Cittadino di Camelot
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Quando varcammo le porte di Ostyen e ci addentrammo per il dedalo di strade e stradine una strana sensazione mi pervase... avevamo viaggiato in lungo e in largo per Magnus ma nessuna delle città che avevamo visto era neanche lontanamente simile alla capitale: si respirava, lì, un’aria del tutto diversa... sembrava, tranne che per qualche particolare dissonante, che il tempo si fosse addirittura fermato in quella città... si sarebbe detto che non ci fosse povertà ad Ostyen, né scontento... o, piuttosto, ebbi l’impressione che quel genere di cose non fosse considerato ammissibile!
Il carrozzone procedeva lento e traballante tra la folla che invadeva la via ed io mi persi osservando la mia ombra fluttuare su quel mare di volti... Tafferuille era lì, vicino a me, con quella sua solita aria noncurante, quasi che niente di ciò che lo circondava lo interessasse davvero, quasi non fosse la sua vita quella...
Poi all’improvviso, sorto da chissà quale angolo della mia memoria, un lontano ricordo mi passò davanti agli occhi...
La stanza era piccola e spoglia. Ad eccezione del vecchio crocifisso di legno, assolutamente niente adornava le pareti e il letto, nel quale io ero adagiata, era l’unico mobile presente. Mio unico svago, in quel luogo, era la stretta ed alta finestra che si apriva proprio sulla parete di fronte... avevo passato giornate intere guardando il cielo fuori da quel vetro, durante la mia malattia, avevo osservato a lungo le nuvole e giocato a riconoscere in esse forme di ogni sorta.
Ed era proprio quel gioco che stavo facendo quando, anche quel giorno, come ogni giorno, Suor Amélie entrò nella stanza e si richiuse la pesante porta di legno alle spalle.
“Come ti senti, oggi?” chiese, accostandosi rapidamente al letto.
“Meglio!” risposi.
Lei mi toccò la fronte con aria critica, mi passò la mano sulle guance e si chinò per esaminare da vicino i miei occhi.
“Si...” confermò dopo un istante “Stai davvero meglio, grazie al Cielo!”
La giovane suora, quindi, si sedette sul bordo del mio letto e aprì il libro che aveva portato... quel libro dal quale ogni giorno, fin da quando mi ero ammalata, quasi un mese prima, veniva a leggermi un capitolo.
Passammo così quasi un’ora...amavo quei momenti che suor Amélie dedicava soltanto a me, quei momenti che sottraeva i suoi doveri per fare compagnia ad una ragazzina ammalata e costretta a letto, quei momenti che spendevamo leggendo e parlando di ogni cosa.
“Oh...” disse ad un tratto, interrompendosi “Ieri è tornato quel tuo amico a chiedere di te!”
“Philip?” chiesi, sentendomi all’improvviso estremamente allegra.
Lei mi osservò per un istante ancora, poi sorrise ed annuì...
Stavo per chiederle di più, ma la giovane suora estrasse da una tasca della sua nera veste un foglietto un po’ stropicciato e piegato in quattro parti... me lo porse senza una parola, io lo aprii e iniziai a leggere.
Era una lettera... una lettera che parlava di pomeriggi trascorsi al sole e di corse per raggiungere la scogliera, una lettere piena di colori, di suoni e di profumi, una lettera piena di sensazioni e di sorrisi. E terminava con queste parole: ‘So che vorresti essere stata con noi in ciascuna di queste avventure, e anche io lo avrei voluto. Ma la suora con cui ho parlato, Amélie, dice che stai migliorando e io so che presto potrai tornare da noi. Forse ti annoi lì in quel cupo e triste convento tutta da sola e senza mai poterti alzare dal letto... ma sappi una cosa: quando ti senti più sola e triste non avrai che da guardare il cielo e pensare che anche io lo sto guardando. Se riconosci un albero tra le forme delle nuvole, sappi che anche io lo sto vedendo. Se vedi un coniglio, una nave, una casa, sappi che anche io li sto guardando.
A presto, dunque.
Philip’
Scorsi quelle parole per più e più volte... poi, con il cuore in gola, sollevai lo sguardo su suor Amélie, che era rimasta immobile ad osservarmi.
“E’ un bravo ragazzo, dopotutto...” disse lei, rompendo il silenzio “Un po’ testardo, forse... voleva a tutti i costi venire a vedere come stavi ed ho faticato a convincerlo che non era assolutamente possibile per lui entrare qui!”
Sorrisi debolmente a quelle parole, immaginando la scena.
“Non si rassegnava all’idea di non poter constatare con i suoi occhi che stai guarendo...” proseguì, scuotendo il capo “Ma gli ho detto che, se migliorerai ancora, forse la prossima domenica ti sarà concesso di alzarti dal letto per venire alla Messa e che, quindi, avrebbe magari potuto vederti in chiesa.”
Sollevai un sopracciglio e le lanciai un’occhiata tra lo scettico e il divertito...
“Philip?” domandai “Philip De Jeon? E’ assurdo... non viene mai alla Messa e non ci verrà neanche questa volta. Non di sua volontà, soeur Amélie. Mai!”
Lei mi lanciò un’occhiata altrettanto scettica e altrettanto divertita...
“Chissà, Talia! Chissà!”
Philip quella domenica venne alla Messa.
Lo vidi in fondo, in una delle ultima file, mi salutò con la mano e sparì prima del termine della funzione. Io cominciai a sentirmi meglio di giorno in giorno, ma passò più di un mese prima che potessi di nuovo essere in grado di sgattaiolare fuori dal convento per correre alla vecchia capanna di pesca dove c’erano gli altri, dove c’era Philip.
Quella fu la prima volta che vidi il mio amico Philip De Jeon entrare in una chiesa durante una funzione e senza che fosse sua madre a costringerlo... e da quello che si diceva in giro, probabilmente era stata anche l’ultima.
Quel ricordo mi attraversò gli occhi, il cuore e l’anima...
Sollevai lo sguardo al cielo e guardai le nuvole... era tanto, troppo tempo che non lo facevo più. Era tanto tempo che avevo giurato che non lo avrei fatto mai più. E ora, mio malgrado, ero venuta meno a quel giuramento, proprio quel giorno nel quale, per la prima volta dopo tanti anni, io e Philip eravamo di nuovo sotto lo stesso cielo...
Quel pensiero mi fece male.
Citazione:
Originalmente inviato da Guisgard
“Ecco, ci sistemeremo laggiù.” Indicò. Essien alla compagnia.
Era uno spiazzo appena fuori le mura vecchie della città.
Qui la compagnia si sistemò alla meglio.
“Avanti, stasera è festa!” Esclamò Essien. “Avete tutti la serata libera!”
“Ottimo!” Disse Renart. “Avanti, Talia, andiamo a farci un giretto! Siamo finalmente in una grande città!”
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Mi voltai e fissai Renart per qualche momento... povero, ingenuo Renart che non pensava ad altro che a vivere di giorno in giorno.
Sorrisi, mio malgrado...
“Va bene!” annuii, sforzandomi di apparire altrettanto allegra.
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** Talia **
"Essere profondamente amati ci rende forti.
Amare profondamente ci rende coraggiosi."
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