Appena vide Bumin dirigersi verso la grata, intenzionato finalmente ad intraprendere quel cammino, di colpo Morven si levò in piedi.
La luce di Samsagra che lo aveva avvolto, lambiva ancora ai suoi occhi gli angoli di quella sala, e la voce di lei echeggiava soffusa intorno, ma il giovane cavaliere era improvvisamente stato sbalzato fuori da quel suo sogno, e la sua solerte custode lo aveva riportato al mondo e ai suoi compagni proprio nel momento propizio.
Così, quasi con ritrovata forza ed energia, il cavaliere si avvicinò al Cappellano e al resto della compagnia.
"Sì, mio buon Cappellano," esordì a quel punto "lasciate che egli scenda per primo, e dietro di lui andrà sir Duckey!"
Lanciò un rapido sguardo di fiamma a Bumin, poi con un sorriso appena accennato, come a voler giustificare le sue parole:
"Voi siete armati, miei signori, e siete nobili e coraggiosi cavalieri... è giusto che siate voi ad andare avanti, proteggendo chi nel gruppo non può vantare così lunga amicizia con le armi..."
Poi, mutando la voce in un lieve tono ironico:
"Sono sicuro che con voi in testa al gruppo nulla ci colpirà!"
A quel punto, per la prima volta, Morven osò avvicinarsi a Lady Gaynor e al suo piccolo seguito. Così facendo, il suo sguardo cadde su Iodix, e subito la sua memoria lo riportò indietro... la locanda, la birra, Lady Elisabeth... e quel cavaliere, e quello strano dialogo notturno avuto con lui, quel dialogo così carico di oscuri presagi!
"Ma io vi conosco..." disse a quel punto, di slancio.
Poi abbassò il tono della voce per farsi udire da Bumin e Duckey, e si accostò quasi all'orecchio del giullare.
"Voi siete il giullare di sir Guisgard, se l'ombra non mi inganna... perchè siete qui senza il vostro padrone?"
Ma un istante dopo quasi si pentì di aver domandato, perché nel suo cuore aveva subito immaginato il peggio. Erano tempi, quelli, in cui il male appariva in ogni forma e colpiva in mille modi differenti ed imprevedibili, anche coloro che desideravano sottrarsene.
Morven allora non attese nemmeno la risposta del giullare, e senza por tempo in mezzo estrasse dalla cinta una delle sue spade corte, una delle spade che erano appartenute a Cypher, e la tese all'uomo.
"Lo so che ne uccide più la lingua che la spada, mio buon giullare… ma forse questa volta vi converrà fare un’eccezione e sforzarvi di fare del vostro meglio con l’una e con l’altra!”
Poi, per la prima volta da quando aveva fatto il suo ingresso, Morven osò posare lo sguardo su Gaynor. Era bella, di una bellezza altera e delicata insieme. In lei si mescolavano curiosamente fragilità e coraggio, dolcezza e risolutezza… Morven la fissò incantato… era già esistita una, un tempo, che gli aveva ispirato quella sensazione… una a lui così tanto cara che tornava ormai troppo spesso nei suoi sogni e nei suoi incubi…
- L’amore per l’ordine è una buona qualità…
La ragazzina gli sorrise, in un misto di affetto e civetteria, e gli schioccò un bacio sulla guancia.
Morven sorrise di rimando, ma subito dopo finse di assumere un’aria che voleva esser dura.
- … ma non è sufficiente per maneggiare bene un’arma!
La ragazzina allora sbuffò.
- Ma io mi annoio, Morven!
E così dicendo si lasciò cadere sull’erba morbida dal prato e incrociò le braccia al petto, mostrando la fiera intenzione di non proseguire in quell’attività.
Per un istante Morven pensò di poter adirare contro la testardaggine della sua sorellina. Zulora era sempre stata così, caparbia e sicura di sé. Sebbene fosse ancora una ragazzina, mostrava sempre di sapere con precisione ciò che voleva. La sua dolce indole femminile, che la portava il più delle volte ad obbedire a ciò che le veniva chiesto di fare, non era tuttavia scissa da una certa irrequietezza di spirito, che di certo le veniva dalla sua vivace intelligenza.
Fu proprio seguendo questo ragionamento che Morven decise di abbandonare il tono di aspro rimprovero che gli era salito alle labbra, e mutò espressione, pensando che avrebbe potuto piuttosto discutere con la sorella, piuttosto che imporle qualcosa senza darle una ragione.
Così si inginocchiò di fronte a lei e le si accostò con delicatezza. Prese da terra la spada che lei vi aveva gettato e gliela mise tra le mani.

- Hai ragione, - disse allora, con fare condiscendente – quello che ti chiedo di fare è molto noioso, e di certo molto più stancante rispetto alle tue normali attività… ma tu, Zulora, sorella mia, devi promettermi che non desisterai. Noi vivamo in un tempo non cui non ci è stato dato di poter decidere di noi stessi... noi viviamo in uno stato in cui la nostra vita è posta interamente in mano nostra, e nessun aiuto ci verrà da alcuno, se non da Dio... e in un simile stato, una spada può fare la differenza! Una spada è la sottile linea che può separare la vita dalla morte, la felicità dal dolore… e se tu impari a maneggiare quest’arma, tua sarà anche la capacità di recidere questi opposti!
Zulora, all’udire quelle parole, non disse nulla. Non lo interruppe e non respinse il suo gesto, ma si fece guidare nello stringere le piccole mani attorno all’elsa della spada. Era rapita da quel discorso, e lo seguiva con gli occhi sgranati.
- Hai compreso quello che intendo, mia piccola?
E lei chinò il capo lentamente, quasi con aria assorta in quel gesto di assenso.
- Sì, fratello… - rispose dopo un attimo – ho compreso… terrò quest’arma e imparerò ciò che mi insegnerai…
Poi lo fissò serissima, con un’espressione presaga di cupi eventi.
- E la userò… in qualsiasi caso… per difendere la mia vita, in un modo o nell’altro!
Quegli occhi, non li avrebbe scordati.
Morven guardò Gaynor quasi con tristezza. Estrasse lentamente il secondo gladio dal suo fodero. Lo porse alla fanciulla.
“Vi prego, milady… prendete questa con voi… stiamo per scendere in luoghi oscuri… usatela, vi prego…” e qui la voce gli si incrinò un attimo, come spezzata dal peso delle parole che stava per pronunciare, “in qualsiasi caso… per difendere la vostra vita, in un modo o nell’altro!”
Disse questo in fretta, e quasi sfuggì il suo sguardo. Si voltò verso il Cappellano facendogli cenno di proseguire.
“Io resterò indietro e vi guarderò le spalle, non abbiate paura”
Carezzò l’elsa di Samsagra e guardò il Cappellano con fare allusivo, prima di concludere:
“Io ho già di che difendermi!”