Avanzammo lungo la navata, lentamente, quasi che ogni passo ci costasse fatica.
La mia mano, stretta in quella di Icarius, mi pareva quasi fosse rimasta l’unico legame con qualcosa di reale e di tangibile, quel contatto mi sembrava l’unica cosa capace di tenermi ancora salda a terra e mi impedisse di perdermi nell’angoscia che riempiva quel luogo.
Volsi leggermente lo sguardo intorno e le vidi... quattro armature stavano ai lati dell’ingresso: scure, immobili... mi parvero quasi minacciose.
Rabbrividii e mi aggrappai anche con l’altra mano al braccio di mio marito... se c’era una cosa che detestavo era quella mania capomazdese di far dono alle chiese di oggetti simili: una cosa del genere non si era mai vista a Sygma ed ero certa che mai si sarebbe verificata. Così speravo, almeno!
Per il resto quella chiesa era stata edificata nel più rigoroso stile delle mie terre. Non erano mai molto illuminati gli edifici simili a questo, poiché non era uso a Sygma bucare le pareti con grandi vetrate policrome, si lasciava invece che la luce scivolasse appena nella navata attraverso un'unica apertura, un occhio talvolta circolare e delicatamente ornato, posto esattamente dietro l’altare... E tuttavia, nonostante ciò, percepii subito che l’oscurità che avvolgeva quella pieve non aveva niente a che vedere con gli accorgimenti architettonici che erano stati presi... al contrario era un’oscurità che avvolgeva l’anima di chi vi entrava, era un’oscurità dovuta al dolore e alla sofferenza che la permeava.
E quel silenzio...
Un silenzio opprimente.
Un silenzio tanto pensante alle mie orecchie che, presto, sentii l’esigenza di spezzarlo in qualche modo...
“Che cosa stiamo cercando qui? Cosa vuoi trovare?” domandai quindi ad Icarius.
Lo dissi piano, quasi in un sussurro... e tuttavia la mia voce risuonò per l’aula, altrimenti deserta, come un’invocazione.
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** Talia **
"Essere profondamente amati ci rende forti.
Amare profondamente ci rende coraggiosi."
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