Quel ricordo fece rabbrividire ancora di più Chantal,era insorto prepotentemente infrangendo il suo desiderio di abbandono e forzandola ad evocare immagini che sentiva non appertenerle.
Ragazzi intenti in discorsi sulla maestria del tirare di spada..
Perchè mai quel ricordo?
Come una beffa,giungeva.
Proprio in quei momenti in cui nessuno spadaccino era stato inviato dalla Divina Provvidenza a sottrarre suo zio da quell'ingiusto arresto da parte della guardia repubblicana.
S'era rannicchiata sulla fredda,sporca e umida pietra del pavimento della sua cella,si strinse il volto nelle mani a non voler vedere,a voler ricacciare quel ricordo da dove era venuto.
E il rumore dei passi provenienti dal passaggio fecero il resto.
Più passi udiva,più si confondeva,ma se anche quelli fossero stati frutto della sua angoscia?
La ragazza comunque si levò,si portò contro la porta,appoggiandosi ad essa,con tutto il corpo si premeva contro il rigido metallo a cercare di vedere attraverso la feritoia un'anima pia.
Ma s'illudeva ancora,e lo sapeva.Non vi era clemenza o misericordia alcuna in quel luogo di perdizione.
Era inzuppata,forse di umidità,forse dell'aspro sudore che le generava la paura sin da quando aveva varcato la soglia di quel luogo di orrore e dannazione.
E non smetteva di tremare un istante,anzi,quel ricordo le aveva solo trasmesso altra irrequietezza e sconcerto.
Gli inglesi..così lontani da Animos.Suo zio li aveva conosciuti,gli inglersi.Alcuni li aveva educati,istruiti alle più dotte discipline letterarie,nonchè ai precetti di Dio,attraverso i sacramenti.Probabilmente,anche quel ragazzo che Chantal ricordava di aver visto solo di spalle figurava,un tempo, tra gli allievi di suo zio.E che fosse davvero abile di spada come ella ricordava,chi s'era ritrovato a liberare padre Adam da quelle sofferenze?
Alcuno.
Chantal ricacciò quel ricordo infelice ed impressionante,e provò pena,pena per le sorti del suo amato tutore.
Ma anche fremeva di rabbia contro l'accademia,le istituzioni,gli amici,tutto e tutti che ora non potevano nulla per mettere fine alla follia in cui imperversava la Repubblica.
Attese,allora,quasi ancorandosi a quella porta chiusa,col viso premuto in quell'angusto spazio,i gomiti piegati e costretti lungo il freddo e arrugginito metallo a sorreggere i pugni che stringevano le sbarre,e le gambe che le cedevano,mentre non ricercava forze in quella disperazione,ma altro cedimento.E strinse gli occhi di nuovo per piangere,inumidendo ancora una volta il volto già deturpato da quel freddo sudore.
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