima modifica di Guisgard : 08-11-2010 alle ore 20.59.37.
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