Un leggero vento accarezzava le cime degli alberi, diffondendo ovunque nell’aria un dolce profumo, mentre le colline tutt’intorno era già tinte coi colori dell’Autunno.
Altea era avvolta nel forte abbraccio di Carrinton ed il silenzio, dopo le loro parole, aveva riempito l’eco dei loro sospiri.
Il nobile, allora, prese dolcemente le redini del cavallo e questo s’incamminò lungo un sentiero tracciato tra le foglie cadenti e quella delicata melodia che sembrava racchiusa nel sibilo del vento.
I passi del destriero penetravano nella tenera ed umida terra che aveva visto, per buona parte del giorno, cadere un lenta e costante pioggerellina.
Per un tratto di quel sentiero non ci furono parole tra i due.
Qualcuno una volta scrisse che il silenzio è tutto ciò che occorre per ricordare un’immagine vista in sogno.
E quella rivelazione era stata davvero come un sogno.
Carrinton si era subito perso negli occhi di quella ragazza giunta dalla verde Irlanda.
E subito il suo cuore gli aveva sussurrato che era pronto a rinascere, a rifiorire all’amore.
Per troppo tempo Carrinton si era chiuso in quel doloroso passato, negandosi alle gioie della vita.
Sembrava destinato a questo oblio dei sensi, della passione e della Gioia.
Ma poi lo sguardo di lei aveva dissolto tutto.
In un istante tanto infinitesimale da apparire ora quasi eterno.
Come il sospiro che racchiuse quel nome pronunciato ora dal nobile.
“Altea…” accarezzandole i capelli, mentre attraversavano quel sentiero che appariva fiabesco “… lascia subito la casa di lady Kate… voglio che tu ti trasferisca nel mio palazzo… stasera stessa… ti voglio con me… e non vi è luogo a questo mondo che possa tenerti lontana dal mio cuore…” fissandola e perdendosi nei suoi meravigliosi occhi che luccicavano degli incantati riflessi di quella selva “… che sia Camelot, l’Irlanda o qualcuno dei mondi sconosciuti e fantastici, sospesi tra il Cielo e la terra, che i poeti disegnano nei loro versi non avranno mura abbastanza alte e spesse per poterti custodire lontana da me…”
Ad un tratto il cavallo si fermò presso un piccolo laghetto.
Le sue acque erano blu ed una bianca e fresca sorgente lo alimentava.
Il fondo era tanto trasparente da permettere di vedere i ciottoli che la corrente aveva reso lucidi e levigatissimi.
Lo stagno era coperto, per buona parte, da uno spuntone di roccia modellato dal vento e arso dal Sole, che con la sua ombra generava superbi riflessi di mille colori tra gli spruzzi d’acqua che fuoriuscivano dalla sorgente.
E nel cuore di quella roccia vi era un’insenatura naturale, nella quale si intravedeva una statua bianca.
“In questo luogo” disse Carrinton ad Altea “il console Mario Fulvio, durante la dominazione romana della Britannia, fece costruire un magnifico giardino, raccolto attorno ad un tempietto dedicato alla dea dell’amore Venere…” indicando la statua nella roccia “… fu il suo modo di ringraziare la dea, per avergli fatto incontrare la donna che amò poi per tutta la vita, Gueverren, una bellissima bretone… e secondo la leggenda proprio in questo luogo, dove un tempo vi era il suo favoloso giardino, chiese all’amata di diventare sua moglie…” allora Carrinton prese fra le braccia Altea e sorrise “… e nello stesso modo, in questo luogo consacrato ad Amore, io chiedo a te… vuoi essere mia moglie?”
