Discussione: La Gioia dei Taddei
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Vecchio 25-07-2011, 19.38.27   #2009
Guisgard
Cavaliere della Tavola Rotonda
 
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Guisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare beneGuisgard di lui non si fa che parlare bene
Un vento sordo ed ululante attraversava lo sterminato bosco circostante, rendendo il cielo terso e le grandi nuvole che su di esso si stagliavano bianchissime ed inquiete.
La vegetazione cresceva libera ed incolta e per buona parte aveva già cominciato ad avvolgere tra sterpi e rovi quell’antica tomba.
Dominava dall’altezza della piccola collinetta, dando le spalle all’Occidente, oscurandosi così man mano che il Sole giungeva a terminare il suo cammino e proiettando la sua lunga ed inquietante ombra sulla bassa conca che la precedeva.
Era una tomba abbandonata, appartenuta di certo, dato il decadente splendore tutt’ora ancora vivo, a qualche vecchia e nobile famiglia, forse dimenticata dal tempo e dagli uomini.
Era di granito antico, scolorito, consumato e corroso dalla natura.
Coperta com’era dalla vegetazione, almeno per buona parte, diveniva visibile solo quando si giungeva ai piedi della collinetta sulla quale si erigeva.
La porta della tomba, una grossa e spessa lastra di marmo un tempo policromo, poggiava su massicci cardini di ferro ormai arrugginiti ed inservibili all’originario scopo.
Ecco perché una larga asta di pietra, posta perpendicolarmente all’asse verticale della porta, la teneva bloccata ai battenti un tempo finemente decorati ed ora invece logorati dalle intemperie.
Una profonda fessura che si apriva sulla cupola, un unico blocco posto sulla struttura funeraria, fino quasi a raggiungere l’altezza della stessa porta, lacerava un terzo della tomba e conferiva alla pietosa ed austera costruzione un’aria tetra e spettrale.
La fessura, simile in realtà più ad una profonda spaccatura, era stata causata probabilmente da un fulmine abbattutosi sulla tomba molti anni prima, dato che il marmo, lungo il margine di quella crepa, presentava segni di bruciatura piuttosto marcati.
Quasi si fosse trattato di un segno divino lasciato da qualche Angelo come monito a chiunque s’imbattesse in quel luogo dimenticato e maledetto.
Icarius si guardò intorno, ma non vide nessuno.
“Eppure il sentiero termina in questa conca…” pensò.
Allora decise di avvicinarsi alla tomba.
Si accorse così che sulla porta vi era una scritta, incisa chissà quanti secoli prima su quel marmo ormai consumato.
L’incisione non era facilmente leggibile anche a causa degli sterpi che crescevano incontrollati attorno al monumento.
L’Arciduca strappò alcune di quelle piante e pulì la scritta, per leggere ciò che diceva.
E dopo un attimo il suo viso sbiancò ed il suo sguardo trasalì.
Una smorfia di profondo turbamento alterò i suoi bei lineamenti ed un gemito prese forma dalla sua voce.
Indietreggiò di alcuni passi, per poi inciampare nella fitta vegetazione.
Sentì allora delle voci e dei rumori lontani, come se il vento avesse mutato il suo sibilo.
Si voltò e vide in lontananza le mura di Capomazda assediate da un esercito nemico.
Ma dove si trovava?
Si chiedeva Icarius.
Com’è possibile che Capomazda fosse visibile da quel luogo, che invece doveva trovarsi quasi fuori dalle terre dei Taddei?
E quell’esercito che l’assediava?
Era forse quello di Cimarow?
Allora un allarmante pensiero si fece strada nel suo cuore.
Forse anche i suoi antenati avevano visto quella tomba e letto quel nome inciso su di essa, prima di morire orrendamente sfigurati da un’innaturale spavento.
Quel nome.
Il solo leggerlo dopo aver visto la Dimora degli Innamorati avrebbe fatto impazzire per la paura chiunque.
Si voltò di nuovo verso la tomba e lesse ancora quel nome.
Stavolta ad alta voce, quasi a vincere l’incanto che sembrava volerlo rendere folle.
“Layla D’Ancertrbury…” mormorò.
Chinò allora il capo, cercando di scacciare quell’inumana paura che l’aveva preso.
Poi il ricordo del volto di Talia lo destò, per un momento, da quell’angosciante morsa.
“Allora…” sussurrò “… quella donna… e tutti gli altri… sono tutti dei…”
Strinse il Crocifisso che aveva al collo e si rialzò.
“Devo tornare in quella dimora…” farfugliò confusamente “… Talia e tutti gli altri sono in pericolo…”
Ma proprio in quel momento Matys cominciò a tradire un vivo nervosismo, per poi imbizzarrirsi, come spaventata.
“Buona, Matys!” Gridò Icarius cercando di afferrare le redini della sua cavalla. “Buona!”
Ma un terrificante nitrito, proveniente dalle sue spalle, gli gelò il sangue, ammutolendo anche Matys.
Icarius si voltò e lo vide.
Uno spettrale cavaliere su di un cavallo nero come la morte stava accanto alla tomba e lo fissava.
Aveva una spessa corazza ed un mantello rosso come il sangue avvolgeva la sua infernale figura.
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