Ardeliano galoppava nell’oscura brughiera, seguito dai latrati dei suoi cani.
Tirava con vigore le redini ed affondava gli speroni nei fianchi del suo destriero, mentre il cielo sopra quella landa si contorceva e tormentava, tra il sinistro sibilo del vento e lo spettrale boato dei tuoi in lontananza.
In quella maledetta notte sembrava che le forze del male si fossero date appuntamento in quel delirante scenario di rocce e tenebre.
Ad un tratto i cani apparvero impauriti, come se un’oscura presenza li intimorisse.
Ardeliano li chiamò, li incitò, li maledisse, ma essi restarono fermi come inchiodati da una paura primordiale ed innaturale.
Ma non dirò oltre del terrore che attanagliò i cani.
Dirò soltanto della tomba...
Apparve ad Ardeliano, sul lato più remoto ed oscuro della collinetta che si formava sul sentiero, una tomba misteriosa ed abbandonata.
Sembrava appartenere ad un’antica e nobile famiglia.
Era di marmo pesante, scolorito e corroso dal tempo e dalla furia della natura.
Era scavata nel ventre di quella collinetta e solo la porta, un’antica e spessa lastra di granito bloccata da cardini ormai consumati dalla ruggine, sembrava capace di emergere dagli sterpi e dai rovi.
L’arciduca si avvicinò a quell’antica costruzione, cercando di scorgere il nome e lo stemma dei proprietari.
Ma quando fù a pochi passi dalla tomba riuscì a leggervi un nome.
Anzi, due nomi: il suo e quello di sua moglie.
Ad un tratto la lastra si spostò, liberando l’ingresso della tomba.
“Sono qui, Ardeliano...” disse una voce proveniente dall’interno.
Era la voce di sua moglie Gyaia.
Ardeliano allora si avvicinò all’entrata della tomba, ma prima che potesse attraversarla vide una figura emergere dalla desolata landa circostante: era Gyaia che lo fissava con due occhi intrisi di folle dolore e disperazione.
Il volto e gli occhi erano i suoi, ma quella donna non era Gyaia, pensò subito Ardeliano.
“Dov’è mia moglie?” Gridò l’Arciduca. “Dove?”
Ma nessuno rispose a quella disperata invocazione.
In quel momento qualcosa emerse dall’entrata della tomba e lo raggiunse.
Ardeliano ebbe solo il tempo di voltarsi e vedere, per un breve istante, l’orribile visione di morte che lo assaliva.
Layla restò un attimo in silenzio, dopo aver raccontato dell’orribile maledizione.
“Essa è detta Gioia dei Taddei…” mormorò “… poiché col suo demoniaco incanto nega alla vostra stirpe la gioia che nasce dall’amore.”
“E’ dunque a causa della colpa di Ardeliano che ancora oggi noi Taddei siamo perseguitati da quest’orrore…” disse Icarius.
Layla annuì.
“E non vi è modo per vincere questa maledizione?” Chiese Icarius.
“Solo quando la vostra stirpe si estinguerà, la maledizione avrà fine.”
Si voltò poi verso Talia.
“Il prezzo, milady?” Chiese. “Il prezzo è troppo alto perché è legato alla vita stessa… e voi, come vostro marito, potete definirvi vivi? No, non lo siete… siete simili a marionette dalle movenze grottesche… marionette senz’anima e senza cuore… i Taddei hanno rifiutato l’amore e questo li ha condannati per sempre… ora lasciate questa pieve… i miei cavalieri hanno già ucciso un ladruncolo che si aggirava nella brughiera… ora attendono voi…”
“Tu non pagherai nessun prezzo…” disse Icarius a Talia “… hai già sofferto abbastanza a causa mia… milady…” rivolgendosi poi a Layla “… amo la vita, ma non temo la morte… vi chiedo solo una grazia… il modo per risparmiare mia moglie… voglio che ritorni sana e salva a Capomazda… il resto per me non conta…”
“Siete uno dei Taddei” replicò freddamente la donna “e non vi importa nulla di questa ragazza… il vostro è solo un disperato tentativo di salvarvi la vita…”
“Siete tanto bella, eppure avete il cuore tanto arido… perché? Chiedo solo che a mia moglie sia risparmiata la vita… prendete pure la mia… ma risparmiate quella di Talia…”
Layla lo fissò.
“Amate davvero vostra moglie?”
“Si.”
“Tanto da non separarvene mai?”
“Il giorno e la notte sono solo sbiaditi riflessi di vita se lei non è con me… lei scandisce ogni attimo della mia vita… senza di lei sono morto…”
“Cosa avete nella cintura?” Chiese la donna.
Icarius fissò la rosa che il vecchio dei costumi gli aveva dato.
“E’ l’arma del mio costume…” prendendola Icarius.
“I fiori hanno un nome…” disse la donna “… quello di quel fiore?”
“Colui che mi ha dato questo fiore lo ha chiamato Mia Amata… ora che è mio esso ha dunque nome Talia, la donna che amo…”
“Donatemi quel fiore e vi lascerò andare…” sorridendo Layla “… lasciatemelo e tornerete sani e salvi a Capomazda…”