Fu al tempo della spedizione veneziana contro la flotta turca che risale questa storia.
La flotta della Serenissima richiese i servigi dei più grandi cavalieri d’Europa per questa impresa e fu così che io ed i miei compagni ci ritrovammo in quell’epico scontro.
Ma la battaglia durò poco e le nostre milizie furono presto sconfitte dalle armate del sultano.
Molti dei nostri caddero in battaglia, altri invece furono torturati e lasciati morire di stenti.
La mia sorte fu più fortunata, se la prigionia presso quel popolo infedele può definirsi tale.
Ma fu grazie alla mia qualità di oratore che entrai, per Grazia Divina, nelle simpatie del sultano.
Questi ogni giorno mi chiedeva storie e racconti sulla mia terra e su qualcuna delle mie imprese.
Certo non potevo lamentarmi: ero di fatto libero di andare in giro per il palazzo, di mangiare cibi squisiti ed esotici.
Quindi il mio soggiorno ad Istanbul era tutt’altro che sgradevole.
E nei pomeriggi in cui il sultano non chiedeva di vedermi, andavo spesso presso il suo harem, fissando qualcuna di quelle finestre, dalle quali si potevano ammirare le bellissime donne, tra mogli, concubine ed odalische, che allietavano i giorni e soprattutto le notti del sultano.
Ed un giorno, durante una di queste mie passeggiate presso l’harem, la vidi.
Era bellissima.
Avrà avuto forse poco più di 24 anni.
La pelle come ceramica, i capelli come una meravigliosa notte senza luna e due occhi simili al cristallo più puro.
Fissava dalla finestra il mare e una perenne malinconia solcava, come una nave senza rotta, il suo meraviglioso volto.
Strinsi amicizia con uno degli eunuchi del sultano e riuscii a conoscere il nome di quella bellissima ragazza: Armelia.
Ed ogni giorno, passando davanti alle finestre dell’harem, la trovavo lì, a fissare quel mare sterminato.
Presto però, il sultano richiese i miei servigi.
Gli narrai allora delle mie gesta sotto le mura della mitica Nolia e di come il mio valore, insieme a quello dei miei compagni, portò alla caduta di quella città che sembrava imprendibile.
“Sei astuto e valoroso, Cristiano!” Mi disse il sultano. “Ma oggi ho comprato uno schiavo proveniente dal lontano Oriente. Egli è forse l’essere più arguto che io abbia mai visto! E su questo, il Profeta stesso mi sia testimone!”
Io annuì divertito.
“Non mi credi dunque, Cristiano?”
“Mio signore…” risposi sorridendo “… di certo egli sarà il più arguto fra i vostri servitori ed eunuchi, ma dubito che la sua sapienza potrebbe superare quella di un latino, per di più Cristiano!”
“Allora, Cristiano, la tua insolenza merita una prova…” replicò il sultano “… lo sfiderai, ma se ne uscirai sconfitto io avrò la tua testa!”
“E se invece dovessi vincere io?”
“Allora ti renderò la libertà!”
“E quel tuo servo?”
“In quel caso mozzerò la sua di testa!”
“Io accetterò la sfida, mio signore, ma ad un patto… se sarò io a vincere voglio una delle vostre ancelle… a mia scelta! Se siete certo di voi, visto il giuramento sul Profeta, non mi rifiuterete questa proposta…”
“E sia, Cristiano! Chiamate lo schiavo indiano!” Ordinò il sultano.
Un attimo dopo il servo del sultano entrò e formulò un arcano:
“A questa cosa metti presto mano,
o il tutto, si, resterà fatalmente vano!
Non rivoltare tutto ciò che senti e vedi,
ma usalo per bene o niente resterà in piedi!
Avanti, forza, affrontami, non esitare! Ti sfido io!
Non aver tu paura e dammi la risposta, amico mio!”
Ascoltai con attenzione e dopo alcuni istanti risposi all’enigma di quello schiavo.
La mia risposta fece così perdere la testa all’indiano e riscattò la mia libertà e quella della bellissima Armelia.
Ed insieme lasciammo la corte del sultano, per ritornare nelle mie terre.
E voi, nobili cavalieri e graziose dame, sapreste rispondere all’arcano del servitore indiano?