Milady, io ovviamente condivido questa vostra romantica e poetica riflessione, ma credo che dietro questa voglia di dissipare le nebbie del tempo ci sia un altrettanto slancio di passione e sentimento.
Come accadde con Heinrich Schliemann ed il suo omerico sogno.
Lui crebbe col mito di quel mondo lontano, sognando sin da piccolo davanti all’immagine di Enea in fuga da Troia in fiamme, o di Ulisse in balia delle sirene.
E fu la forza che solo i sogni sanno darci che lo spinsero, al di là delle critiche e delle umiliazioni, a voler dare un volto ed una realtà storica a quel mondo ritenuto da tutti fino ad allora solo frutto dell’estro di un poeta.
Io credo che la fama e la ricchezza avute in seguito da Schliemann non siano mai state pari alla felicità ed alla commozione che il grande archeologo provò mentre stringeva fra le braccia in lacrime quella che credeva essere la Maschera di Agamennone, appena emersa dalle nebbie del tempo e della storia.
E la stessa cosa può dirsi per le leggende di Artù.
La storia e l’archeologia sono i miei studi ed il mio lavoro e anche io vorrei dimostrare un giorno al mondo che l’epopea arturiana non è solo mito e leggenda.
Ma a muovere questo mio desiderio, ma forse dovrei chiamarlo sogno, è soprattutto la passione.
La passione di chi è cresciuto con questi miti e che ha sempre visto in essi un qualcosa di reale.
Io credo, proprio come Schliemann, che nessun riconoscimento potrebbe mai eguagliare il vedere dal vivo quei luoghi.
Toccare la mitica Tavola Rotonda, passeggiare nei luoghi dove Lancillotto amò per istanti che sarebbero divenuti eterni la sua Ginevra, o vedere il leggendario Castello del Re Pescatore.
Milady, siamo uomini ed abbiamo bisogno di inseguire sogni.
E raggiungerli è il dono più grande che possiamo fare a noi stessi.
Solo così possiamo dirci vivi