La torre sembrava sospesa in quella notte senza Luna, mentre le stelle scintillavano senza sosta in quelle infinite tenebre.
Un vento freddo soffiava con un sibilo spettrale sulla campagna sterminata, facendo oscillare, come in una primordiale e mistica danza, le cime delle fiere querce che circondavano le mura di Capomazda.
“E’ stato l’altra notte, milord…” disse uno dei soldati“… eravamo di guardia in cima alla torre e poco dopo mezzanotte quella figura è apparsa...”
“Si, mio signore!” Intervenne l’altro soldato. “Una figura eterea e spettrale… si aggirava inquieta lungo la merlatura… diceva qualcosa, ma non siamo riusciti a comprenderne il senso…”
“Più che parole, sembrava emettere lunghi e strazianti lamenti, signore…” aggiunse l’altro.
“Il volto?” Domandò Icarius. “Avete visto il suo volto?”
I due si scambiarono una rapida ed indecifrabile occhiata a quella domanda di Icarius.
“Allora?” Li esortò il duca.
“Milord…” mormorò il primo “… era buio e il volto non era facilmente riconoscibile...”
“Ma la notte scorsa il vento aveva reso l’aria asciutta e limpida!” Disse Icarius.
I due si scambiarono di nuovo quell’enigmatica occhiata.
“Milord... sembrava… si, per quel che abbiamo potuto vedere, sembrava... sua signoria lord Rauger, vostro zio...”
Icarius sgranò gli occhi e ammutolì.
“Tornate ai vostri posti di guardia.” Ordinò poi.
“E voi, mio signore?”
“E’ quasi mezzanotte...” mormorò il duca “… voglio salire in cima alla torre…”
“No, milord!” Gridarono insieme i due. “Quella visione potrebbe farvi del male, o rendervi folle con il suo apparire nella notte!”
Ma Icarius, incurante delle loro parole, era già quasi in cima alla torre.
“E non seguitemi!” Urlò.
Giunto sulla torre, subito un senso di angoscia ed inquietudine lo prese.
Fissò il buio per un tempo indefinito.
Un buio profondo e senza fine.
Un buio a cui era negata anche la consolazione della Luna.
Ad un tratto Icarius udì un lamento lontano, poi delle confuse parole.
“Roselide...” chiamava qualcuno “... gioia mia, dove sei?”
Sembrava la voce di un vecchio.
Un senso di paura lo raggiunse.
Si voltò intorno, ma non vide nulla.
Si affacciò allora dalla torre e notò una figura nella campagna.
Era una donna.
Ed osservandola ad Icarius parve di riconoscerla: era la moglie dell’Arciduca Ardeliao, Gyaia, della quale aveva visto il ritratto nel palazzo.
Ma voltandosi improvvisamente quella donna mutò sembianze: era Talia.
Icarius allora la chiamò, urlando nella notte e nel vento.
La chiamò con quanto fiato aveva in gola.
Lei si voltò, lo fissò e poi si incamminò nella campagna.
“Aspettami, Talia!” Gridò disperato Icarius.
Ad un tratto però udì dei rumori alle sue spalle.
Qualcuno stava salendo dalle scale.
Poi cominciò a picchiare forte contro la porta di legno che dava accesso al piano merlato della torre.
Erano colpi poderosi, come se una furia volesse sfondare quella porta.
E dopo l’ennesimo colpo la porta si frantumò in tanti pezzi.
Un possente e gigantesco cavaliere, tutto bardato da una pesante corazza nera, si presentò davanti ad Icarius.
Questi tentò di raggiungere le scale, ma il misterioso cavaliere lo afferrò per poi lanciarlo contro il parapetto interno della merlatura.
Si avvicinò ad Icarius ed accennò un lieve inchino, come a volerlo sfidare in un fatale duello.
Lo fissò e si abbandonò ad un profondo e allucinante grido di sadica disperazione.
Un grido che sembrava provenire dagli oscuri e maledetti gironi dell’Inferno.
Gridò e saltò su di colpo.
Ansimò per qualche istante, per poi comprendere dove si trovava e cosa era accaduto.
“Un incubo…” mormorò “… un incubo dannatamente reale…”
Si massaggiò la testa, togliendosi la paglia dai capelli.
In quel momento un nitrito attirò la sua attenzione.
“Ah, buongiorno, amica mia!” Esclamò sorridendo a Matys. “Dormito bene? Si fa colazione ora?”
E scoppiò a ridere, come a voler allontanare l’inquietudine ancora viva di quel misterioso sogno e dell’oscuro cavaliere apparso in esso.