Cittadino di Camelot
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Mentre Goldblum nominava quelle antiche leggende del suo popolo, quasi inavvertitamente Morven socchiuse gli occhi, sentendoli improvvisamente pesanti. Scivolò per un istante in uno strano dormiveglia, in cui la voce acuta del suo amico si intrecciava con quella pungente di Bumin.
La stanchezza del viaggio e delle mille traversie per un attimo prese il sopravvento, strappandolo alla realtà che lo circondava, e piombandolo in uno strano ricordo lontano...
... sempre da solo... si era abituato a viaggiare da solo.
Era molto più comodo. Nessuna domanda, nessuna obiezione, e la libertà di cambiare posto a proprio piacimento, non appena l'aria che tirava non era più di suo gradimento. Così si era condotto Morven in tutto quel tempo. Molte conoscenze, ma nessun amico. Cortese con tutti, ma vicino a nessuno. Egli arriva in un villaggio, si metteva al servizio del signore di turno, svolgeva per lui due o tre incarichi, quindi, così com'era arrivato, andava via. Il tempo di guadagnare un po' di soldi, o un cavallo, o un nuovo pezzo della sua armatura. Poi, ottenuto il suo compenso, nottetempo, ripartiva.
... sempre da solo... fino a quel giorno in cui si era imbattuto in quel bizzarro cacciatore. Aveva pensato subito che fosse un uomo facoltoso… forse un ricco mercante, probabilmente un viaggiatore anch’egli... era vestito di tutto punto, con un enorme arco e due spade corte che brillavano appese alla sua cintura, e un grosso cane da caccia che lo seguiva docile... vestito di tutto punto, sì, ma senza avere la minima idea di come si usassero davvero quelle armi!
Il loro primo incontro, in una radura poco fuori dal villaggio verso cui viaggiava, fu in verità uno scontro.
Morven aveva cominciato ad inveire contro quello sconosciuto che si esercitava a tirare freccie contro un albero, adirato contro la scarsa maestria di quel giovane che con la sua imperizia per poco non lo trafiggeva con uno dei suo maldestri dardi.
Era sceso da cavallo deciso a dare una lezione a quello sprovveduto. Cinque minuti dopo ridevano insieme dell'accaduto, e il gioviale cacciatore lo stava accompagnando nella taverna più vicina per offrirgli il pranzo.
Avevano parlato a lungo, e Cypher, questo era il nome del cacciatore, era rimasto sempre più affascinato dalle avventure narrate da Morven. Lo sorprendeva sopratutto il fatto che, così giovane com'era, fosse già riuscito a perfezionare tanto l'arte della spada, e non avesse alcun timore di affrontare nemici e battaglie.
Quando, sul far della sera, Morven si rimise a cavallo per ripartire, poco dopo aver lasciato il villaggio, udì un lieve canticchiare portato dal vento.
Un attimo dopo lo vide. Cavalcava senza apparente fretta sul suo elegante stallone. Aveva il solito sorriso cordiale sul viso, e le labbra sempre pronte ad articolare uno scherzo o una battuta. Aveva con sè l'arco da guerra e i due pugnali che non sapeva brandire. Il suo cane inseparabile lo seguiva baldanzoso, ed emise due o tre versi gioiosi alla vista di Morven.
"Pensavate di esservi liberato di me, messere?" esclamò con fare gioviale.
Morven sorrise suo malgrado nel vederlo arrivare.
"Certo che no... anzi speravo che sareste venuto. Temevo per la vostra vita a lasciarvi da solo in quella locanda!”
"Avete ragione... mi occorre qualcuno che mi insegni davvero come usare questi gingilli" affermò il cacciatore, sfiorando le due spade.
"E sia... venite con me! E spero siate lesto ad imparare, o moriremo tutti di fame, compreso il vostro Sauron!", rispose Morven additando il cane che saltellava festoso tra le zampe del suo cavallo.
L’altro, per tutta risposta, gli allungò una pacca sulla spalla e rise di gusto.
Da quella sera divennero inseparabili. Morven attaccava gli avversari frontalmente, mentre Cypher, che col tempo si era rivelato molto più abile di quanto non avesse promesso in principio, teneva a bada i nemici con le sue frecce e con gli attacchi rabbiosi del suo cane.
Una sera si erano trovati a scaldarsi davanti ad un bel fuoco scoppiettante, al riparo di un’antica costruzione crollata… proprio come stanotte, gli sovvenne in quel lucido dormiveglia... davanti al fuoco, come tante altre notti. Ma quella volta c’era qualcosa di speciale.
Cypher non smetteva di fissarlo. Nonostante il suo fare allegro e la sua fluente parlantina, che tanto contrastava con i modi scostanti di Morven, il cacciatore non aveva mai osato intromettersi nei suoi pensieri. Ma quella sera, forse, era davvero speciale. Dopo aver fatto emesso una sonora risata, Cypher lo fissò con interesse.
“E’ strano che dopo tutto questo tempo, e dopo averti così lungamente parlato di me… dopo aver combattuto con te, e averti guardato le spalle… dopo che tu mi hai salvato la vita innumerevoli volte… è strano che dopo tutto questo e tanto altro io non sappia davvero quasi nulla di te, a parte il tuo nome di battesimo… dì, cavaliere… chi è Morven, il più forte spadaccino che io conosca in questo regno?”
Morven sobbalzò a quella domanda. Per un attimo, istintivamente, parve desiderare di sfuggire a quello sguardo e a quella richiesta. Ma poi ricordò il patto di lealtà che lo legava al suo compagno, e non potè che ammettere che l’altro aveva ragione. Non erano solo compagni di viaggio. Non dividevano soltanto le ricompense dei ricchi signori. Erano amici.
Cypher era il suo primo, vero amico.
Quello con cui divideva il freddo e la birra. Quello con cui poteva parlare di tutto… o quasi… povero Cypher, mi dispiace… la tua lealtà non merita questo… la mia disonestà non merita la tua fiducia!
“Chi è Morven, vuoi sapere?”
Si era disteso accanto al fuoco, aveva intrecciato le braccia dietro la nuca e aveva preso a seguire con lo sguardo le ombre che si disegnavano sul soffitto.
“Morven discende dal casato nobile dei Cassis…”
“Un nobile… ridacchiò Cypher “ci avrei scommesso! Con quei modi da principino e quell’aria innocente, persino quando affondi la spada nel ventre di un uomo!”
Poi parve riflettere un istante, prima di tornare a guardare Morven, stavolta con uno sguardo serio.
“De Cassis… ho sentito già questo nome, anche se non ricordo bene quando… De Cassis…” ripetè lentamente “non era quel casato su cui si dice si fossero abbattute fosche sventure?”
Morven tacque, continuò a guardare il soffitto ricoperto di umidità.
“Non ricordo molto, a dire il vero… ma qualche anno fa mi pare che la giovane erede del casato fu costretta ad un matrimonio con un nobile delle terre vicine… uno strano matrimonio, invero, fatto in tutta fretta per impedire che le terre dei Cassis fossero confiscate, per non so quale sfortunato affare”
Cypher fissò Morven per un lungo istante.
“Ho forse sbagliato, amico mio?”
Morven infine si decise a rispondere.
“No, non hai sbagliato…” mormorò infine, con un fil di voce “E’ proprio questa la storia… la triste storia della duchessa Zulora…”
“Sì, è proprio questo il nome della giovane di cui si è tanto parlato nel mio villaggio. La duchessa Zulora… si diceva che fosse molto giovane e molto bella”
“Sì, lo era…”
Cypher lo guardò con uno sguardo attento, curioso, mentre l’altro non poteva vederlo.
“Tu… la conoscevi bene, non è così?”
Morven si lasciò sfuggire un lungo sospiro.
“Sì…” rispose pianissimo.
L’amico gli lanciò un’occhiata colma di comprensione. Il suo abituale sorriso e il suo sarcasmo si spensero a quell’affermazione di Morven, e Cypher lo guardò con la simpatia con cui si guarda un compagno di cui si intuiscono i dolori, pur non conoscendoli…
“Devi averla amata molto…” azzardò, dopo un lungo silenzio.
Morven strinse gli occhi per non lasciarsi sfuggire le parole che non voleva pronunciare.
“Non abbastanza…” disse soltanto, con una voce distante, carica di rimpianto “non abbastanza…”
Un brivido lo scosse. Si mosse agitato da un sordo dolore, da un oscuro pensiero.
“Zulora…” mormorò nel silenzio che si era creato attorno a quel fuoco, e subito spalancò gli occhi nella semioscurità.
Si sollevò sul gomito, si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse potuto udire quell’esclamazione sommessa del suo sogno. Goldblum dormiva sopra la sua spada, Bumin si era ritirato in un angolo, nascosto dalla sua pesante cappa, e Lady Gonzaga… gli ci volle un attimo per realizzare. Strizzò gli occhi, per convincersi di essere sveglio. Gonzaga non c’era più. Comprenderlo e levarsi in piedi fu un solo gesto.
Si precipitò verso l’ingresso della cappella.
“Milady!” gridò al silenzio della notte, afferrandosi con forza ai battenti malandati e affacciandosi all’esterno “Milady, dove…”
Ma le parole gli morirono sulle labbra, e il suo corpo, già lanciato nel gesto di correre all’aperto dovette bruscamente fermarsi su quella soglia. Il rumore degli zoccoli gli colpì le orecchie, poi l’ordine sommesso dei cavalieri e i nitriti bassi dei cavalli cui venivano tirate le redini, come dopo una lunga galoppata.
Morven si trovò di fronte uno stuolo di cavalieri, scuri come la notte.
L’unico che riconobbe immediatamente fu quello che stava ritto di fronte a lui.
“Ed ecco che è arrivato il degno compare…” pensò tra sé e sé, con enorme fastidio “Di male in peggio…”
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"E tu, Morrigan, strega da battaglia, cosa sai fare?"
"Rimarrò ben salda. Inseguirò qualsiasi cosa io veda. Distruggerò coloro su cui avrò poggiato gli occhi!"
Ultima modifica di Morrigan : 30-11-2010 alle ore 23.24.46.
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